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Una fede svaporata

di Maria Turchetto

ateismoQualche tempo fa sul Corriere della Sera (2 dicembre 2006) Antonio Carioti salutava simpaticamente Il ritorno degli atei: che non sono mai andati via, spiegava, citando un articolo di Carlo Augusto Viano (Elogio dell'ateismo, in MicroMega n.5, 2006), ma magari si dichiaravano agnostici «per apparire più rispettosi verso i credenti». Persone discrete, gli atei: mica vogliono convertire il prossimo. E nemmeno alzerebbero la voce, a lasciarli in pace. Certo, se le chiese diventano arroganti, se i cardinali scendono in politica e i papi invadono le televisioni - beh, dovranno pure farsi avanti e dire la loro.

I filosofi di Torino sono all'avanguardia in questo outing dell'ateismo: Viano, appunto (Le imposture degli antichi e i miracoli dei moderni, Einaudi, Torino 2005; Laici in ginocchio, Laterza, Bari 2006); ma anche Pietro Rossi (Il pontefice e i filosofi devoti, in Nuova Informazione Bibliografica n. 4, 2005). Forse perché a Torino una ventata di illuminismo c'è stata, tra gli anni '40 e '50, come ricorda Viano nel libro sui miracoli. O forse perché a Torino c'è un bizzarro "filosofo devoto" che li ha particolarmente scossi: quel Gianni Vattimo che ha indebolito il pensiero fino a "credere di credere" (Credere di Credere, Garzanti, Milano 1996). Maurizio Ferraris si aggiunge ora alla agguerrita compagine degli "atei confessi" (per usare una sua espressione) con Babbo Natale, Gesù Adulto, godibile pamphlet che fin dal sottotitolo pone una domanda imbarazzante: in cosa crede chi crede?

Volete che vi riassuma questo libretto? Ma no, dài, non voglio levarvi il gusto di percorrere da soli questa gradevole passeggiata intellettuale che, partendo dal "ritorno della religione" di cui oggi si parla a ogni piè sospinto, cerca di misurare la distanza che separa i "vecchi credenti" (non le vecchine vestite di nero, precisa l'autore, ma «gente come Paolo, che pretendeva le prove») dai "nuovi credenti" contemporanei, abitatori del Postmoderno di fatto increduli - e ignoranti - della dogmatica: gente che crede vagamente, debolmente, metaforicamente a un "c'è qualcosa", a un Gesù Cristo brava persona cui ispirarsi per essere buoni, a personali bricolage religiosi spesso più superstiziosi che devoti, oppure se la cava, per l'appunto come Gianni Vattimo, con un "credo di credere". Ecco, vi lascio da soli a questo percorso - ma siccome sono cattiva vi dico come va a finire. Una credenza così svaporata, così priva di contenuto difficilmente sta in piedi: troppo poco "impegno ontologico" per reggere, dice Ferraris che di ontologia se ne intende (dirige il Centro Interuniversitario di Ontologia Teorica e Applicata, apprendo dal risvolto di copertina). Vedrai che i credenti credono in qualcos'altro. «Siamo arrivati al dunque: in un paese cattolico, in cosa crede chi crede? La risposta è molto semplice: crede in quel che vede - alla tv [...] - cioè crede nel Papa» (p.123). Non nel Dio Nascosto, ormai troppo vago per dare contenuto a una credenza, ma nel Papa Televisibile, storicamente e geograficamente determinato e per di più - se è un buon papa - carismatico: un leader per cui si può tifare e a cui si possono delegare le decisioni in materia di morale e - perché no? - di politica. S'invera così la tesi sostenuta nel 1819 da Joseph de Maistre in Il Papa: «La tesi è che il solo cristiano è il cattolico, e che il cattolico è tale non perché crede in Dio, ma perché ubbidisce al Papa» (p. 128).

Bene, ora che vi ho detto da dove si parte e dove si va a parare - una bella conclusione spiazzante, non vi pare? - vi lascio soli a percorrere il sentiero argomentativo intermedio, ricco di spunti e di personaggi curiosi, da Sant'Agostino alla Fattucchiera Nocciola, passando per Meister Eckhart, Papa Ratzinger, Woody Allen, Immanuel Kant, Lucio Dalla, Richard Rorty, Marcello Pera e tanti altri. Posso lasciarvi, allora? Scusate, sono un po' apprensiva - sapete come siamo noi donne. Il fatto è che c'è qualche passaggio tortuoso, qualche giravolta, qualche ridondanza, qualche citazione di troppo - almeno per il genere pamphlet. Quando si sceglie il canone della leggerezza - e approvo di cuore la scelta - bisognerebbe coniugarla con la rapidità, come insegnava Italo Calvino, sacrificando se occorre qualche buona battuta. Ma ecco che ridivento cattiva - che brutto carattere. No, ripensandoci in realtà ha fatto bene, Maurizio Ferraris, ad allungare un po' il brodo, a insaporirlo con il sale della cultura e il pepe dell'ironia, a scegliere quella spiazzante copertina (una Madonna che culla un piccolo Babbo Natale) e a farcelo trovare in libreria a fine novembre: una bellissima strenna. Una manna per noi atei che non sappiamo mai cosa regalare a Natale. Un ateo regala ben volentieri questo libretto a un altro ateo, che si divertirà a leggerlo e arricchirà la sua panoplia di argomenti e battute anticlericali. Un ateo regala volentieri questo libretto anche a un credente, per prenderlo bonariamente in giro. Ci vuole sensibilità, però: non regalatelo alla vostra zia bigotta, povera donna, regalatelo piuttosto a un credente sapientone: a Gianni Vattimo, per esempio (mi viene un sospetto: non è che Ferraris ha scritto questo libro per regalarlo a Vattimo per Natale?).

Un'ultima cosa, a proposito di Vattimo - poi vi lascio davvero alla vostra passeggiata. Non sarà che i filosofi torinesi  prendono un po' troppo sul serio la faccenda del "pensiero debole"? E non sarà che sottovalutano, di conseguenza, la forza del pensiero scientifico? Perché a praticarlo un po', anche superficialmente, il pensiero scientifico si rivela di ben altra consistenza rispetto al budino postmoderno che Ferraris - ma anche Viano - ci mettono davanti agli occhi? Non è mica vero che l'esito delle "crisi dei fondamenti" novecentesche sia un irrimediabile scetticismo in cui tutto fa brodo, qualsiasi enunciato è una "stronzata" (non dico parolacce, cito Harry G. Frankfurt, Stronzate, Rizzoli, Milano 2005) e non ha senso distinguere mito e scienza, visto che gli etnologi ci assicurano che «la visione scientifica del mondo è una mitologia occidentale, non diversa, in linea di principio, dai culti della dea Kalì» (ora incece cito Ferraris, p. 87). Questo possono pensarlo forse quei filosofi italiani che, a causa delle disgraziate vicende culturali del nostro paese, hanno perso irrimediabilmente i contatti con il mondo della ricerca scientifica - ma non lo pensano certo gli scienziati, e nemmeno i filosofi della scienza (con l'ovvia eccezione di Marcello Pera, che però non conta). Non è mica vero che se «le pratiche scientifiche sono determinate da paradigmi storicamente condizionati, allora anche l'oggettività va in fumo» (pp. 77-78), che «quello che conta non sono i fatti, bensì le interpretazioni» (p. 71). Questo, francamente, mi sembra l'esito di una indigestione ermeneutica - ma la filosofia non è tutta lì, e certamente non è tutta lì la scienza. Certo, la scienza non esibisce più un empirismo ingenuo, il "nuovo spirito scientifico" - per usare il titolo di un testo di Gaston Bachelard che ritengo tutt'ora insuperato su tali questioni - tratta in modo assai sofisticato i rapporti tra teoria ed esperienza, eppure va avanti a sperimentare, misurare, verificare, formulare e riformulare, e a sottoporsi al giudizio di una comunità scientifica che non pratica affatto un relativismo assoluto o uno scetticismo senza scampo, ma un razionalismo avvertito.

Non è nemmeno vero che ogni scienziato se ne stia lì, rinchiuso nel suo specialismo superspecialistico, impotente a comunicare col mondo e persino con i colleghi, inascoltato perché «non conosce che una parte infinitesimale dello scibile» (p. 98). Il mondo della scienza non conosce solo la deriva delle specializzazioni, ma anche processi di unificazione - oggi, ad esempio, nei campi della biologia, della chimica cellulare, delle neuroscienze, della paleontologia, della genetica e della genomica - entro vasti orizzonti teorici - oggi, ad esempio, la riformulazione della teoria dell'evoluzione a valle della "sintesi moderna" - che non mancano di avere ricadute in termini di "visione del mondo" - perché altrimenti i ministri teocon toglierebbero Darwin dai programmi scolastici? E' vero, siamo circondati dalla tecnica, più che dalla scienza, come sostiene Ferraris nell'ottavo capitoletto, cioè da oggetti - computer, vasi, coltelli o astronavi che siano - che di per sé non aumentano la nostra conoscenza del mondo. Ma se si insegnassero un po' meglio e un po' di più le materie scientifiche nelle scuole - alla faccia delle ore di religione - forse anche la scienza ci circonderebbe un po' di più, e l'esecrata società dei miracoli potrebbe beneficiare di qualche influenza materialista.

Ora vi lascio davvero, ragazzi, e scusate se l'ho fatta lunga. Seguite il consiglio di Maurizio Ferraris: «intanto credere alle cose credibili invece che a quelle incredibili, e poi, anche quando si viene alle cose credibili, contare fino a trentatré prima di crederci» (p. 66). Ma seguite anche il mio, di consiglio: studiate un po' più seriamente le materie scientifiche. Non venitemi a dire all'esame che "Copernico ha scoperto che il Sole gira intorno ai pianeti", come ha fatto quello studente di cui racconta Ferraris (p. 95). Perché Ferraris magari ve la passa, in nome del Postmoderno, ma io vi butto fuori con infamia - siete avvertiti.

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