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corto circuito

Anticapitalismo e antifascismo in Europa

Due critiche alla strategia di Syriza

di Giulio Palermo

20150323 213852 376331 13602055Syriza è in gravi difficoltà. Non per lo scontro con le istituzioni europee ma per le rivendicazioni del popolo greco. Ormai sono i fatti a dimostrarlo: il suo programma politico è internamente contraddittorio. Allentare la crisi sociale e umanitaria non è possibile all’interno delle regole dell’unione economica e monetaria. Questo è il dato. Le promesse di Syriza non possono essere mantenute.

Tsipras ora deve scegliere: tradire il capitale, che vorrebbe che il governo greco faccia il dovuto in casa per rispettare gli impegni in Europa; o tradire il popolo greco, che ha votato per una forza che gli prometteva di allentare la stretta del capitale in crisi sulla gente che lavora e che perde il posto. Si tratta di una scelta che non può essere rimandata. Restare nell’ambiguità serve solo a indebolire la classe lavoratrice greca e, con essa, quella di tutt’Europa.

In questo articolo, mi soffermo su due conseguenze di questa strategia ambigua.

Innanzi tutto, in finanza, le indecisioni hanno un prezzo. Rimandare il momento dell’inevitabile default (o, ancora peggio, provare a fare veramente il dovuto per evitarlo) è una decisione che il popolo greco sta già pagando cara. In secondo luogo, il tentativo di spostare il dibattito politico in uno scontro con la Germania, come se si trattasse di uno scontro tra paesi invece che di lotta di classe, espone l’intero movimento anticapitalista e antifascista a pericolosi rischi.

 

Come (non) si paga il debito

Le istituzioni europee sono disegnate per trasferire valore dal lavoro al capitale, dalla periferia al centro, dai poveri ai ricchi. Lo slogan, non proprio da sinistra radicale, “pagheremo tutto ma un po’ meno caro e un po’ per volta” non fa i conti con le regole della finanza. Più tardi dici di voler pagare, più aumenta il premio di rischio che esige il creditore, più difficile diventa pagare, sia ora sia dopo.

Il combattivo Varoufakis — che si autodefinisce marxista ma che ragiona con i modelli dell’economia neoclassica/neoliberista — dimostra purtroppo di non voler applicare nemmeno quello che conosce meglio. La sua Teoria dei giochi insegna infatti che se uno Stato in crisi vuole veramente onorare i debiti, la migliore strategia è l’esatto opposto della sua: deve dichiarare di non voler pagare, lasciare che il debito si svaluti (se la dichiarazione è credibile, è questione di minuti, non di mesi o di anni), per poi ricomprarlo a prezzi scontati. Questo è quanto insegna la Teoria dei giochi. Ma appunto le minacce devono essere credibili, devono fare paura, non rassicurare.

Se poi un ministro dell’economia è pure un po’ marxista, dopo aver deflazionato i debiti dello Stato e mandato in crisi le banche, potrebbe passare dalle minacce ai fatti e ripudiarlo veramente il debito pubblico: invece di ricomprare i titoli e riprendere a indebitarsi, potrebbe insomma fare tante altre cose e iniziare ad attaccare le altre forme di dominio del capitale sull’uomo: la produzione, la casa, la scuola, la salute, i trasporti, il territorio… ma questo è un altro discorso.

E invece Varoufakis e Tsipras che fanno? Dichiarano di voler pagare tutto o quasi, impedendo così ai prezzi dei titoli di stato di crollare, e si battono per ottenere altri prestiti con cui pagare questi debiti gonfiati dalle loro stesse affermazioni. Poi però si arrabbiano quando si siedono al tavolo delle trattative e scoprono che questo debito gonfiato costituisce la base oggettiva della loro debolezza. Il tutto in cambio di nuovi stanziamenti dalle tanto detestate istituzioni internazionali, di cui il popolo greco non vedrà nemmeno un euro, perché dovranno essere subito girati alle banche creditrici.

 

Lo scontro con la Germania

Mentre in tutta Europa le forze anticapitaliste cercano di sostenere la battaglia del popolo greco, Syriza individua nella Germania il suo vero nemico. Invece di porsi alla testa di un movimento internazionale e internazionalista, che sta faticosamente crescendo nell’analisi e nelle lotte, cerca in tutti i modi di far apparire lo scontro tra capitale e lavoro, tra sfruttatori e sfruttati, come uno scontro tra nazioni: Grecia contro Germania, popolo greco contro popolo tedesco. “Se la Germania insiste tanto sul pagamento dei debiti, che cominci a pagare i suoi”, tuona all’improvviso Tsipras, stanco di stare sulla difensiva.

Un argomento coerente e accattivante, che però non ha niente a che fare con la crisi che vivono oggi i lavoratori greci, tedeschi e di tutta Europa. E che lascia in ombra il fatto che i lavoratori greci, tedeschi e di tutta Europa sono vittime dello stesso sistema di sfruttamento internazionale che — avendo delegato la politica monetaria e quella fiscale ai comitati di esperti dell’Unione — riduce la competitività tra capitali nazionali ad una lotta a chi schiaccia meglio i suoi lavoratori.

Il capitale ci divide e Syriza invece di provare a unirci ci mette gli uni contro gli altri. Lavoratori greci contro lavoratori tedeschi, questa è la mossa di Tsipras e Varoufakis per frenare l’arroganza delle banche e delle istituzioni internazionali. Una mossa probabilmente utile al capitale greco, che si sta facendo divorare dai pescecani della finanza tedesca, ma non certo ai lavoratori greci, tedeschi ed europei, che in questo “scontro” sono solo carne da macello per i rispettivi capitali nazionali. Invece di contestare l’architettura istituzionale dell’Unione europea, che mette di fatto i lavoratori di ogni paese in competizione con quelli del resto d’Europa, Syriza cavalca le divisioni tra i lavoratori e, così facendo, li indebolisce tutti.

Con l’ulteriore conseguenza, sicuramente involontaria, di creare i presupposti per la rinascita del nazionalismo che, proprio in Grecia, ha spianato la strada ai nazisti di Alba dorata. I quali avranno gioco facile quando Syriza capitolerà di fronte al capitale unito d’Europa. Perché mentre noi discutiamo se criticare Syriza da sinistra o sostenerla fino in fondo nonostante le sue contraddizioni, il rischio sempre più vicino è che cadrà da destra.

Qui in Italia, come in altri paesi, molti compagni si sono spesi attivamente a sostenere le speranze e le lotte dei compagni greci, cercando di creare un movimento di solidarietà internazionale, di inserirsi nelle contraddizioni aperte dalla svolta elettorale espressa dal popolo greco, provando a spostare a sinistra il dibattito politico anche negli altri paesi d’Europa. Ma Syriza sembra guardare altrove, al capitale.

Syriza non ha un programma di difesa della classe lavoratrice, né un piano di rilancio dell’economia semplicemente perché non ha una spiegazione delle cause della crisi. Si è illusa — e ha illuso i suoi elettori — che i problemi del capitalismo in crisi fossero causati dalle sue degenerazioni, invece che dal suo ordinario funzionamento. E oggi che è al potere, non avendo il coraggio (o l’intenzione) di intraprendere un percorso anticapitalista, i suoi argomenti più di sinistra sono diventati la lotta all’evasione fiscale e l’orgoglio nazionale nei confronti della Germania nazista. Come se la crisi economica che schiaccia i lavoratori greci ed europei fosse veramente causata dai ricconi che non pagano le tasse e i vecchi nazisti che non vogliono riconoscere i danni della seconda guerra mondiale. E intanto i nazisti ce li abbiamo di nuovo in casa un po’ in tutt’Europa.

Più che una rivendicazione antifascista, da parte di una forza anticapitalista, la polemica sui debiti di guerra della Germania, così come è stata calata nel dibattito politico, sembra soprattutto una nuova mercanzia da mettere sul piatto della bilancia greco per contrastare il peso politico delle banche tedesche. Certo, sarebbe bello vedere la nazione con le banche più potenti d’Europa capitolare sotto la nazione col saggio di sfruttamento più alto d’Europa. Riaffermare che il nazismo è uno schifo e che i nazisti devono pagare caro e tutto. Ma una battaglia così si prepara, ci si costruisce attorno un percorso di lotta, non si tira fuori nel quadro della contrattazione su quanto i lavoratori greci devono dare alle banche tedesche. Altrimenti, siamo alla mercificazione anche dell’antifascismo, oltre che ad un’altra probabile sconfitta.

 

Con il capitale o con il lavoro

Il teatrino dei personalismi che si scontrano — Varoufakis e Schaeuble che non si possono vedere, Tsipras che vorrebbe parlare da pari a pari con la Merkel, Draghi, calmo calmo, che li mette a bacchetta tutti — nasconde in realtà una triste comunione d’intenti: mantenere in piedi il sistema, spremere il popolo greco (ma anche quello tedesco, italiano e di tutta Europa) fino all’ultima goccia, fare in modo che i lavoratori europei paghino al capitale quanto più possibile, innalzare il saggio di sfruttamento al livello richiesto dal capitale europeo. Anche se, già nelle condizioni attuali, i lavoratori non ce la fanno più.

I leader politici di Germania e Grecia possono andare avanti a polemizzare ma non esiste nessuno scontro tra paesi. Lo sperimentiamo ogni giorno sulla nostra pelle. Nell’era dell’euro, come in quello della lira, della dracma e del marco, lo scontro è sempre lo stesso: capitale contro lavoro. Il lavoratore perde il posto e il manager prende il bonus. Il lavoratore perde i diritti e il capitalista aumenta i profitti. Questo è il legame tra profitti e sfruttamento, in Grecia, in Germania e ovunque sia il capitale a dettar legge. E chi insiste tanto a voler soddisfare le esigenze del capitale, purtroppo dovrà tradire le aspettative della classe lavoratrice. Questo è il vero timore.

Il problema di Tsipras e Varoufakis non è a Bruxelles o a Francoforte, ma ad Atene. Perché è lì che scoppiano le contraddizioni di un sistema di sfruttamento internazionale che Syriza insiste a voler tenere in piedi. È lì che i lavoratori sono costretti a stringere la cinghia per onorare gli impegni presi dai loro rappresentanti europeisti. Se il marxista/giochista non si decide rapidamente a riprendere in mano il Capitale, sarà il capitale europeo a dimostrargli, nei fatti, come si contrasta la caduta del saggio di profitto in tempi di crisi: sempre allo stesso modo, aumentando lo sfruttamento dei lavoratori.

Agli uomini e alle donne che credono in Syriza non interessa la teoria dei giochi e probabilmente, a molti di loro, nemmeno Marx. Domandano semplicemente condizioni di vita migliori, diritti e servizi. Non sono tutti economisti, in molti, vogliono solo arrivare a fine mese ed essere rispettati come lavoratori. Ma è proprio questo il problema: nell’attuale fase di sviluppo del capitalismo europeo, l’uscita dalla crisi prevede un innalzamento, non l’abbassamento, del saggio di sfruttamento. Si può promettere quello che si vuole, ma le regole del capitale sono queste.

L’intenzione di rispettare queste regole Syriza l’ha dichiarata sin dall’inizio. Ma ha anche dichiarato di stare dalla parte del popolo e della classe lavoratrice. Il tradimento è quindi inevitabile. Che ci piaccia o no, un capitalismo diverso non è possibile. Non ci sono i soldi. Il valore creato dal lavoro presente e futuro non basta nemmeno a pagare i debiti esistenti, figuriamoci che margini ci sono per migliorare le condizioni dei lavoratori.

Ormai, il richiamo all’ordine del capitale in crisi lascia margini di manovra sempre più stretti e rimandare le scelte li riduce ulteriormente. Di fronte a questo bivio non si possono avere esitazioni. Radicalizzarsi contro il capitale è possibile. Basta deciderlo ed essere pronti a lottare.

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