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L’Euro e la nuova fase della crisi sistemica*

Piero Pagliani

Pan-Dora-2001-130x120-olio-su-telaDa quando a sinistra si è iniziato a dibattere sulla necessità di uscire dalla moneta unica, sono cambiate molte cose. Siamo infatti entrati in una fase nuova della crisi sistemica che obbliga necessariamente a rivedere i termini della questione.

Innanzitutto, la questione dell’Euro non è mai stata posta solo a sinistra. Oggi non passa giorno che sui media mainstream non si legga una critica all’Euro e persino fondate motivazioni economiche per abbandonarlo.

Tuttavia, come ben si sa, il diavolo si nasconde nel dettaglio e lo schieramento anti-Euro è differenziato da più di un dettaglio politico. Allo stesso modo io non credo che i proclami contro l’austerity di Renzi o Hollande abbiano nulla a che vedere con la battaglia contro l’austerity condotta ormai da anni da alcune forze minoritarie della sinistra. Premesse differenti per conclusioni necessariamente differenti.. Si potrebbe, in linea puramente teorica, immaginare un variegato fronte anti-Euro solo se si pensasse che la moneta unica sia stata una distorsione che ha causato la crisi attuale. Ma l’Euro non ha causato la crisi sistemica attuale. Anzi, è stato un tentativo di risposta alla crisi sistemica ma, come vedremo, destinato al fallimento e a lasciare dietro di sé enormi danni.

La crisi sistemica attuale inizia a profilarsi alla fine degli anni Sessanta a partire dagli USA come crisi di sovraccumulazione. I capitali accumulati durante il “ventennio d’oro” del dopoguerra erano ormai troppi rispetto alla loro possibilità di impiego profittevole in commercio e industria e si intralciavano a vicenda.

Chiaramente gli investimenti in commercio e industria continuavano ma non riuscivano a valorizzare tutto il capitale accumulato e che continuava ad accumularsi, cosa inammissibile dato che il fine ultimo del capitale è valorizzarsi (altrimenti è carta straccia e il capitalista perde potere – parola chiave raramente compresa dai marxisti – cioè potere di mobilitare questa o quella risorsa, di spostare lo sviluppo economico da un percorso a un altro, di fare Stati e di disfarli, di fare e disfare la Storia, di fare e disfare l’Ambiente: potere “geo-socio-ecologico”, diciamo così).

Per questi motivi è iniziata la finanziarizzazione privata, che si è appoggiata su quella che io chiamo “finanziarizzazione di Stato” che formalmente inizia con la proclamazione dell’inconvertibilità del Dollaro in oro del 15 agosto 1971, il Nixon Shock. La finanziarizzazione è il meccanismo con cui il capitale si valorizza per partenogenesi, senza passare per la fecondazione attraverso commercio e industria, con tutte le note disastrose conseguenze a livello sociale, politico e antropologico.

La finanziarizzazione non è quindi il risultato di un golpe pluto-giudaico-massonico, come pretende al solito l’estrema destra e come, ahimè, pensa anche parte dell’estrema sinistra che non ha più nessuna idea di cosa siano le contraddizioni capitalistiche.

La finanziarizzazione è caratterizzata dal prevalente investimento di capitali in attività che rendono interessi che non sono più una quota dei profitti, come dovrebbe avvenire quando le cose funzionano “normalmente”. Infatti, la sovraccumulazione di capitali genera e pretende una sovra-generazione di interessi, del tutto avulsi dalla produzione reale di valore (la misura capitalistica della ricchezza). Ecco quindi fenomeni come i “derivati” nel cui valore nozionale le tracce di valore reale sono in quantità omeopatica. Insomma, alla fine sotto il vestito nulla.

La finanziarizzazione da una parte è un immenso sacco che si gonfia sempre più di aria e poco di sostanza reale, dall’altra è come un bluff a un tavolo da poker. Finché nessuno dice “vedo”, si può continuare a rilanciare. Il problema è che se qualcuno ha la forza (geopolitica ed economica) di dire “vedo”, salta fuori che in mano non si ha nemmeno una coppia minima, mentre si voleva far credere di avere una scala reale. Cioè, se qualcuno dicesse “vedo” (e qualche volta succede anche che una fazione capitalistica lo dica per fare la guerra ad una fazione avversaria) tutti questi titoli di credito/debito immensi (i soli derivati equivalgono al 1000% del PIL mondiale) si rivelerebbero carta straccia, cosa che, abbiamo detto, impedirebbe di continuare ad accumulare potere. Ovviamente il potere già accumulato (leggi “bombe atomiche” e annessi e connessi ivi compresa la capacità di fare e disfare governi) è un grande deterrente che sconsiglia di dire “vedo” in modo brutale.

La semplice parolina “vedo” vorrebbe automaticamente dire “guerra al Dollaro come moneta internazionale” e quindi equivarrebbe a mandare al diavolo gli Usa come potenza dominante. Ecco perché gli Usa non possono permetterlo. Se smettessero di essere la potenza dominante, se il loro famoso “stile di vita” da “non negoziabile” diventasse insostenibile, la fine del cosiddetto “effetto goccia” assieme alla spettacolare polarizzazione delle ricchezze in quel Paese e alla mancanza pressoché totale di reti pubbliche e famigliari di solidarietà, getterebbero la società americana nel caos.

Si riesce benissimo a capire perché, come notava David Harvey all’inizio del nuovo secolo una decina di anni fa, a ogni sfida al Dollaro gli Usa risponderebbero con «una reazione, anche militare, selvaggia». E così è già stato.

Finché invece non si guarda dentro il sacco (semivuoto) della finanziarizzazione, la moneta “buona” e quella “cattiva” non sono distinguibili più di quanto non lo siano in una banca i soldi depositati da un operaio e i soldi depositati da un mafioso. E finché si ha il Potere si può evitare che qualcuno vada a vedere cosa c’è dentro il sacco. O più precisamente lo si può “scoraggiare”.

Mantenere il Potere diventa quindi condizione e scopo, inizio e fine.

Dopo tutto, che cosa fece Nixon quando dichiarò che il dollaro non era più convertibile in oro? Non fece altro che dire: “Avete voluto controllare le nostre riserve d’oro a Fort Knox? Avete verificato, brutti ficcanaso, che praticamente sono esaurite? Va bene. Lo ammettiamo, di fatto non abbiamo più un’oncia di metallo. Ma sapete che cosa vi dico? D’ora in avanti il Dollaro ha un altro riferimento metallico. È l’uranio delle nostre bombe atomiche. Venite pure a controllare, se ne avete voglia.”

Dopo qualche anno il Volcker shock del 1979 diede inizio pubblicamente alla finanziarizzazione, sostenuta da un lato dalle bombe atomiche Usa (via debito pubblico federale, cioè il veicolo economico della potenza Usa) e dall’altro dalla capacità della finanza occidentale, in primis anglosassone, di intercettare il valore reale creato dai Paesi emergenti, dove nel frattempo prendeva corpo la più grande concentrazione operaia di tutti i tempi.

Ecco perché in Occidente si optava per la deindustrializzazione: il valore reale veniva prevalentemente creato all’esterno dei circuiti capitalistici centrali (e quindi aumentava il profitto – vedi esternalizzazioni eccetera) e noi lo intercettavamo con la carta straccia finanziaria sostenuta da una potenza militare, politica e culturale incontestabile.

Ma il bel gioco dura poco. Man mano che i Brics (e gli altri) crescevano, diventava sempre più difficoltoso, e meno conveniente, mettere le nostre mani sul valore reale da essi creato. Inoltre “Brics” significa i più grandi e popolosi Paesi del mondo, la quasi totalità delle risorse, enormi forze armate e ben tre potenze nucleari. In altre parole, i Brics potevano diventare lo straniero nel saloon, calmo, armato, col sigaro in bocca e il cappellaccio sugli occhi che a un certo punto fa capire che il bluff non può essere più continuato (in realtà le cose sono più complicate, perché i Brics non sono del tutti estranei alla finanziarizzazione, dato che la loro stessa crescita ne porta il marchio).

Per correre ai ripari, parte della rapina ora deve essere perpetrata all’interno delle stesse potenze occidentali. Non potendo più riempire il saccone vuoto con plusvalore generato all’esterno, si cerca di estrarre più plusvalore possibile all’interno e di saccheggiare quel che rimane dei beni comuni, dalle risorse ai servizi (la privatizzazione e finanziarizzazione dei servizi – ma si potrebbe dire, senza esagerare, la “finanziarizzazione dei diritti costituzionali” – serve a spremere ulteriore plusvalore). Processo che continuerà anche con una de-austeritizzazione alla Renzi/Hollande. Ma se da una parte si creano disastri e drammi, dall’altra si tratta anche di un tentativo disperato, perché in Occidente non si estrarrà mai sufficiente plusvalore da riempire l’immenso sacco finanziario.

Ciò vuol dire che immensi capitali sono destinati a svalorizzarsi (e ci sarà una bella lotta per decidere quali saranno macellati). A meno di bruciare i libri contabili con una bella guerra mondiale e/o ricolonizzare tutto il resto del mondo, o meglio sottometterlo a un ordine gerarchico imperiale (cosa che comunque non risolverebbe le contraddizioni in modo permanente, perché esse dipendono dalle caratteristiche intrinseche ai meccanismi di accumulazione senza un fine del capitale).

Nel frattempo si prende atto che il meccanismo della globalizzazione non funziona più, si è inceppato. I Brics incominciano a fare troppo spesso a meno del Dollaro, cosa che fa inquietare la potenza statunitense, proprio perché ne mette in questione la capacità di mobilitare risorse mondiali, cioè di esercitare un dominio mondiale. Anzi, dati i rapporti di forza attuali e il fatto che la globalizzazione da imperiale (che è stato il suo marchio d’origine, cosa che un personaggio come Kissinger ammise subito ma non venne capita dalla sinistra intera a partire dai suoi irresponsabili intellettuali), da imperiale, si diceva, rischia di diventare anti-imperiale. Meglio allora rinserrare le fila e rigiocare al vecchio gioco della Guerra Fredda, ovvero ridividere in due il mondo: Noi e Loro.

Solo che all’epoca della vera Guerra Fredda, noi eravamo usciti da un conflitto mondiale, gli Usa e il loro Dollaro erano dominanti, c’erano le ricostruzioni nazionali e la ricostruzione del mercato mondiale, c’erano tutte le invenzioni della guerra da sfruttare (e per quanto ci riguarda c’era anche un fortissimo movimento operaio). Insomma, tutta un’altra situazione, dove si poteva persino tollerare, in una certa misura, il risveglio nazionalistico dei Paesi esportatori netti di risorse. E magari sfruttarlo.

Gli interessi erano parte dei profitti e i profitti erano alti.

Oggi la musica è totalmente cambiata e quindi rinsaldare le fila ha più una valenza geopolitica che economica. Il Ttip, il trattato di commercio transatlantico in corso di negoziazione, nelle intenzioni dovrebbe essere uno degli strumenti per rinsaldare le fila. Da una parte impone una colossale deregolamentazione guidata dal Dollaro che cercherà di raschiare anche il fondo del barile a costi sociali, politici, antropologici ed ecologici immani, dall’altra intende serrare in una morsa d’acciaio l’economia, la finanza e il potere politico-militare occidentale, per forgiare una mazza ferrata con cui sferrare fendenti a destra e a manca. Giustamente si parla del Ttip come della “Nato economica”. E non per nulla in concomitanza con la sua negoziazione è stata scatenata la crisi Ucraina da parte statunitense (ammissione di Victoria Nuland, la signora “Fuck the EU”) e si è obbligata l’Europa a imporre le sanzioni alla Russia (ammissione di Joe Biden). Ovvero, l’Europa doveva staccarsi dal resto del continente eurasiatico.

L’Europa mentre avveniva tutto ciò cosa faceva? Cercava un po’ di difendersi e un po’ di approfittarsene. Le sue classi dirigenti avevano capito che i singoli Stati europei da soli non potevano affrontare questa crisi che vede in campo giganti, quindi hanno spinto verso una impossibile unificazione (troppe differenze economiche, troppe divergenze, troppe gelosie incrociate di ogni tipo, politiche, economiche, storiche, culturali) alla quale in modo avventuristico speravano di giungere attraverso una moneta unica che invece era ritenuta plausibile. Le tappe di avvicinamento alla moneta unica possono essere viste come risposte alle mosse statunitensi. 1971, Stati Uniti: Nixon Shock, 1972 , Europa: Serpente Monetario Europeo. 1979, Stati Uniti: Volcker Shock, 1979, Europa: Sistema Monetario Europeo.

Ma nel 1991 l’URSS si scioglie e l’anno successivo c’è subito una pesante interferenza in Europa del blocco anglosassone: Il Panfilo Britannia zeppo di finanziari anglosassoni fa una crociera nel Mediterraneo per “spiegare” la nuova svolta neoliberista. Con l’attacco alla Lira e al Franco francese questo blocco fa entrare in crisi il Sistema Monetario Europeo (gli UK, junior partner degli USA, se ne escono per non rientrarci mai più). Infine si sigla il Trattato di Maastricht sotto questa ipoteca politica (che sostanzialmente avverte che il futuro Euro non potrà interferire più di tanto col Dollaro).

In Italia, in specifico, con Mani Pulite un’intera classe politica legata alla vecchia economia mista “keynesiana”, viene spazzata via con sistemi extraparlamentari. Intendiamoci, è una classe politica corrotta, ma questo non è mai stato il reale metro di giudizio di nessun potente: se il corrotto fa comodo si tiene (come infatti era successo dal 1948 fino al 1992 e come succederà anche in seguito).

L’Europa crede che al riparo della moneta unica possa rispondere per le rime alla finanziarizzazione anglosassone. Ma dato che l’Europa non è indipendente dagli USA e la potenza leader in Europa, la Germania, è una nazione sconfitta nell’ultimo conflitto mondiale e occupata da 176 basi militari statunitensi e dato quindi che non può avere una politica estera autonoma – tanto che i Tedeschi si autodescrivono come “il più ricco stato delle banane del mondo” – ecco che l’Euro diventa quella mostruosità di moneta senza Stato che avvantaggia le oligarchie europe e come Stato avvantaggia esclusivamente la Germania e il suo entourage. Per ora.

Perché “per ora”? Perché in estrema sintesi l’Euro è un tentativo della Germania di opporsi alla crisi e alla finanza anglosassone facendo leva solo sul lato economico. Missione impossibile, perché la finanza anglosassone si sostiene su tutti e due i pilastri del potere capitalistico: quello economico e quello politico-militare. Per giunta, la leva tedesca appoggia sulla cannibalizzazione dei suoi partner europei, cannibalizzazione direttamente proporzionale alle difficoltà tedesche di sfondare a Est, che sono difficoltà esacerbate dagli USA. Due ragioni perché il progetto sia destinato al fallimento.

Infatti l’Euro che abbiamo conosciuto è arrivato al capolinea, grazie anche ai missili balistici finanziari sparati da Wall Street sugli anelli deboli della dissennata costruzione europea, cioè i PIIGS. Come si è detto all’inizio non passa quasi giorno ormai che sui giornali mainstream a partire dal Sole24Ore non si legga qualche articolo a favore del “liberi tutti”. Ma liberi da che? Al di fuori della trappola dell’Euro ce ne aspetta una ben più strutturata. E’ la trappola del Dollaro. Infatti in questo scenario gli Stati Uniti sono sempre più aggrappati forsennatamente e ferocemente, molto ferocemente, alla propria traballante leadership che non intendono assolutamente mollare, nemmeno morti (e questo è molto preoccupante).

L’Euro è un disastro. Fuori dall’Euro ci attende un altro disastro a meno che non si mettano in atto misure politiche adeguate, innanzitutto di difesa dai progetti imperiali statunitensi. Una moneta non ha un equilibrio “naturale”. Può sembrare che lo abbia in determinate circostanze storiche. Ma di fondo una moneta ha un equilibrio politico e geopolitico. La nuova fase della crisi sistemica ci obbliga a leggere la questione Euro in quest’ottica.

* Intervento al convegno Europa Italia oltre l’euro. Sinistra, sovranità nazionale, socialismo, Bologna 18 ottobre 2014

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