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La Grecia al voto

di Leonardo Mazzei

SyrizaFlagsDunque è ufficiale: la Grecia andrà al voto il prossimo 25 gennaio. L'elezione del tecnocrate eurista Stavros Dimas è fallita. I 168 voti di martedì scorso sono rimasti tali e quali anche nel terzo scrutinio di stamattina. La campagna acquisti di Samaras non ha funzionato, e ora tutto si giocherà in una battaglia elettorale che si preannuncia davvero infuocata.

Questo esito non deve sorprendere. L'obiettivo del capo del governo di Atene è stato, fin dal principio - cioè dalla decisione di anticipare l'elezione presidenziale -, quello di drammatizzare lo scontro per ribaltare i sondaggi elettorali che attualmente prevedono la vittoria di Syriza.

In realtà il margine tra il partito guidato da Tsipras e Nea Dimokratia sembrerebbe assai limitato, da due a sei punti percentuali. Un distacco che Samaras, spalleggiato in pieno dall'Unione Europea e dal Fondo monetario internazionale, pensa di poter colmare. E non è affatto detto che questo disegno sia destinato al fallimento.

Alla fine è molto probabile che tutto si giochi per una manciata di voti. E siccome il sistema elettorale assegna un premio di maggioranza di 50 parlamentari (su 300) a chi arriva primo, è prevedibile una fortissima polarizzazione del voto tra i primi due partiti, come già avvenne nelle elezioni del giugno 2012.

Se il quadro appare incerto, le forze anti-euriste non possono certo restare indifferenti a quel che accade in Grecia. Noi non abbiamo mai nascosto le nostre critiche al partito di Tsipras ed al suo programma, cosa di cui ci occuperemo tra qualche riga. Al tempo stesso ci auguriamo cheSyriza vinca e che vada al governo, che è l'unico modo per complicare i disegni della Troika, per far pesare il rifiuto popolare delle politiche austeritarie, ed infine per mettere seriamente alla prova Syriza stessa.

D'altra parte, chiediamoci quali sarebbero invece le conseguenze di una vittoria di Samaras. Essa sarebbe la legittimazione dei sacrifici imposti dalla Troika, un successo indiscutibile per Juncker e soci. La cosa è così chiara che non importa dilungarsi oltre.  

 

 Il programma di Syriza

Passiamo ora dagli auspici all'analisi delle prospettive. Cosa accadrebbe se Syriza vincesse e riuscisse a formare un governo? Questa è la vera domanda. Di certo l'oligarchia eurista non si farebbe convincere da Tsipras, il quale invece si muove all'interno di una linea che ha come sua premessa proprio la «riformabilità» dell'Unione Europea. Il fatto è che questa grossolana illusione non potrebbe durare troppo a lungo, imponendo allora strade ben più radicali nel confronto con Bruxelles. 

Ma entriamo nel merito del programma di Syriza, il cosiddetto «Programma di Salonicco», perché lì presentato da Tsipras lo scorso 15 settembre.

La contraddizione che chiunque può facilmente rilevare dalla sua lettura è quella di sempre: da una parte un programma sociale avanzato, dall'altro un percorso per la sua realizzazione del tutto campato in aria, a partire dalla rimozione della necessità di uscire dall'euro.

Certo, il programma di Syriza non è il socialismo, ma quel che possiamo certamente dire è che si tratta del programma più avanzato di una forza che si candida, con reali possibilità di successo, al governo di un paese europeo. Questo è un dato di fatto difficilmente discutibile. Il problema è che Tsipras vorrebbe realizzarlo con l'assenso delle oligarchie europee, e questo ci sembra davvero un po' troppo...

Il Programma di Salonicco parte comprensibilmente dalla questione del debito, ponendo chiaramente la necessità di una sua sostanziale decurtazione. Leggiamo: «Cancellare la maggior parte del valore nominale del debito pubblico in modo che diventi sostenibile nel contesto di una "Conferenza europea del debito"». Ed ancora: «Includere una "clausola di crescita" nel rimborso della parte restante in modo che tale rimborso sia finanziato con la crescita e non attraverso leggi di bilancio». Ed infine: «Includere un periodo significativo di grazia ("moratoria") del pagamento del debito per recuperare i fondi per la crescita».

Obiettivi del tutto condivisibili, ma davvero si pensa che sia possibile perseguirli attraverso una «Conferenza europea»? Vogliamo davvero augurarci che nessuno sia a questi livelli di ingenuità.

Grazie alla decurtazione del debito Syriza si propone i seguenti scopi: «Aumento immediato degli investimenti pubblici di almeno € 4 miliardi; graduale inversione di tutte le ingiustizie del Memorandum; graduale ripristino di stipendi e pensioni in modo da far aumentare i consumi e la domanda; ricostruzione dello stato sociale»

Si può essere contro a questi obiettivi? Ovviamente no. Così come sono certamente da sottoscrivere le misure sociali indicate. Tra queste citiamo l'elettricità gratis per le famiglie più povere, i sussidi pasto per chi è senza reddito, il programma di garanzia abitativa, il ripristino della tredicesima, l'assistenza sanitaria gratuita per i disoccupati privi di assicurazione, un sistema fiscale più equo grazie ad una maggiore progressività delle aliquote.

Tutto bene dunque? Assolutamente no.

La contraddittorietà e l'illusorietà di certi obiettivi è ricavabile dalla stessa lettura di alcuni punti programmatici. Leggiamo ad esempio: «Escludere gli investimenti pubblici dai vincoli del Patto di Stabilità e di Crescita». Qualcuno sa dirci cosa ci sia di diverso in questa proposizione da quanto va ciarlando Renzi da molti mesi? E non è anche questo un modo per riaffermare l'accettazione di fondo di tali vincoli, che andrebbero solo alleggeriti?

Ed ancora: «Un "New Deal Europeo" di investimenti pubblici finanziati dalla Banca europea per gli investimenti». Può piacere oppure no, ma un tale piano di investimenti attraverso la Bei esiste già. Lo ha varato di recente Juncker (leggi QUI), peccato che alla sua efficacia non creda praticamente nessuno. 

E, per passare ad un tema ancora più attuale, il programma chiede: «Un aiuto quantitativo da parte della Banca centrale europea con acquisti diretti di obbligazioni sovrane». Eccoci così arrivati al famoso Quantitative easing, che però la Bce sta predisponendo (leggi QUI e QUI) in modo assolutamente penalizzante per un paese come la Grecia.

 

 Conclusioni 

La lettura di questi punti del programma non fa altro che esaltare la contraddizione tra obiettivi di per sé condivisibili e la pretesa di raggiungerli nel contesto europeo. Ma tutto ci dice che l'Europa - quella reale, cioè l'unica davvero esistente - se ne sta andando in una direzione del tutto opposta ai desiderata di Tsipras.

Il succo politico del ragionamento di Syriza è ricavabile dalla parte conclusiva del programma, che merita una citazione integrale: «Siamo pronti a negoziare e stiamo lavorando per costruire le più ampie alleanze possibili in Europa. L’attuale governo Samaras è di nuovo pronto ad accettare le decisioni dei creditori. L’unica alleanza che si preoccupa di costruire è con il governo tedesco. Questa è la differenza tra di noi e questo è, alla fine, il dilemma: negoziazione europea di un governo di Syriza, o accettazione dei termini dei creditori sulla Grecia da parte del governo Samaras. Negoziazione o non-negoziazione. Crescita o austerità. Syriza o Nuova Democrazia».

Secondo questo ragionamento il dilemma sarebbe tra negoziazione (Syriza) e non-negoziazione, cioè supina accettazione da parte di Nuova Democrazia. Qui però c'è un piccolo dettaglio, ed è che per negoziare veramente bisogna essere in due. L'Europa vuol davvero negoziare con Atene? E darebbe a Tsipras quel che non ha concesso ai servitori che ha insediato al governo tre anni fa? La risposta non pare davvero difficile.

La verità è che se Bruxelles accettasse sul serio una simile trattativa, essa sarebbe il segnale del «rompete le righe», l'annuncio della fine certa se non ancora dell'UE, certamente della moneta unica e del suo sistema di dominio. Il problema, si badi, non è principalmente economico (la Grecia da questo punto di vista conta poco), quanto piuttosto politico: altri paesi vorrebbero imitare Atene e l'UE non potrebbe sopravvivere alla fine dei dogmi sui quali è stata edificata. Ovvio, dunque, che quantomeno nella sostanza, ma prevedibilmente anche nella forma, la risposta europea a Tsipras sarebbe solo un netto ed inequivocabile NO.

Dopo di che resterebbero solo o la resa o la lotta, altro che negoziazione!

Ed è in questo quadro che si porrebbe, come unica alternativa possibile alla resa incondizionata, la questione della rottura con l'UE, a partire da quella con l'euro.

In conclusione: l'impianto programmatico di Syriza è debole nell'insieme della sua struttura, pur se condivisibile nei sui obiettivi sociali. Ma quel che più conta è il processo che potrebbe avviarsi con l'eventuale (e non facile) successo del partito di Tsipras. Le contraddizioni e le illusioni che abbiamo messo in luce non potrebbero reggere la prova dei fatti. E la partita sarebbe tutta da giocare. Ecco perché ci auguriamo che Tsipras possa essere il prossimo capo del governo di Atene

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