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mondocane

Operazione Ippocr...ITA

Tregua finta in Siria, guerra vera alla Libia

di Fulvio Grimaldi

Apicella libia 2Dalla diga che crolla a Tripoli bel suol d’amore

La signora Pinotti rincorre famelica e trafelata il suo modello ideale, Hillary Clinton. Anche a dispetto della progressiva caducità del modello, minato da un concorso di demenza sanguinaria ossessiva e conseguente disfacimento neurofisico. Stesse attenta, la Pinotti. Intanto, all’ombra di tanto vertice di potenza criminale, la muselide de noantri gira vorticosamente nella sua ruota impazzita, sparando alla rinfusa contro chi sa di risultare sgradevole ai suoi domatori oltremare, anche a scapito dei disastri socioeconomici e dei rischi geopolitici che in parallelo infligge al proprio paese. 500 armigeri spediti a far finta di proteggere una diga che si va sbriciolando a Mosul, ma che il direttore del circo USraeliano le ha intimato di tener pronti per sostenere, contro l’avanzata dell’esercito nazionale iracheno e relative milizie popolari, la presa della seconda città araba irachena da parte dei pretoriani peshmerga del narcoboss curdo Barzani.

Forze speciali – con garanzia di anonimato e oblio in caso ci rimettano la ghirba, in cambio di stipendio da magistrato di seconda classe – che si aggirano sottobraccio a quelle Usa, britanniche, francesi, nelle zone contese della Siria, per assicurarsi che non troppo male sia fatto agli ascari curdi di Rojava (assistiti, anzi, nella pulizia etnica di terre arabe da incorporare) e neppure ai terroristi ingentiliti dal cognome  “moderati” e, quando capita, anche per dare istruzioni e una mano a chi, con autobombe o kamikaze, rimedia alle batoste subite sul campo facendo saltare per aria aggregati di donne, uomini e bambini a Damasco.

E, ora, alle analoghe unità di teste di cuoio tipo Col. Moschin (volendo: “squadroni della morte”, come ci insegna l’inventore, John Negroponte, maestro e principale di Giulio Regeni), la mini-Gorgone italiota aggiunge in Libia 300 guerrieri di formazioni come la Folgore, specializzate nella riduzione in briciole di selvaggi e inopportuni, corredati di supporto aereo e navale, sanitati dai camici  candidi di qualche medico e qualche infermiere. Dove vanno? A Misurata. A cosa fare?  Dice: a medicare le centinaia di mercenari Nato che se ne tornano da Sirte con qualcosa di rotto, per rimetterli in sesto e rispedirli contro l’altra fanteria Nato, l’Isis, installata dai turchi Nato a Sirte e che da 4 mesi non se la danno per intesa che devono sloggiare. Paradosso? Tanto tutti Fratelli Musulmani sono. Come pure i nostri più cari e fidati amici, i Fratelli Musulmani di Tripoli, quelli che stanno lì dopo aver rovesciato il legittimo governo laico, ora riparato in Cirenaica, con un colpo di Stato attuato dai tagliagole allora al loro servizio, ma che adesso Tripoli e la Tripolitania se la curano da soli insieme al regimetto di Al Serraj, denominato pomposamente GNA, Governo dell’Accordo Nazionale. GNA inventato dall’ONU su commissione Usa, ma dalla nascita costretto a restarsene chiuso in hotel, visitato per il tè delle cinque e un pat-pat sulle spalle da qualche ambasciatore occidentale e dal mediatore ONU, si fa per dire, Martin Kobler.

 

Tregua in Siria. Rifacciamoci in Libia 

Parte la tregua in Siria, negoziata dal gatto e dalla volpe, con Pinocchio a Damasco che si aspetta che sull’albero compaiano gli zecchini d’oro di un paese che, come promette Bashar el Asad, senza dubbio il migliore della compagnia, dovrà essere liberato e riconquistato alla sua integrità, sovranità e libertà, pezzo per pezzo. Il negoziatore Lavrov, esponente di un paese che finora ha aiutato la Siria a scamparla dal destino della Libia, vanta tutte le credenziali per essere riconosciuto come honest broker. Non così la sua controparte, Kerry, ambasciatore di troppe pene per coloro di cui si è occupato per risultare credibile. 

Per me siamo alle solite: tregua dopo tregua, l’esito vittorioso della Siria, prospettiva concreta  e attendibile sul piano militare e politico interno (la stragrande maggioranza del popolo resta con Assad), viene costantemente rimandato dall’opportunità che il mercenariato Nato-Golfo-Israele, nelle sue varie denominazioni, dal moderato finto all’orco vero, si riprenda da mazzate e conseguente dissesto, venga riarmato, rifornito, rimpinzato (i turchi spediscono colonne di “aiuti”, che giustamente il governo sovrano stoppa) e, a tregua rotta da Al Nusra e soci, rilanciato. I russi accoppiano al sacrosanto impeto di mostrarsi ragionevoli e disponibili e a favore di una soluzione politica, l’astuto intento di costringere gli Usa a mostrare le carte che dimostrino la loro dissociazione e ostilità all’Isis e terroristi associati, anche l’illusione che questo possa davvero avvenire. Che cioè Obama possa tagliare uno dei rami (dopo quello curdo, per il momento) ai quali sta appesa lacontinuità  di una guerra necessariamente infinita, da far combattere a surrogati e alleati, per sé conservando solo droni e comando supremo. 

Espresso questa mia sfiducia sugli eventi in Siria, potrò anche ricredermi fra una settimana, ma i sinistri bagliori che già lampeggiano dalle parti di Aleppo Est sotto forma di alcune decine di rotture della tregua, del resto mai accettata da una ventina di bande, mi rendono scettico. Anche Assad che, approvando la scelta russo americana, forse obtorto collo, l’ha però accompagnata con l’impegno a ricuperare tutta intera la Siria, appare scettico. Ma anche determinato  E di lui mi fido.

 

Regimi di polistirolo e regimi di popolo

L’equivalente di Assad in Libia è al momento  la coppia Al Thani (o al Thinni)-Haftar, primo ministro e ministro della Difesa  del parlamento di Tobruk, regolarmente eletto e fatto sloggiare da Tripoli dai golpisti Fratelli Musulmani, oggi sotto il “premier” Khalifa Ghwell.  Al Sarraj, islamista quanto quello, spunta dalla consapevolezza occidentale dell’impresentabilità di un regime come quello tripolino, che non controllava neppure il quartiere della sua sede, epperò aveva spuri collegamenti con bande jihadiste in varie aree della Tripolitania (comprese quelle che rapirono a Sabratha i nostri 4 connazionali e ne uccisero due ) e con gli organizzatori delle migrazioni attraverso il Mediterraneo. Uniche sue armi, alimentare il flusso dei migranti e occasionali  rappresaglie su nostri cittadini, adoperate in funzione di ricatto, sull’esempio del grande referente in Turchia, Erdogan.

Apicella Libia

 

Tobruk, alba della nuova Libia

Così, burattino dell’ONU, Martin Kobler ha tirato fuori dallo shanghai islamista, in ogni caso e ovunque più conforme agli interessi imperialisti dei laici e nazionalisti, la bacchetta Fayez Al Sarraj, un insignificante bottegaio, buono solo a sbattere le ciabatte davanti ai qatarioti, turchi e occidentali uniti nella lotta. Si trattava di porre fine al pericoloso errore del riconoscimento di Tobruk, entità per niente malleabile, il cui consenso nella variegata società libica continuava a crescere, specie dopo che aveva posto fine alla scellerata discriminazione-persecuzione islamista nei confronti dei cittadini che in qualche modo avevano lavorato nelle strutture pubbliche della Jamahiriya: amministrazione, scuola, sanità, comunicazioni, enti statali, banche, organismi di massa. Se gli integralisti di Tripoli avevano imposto l’epurazione e spesso la carcerazione di questi cittadini e avevano condannato a morte il figlio e naturale erede di Gheddafi, Saif al Islam, Tobruk aveva annullato entrambi  questi provvedimenti e aveva aperto alla partecipazione degli ex-gheddafiani, compresi gli ex-militari nell’esercito di Haftar.

Sostenuto dall’Egitto, magari pro domo sua, è fisiologico con un vicino arabo, ma anche a contrasto con le mire neocolonialiste di cui Tripoli si fa proconsole, il governo di Tobruk e il generale Khalifa Belkasim Haftar sono riusciti ad organizzare un vero esercito nazionale che ha dimostrato la sua efficienza liberando dai jihadisti gran parte della provincia di Bengasi e, ultimamente, riuscendo a conquistare i principali terminali petroliferi e porti, Ras Lanuf, Sidra, Brega e Zueitina, dove confluisce e da dove parte la gran parte del petrolio libico (oggi 200mila barili al giorno, contro l,7 milioni di prima dell’aggressione. Al cospetto, le bande di Misurata, unica forza combattente di una qualche consistenza a disposizione di Tripoli e suoi sponsor esteri, che da quattro mesi affermano di essere lì lì per prendere Sirte occupata dall’Isis, fa la stessa figura di quando fu mandata in fuga da Gheddafi per essere poi salvata dalle bombe e forze speciali Nato e dal mercenariato spedito da Qatar e Turchia.

 

Orchi di Misurata, eroi della nostra civiltà 

Meritano una menzione speciale questi di Misurata, oggi dai media rifilatici come gli eroi della guerra al terrorismo islamista. Se quelli di Al Nusra, da me visti sgozzare e far saltare per aria gente in Siria, e quelli dell’Isis, che ne hanno potenziato le pratiche di “controllo sociale” (sharìa, crocefissioni, roghi, scuoiamenti, stupri, matrimoni a ore, annegamenti, esecuzioni di massa, torture di ogni genere), ci hanno potuto impressionare perché ce le hanno fatte conoscere in modo che, inorriditi, accettassimo le invasioni e i bombardamenti dei nostri alleati, quelli di Misurata ne sono stati i predecessori e maestri. Ho avuto modo di raccogliere a Tripoli le confessioni di pentiti di Misurata e vi giuro che il fatto meno agghiacciante era il sequestro di ragazze “gheddafiane”, il loro stupro di massa e, subito dopo, la decapitazione, lo smembramento dei corpi e loro chiusura in celle frigorifere.

Caduto e linciato dagli specialisti di Hillary Clinton Muammar Gheddafi, i subumani di Misurata (avevano addirittura fatto scappare davanti a tanto orrore i Medici Senza Frontiere. Ora quelli di Pinotti sembrano avere stomaci più forti) si erano confermati validi prosecutori dei marescialli Graziani e Badoglio che, in Libia, avevano eliminato un terzo della popolazione affamandola, bruciandola, avvelenandola, impiccandola. Ne sanno qualcosa quelli di Tawergha, città vicina a Misurata, popolata da libici neri, svuotata dai misuratini con il metodo dello sterminio collettivo.

 

Haftar fa saltare il banco

Torniamo a respirare parlando di Tobruk. La presa dei terminali e porti da parte di Haftar, il personaggio su cui, in questi mesi, con più livorosa virulenza s’è scagliato “il manifesto”, l’eliminazione dal gioco di Ibrahim Jadhran, un brigante che con la sua banda s’era impadronito degli impianti e poi s’era venduto a Tripoli, ha fatto scattare gli istinti belluini di chi ha ordinato alla Pinotti di fare dell’Italia un bersaglio per malintenzionati, lupi solitari perlopiù, dato che non mi aspetto nulla dall’Isis: quelli fanno capo alla stessa centrale cui fa capo Renzi e se ci faranno qualche scherzo sarà solo perché Renzi avrà dirazzato, improbabile, o sarà divenuto sostituibile. Alla Turchia e al Qatar era stato detto che l’Isis andava messo lì per distinguere islamisti buoni (Fratelli Musulmani) da islamisti cattivi e permettere ai primi di fare una bella figura facendo finta di impegnarsi contro gli altri a Sirte. Se dopo quattro mesi non hanno combinato una mazza, è perché qualcuno, dall’alto, a quelli là non ha ancora ordinato “a cuccia!” (come ha fatto a Manbij (“liberata” dai curdi).

 

Con Haftar, Libia verde. Con Regeni Libia morta

Ma anche perché le tribù libiche, come i berberi di Zintan che hanno liberato Saif al Islam, nella loro maggioranza stanno con Tobruk: quella di Haftar, i Ferjani, seconda per numero in Libia dopo i  Warfalla, di cui personalmente a Bani Walid ho constato la lealtà a Gheddafi, gli Orishvanh, Tarhuerna, Almgarh, Gheddafa, Toubou Tuareg, Amazigh. Si sta formando, in Libia, un’alternativa nazionale unitaria con, si voifera, per ora nell’ombra, Saif Al Islam: bandiere verdi hano sventolato in questi giorni  a Bengasi, Tripoli, Kufra, Al Jufrah, Gath, Bani Walid e in molti altri centri.

Libia pro gheddafi

 

Non possiamo non tornare all’affaire Regeni. I 300 giovani e forti (sono ovviamente l’avanguardia di molti altri) del duo della loro bella morte, Pinotti-Gentiloni, marciano sulla stessa strada sulla quale è stato avviato Regeni, per andare a rompere le scatole all’Egitto liberatosi dai Fratelli Musulmani (tragicamente non ancora dal loro terrorismo), nel momento stesso in cui l’Italia andava stringendo proficui rapporti con il titolare del più vasto oceano di gas mai scoperto nell’intera regione. L’Italia, agli occhi di attori più forzuti e cinici,  non aveva titoli per godere di quella bonanza. Né ha avuto l’intelligenza e la dignità per reagire alla cospirazione di francesi e britannici che, con i loro servizi (Oxford Analytica), avevano formato e manovrato Regeni, facendone una mina sulla quale far inciampare e saltare l’eventuale asse Egitto-Italia-Eni. E anche per tagliare le gambe a un Egitto insidiosamente impegnato accanto alla Libia anticoloniale.

L’avanzata dei nazionalisti libici  ha portato alla conquista della vena giugulare dell’economia libica, ma anche al controllo sulla Cirenaica e buona parte del Fezzan a sud e di aree anche in Tripolitania, a partire da Zintan. L’operazione Ippocrate, da pronunciarsi Ippocr…ita, in difesa del buon nome del mitico padre della medicina, è stata accompagnata dalla virulenta esplosione d’ira di Spagna, Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito e, ovviamente, Italia, che hanno intimato ad Haftar di immediatamente ritirarsi dai centri conquistati, nell’interesse, sentite sentite, del popolo libico a cui non deve essere negato l’accesso alle proprie risorse vitali. Per interposta persona parlavano Total, BP, Shell, Eni, Exxon, Chevron…. All’intimazione si è aggregata anche la Francia, con il suo piede nelle due staffe: Egitto-Tobruk e Nato-Tripoli. Quello che a Parigi interessa è che non le sia sottratto un ruolo in Cirenaica, non solo per la Total, ma anche perché da lì ci si connette con il sud della sua area d’interesse: Mali, Niger, Ciad, RCA. E dunque sta a vedere chi prevale.

Così con la spedizione della topina che, sostituito come riferimento Mussolini dalla mascella volitiva con Hollande da quella moscia e con Obama ansioso di coronare le sue sette guerre con un altro bagno di sangue, piscina preparata per Hillary, pensa di porsi alla pari dei grandi ratti Badoglio e Graziani. Sta nel DNA della classe dirigente italiana porsi all’ombra di grandi monumenti patrii, Garibaldi, Cavour, appunto il Duce per chi travisa, San Francesco per chi simula, e da lì accorrere al primo fischio del pecoraro straniero. Non solo Pinotti o Gentiloni, fondamentalmente patetici lustrascarpe appecoronati sotto la poltrona di chi calza Ferragamo. Il megacialtrone Philips, formalmente ambasciatore, ma effettivo capocosca per l’Italia del Pentagono e garzone di bottega dei banchieri delinquenti Usa (autori  delle Grande Crisi), tipo JP Morgan che impone a Renzi di smantellare la troppo democratica Costituzione Italiana, s’è permesso di dire agli italiani che o votano Si al referendum, o niente zuccherino (investimenti). E  tutti, ciclisti PD in testa (piegarsi verso l’alto, pestare verso il basso), hanno scodinzolato piegati a 90 gradi. Compreso il caporale di giornata Nato, Mattarella, il quale, più che ciurlare, ha vorticato nel manico, apprezzando l’interessamento al nostro destino tra “paesi membri della stessa rete”, e constatando, un po’ stupito, che gli italiani a volte decidono anche da soli. Uno che per camminare s’è infilato le scarpe di Napolitano non poteva che strisciare così.

Unici a scalpitare in direzione ostinata e contraria, i 5 Stelle. Inferocito per l’offesa del gaglioffo a sovranità e dignità popolari, più Di Battista che Di Maio. Al solito. E ora, fucilatori dei 5 Stelle, gettatemi addosso l’olio bollente.

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