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Venti anni di euro. Chi ci ha guadagnato?

di Dante Barontini - Guido Salerno Aletta*

venti euro guadagnatoA sentir parlare di debito pubblico, il lettore medio cattolico si fa la croce pensando al terrore che gli ispirano i Cottarelli e i Draghi di turno.

Quelli che si sentono “di sinistra” ma non fanno lo sforzo di concepire la società e le classi come un insieme organico, percorso da una feroce lotta di classe, si limitano a far spallucce considerandolo un falso problema oppure una “scusa” con cui i governanti di turno fottono i cittadini, i lavoratori, ecc.

Il che ha un suo fondo di verità, ma solo se si guarda alla superficie del problema.

Sentir parlare di moneta, di tassi di interesse, ecc, per di più in relazione al debito pubblico, provoca reazioni di fuga ancora più rapide. Eppure tutta la gestione politica dell’economia – nazionale o continentale che sia, visto che l’Unione Europea scrive ormai la parte essenziale della legislazione macroeconomica e fiscale dei singoli paesi – passa inevitabilmente per il debito pubblico e la moneta.

Il solo fatto di non averne più una propria, e condividere invece quella “comunitaria” (che è ben diverso da “comune”), ha prodotto una lunga seria di problemi che hanno un riflesso immediato sulla vita quotidiana di tutti noi. Soprattutto per quelli che di moneta in tasca ne hanno poca.

Su questi punti la destra italica, espressione fondamentalmente di una borghesia piccola e media – con scarsa o nulla proiezione internazionale e persino nazionale (a carattere locale, insomma) – ha battuto per anni. Facendo infine identificare la critica dell’euro come “causa” dei molti peggioramenti avvenuti nella condizione di quella classe smandrappata.

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paginauno

Il Consiglio europeo

di Perry Anderson

L’intervento che segue, a firma di Perry Anderson (storico accademico e saggista britannico), è stato pubblicato sulla London Review of Books, Volume 43, n. 1, gennaio 2021 (1) e affronta, da un punto di vista storico, le cinque istituzioni principali dell’Unione europea: la Corte di Giustizia, la Commissione, il Parlamento, la Bce e il Consiglio. Dopo aver pubblicato la parte relativa alla Corte di Giustizia (2), alla Commissione (3), al Parlamento e alla Bce (4), chiudiamo con il Consiglio europeo e le conclusioni su economia, euro, diritti, democrazia

39854reIl Consiglio europeo comprende capi di governo che godono di maggioranze in veri e propri parlamenti, frutto di elezioni significative. Come tale, è diventato la massima autorità dell’Unione. The Passage to Euro- pe di Van Middelaar è in gran parte la storia della sua ascesa a questa posizione, ed è giustificata la sua affermazione che il Consiglio è ora il principale motore dell’integrazione europea. Quello che non fa è guardare sotto il cofano. Che tipo di veicolo sta avanzando? È questo il soggetto della più fondamentale di tutte le opere sulla Ue dell’ultimo decennio, European Integration di Christopher Bickerton, il cui titolo anodino, condiviso da decine di altri libri, nasconde la sua distinzione, che si concretizza nel sottotitolo che fornisce la sua argomentazione: “Dagli Stati nazionali agli Stati membri”.

Tutti hanno un’idea di cosa sia uno Stato-nazione, e molti sanno che 27 Paesi (dopo l’uscita del Regno Unito) sono Stati-membri dell’Unione Europea. Qual è la differenza concettuale tra i due? La definizione di Bickerton è succinta. Il concetto di Stato-membro esprime un cambiamento fondamentale nella struttura politica dello Stato, con i legami orizzontali tra i dirigenti nazionali che hanno la precedenza sui legami verticali tra i governi e le loro società. Questo sviluppo lo ha colpito per la prima volta, spiega, al momento del referendum irlandese sul Trattato di Lisbona.

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politicaecon

Quei sussidi italiani alla Germania

di Sergio Cesaratto

sussidi italia germaniaL’Italia ha pagato certe sciagurate politiche della BCE – influenzate da Berlino, potenza dominante in Europa – con decine di punti di debito/PIL in più e trovandosi ancor più povera, mentre la Germania simmetricamente ci guadagnava.

* * * *

Già nella prima edizione delle Sei lezioni di economia denunciavo l’enorme risparmio nella spesa per interessi che il governo tedesco lucrava dalla fuga di capitali dai titoli di stato italiani verso quelli tedeschi, considerati più sicuri.[1] Un istituto tedesco aveva all’epoca quantificato tale risparmio in 100 miliardi di euro. Nell’edizione inglese del 2020 citavo l’autorevole membro tedesco del consiglio esecutivo della BCE, Isabel Schnabel che quantificava nel febbraio 2020 i risparmi di spesa per Berlino in 400 miliardi di euro dal 2017. Questo non solo, naturalmente, in seguito alla fuga dai titoli italiani, che si era progressivamente calmata dal celebre intervento di Draghi del 2012, ma soprattutto per le misure di acquisto di titoli pubblici avviata dalla BCE dal marzo 2015. Questi acquisti erano soprattutto indirizzati a mettere in sicurezza i titoli ad alto debito, come quelli italiani. Ma poiché la BCE deve agire erga omnes, ad avvantaggiarsene furono, ancora una volta, anche i titoli tedeschi. Insomma, vantaggi dalle disgrazie altrui, magari non espressamente cercati, ma comunque evidenti. Disgrazie nei confronti delle quali non si è però innocenti, se è vero che Berlino è stata la principale ispiratrice delle disgraziate politiche fiscali e dell’inazione della BCE sino alla Presidenza Draghi nel 2011, ma nei fatti anche oltre continuando a frenare l’azione della banca centrale.

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micromega

Come cambiare le regole europee

di Carlo Clericetti

L’Ue ha aperto una consultazione pubblica sulla riforma, a cui tutti possono partecipare. La formulazione delle domande non depone a favore di un cambio di mentalità: eppure le ultime due crisi hanno mostrato che è proprio questo che serve. Alcune proposte per far tesoro delle lezioni del passato

hugeulL’Unione europea ha aperto una consultazione pubblica sulla riforma delle regole che si è data da Maastricht in poi. Con la pandemia sono state sospese e così resteranno anche nel 2022, ma nel 2023 si prevede di riattivarle. Non esattamente le stesse: anche se c’è ancora chi vorrebbe rispristinarle tali e quali – e questo la dice lunga sulla capacità di comprensione delle dinamiche economiche di una parte della cosiddetta “classe dirigente” – la maggioranza ha finalmente capito che quelle regole hanno funzionato male, per usare un gentile eufemismo. Se poi vogliamo dirla più chiaramente, alcune di esse sono demenziali e gli economisti che le hanno inventate – e magari ancora le sostengono – dovrebbero quantomeno ammettere pubblicamente l’errore, come qualcuno ha fatto.

Chiunque può partecipare alla consultazione, fino a fine anno, collegandosi a questo link. Una grande iniziativa di democrazia teorica. Per considerarla effettiva, bisognerebbe sapere chi leggerà quelle proposte (sempre che qualcuno le legga) e se sarà data la stessa attenzione a chi, tra le qualifiche tra cui scegliere, si definisce “cittadino europeo” o invece “banca centrale”.

Si deve rispondere a 11 punti, ognuno dei quali si conclude con una domanda. Ma la maggior parte potrebbe essere semplicemente accorpata al primo punto, la cui domanda finale esprime lo spirito con cui si affronta questa riforma e definisce l’orizzonte entro cui si muove chi ha preparato il questionario, che evidentemente nemmeno concepisce che si possa pensare a qualcosa di diverso. La domanda è: “Come si può migliorare il quadro di riferimento per garantire finanze pubbliche sostenibili in tutti gli Stati membri e per aiutare a eliminare gli squilibri macroeconomici esistenti ed evitare che ne insorgano di nuovi”?

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rete dei com

Hic Rhodus hic salta, il bivio dell’imperialismo europeo

di Mauro Casadio - Rete dei Comunisti

ursula esercitoIl Forum della RdC che si è tenuto a Bologna il 20 e 21 Novembre ha cercato di focalizzare l’evoluzione che sta avendo L’Unione Europea, da quello che abbiamo definito a suo tempo un “polo” imperialista, cioè una forma inedita di relazioni in Europa che si basava sostanzialmente su un’area economico finanziaria, che oggi sta mutando la propria funzione.

Abbiamo detto da “Polo a Superstato” proprio per delineare un percorso che non è definibile a priori e che, rispettando obiettivi e funzioni di un’effettiva area imperialistica moderna, sta dandosi una strutturazione storicamente originale in rapporto a quelli che sono gli Stati europei affermatisi tra l’800 ed il ‘900 in modo esplicitamente imperialista.

Il percorso e l’analisi a cui abbiamo fatto riferimento nelle nostre elaborazioni non è quello che si manifesta periodicamente in momenti di conflitto o di omogeneità tra gli Stati della UE, a causa delle loro differenze di storia, dimensione e di peso politico, ma le tappe che nell’andare del tempo si sono consolidate e che sono oggi alla base degli ulteriori possibili balzi in avanti che questa inedita costruzione istituzionale può fare.

L’accordo di Maastricht nel ‘92, la nascita dell’Euro ai primi anni del 2000, il superamento della crisi finanziaria del 2007/2008, l’uscita dell’Inghilterra come “longa manus” degli USA in Europa, il ruolo attivo della BCE di Draghi con i Quantitative Easing, l’attuale Recovery Fund come ristrutturazione industriale continentale sono i pilastri di una costruzione sui quali è difficile pensare che si possa tornare indietro nonostante le difficoltà, comunque sempre contingenti, data anche la nuova condizione nelle relazioni internazionali.

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alternative

L’Europa dopo Angela Merkel

di Alfonso Gianni

indexjkuo8y43Le elezioni tedesche del 26 settembre sono probabilmente destinate a cambiare le cose più in Europa che non in Germania. Un acuto osservatore della situazione internazionale, come Lucio Caracciolo, intervenendo in un webinar il giorno dopo, le ha persino definite come le più importanti elezioni italiane degli ultimi tempi.

Naturalmente questo non significa che nel grande paese tedesco tutto possa rimanere come prima. Sarebbe impossibile in ogni caso. Per quanto Olaf Scholz, il candidato socialdemocratico uscito vincitore dalla tenzone elettorale fosse da tempo “volato sul nido del cuculo”, ossia avesse moderato le proprie posizioni da non renderle così diverse dalla politica incarnata da Angela Merkel, con sempre maggiore evidenza man mano che si avvicinava le urne. Malgrado che sotto i suoi manifesti di propaganda affissi in tutto il paese vi fosse il singolare – ma fortunato – slogan “Sa fare la Cancelliera”. Malgrado che la sua postura, perfino la posizione delle mani durante i dibattiti televisivi fossero stati studiati appositamente per richiamare la figura della Merkel, fino a dar vita al neologismo “merkelare” riferito all’insieme delle sue parole e dei suoi comportamenti. Malgrado tutto ciò, i sedici anni nei quali Angela Merkel ha ricoperto il ruolo di Cancelliera sono per chiunque irripetibili e neppure imitabili se non nel tragitto di una pur lunga campagna elettorale. Che tale è stata se non si considerano i tempi formalmente e strettamente destinati ad essa, ma quelli del lungo addio all’alta carica da parte della Merkel.

Il suo cancellierato ha aperto e probabilmente concluso un’epoca. Nel 2005 la Germania era considerata dai mass media internazionali più autorevoli come il grande malato d’Europa, sia per i costi della riunificazione tedesca che, e soprattutto, per la recessione nel quale il paese entrò nel 2003.

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Patto di stabilità. Il trucco dei falchi per far cadere l’Italia in trappola

Lorenzo Torrisi intervista Sergio Cesaratto

Si continua a discutere, ma non in Italia, del futuro della governance europea. Il nostro Paese rischia di rimanere intrappolato in regole all’apparenza convenienti

dombrovskis gentiloni 1 lapresse1280 640x300Nella settimana che si è appena conclusa è tornato a galla il tema del futuro delle regole del Patto di stabilità e crescita al momento ancora sospese. Il quotidiano tedesco Handelsblatt ha pubblicato in esclusiva i contenuti di un documento messo a punto dagli economisti del Mes, nel quale si suggerisce una modifica del parametro debito/Pil per portarlo dal 60% al 100%, lasciando invariato quello relativo al deficit/Pil al 3%.

Per l’Italia si tratterebbe di una modifica positiva? Secondo Sergio Cesaratto, Professore di Politica monetaria e fiscale europea all’Università di Siena, che ha appena pubblicato “Sei lezioni sulla moneta – La politica monetaria com’è e come viene raccontata” (Diarkos), «una proposta del genere potrebbe essere ingannevole in quanto apparentemente più realistica. La riduzione in 20 anni del rapporto debito/Pil sino al 60% prevista dal Fiscal compact del lontano 2012 è rimasta misura inapplicata in quanto irreale.

Essa avrebbe comportato surplus di bilancio primari (surplus una volta pagati gli interessi sul debito) tali da far crollare la domanda interna e l’economia rendendo, peraltro, ancora più lontano quell’obiettivo. La natura surreale del provvedimento l’ha reso lettera morta. Rendendolo apparentemente più realistico lo si vorrebbe rendere operativo. Ma gli effetti drammatici sull’economia sarebbero i medesimi sia che si voglia arrivare al 60% che al 100%. Le regole non vanno ideate a tavolino».

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Il nostro debito pubblico andrà pur ridotto…

Ci si deve domandare se e quanto è possibile all’Italia ridurre il debito pur mantenendo una stance fiscale espansiva, chiedendosi non solo cosa deve fare il nostro Paese, ma quali politiche devono adottare gli altri Paesi e la Bce per agevolare una comunque lentissima riduzione.

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lafionda

Commissariare il parlamento

di Alessandro Somma

pnrrIl Piano nazionale di ripresa e resilienza e le sue condizionalità

Presentato come un segno della solidarietà e generosità dell’Europa unita, il Pnrr è in verità tutt’altro. In questa prima parte del contributo vedremo perché i soldi di cui si parla sono in realtà pochi e tutti da restituire, per poi illustrare le condizionalità cui sono collegati: innanzi tutto quelle che impongono una sana governance economica, ovvero l’austerità. Nella seconda parte ci dedicheremo alle condizionalità che riguardano la tutela della concorrenza e che comportano liberalizzazioni e privatizzazioni. Concluderemo riflettendo sulla finalità prima del Pnrr: impedire la partecipazione democratica in quanto ostacolo al definitivo consolidamento dell’ortodossia neoliberale.

 

Pochi soldi tutti da restituire

Tra gli strumenti predisposti dall’Unione europea per affrontare la crisi determinata dall’emergenza sanitaria, occupa un posto di rilievo il Next generation Eu: un pacchetto di sovvenzioni e prestiti per 806,9 miliardi di Euro ai prezzi correnti, erogati nell’ambito del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-27 (il cui valore è di complessivi 2018 miliardi). La parte più consistente di questi denari verrà distribuita dal Fondo per la ripresa e la resilienza (Recovery and resilience facility), la cui dotazione ammonta a 723,8 miliardi[1], così suddivisi: 338 miliardi in sovvenzioni a fondo perduto e 385,8 miliardi in prestiti da restituire.

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Pnrr, chi l’ha visto?

Alba Vastano intervista Andrea Del Monaco*

Intervista ad Andrea Del Monaco, esperto in Fondi Europei. “Per avere i prestiti del Recovery Mario Draghi dovrà fare le “riforme”: non solo quelle buone, ma principalmente (mirando alla contrazione del deficit) il taglio delle pensioni, una nuova tassazione sulle case, nuove privatizzazioni (in primis sanità) e flessibilizzazione ulteriore del lavoro. La Commissione Europea potrà sospendere i pagamenti del Recovery Fund qualora uno Stato Membro non abbia corretto il disavanzo eccessivo o qualora non abbia adempiuto ad un programma di aggiustamento macroeconomico (un memorandum di austerità)”

banksy new brexit dover‘Sono in arrivo dall’Europa miliardi di euro e l’economia italiana ripartirà alla grande’. E’ la storiella che ci raccontano lorsignori, i nostri governanti, dai notiziari mainstream. C’è qualche dubbio che così non sarà. Non sta per scendere dalla slitta Babbo Natale con la gerla piena di doni. Per saperne di più su queste promesse di pioggia di euro e su quanto di vero vi sia nelle news filtrate dai media chiediamo lumi sulla questione ad Andrea Del Monaco, fra i maggiori esperti in fondi europei.

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Alba Vastano – Il Piano nazionale Ripresa e Resilienza sembra sia in fase di attuazione. Nell’attesa di saperne di più sarà opportuno fare un excursus che ricordi cos’è il Mes e come si è arrivati al Recovery Fund (Next generation Eu).

Andrea Del Monaco – Il MES, Meccanismo Europeo di Stabilità è un trattato internazionale, sottoscritto nel 2012 (per l’Italia dal Governo Monti) e ratificato alla fine da tutti i 27 gli Stati Membri: non è un trattato europeo perché allora la Gran Bretagna non lo sottoscrisse. Il MES è il terzo degli strumenti creati nella crisi post 2008 e ha “aiutato” Cipro, Grecia e Spagna. De facto è un fondo salva-banche: formalmente ha salvato le banche greche e spagnole, debitrici delle banche francesi e tedesche; sostanzialmente i contribuenti europei, pagando il MES, hanno salvato le banche francesi e tedesche creditrici delle banche greche e spagnole. Il MES e gli altri due strumenti salva-banche sono costati all’Italia 60 miliardi di Euro.

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coniarerivolta

PNRR: una, nessuna o cinquecentoventotto condizioni

di coniarerivolta

528condizioniIl cosiddetto Recovery Fund, noto anche come Next Generation EU, attribuisce all’Italia 191 miliardi di euro che saranno trasferiti al Paese tra il 2021 e il 2026, suddivisi in 69 miliardi di euro a fondo perduto e 122 miliardi di euro di prestiti, da rimborsare alle istituzioni europee. Queste risorse vanno a finanziare gli interventi raccolti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

In un mondo dominato dal denaro si sente spesso dire che seguendo i soldi – focalizzando l’attenzione sui soli flussi finanziari – si possono svelare le dinamiche fondamentali della società. Seguire la traccia dei soldi porterebbe dritti al cuore delle meccaniche del sistema. Nel caso del PNRR questa massima perde buona parte della sua credibilità: i soldi del PNRR sono forse la parte meno rilevante del Piano, e proveremo a dimostrarlo concentrando la nostra attenzione sulle centinaia di condizioni a cui è stata subordinata l’erogazione dei fondi. I soldi, insomma, sono solo l’esca, mentre il contenuto politico del PNRR è racchiuso nelle clausole che vanno rispettate per ottenere quelle risorse.

Abbiamo già avuto modo di sottolineare l’assoluta inadeguatezza del finanziamento messo a disposizione dalla Commissione Europea: quei soldi, nonostante le apparenze, sono insufficienti a garantire qualsiasi ripresa. Nel dibattito pubblico, però, si è fatta strada un’idea di apparente buon senso: fossero anche pochi, sono comunque un contributo alla crescita del Paese, ed un contributo finalmente libero dalle condizioni capestro che, nel decennio passato, hanno messo in ginocchio la Grecia e tutti gli altri Paesi che si sono imbattuti nei fatidici “aiuti” europei. Insomma, si dice, il Recovery Fund fornisce finanziamenti incondizionati: niente austerità, solo soldi, perché avremmo dovuto rifiutarli?

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laboratorio

La riforma del Fiscal Compact è possibile e a chi gioverà?

di Domenico Moro

Fiscal compactNel recente incontro dell’Eurogruppo, l’organismo informale che riunisce i ministri delle finanze dell’area euro, è ripresa la discussione sulla possibile modifica delle regole europee che regolano la gestione del deficit e del debito pubblico, in particolare quelle del Patto di stabilità e del Fiscal compact. Si era cominciato ad affrontare il tema nel 2019, ma lo scoppio della pandemia ha interrotto la discussione, anche perché le regole di bilancio europee sono state sospese per permettere agli Stati nazionali e alla Ue di mettere in campo robuste misure di stimolo fiscale, cioè di spesa statale, per contrastare la crisi. La questione della ridefinizione del Patto di stabilità e soprattutto del Fiscal compact si pone anche perché alla fine del 2022 saranno reintrodotte le regole che impongono agli Stati di tenere sotto controllo il debito pubblico e c’è la preoccupazione che la reintroduzione dei vincoli possa minare la ripresa economica.

Il Fiscal compact fu introdotto nel 2012, all’epoca della crisi dei debiti sovrani, per rendere più stringenti le regole europee, che prevedono il mantenimento del rapporto tra deficit pubblico e Pil ad un livello non superiore al 3% e del rapporto tra debito pubblico e Pil a un livello non superiore al 60%. Questi vincoli non sono il frutto di precise analisi economiche, ma il risultato di calcoli politici. Il limite del 3% al deficit fu adottato sulla falsariga dell’esperienza della Francia, dove era stato frutto di semplice convenienza politica.

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Le regole sbagliate di un mondo che non c’è più

di Carlo Clericetti

Le norme europee sono sospese, ma le ipotesi di modifica non promettono bene. Il testo del mio intervento al seminario “Dopo le crisi – Dialoghi sul futuro dell’Europa”, promosso da Alessandro Somma e Edmondo Mostacci, che è poi diventato un libro per Rogas edizioni

Earthlights 2002Un fattore importante per il futuro dell’Europa è quello delle regole europee, che a causa della pandemia sono state sospese, ma prima o poi torneranno in vigore. Queste regole hanno fortemente condizionato le politiche economiche, tanto al livello dell’Unione che a quello dei singoli paesi, e un giudizio a posteriori sugli effetti che hanno avuto non può lasciare dubbi: si tratta in gran parte di regole sbagliate, in alcuni casi platealmente sbagliate. A questa conclusione siamo arrivati ormai da molti anni: attenzione, non da molti mesi: da molti anni. Eppure si continua ad applicarle, pur se con qualche attenuazione – la famosa “flessibilità” – che però non è minimamente sufficiente a correggere quelli che sono veri e propri errori di impostazione.

Già prima della crisi del Covid si parlava di una riforma, ed erano state elaborate varie proposte. Questa interruzione dovrebbe servire per raggiungere un accordo, in modo che quando si dichiarerà che la sospensione è terminata entri in vigore un “pacchetto” rinnovato. Secondo le più recenti dichiarazioni la sospensione continuerà per tutto il 2022 e finirà – secondo una dichiarazione del vice presidente della Commissione, Valdis Dombrovskis – nel 2023. La data precisa resta indefinita (sarebbe ovviamente diverso se la decisione fosse presa a gennaio o a dicembre di quell’anno) e dipenderà probabilmente da quando si raggiungerà l’accordo sulle modifiche.

Prima però di esaminare di quali proposte si sta parlando è bene ricordare la logica che ha condotto a stabilire le attuali regole.

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alternative

Europa: tra sovranismo e a-democrazia*

di Alfonso Gianni

europa distruzioneNon si può proprio dire che il cammino sulla strada che deve percorrere la Conferenza sul futuro dell’Europa, che dovrebbe concludere il suo tragitto nella primavera del 2022, sia cominciato sotto una buona stella. L’esplosione della pandemia ne aveva ritardato gli inizi. Finalmente il 10 marzo scorso era stato dato il segnale di partenza sulla base di una dichiarazione comune dei presidenti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, rispettivamente David Sassoli e Antonio Costa, e della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. I prodromi della Conferenza vanno ricercati nel tentativo di Valery Giscard d’Estaing, nella sua qualità di presidente della Convenzione europea (2002-2003), di elaborare un progetto di Costituzione europea, nella forma di un Trattato, che venne però affossato dal no nei referendum tenutisi in Francia e nei Paesi Bassi. In seguito si giunse alla firma del Trattato di Lisbona (2007) che distinguendo con puntualità le competenze fra Stati membri e la Ue, di fatto si frapponeva a una possibile direzione verso un’unione di tipo federale.

L’iniziativa della Conferenza ha in tempi più recenti ripreso le mosse sempre a partire dalla sponda francese. Emmanuel Macron si è molto attivato in questo senso anche perché la Conferenza dovrebbe concludersi proprio quando la presidenza della Ue verrà assunta dalla Francia. Le modalità di discussione presentano effettivamente delle novità.

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lafionda

Le lettere scarlatte della Bce

di Matteo Bortolon

Draghi TrichetDieci anni fa, il 5 agosto 2011 un paese europeo in difficoltà per la crisi del debito sovrano riceveva una Lettera da parte del governatore della BCE controfirmata dal vertice della sua Banca Centrale nazionale. Tale comunicazione rimase segreta per un po’ di tempo, ma i suoi contenuti segnarono l’evoluzione successiva della sua politica economica, in direzione di una decisa austerità gradita ai vertici delle istituzioni comunitarie.

Ma certo! L’Italia, la famosa lettera di Draghi-Trichet!

E invece no. Parliamo della Spagna di Zapatero.

Lo stesso giorno i governi di entrambi i paesi ricevettero una comunicazione assai simile; nel caso dell’Italia le voci di essa circolarono finché a fine settembre 2011 vennero confermate dal Corriere che pubblicò lo scoop sul suo sito. Il popolo spagnolo lo seppe solo quando l’oramai ex primo ministro la pubblicò in un suo libro, e venne infine desecretata dalla stessa BCE. Oggi la si legge comodamente sul sito istituzionale.

“La fonte di ogni diritto risiede originariamente e sostanzialmente nell’intero corpo del popolo”. Così scrivevano i soldati puritani inglesi, anticipando temi della Rivoluzione francese, nel 1647, dopo aver sconfitto il Re in nome del Parlamento. Tale idea sarebbe divenuta secoli più tardi il fondamento di ogni democrazia moderna, ma a quanto pare il dibattito in materia sta regredendo in modo così oltraggioso che la platea di sottobosco politico-giornalistico accetta supinamente – ventre a terra ai poteri dominanti: banche, Ue, grandi aziende – che una istituzione fuori da ogni legittimazione democratica possa determinare l’indirizzo politico di un paese.

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volerelaluna

Europa: tra oligarchia e sovranismo

di Alfonso Gianni

sovranismo wikimedia1.

Dopo una lunga attesa e l’ulteriore ritardo determinato dall’esplodere della pandemia, finalmente il 10 marzo scorso era stato dato il segnale di partenza per una Conferenza sull’Europa sulla base di una dichiarazione comune dei presidenti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, David Sassoli e Antonio Costa, e della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. I prodromi della Conferenza vanno ricercati nel tentativo di Valery Giscard d’Estaing, nella sua qualità di presidente della Convenzione europea (2002-2003), di elaborare un progetto di Costituzione europea, nella forma di un Trattato, che venne però affossato dal no nei referendum tenutisi in Francia e nei Paesi Bassi. In seguito si giunse alla firma del Trattato di Lisbona (2007) che, distinguendo con puntualità le competenze fra Stati membri e la Ue, di fatto si frapponeva a una possibile direzione verso un’unione di tipo federale.

L’iniziativa della Conferenza ha, in tempi più recenti, ripreso le mosse sempre dalla sponda francese. Emmanuel Macron si è molto attivato in questo senso anche perché la Conferenza dovrebbe concludersi proprio quando la presidenza della Ue verrà assunta dalla Francia. Le modalità di discussione presentano effettivamente delle novità. Forse si è tratto insegnamento dal flop del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa – questa era la denominazione ufficiale del progetto costituzionale liquidato dai referendum prima ricordati – che era stato confezionato da esperti, senza alcun coinvolgimento né politico né emotivo da parte delle popolazioni europee.