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gliocchidellaguerra

La rivoluzione di Donald Trump

by Fulvio Scaglione

OLYCOM 20161109092311 21249471La clamorosa ma non imprevedibile vittoria elettorale di Donald Trump lascia attoniti i faziosi ma offre infiniti spunti di riflessione ai laici veri, a quelli che non hanno paura della realtà né di farsi interrogare da essa. Uno di questi spunti è questo. Barack Obama lascia la Casa Bianca dopo otto anni molto discutibili ma che non hanno particolarmente scosso il suo prestigio personale. Tutti i sondaggi del 2016, l’anno del suo passo d’addio, gli hanno regalato risultati non malvagi. Il 57% di approvazione (con il 17% di indecisi) secondo Gallupp, il 52% (e 6%) secondo Rasmussen Reports, il 52% (e 5%) secondo Fox News e così via. La candidata del Partito democratico, Hillary Clinton, aveva lavorato con lui al Dipartimento di Stato e si presentava in linea di continuità con la sua politica. Non parliamo, poi, dell’appoggio offerto alla causa democratica dall’alta finanza, dal complesso militar-industriale, dal mondo dello spettacolo, da quasi tutti i media.

Eppure Trump ha vinto nettamente, e il Partito Repubblicano, che pure dall’ascesa di Trump era stato sconvolto e umiliato, ha ottenuto la maggioranza al Senato (51 seggi contro 47) e alla Camera dei Rappresentanti (236 seggi contro 191). Dopo otto anni di un potere democratico peraltro poi dimezzato (il Congresso Usa era già a maggioranza repubblicana) si passa a un Presidente che ha rivoltato il partito come un calzino al cui fianco ci sarà un Congresso repubblicano.

Una rivoluzione, insomma. Che nessuno aveva visto o voluto vedere. Da questo si possono trarre due conclusioni. Una, scontata e poco interessante, è che con la maggior parte dei giornali ci si può ormai al più incartare il pesce. Sono diventati, ormai e quando va bene, gli house organ di questa o quella lobby. Faziosi e pallisti. Inaffidabili.

La seconda conclusione è invece più interessante. Quanto abbiamo visto succedere con Trump è solo la replica di quanto era già successo con la Brexit. Qualunque sia l’opinione in proposito, è innegabile che l’ipotesi di una vittoria del “Leave” al referendum del giugno scorso è stata a lungo schernita, scartata. E considerata con stupore misto a panico solo nelle ultimissime ore prima del voto.

Chi ha qualche anno in più ricorderà il 1994, l’anno della discesa in campo di Silvio Berlusconi contro la “gioiosa macchina da guerra” della sinistra. Anche allora, risatine e qualche pernacchia. Fino allo scrutinio dei voti.

È un meccanismo che si ripete implacabile (e i russi che fanno provviste in vista della terza guerra mondiale? E la guerra in Siria raccontata attraverso l’Osservatorio siriano dei diritti umani? E l’ascesa del Movimento Cinque Stelle?) e che ci fa chiedere: chi ci aiuta, oggi, a capire il mondo? A chi, a che cosa rivolgersi?

In un certo senso, è l’informazione a senso unico (quello che molti chiamano mainstream) che affonda se stessa, rendendosi di giorno in giorno meno credibile. Non a caso questa stampa chiama i fenomeni che abbiamo citato “populismo”.

L’America di Trump, la Russia di Putin, i seguaci di Berlusconi, i grillini: tutti populisti. Come nella vecchia barzelletta in cui il tizio che guida contromano in autostrada osserva gli altri automobilisti, che gli fanno gesti e suonano il clacson, e dice: questi sono tutti matti.

L’America di Trump è venata di razzismo ma viene ora definita “isolazionista”, perché chiede all’Europa di darsi una politica militare e di sicurezza, alla Nato di non andare a infilarsi (spesso facendo danni) in tutte le crisi del globo, alla diplomazia Usa di provare anche a parlare con i Paesi che la pensano in modo diverso. Sembrava molto più populista e isolazionista, a dirla tutta, prendere il premio Nobel per la Pace e poi bombardare sette Paesi.

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