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jacobin

Una guerra senza vie d’uscita

di Nicola Lamri

Per cogliere il senso dell’attacco del 7 ottobre e del conflitto attuale come scontro dentro uno stato segregazionista, bisogna incrociare le mappe con il territorio, considerare i flussi demografici, tenere presente il modello coloniale

palestina jacobin italia 1 1536x560.jpg«La mappa conta», ricordano Christine Leuenberger e Izakh Schnell in un recente saggio incentrato sulla sfida cartografica posta dal conflitto israelo-palestinese. La mappa conta poiché contribuisce a imporre l’immagine, altrimenti intangibile, della nazione. Essa conta, poiché fonda l’unione della carta e del territorio, del piano della rappresentazione e di quello reale, conditio sine qua non per l’esistenza della comunità immaginata, all’interno della quale il popolo di una nazione moderna diviene pensabile. La mappa conta poiché è uno strumento politico, che tradisce lo sguardo di un’epoca sulla realtà circostante. «L’arte di irrigidire la vita in un sistema di segni», per dirla con Franco Farinelli, è il presupposto per qualsiasi interpretazione esaustiva dei fatti del mondo.

A ogni intensificazione degli attacchi israeliani contro le popolazioni palestinesi, torna a circolare online una mappa stilizzata, volta a illustrare il processo di progressiva espansione territoriale dello Stato ebraico a scapito di quello arabo. Ne esistono varie versioni, ma una delle più popolari è la carta in cui la sorte della Palestina viene comparata a quella dei nativi americani. Come nel caso delle popolazioni indigene dell’America settentrionale, si legge fra le righe, i palestinesi sarebbero destinati a finire nelle riserve.

 

Illusione ottica

Da qualche tempo, la visione della mappa rappresentante le «Palestinian lands», ridotte progressivamente a una serie di enclaves territoriali, circondate dalle ben più omogenee «Israeli lands», è fonte per me di turbamento.

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gliasini

Gaza. Disumanizzazione e ottimismo della disperazione

di Ruba Salih

Cara de Luna Jack London 9x7.jpgSolitamente odiamo i silenzi ingombranti, quelli dei momenti dove una conversazione incespica e uno iato riempie goffamente lo spazio. Naturalmente facciamo ciò che possiamo per evitarli. Tuttavia, questo non è il caso di Gaza. Qui amiamo il silenzio, perché significa una pausa dalla morte e distruzione. Finché non è brutalmente rotto di nuovo dal rumore dei missili, che fanno traballare le nostre case e danzare i nostri cuori di paura… La scorsa notte siamo rimasti tutti nelle nostre stanze, ma mentre i bombardamenti divenivano sempre più fuori controllo e frequenti, abbiamo deciso di stare tutti insieme in una stanza nel mezzo della casa. Quella notte nessuno ha dormito fino all’alba. Alcune notti passano e finalmente il bombardamento si ferma. Ma la distruzione ha lasciato un segno di morte nei cuori della mia famiglia. Una parte significativa della nostra storia è stata ora distrutta. So che molti altri residenti di Gaza hanno sofferto molto di più. Le bombe hanno distrutto molte vite, molti sono diventati orfani, intere famiglie sono state distrutte e alcuni sono ancora sepolti sotto le loro case, mentre altri sono stati bombardati mentre fuggivano, in strada. Alcuni sono rimasti amputati e menomati. Chi è sopravvissuto ha perso una parte della sua anima… 

* * * *

Le parole di Yusef Maher Dawas, tratte dal sito We are not numbers di cui è stato fondatore, raccontano del bombardamento israeliano a Gaza, a cui è sopravvissuto nel maggio 2022. Yusef è morto insieme a numerosi membri della sua famiglia quando la sua casa a Beit Lahia è stata bombardata il 14 ottobre 2023.

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lantidiplomatico

Le cause economiche dietro il massacro di Gaza

di Maurizio Brignoli

Di seguito un commento de l'Autore di "Jihad e imperialismo", LAD edizioni, sulla mattanza in corso a Gaza da un punto di vista poco approfondito: l'economico

720x410c50mjjwzGli eventi come le guerre, notoria continuazione della politica di stato con altri mezzi, hanno alle spalle una struttura economica. Proviamo ad allargare quindi la prospettiva e a cercare motivazioni allo sterminio dei palestinesi che vadano al di là della rappresaglia scatenata dopo la sanguinosa operazione Tempesta di al-Aqsa del 7 ottobre.

I piani di pulizia etnica, trasferimento forzato di popolazione e, in ultima istanza, genocidio non corrispondono solo al razzismo intrinseco alla dottrina sionista, che nasce con tutte le peculiarità di un’ideologia colonialistica, e alla necessità di stroncare la lotta di liberazione nazionale palestinese, ma corrispondono anche agli interessi del capitale occidentale (israeliano e non solo). Questi piani si inseriscono a loro volta nel contesto più ampio dello scontro interimperialistico che vede gli Usa (e il subordinato europeo) sempre più in difficoltà sul piano strutturale nei confronti dei concorrenti cinesi. Difficoltà che porta l’imperialismo occidentale a cercare di utilizzare l’unica arma efficace che ha ancora a disposizione e uno dei pochi settori produttivi in cui mantiene una predominanza: la guerra.

 

Guerra per i giacimenti e piani di deportazione

Che peso hanno gas e petrolio nel contesto del massacro in atto? Nel momento in cui l’Ue ha ridotto fortemente gli approvvigionamenti dalla Russia, il Medioriente e il Nord Africa (dove si trovano il 57% delle riserve mondiali di petrolio e il 41% di quelle di gas) hanno visto aumentare le richieste per le loro risorse energetiche.

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fuoricollana

Il vento dell’odio e l’Europa, che fare?

di Antonio Cantaro

Una interruzione sine die della politica e del diritto. Le parole usate come proiettili. E i proiettili come parole. Hamas Netanyahu, Netanyahu Hamas. Guerra d’odio alla massima potenza. L’ideologia unionista non è un antidoto. È necessaria un'Europa autonoma, neutrale, mediterranea

IMG 20231110 163346.jpgIn tempi di opposti e manichei fondamentalismi ci sforziamo, sin dal numero zero del nostro web magazine, di tornare ai fondamentali. Primo. La maggior parte delle guerre in corso tra Stati, tra popoli, dentro i popoli, sono sempre più guerre d’odio. Secondo. La guerra israelo-palestinese, ancor più di quella russo-ucraina, è guerra d’odio alla massima potenza. Terzo. Nessuna comunità è immune dal cadere nel baratro delle guerre d’odio, compresa l’Europa che pure nel secondo dopoguerra era risorta sotto l’egida del “mai più la guerra tra noi”. Quattro. L’ideologia europea (‘unionista’) è lungi dall’essere un antidoto alle odierne guerre d’odio. Quinto. Non sarà oggi, ma è quantomai urgente lavorare da subito a un’altra Europa che, insieme ad altri attori della politica internazionale, contribuisca alla ricostruzione di un ordine mondiale di giustizia e pace: un’Europa autonoma, neutrale, mediterranea.

 

Il confine dell’odio

Tanti storceranno il naso. Come si fa a negare – si obietterà – di fronte a quel che accaduto il 7 ottobre che, da una parte, c’è il male e, dall’altra, c’è il bene? Come si fa a negare che è stato l’odio palestinese ad aver oltrepassato il confine tra Gaza e Israele per colpire le più innocenti delle vittime? Da una parte, ha scritto Domenico Quirico, centinaia di giovanissimi ragazzi in festa, musica, balli riuniti per un festival e, dall’altra, giovani con coltelli e kalashnikov, il “kit per il paradiso”, il massacro e il martirio (La Stampa,12 ottobre: Israele-Gaza, il confine dell’odio). Qui c’è solo una verità, diversamente da quanto sosteneva nel 1938 David Ben-Gurion, uno dei fondatori dello Stato di Israele: «Quando diciamo che gli arabi sono gli aggressori e noi quelli che si difendono, diciamo solo una mezza verità.

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sinistra

Palestina, cuore del mondo

di Nicola Casale

1.49597.jpgLa Tempesta di Al Aqsa ha provocato molti turbamenti sia in quel che resta della sinistra anti-capitalista sia in molti militanti che avevano conservato sulla pandemia una lucidità di classe. Una vera e propria Sindrome di Hamas, come la definisce questo articolo https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/26619-raffaele-tuzio-la-sindrome-di-hamas.html che ne descrive brillantemente sintomi ed effetti. C’è effettivamente da interrogarsi su come mai soggetti che hanno rifiutato di dare credito a ciascuno dei dettagli politico-mediatici-scientifici agitati per gestione pandemica, vaccini, ecc. abbiano preso per buoni tutti i dettagli informativi tesi a dimostrare che l’azione della resistenza palestinese non fosse altro che un terroristico massacro di civili (ulteriore prova di come il problema non sia dell’informazione in sé, ma di come si crede in ciò in cui si ha bisogno di credere, in ragione della propria condizione materiale, di coscienza, ecc. che non è solo la condizione di classe, ma anche l’ambito generale sociale, economico, politico in cui si vive: tanto per dire, anche i giovani palestinesi che vivono da noi si alimentano della nostra stessa informazione, dei social, ecc., eppure ne traggono conclusioni diametralmente opposte e vanno in pazza a rivendicare con veemenza free Palestine… pur non essendo militanti di Hamas e senza necessità di prenderne le distanze).

Come ben detto nell’articolo, se anche si fosse trattato solo di un atto terroristico non avrebbe, in nulla, cambiato l’ordine dei problemi, ossia quelli di un popolo costretto a reagire, spesso con atti disperati (che solo tali solo per l’enorme asimmetria di armamenti), a una lunga, sistematica, brutale oppressione che non conosce limiti di alcuna natura. Ma non di questo si è trattato, bensì di una vera e propria operazione militare, fatta con i mezzi poverissimi che è possibile reperire nel quadro spaventoso di controllo militare e di intelligence esercitato da Israele, e messa in atto da tutti i gruppi di resistenza tranne Al Fatah.

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La resistenza a Gaza smaschera l'imperialismo USA

di Sara Flounders*

Palestina Lo SpiegoneLa morsa degli Stati Uniti sta cedendo. La sua egemonia globale e la sua capacità di proporsi come l’unico decisore globale vengono messe in discussione da un popolo disperato e rivoluzionario tenuto totalmente prigioniero.

L’audacia della resistenza palestinese coordinata, iniziata con un’operazione a sorpresa il 7 ottobre, non è stata solo uno shock per la macchina militare sionista e la sua vantata rete di intelligence, ma sta anche inviando onde d’urto nell’impero statunitense.

Sia Israele che i governanti statunitensi si affidano ora alla forza bruta. Ma la forza bruta non può ribaltare questo colpo politico. Altre armi fornite dagli Stati Uniti per la distruzione di massa non fanno altro che chiarire il ruolo degli Stati Uniti – e susciteranno l’ulteriormente odio di milioni di persone nel Sud globale. La resistenza palestinese coordinata è una minaccia mortale per Israele e per il suo principale finanziatore.

Molti commentatori concordano sul fatto che il mito dell'”invincibilità” israeliana non si riprenderà mai da questo colpo. Il mondo intero ha visto, ancora e ancora, i video dell’audace volo coordinato su strati di recinzioni elettrificate, filo spinato e telecamere di sorveglianza da parte di piccoli deltaplani motorizzati, seguiti da droni leggeri. La protezione offerta dall’Iron Dome israeliano è stata infranta da raffiche di missili a spalla che hanno colpito i centri di comando israeliani fino a Tel Aviv.

Sebbene l’attacco sia stato una sorpresa, non è stato certamente non provocato. È stato un atto di disperazione da parte della popolazione di un campo di concentramento che ha sofferto 16 anni di isolamento totale e 75 anni di sfollamento completo. L’intera popolazione palestinese è stata condannata al carcere a vita.

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Le testimonianze del 7 ottobre: l’esercito israeliano “bombarda” i suoi cittadini

di Max Blumenthal*

Israele kibbutz 7 ottobre.jpgL’esercito israeliano ha ricevuto l’ordine di bombardare le case israeliane e perfino le proprie basi dopo essere state sopraffatte dai militanti di Hamas il 7 ottobre. Quanti cittadini israeliani che si dice siano stati “bruciati vivi” sono stati in realtà uccisi dal fuoco amico?

Numerose nuove testimonianze di testimoni israeliani dell’attacco a sorpresa di Hamas del 7 ottobre nel sud di Israele si aggiungono alle prove crescenti che l’esercito israeliano ha ucciso i propri cittadini mentre combattevano per neutralizzare gli uomini armati palestinesi.

Tuval Escapa, un membro della squadra di sicurezza del Kibbutz Be’eri, ha istituito una hot line per coordinare i residenti del kibbutz e l’esercito israeliano. Ha detto al quotidiano israeliano Haaretz che quando la disperazione ha cominciato a prendere il sopravvento, “i comandanti sul campo hanno preso decisioni difficili – incluso bombardare le case dei loro occupanti per eliminare i terroristi insieme agli ostaggi”.

Un rapporto separato pubblicato su Haaretz ha osservato che l’esercito israeliano è stato “costretto a richiedere un attacco aereo” contro la propria struttura all’interno del valico di Erez verso Gaza “al fine di respingere i terroristi” che ne avevano preso il controllo.

All’epoca quella base era piena di ufficiali e soldati dell’amministrazione civile israeliana. Questi rapporti indicano che dall’alto comando militare sono arrivati ordini di attaccare case e altre aree all’interno di Israele, anche a costo di molte vite israeliane.

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intelligence for the people

Hamas: la storia che in Occidente non si può raccontare

di Roberto Iannuzzi

L’ascesa con il sostegno di Israele, la vittoria elettorale del 2006, il tentato golpe americano ai suoi danni e la frattura palestinese, la prigione di Gaza, la demonizzazione del movimento

f23d95c3 e1e2 40ae b6b9 41b17849aaf3 2048x1356Dopo il sanguinoso attacco di Hamas del 7 ottobre scorso, una componente chiave della propaganda di guerra condotta dai media e dalla classe politica in Israele, ma anche in alcuni paesi occidentali, è stata il tentativo di dipingere il gruppo islamico palestinese come un equivalente dell’ISIS.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha riproposto più volte questa analogia, affermando che “così come le forze della civiltà si sono unite per sconfiggere l’ISIS, esse devono appoggiare Israele nello sconfiggere Hamas”.

Quella di Netanyahu è una formulazione non nuova – visto che già all’Assemblea generale dell’ONU del 2014 egli aveva affermato che “Hamas è l’ISIS e l’ISIS è Hamas” – ma sembra aver assunto una valenza ulteriore nei giorni scorsi.

Il segretario alla Difesa USA Lloyd Austin ha definito “peggiore dell’ISIS” ciò che Hamas ha compiuto il 7 ottobre, mentre il presidente francese Emmanuel Macron ha addirittura suggerito che la coalizione internazionale creata per combattere l’ISIS venisse estesa alla lotta contro Hamas.

In altre circostanze, come ad esempio in occasione di una recente conferenza stampa assieme al cancelliere tedesco Olaf Scholz, Netanyahu ha invece definito Hamas “i nuovi nazisti”, aggiungendo che la ferocia mostrata dal gruppo “ci ricorda i crimini nazisti durante l’Olocausto”.

 

Demonizzazione, decontestualizzazione, destoricizzazione

Questa retorica è stata poi ulteriormente estremizzata e generalizzata per accusare non più solo un gruppo armato (che tuttavia è anche un movimento politico), ma un intero popolo.

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lantidiplomatico

Indipendenza nazionale, socialismo e lotta per il multipolarismo

di Leonardo Sinigaglia

720x410c50mif423.jpgIl passaggio a un mondo multipolare è ormai uno dei temi più dibattuti e presenti all’interno dello scenario politico internazionale.

Quello che fino a qualche anno fa rappresentava un fenomeno “di nicchia”, intuibile (in Occidente) solo da pochi individui e organizzazioni, è ormai diventato un qualcosa di palese, oggettivo e innegabile anche per le grandi masse. Come più volte ribadito dal presidente Xi Jinping, ci si trova innanzi a cambiamenti mai sperimentati da un secolo a questa parte, a un passaggio di fase profondo destinato a definire i decenni a venire. Questo cambiamento è associato a una contraddizione, quella tra le spinte alla multipolarizzazione del mondo e l’imperialismo egemonico statunitense. Tale scontro viene in Occidente definito principalmente in tre modi: il tentativo di costruzione di un’egemonia alternativa, da cui l’ordine liberale dovrebbe difendersi; la lotta tra “opposti imperialismi”, egualmente reazionari e distanti dagli interessi della classe lavoratrice; uno conflitto destabilizzante che solo collateralmente può aprire spazi d’azione politica per il “movimento comunista”. Tutte queste tre visioni sono fondamentalmente errate e strettamente connesse l’un l’altra in quanto espressione, seppur in diverse gradazioni e forme, dell’adesione ideologica e materiale al sistema imperialista e all’incapacità di pensare altrimenti rispetto alle sue prospettive ideologiche.

 

Il multipolarismo è la negazione dell’egemonia

Il sistema liberal-boghese non è in grado e non è interessato a comprendere come possano esistere mentalità diverse da quella predatoria che lo caratterizza.

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lantidiplomatico

Reportage dalla Cina - BRI ad alta qualità

Come funziona la "nuova piattaforma delle relazioni internazionali"

di Alessandro Bianchi

Da Pechino, Zhengzhou e Fujan (15-25 ottobre 2023)

386449123 205250092600915 3338323493355813347 n.jpg“Per condurre una vita significativa, bisogna costruire la felicità con gli altri”. Questo proverbio cinese mi ha costantemente accompagnato nei 10 giorni in cui ho potuto assaporare in prima persona il sostrato storico, culturale e politico della Belt and Road Initiative (o nuova via della Seta), il pilastro più importante della politica internazionale della Cina contemporanea.

Davvero difficile trovare le giuste parole per spiegare la “comunità dal destino condiviso per l'umanità”, alla base del progetto di Pechino, in un paese, come il nostro, che ha smesso di concepire un futuro solidale di uguaglianza e diritti sociali per la nostra di collettività, figuriamoci in una visione globale.

Nel 2013, il neoeletto presidente cinese Xi Jinping annunciava al mondo la nascita della “One Belt One Road”, un immenso progetto infrastrutturale che avrebbe legato, come una nuova via della seta appunto, decine di paesi sulla base di un approccio di cooperazione e "win win". 10 anni dopo “i progetti sono divenuti realtà” e Xi ha decretato, in occasione del Terzo Belt and Road Forum, l'inizio di una più ambiziosa fase: la “Bri ad alta qualità”.

“Siamo dalla parte corretta della storia”, ha chiosato Xi nel suo discorso di inaugurazione nella Sala del Popolo il 17 ottobre a Pechino che molti funzionari del PCC ci hanno definito di “portata storica”. 8 nuovi punti programmatici che scandiranno le prossime tappe di quella che il presidente cinese ha definito la “nuova piattaforma delle relazioni internazionali”, un’iniziativa che ha già tolto dalla povertà milioni di persone nei 150 paesi aderenti.

I prossimi anni, secondo il presidente XI, devono prevedere il passaggio ad una BRI di “alta qualità”, con due direttive di riferimento: la connessione tecnologica e la cooperazione “people to people” nel rispetto delle diverse civilizzazioni dei popoli aderenti.

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Quel linguaggio “messianico” che rivela la crisi

di Dante Barontini

linguaggio messianico rivela crisi.jpgChi parla male, pensa male perché sta male. In tempi di guerra questo diventa particolarmente evidente, è sempre andata così. Ma in questa – tra Gaza e Kiev – sta emergendo qualcosa di più grave.

La mostrificazione e disumanizzazione del nemico è quasi fisiologica, in qualsiasi guerra. Bisogna motivare i propri combattenti, convincerli a morire per una “causa giusta”, stringere la popolazione intorno allo sforzo bellico e ai “sacrifici” che ne derivano come qualità della vita, perdita del benessere, ecc.

Niente di nuovo…

Ma in qualsiasi guerra – ha provato a ricordare Massimo Cacciari, e non solo lui – ci deve essere una recta intentio, ossia un obiettivo politico razionale e raggiungibile (fondato su interessi particolari, ci mancherebbe…) che dovrebbe inaugurare un nuovo periodo di assenza di guerra (la ‘pace perpetua’ è una speranza nobile, ma tale resta).

Il che significa che il nemico sarà di nuovo accettato come interlocutore, in altre condizioni “a noi” più favorevoli. Non che “cesserà di esistere”.

E’ la visione interpretata al meglio, sul piano della teoria militare, da von Clausewitz – “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi” – che è poi la chiave del “realismo politico”. Inutile insomma porsi obiettivi “ipergalattici” o metafisici, perché sicuramente non saranno mai raggiunti.

Eppure, se guardiamo alle “strategie comunicative” delle cancellerie occidentali – a partire da Israele – e del sistema dei media che ne dipende (la “stampa libera” è una foglia di fico; sono ben poche, e non primarie, le testate che possono fregiarsi a ragione di questa definizione), vediamo che predomina la retorica ultra-ideologica o addirittura religiosa.

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Come gli Usa di Biden alimentano la pulizia etnica a Gaza

di Chris Hedges* - Scheerpost

720x410c50nytrs.jpgIsraele, con il sostegno degli Stati Uniti e degli alleati europei, si sta preparando a lanciare non solo una campagna di terra bruciata a Gaza, ma la peggiore pulizia etnica dai tempi delle guerre nell’ex Jugoslavia.

L’obiettivo è spingere decine, molto probabilmente centinaia di migliaia di palestinesi oltre il confine meridionale di Rafah nei campi profughi in Egitto. Le conseguenze saranno catastrofiche, non solo per i palestinesi, ma per tutta la regione, e quasi certamente scateneranno scontri armati nel nord di Israele con Hezbollah in Libano e forse con Siria e Iran.

L’amministrazione Biden, eseguendo pedissequamente gli ordini di Israele, sta alimentando la follia. Gli Stati Uniti sono stati l’unico Paese a porre il veto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva pause umanitarie per fornire cibo, medicine, acqua e carburante a Gaza. Ha bloccato le proposte di cessate il fuoco. Ha proposto una bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che afferma che Israele ha il diritto di difendersi. La risoluzione chiede inoltre all’Iran di smettere di esportare armi a “milizie e gruppi terroristici che minacciano la pace e la sicurezza in tutta la regione”.

Gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali sono moralmente in bancarotta e complici del genocidio quanto coloro che furono testimoni dell’Olocausto nazista degli ebrei e non fecero nulla.

Il conflitto, che è costato la vita a 1.400 israeliani e ad almeno 4.600 palestinesi a Gaza, si sta ampliando. Israele ha effettuato un secondo attacco aereo su due aeroporti in Siria. Scambia quotidianamente raffiche di razzi con le milizie Hezbollah. Le basi militari americane in Iraq e Siria sono state attaccate dalle milizie sciite.

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I maiali dell’informazione

di Dante Barontini - Redazione

vignetta morti uccisi 680x300I. 

Siamo abituati da sempre alle menzogne dell’informazione di regime. E sapevamo bene che in tempi di guerra ci saremmo trovati davanti a un muro di merda spacciata per “notizie verificate”.

Un anno e mezzo di guerra in Ucraina hanno dimostrato fin troppo bene la verità di questo assunto. Ogni parola di Kiev è stata presa per oro colato. Persino gli attacchi in territorio russo o gli attentati a Mosca sono stati inizialmente “passati” come “azioni dei russi contro se stessi”.

Resta indelebile l’esempio dell’attacco al ponte di Kersh, in Crimea, rivendicato solo dopo un anno dal regime ucraino e solo allora registrato anche dai media occidentali tra i “successi” di Kiev.

Ma è con la guerra su Gaza che i media stanno dando il peggio di sé. Perché Israele deve essere “angelicata” anche e soprattutto quando commette evidenti crimini di guerra.

Nei giorni scorsi avevamo centrato l’attenzione su singoli casi, enormi per la copertura mediatica ricevuta da queste parti. Per esempio il caso dei “40 bambini decapitati” che nessun testimone terzo ha mai visto, con Netanyahu a spargere improbabili foto in giro e le scuse della Cnn per avergli dato inizialmente credito.

Oppure quello della donna e i due bambini rilasciati dai miliziani di Hamas già nelle prime ore dopo il clamoroso attacco nel sud di Israele.

O ancora quello di un’altra donna fuggita dal rave nel deserto, finita in un kibbutz sotto attacco e infine tornata libera, che narra come sono andate le cose dal suo punto di osservazione.

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lantidiplomatico

Da questa parte per il genocidio, Signore e Signori

di Chris Hedges - Scheerpost

il bambino con il pigiama a righe.jpegHo visto la guerra urbana in El Salvador, Iraq, Gaza, Bosnia e Kosovo. Una volta che combatti strada per strada, appartamento per appartamento, c'è solo una regola: uccidi tutto ciò che si muove. I discorsi sulle zone sicure, le rassicurazioni sulla protezione dei civili, le promesse di attacchi aerei “chirurgici” e “mirati”, la creazione di vie di evacuazione “sicure”, la fatua spiegazione secondo cui i civili morti sarebbero rimasti “in mezzo al fuoco incrociato”, l’affermazione che le case e i condomini ridotti in macerie dalle bombe fossero la dimora di terroristi o che i razzi erranti di Hamas fossero responsabili della distruzione di scuole e cliniche mediche, fa parte della copertura retorica per effettuare massacri indiscriminati.

Gaza è un’area così piccola – 25 miglia di lunghezza e circa 5 miglia di larghezza – e così densamente popolata che l’unico risultato di un attacco terrestre e aereo israeliano è la morte di massa di quelli che il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant chiama “animali umani” e il Primo Ministro Benjamin Netanyahu li definisce “bestie umane”. Il membro della Knesset israeliana Tally Gotliv ha suggerito di lanciare “armi apocalittiche” su Gaza, ampiamente visto come un appello per un attacco nucleare. Il presidente israeliano Isaac Herzog venerdì ha respinto le richieste di proteggere i civili palestinesi. "C'è un'intera nazione là fuori che è responsabile... questa retorica sui civili non consapevoli, non coinvolti, non è assolutamente vera", ha detto Herzog. “Avrebbero potuto ribellarsi, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio che ha preso il controllo di Gaza con un colpo di stato”. Ha aggiunto: “Gli spezzeremo la spina dorsale”.

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lacausadellecose

Stato di Israele, niente è eterno

di Michele Castaldo

Ringhi Neta.jpgIl clamore che sta suscitando l’azione di Hamas in territorio israeliano ha dell’incredibile, la stampa occidentale si mostra sgomenta e meravigliata per l’improvvisa azione di un gruppo di persone con rudimentali mezzi ma con tanta rabbia in uno Stato fra i più potenti al mondo dal punto di vista militare. Verrebbe da dire: signori ma che vi aspettavate? Zagare profumate e pasticcini? Chi semina vento raccoglie tempesta e come sempre i fatti si pongono all’attenzione dell’individuo che è chiamato a schierarsi secondo i suoi interessi e le sue inclinazioni. Una legge che vale per tutti. Titolo queste brevi note «niente è eterno» volendo affermare da subito che lo Stato di Israele è entrato ormai in un cuneo obbligato della storia che lo porterà alla dissoluzione. Capisco che questa affermazione può provocare anche ilarità, ma la storia ha leggi proprie e se ne frega dei fessi che si lasciano abbagliare dalla potenza delle sembianze del momento. Proprio il clamore suscitato dall’azione di Hamas è uno dei sintomi del destino ormai segnato della sua dissoluzione.

Faccio mia la tesi di fondo di Gilles Kepel, che a tutta pagina sul Corriere della sera di martedì 10 ottobre, cioè immediatamente dopo i fatti del 7 ottobre, dice «l’offensiva di Hamas è un colpo sferrato contro tutte le potenze occidentali». Com’è possibile si chiede lo scettico che un gruppo di poche migliaia di palestinesi, in nome del suo popolo, sia in grado di lanciare una sfida di portata storica a tutto l’Occidente? Questa diffidenza è dovuta all’ignorantitudine, (il lettore mi perdonerà per il “neologismo” ovvero per l’abitudine all’ignoranza), legata a non capire le ragioni storiche che fecero sorgere in quella precisa area geografica e in quel preciso momento storico lo Stato di Israele.