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Tornare al vecchio Sistema Monetario Europeo?

Un commento a Lafontaine

di Emiliano Brancaccio

Marx 21 ha tradotto (da qui) l'importante intervento di Emiliano Brancaccio all'incontro di Parigi del 23-1-2016 per un Piano B per l'Europa, un piano da preparare nel caso i tentativi di riforma dell'Unione Europea non funzionassero. Un piano sempre più necessario, come mostra la vicenda greca. Le proposte di Emiliano Brancaccio hanno creato un vivace dibattito all'incontro di Parigi, in particolare per quanto riguarda l'imposizione sui controlli di capitale e sulle merci tra i paesi, come mostra questo video, dove Martin Höpner (Max Planck Institute, Germania) sostiene una riproposizione dello Sme con l'imposizione di rivalutazioni per i paesi in surplus

Grecia ecu 1981Oskar Lafontaine propone di tornare al vecchio Sistema Monetario Europeo (SME). Per rendere questa soluzione percorribile sarebbe necessario imporre sanzioni ai paesi che adottano politiche deflazioniste per accumulare surplus verso l’estero. Un'efficace sistema di sanzioni potrebbe basarsi su limiti alla indiscriminata mobilità dei capitali da e verso questi paesi. A riprova del suo realismo, tale soluzione potrebbe essere applicata immediatamente e indipendentemente da singoli paesi così come potrebbe essere estesa passo dopo passo a ulteriori accordi tra paesi.


1. Il Monito degli Economisti: il destino dell'Euro è segnato 

Nel Settembre 2013 il Financial Times pubblicò il cosiddetto “Monito degli Economisti”, una lettera firmata da molti influenti membri della comunità accademica internazionale appartenenti a diverse scuole di pensiero: Dani Rodrik, James Galbraith, Wendy Carlin, Jan Kregel, Mauro Gallegati e altri. [1]

Le idee alla base del Monito erano le seguenti. La continuazione delle politiche di austerità e di deflazione nell'Unione Monetaria Europea aumenterà gli squilibri tra paesi creditori e debitori, con una conseguente centralizzazione dei capitali dal Sud al Nord Europa e ulteriori crisi bancarie. Come risultato di questo processo, il destino dell'Euro sarà segnato. L'Unione Monetaria Europea, almeno come l'abbiamo conosciuta, tenderà a deflagrare e i responsabili politici saranno lasciati di fronte a una scelta tra differenti vie di uscita dall'Euro, ciascuna con differenti effetti sulle diverse classi sociali.

Queste erano le conclusioni del Monito, risalente a più di due anni fa. Vi sono varie ragioni per ritenere che le sue tesi di fondo siano ancora valide e che possano esser confermate in futuro. Se accettiamo tali tesi, allora vanno tratte due conseguenze. In primo luogo, un “Piano B per l'Europa” sarà necessario, presto o tardi, per ragioni oggettive. Disporre di un “Piano B” non sarà un'opzione politica minoritaria, ma diventerà una necessità storica. In secondo luogo, non esiste un solo tipo di “Piano B”. La storia delle crisi passate evidenzia che le opzioni di uscita da un regime monetario sono varie e molto differenti tra loro, e che ognuna ha implicazioni diverse per i diversi gruppi sociali coinvolti [2].

 

2. La proposta di Schauble: il perfetto “Piano B” per i creditori

Consideriamo per esempio il “Piano B” suggerito per la Grecia dal Ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble. Tale opzione è l'unica esplicitamente citata nei documenti ufficiali dell'Unione Europea, più specificatamente nei verbali dell'Eurogruppo. [3]

La Proposta Schauble può essere descritta come il perfetto “Piano B” per i creditori. La ragione è semplice: la ridenominazione del debito [nella nuova valuta locale NdT] è ciò che davvero spaventa i creditori. Il Piano Schauble avrebbe permesso alla Grecia di abbandonare l'Euro, ma era disegnato per prevenire il rischio che la Grecia ridenominasse il suo debito in Dracme svalutate. La storia ha molto da insegnarci su questo punto: a fronte di una minaccia di ridenominazione, i creditori non possono esser protetti da semplici impegni contrattuali. Rispetto a questo problema, Schauble propose una soluzione per proteggere i creditori. Egli sapeva che se la Grecia avesse abbandonato l'Euro si sarebbe trovata con un eccesso di importazioni sulle esportazioni, cioè con un deficit estero da coprire con moneta. Si deve notare che questo deficit estero non verrebbe ridotto da una svalutazione, almeno non immediatamente. Schauble quindi offrì al governo greco un sostegno finanziario per coprire il deficit estero dopo l'uscita e persino una eventuale ristrutturazione del debito, ma solo a condizione che il debito greco rimanesse in Euro.

Il “Piano B” di Schauble riecheggia in qualche modo la proposizione chiave del Gattopardo, un celebre romanzo italiano: che tutto cambi affinché nulla cambi. Nel caso del Piano Schauble, tutto doveva cambiare, anche la moneta, al fine di non cambiare nulla riguardo ai rapporti di forza tra debitori e creditori e tra le classi sociali. Questo tipo di “Piano B” sarebbe stato catastrofico. Il peggio del rimanere nell'Euro combinato con il peggio dell'uscirne.

Dobbiamo dirlo con chiarezza: dati gli attuali rapporti di forza in Europa, e dato il grande ritardo delle forze di sinistra su questo tema, in caso di precipitazione degli eventi nell'Eurozona la proposta Schauble potrebbe essere il solo “Piano B” sul tavolo delle future trattative, non solo per la Grecia ma anche per altri paesi.

 

3. La proposta di Lafontaine : un ritorno al vecchio Sistema Monetario Europeo (SME)   

Fortunatamente esistono anche altre soluzioni. Consideriamo, per esempio, il “Piano B” che consiste nella possibilità di un ritorno al vecchio SME. Questa opzione è stata avanzata da varie parti: Oskar Lafontaine, come sappiamo, è uno dei suoi sostenitori. [4]

Uno dei meriti della proposta di Lafontaine, dal mio punto di vista, è il fatto di mettere in chiaro che lasciare i tassi di cambio alla mercé delle forze di mercato non sarebbe la soluzione ottimale. I cambi flessibili alimenterebbero la speculazione e lavorerebbero nell’interesse del peggior capitalismo finanziario. Inoltre, non è detto che aiuterebbero a risolvere gli squilibri strutturali e a mitigare la centralizzazione dei capitali all'interno dell'attuale zona Euro.[5]

Detto ciò, a mio parere la proposta Lafontaine non è da sola sufficiente, e dovrebbe essere integrata. L'idea di tornare al vecchio Sistema Monetario Europeo può esser considerata come una ipotesi iniziale, non come il punto di arrivo della nostra analisi. I limiti di un ritorno allo Sme risiedono nel fatto che esso trascura un problema che è stato esaminato a fondo nella letteratura accademica sotto i nomi della “triade impossibile” o del “quartetto incoerente” dell'economia internazionale. In poche parole, il problema si riferisce alla difficoltà per ogni paese di garantirsi dei margini di autonomia per le politiche economiche nazionali in condizioni di completa libertà di circolazione internazionale del capitale e in parte anche dei beni. Per esempio, in una situazione di perfetta mobilità di beni e soprattutto dei capitali, un paese che tenda ad accumulare un deficit delle partite correnti non può perseguire politiche economiche tese ad aumentare l'occupazione.

Si noti che la possibilità di aggiustare i tassi di cambio, prevista dallo SME, non era sufficiente a risolvere questo problema. Le politiche economiche dei paesi con una tendenza sviluppare un deficit esterno erano fortemente influenzate dalle politiche economiche della Germania, il paese egemone che tendeva ad accumulare surplus. È  proprio su questo punto che l'idea di una Banca Centrale emerse agli inizi degli anni '90, soprattutto da parte francese. L'idea prevalente in Francia era che lo SME fosse dominato dalle politiche monetarie della Germania e che una Banca Centrale Europea avrebbe aiutato a rendere le scelte politiche più condivise. Se non ricordiamo le condizioni della transizione dallo SME all'Eurozona, rischiamo di trascurare alcuni aspetti cruciali della storia dell'unificazione europea.

Per questi motivi, ritengo che sebbene la proposta di Lafontaine di discutere un ritorno allo Sme sia da ritenersi benvenuta, per poter compiere un passo avanti è necessario introdurre dei meccanismi ulteriori che limitino l'egemonia dei paesi con surplus delle partite correnti, una egemonia che esiste oggi ma che esisteva anche all'interno dello SME. Per essere ancor più chiari, un mero ritorno allo SME oggi non sarebbe sufficiente a risolvere gli enormi squilibri alimentati dalla deflazione salariale relativa in Germania, dove dal 1999 al 2013 i salari monetari sono cresciuti di appena la metà rispetto alla media dell'Eurozona.

 

4. Controlli sui capitali contro le politiche deflazioniste

Gli economisti sanno che esiste una sola soluzione logica a questo problema: qualche tipo di sanzione dovrebbe essere imposta ai paesi che usano la deflazione per aumentare il proprio surplus esterno.

In una prospettiva da “Piano A”, di riforma dei trattati Ue, sanzioni monetarie simili a quelle attualmente previste per i paesi con deficit di bilancio pubblico eccessivi potrebbero esser considerate. In sostanza, si tratterebbe di rendere l'attuale “Six Pack” più esteso e vincolante. Il problema è che un “Piano A” non sembra molto realistico, soprattutto nell’attuale fase storica.

Nella prospettiva più realistica di un “Piano B”, dunque, nel quale i trattati non sarebbero riformati e la zona Euro tenderebbe a deflagrare, quale tipo di sanzioni dovrebbero essere imposte ai paesi che, nonostante i loro ampi surplus delle partite correnti, adottassero ancora politiche deflazioniste? Io penso ci sia una sola risposta logica: deve esser possibile introdurre limiti alla libera circolazione dei capitali e forse anche dei beni da e verso quei paesi.

Questo significa, secondo me, che il ritorno a una sorta di SME dovrebbe essere combinato con la possibilità di imporre controlli di capitali da e verso i paesi che usino la deflazione per accumulare avanzi delle partite correnti. Vi prego di notare che questo tipo di soluzione ha riferimenti autorevoli. Tracce di essa si trovano nei contributi dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro sui cosiddetti “labour standards”, e persino nello statuto del Fondo Monetario Internazionale. Io chiamo questa proposta “European Monetary Balanced Agreement” (EMBA), ma il nome non è importante. [6] Ciò che davvero conta è che tale soluzione potrebbe essere immediatamente adottata in maniera indipendente da parte di ciascun paese così come essere estesa passo ad accordi con altri paesi. Per questo la considero una soluzione più realistica di altre.

 

5. Contro l'onda nera della xenofobia

Nel Piano appena descritto vi è, implicita, quella che potremmo definire una “critica progressista” alla globalizzazione indiscriminata. Dal mio punto di vista, questa critica può rappresentare anche un modo per cercare di contrastare l'onda nera montante degli odierni neo-fascismi.

Su questo punto, lasciate che fornisca un esempio preciso. Mentre i nazionalisti xenofobi lottano per maggiori controlli sull'immigrazione, una rinnovata sinistra dovrebbe opporre a quest'onda nera l’alternativa dei controlli alla mobilità indiscriminata dei capitali da e verso i paesi che perseguano politiche di deflazione e di competizione al ribasso sui salari. Le forze di destra raccolgono consenso attraverso una facile battaglia contro l'immigrazione. Dovrebbe esser giunto il momento di proporre un'alternativa razionale e progressiva: arrestare i movimenti internazionali di capitali indiscriminati e deflazionistici.

 

6. Una critica alle caratteristiche più estreme del Mercato Unico Europeo

Concludendo, credo sia giunto il momento di superare un'incomprensione che per certi versi trova le sue origini in un'ingenua interpretazione del concetto di “'internazionalismo del lavoro”. Noi dovremmo chiarire a noi stessi che sostenere l’internazionalismo del lavoro non significa accettare una globalizzazione indiscriminata ma richiede piuttosto una continua organizzazione delle lotte sociali al fine di favorire uno sviluppo continuo, equilibrato e pacifico delle relazioni economiche tra nazioni.

Da questo punto di vista, la proposta di Lafontaine e di altri di un ritorno allo Sme è a mio avviso benvenuta. Ma se vogliamo davvero proporre un coerente “Piano B per l'Europa” allora dobbiamo esprimerci con estrema chiarezza sul punto: dobbiamo mettere in discussione non solo la Moneta unica europea ma anche le caratteristiche più estreme del Mercato unico europeo, a partire dalla libera mobilità dei capitali da e verso paesi orientati alla deflazione.

La globalizzazione capitalistica non è certo finita, ma sta attraversando una fase di crisi. I partiti di destra hanno notato questa tendenza e la sfruttano a loro vantaggio. Le forze di sinistra dovrebbero chiudere questo ritardo avanzando criticamente proposte internazionaliste adatte all'attuale complessa fase storica. Il ritorno a una sorta di Sistema Monetario Europeo con controllo sui capitali contro le politiche deflazioniste potrebbe costituire un'opzione coerente e razionale, nell'interesse dei lavoratori e della pace, in Europa e nel resto del mondo. Vi ringrazio.

Traduzione di Lorenzo Battisti per Marx21.it
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Note
[1] Brancaccio, E. et al. (2013). The Economists’ Warning: European governments repeat mistakes of the Treaty of Versailles, Financial Times, 23 September; www.theeconomistswarning.com.
[2] Brancaccio, E., Garbellini, N. (2015). Currency regime crises, real wages, functional income distribution and production. European Journal of Economics and Economic Policies: Intervention, vol. 12, 3.
[3] “[…] In case no agreement could be reached, Greece should be offered swift negotiations on a time-out from the euro area, with possible debt restructuring.[…]”, The Eurogroup, 12 July 2015, 4 pm.
[4] Lafontaine, O. (2015). The European Monetary System (EMS): Let’s Develop a Plan B for Europe!, Global Research, September 23.
[5] On this point, see Brancaccio, E., Fontana, G. (2015). ‘Solvency rule’ and capital centralisation in a monetary union, Cambridge Journal of Economics, advance access online, 29 October.
[6] L'idea dell'EMBA potrebbe essere vista come una generalizzazione della precedente proposta per “uno standard salariale europeo”: Brancaccio, E. (2012). Current account imbalances, the Eurozone crisis and a proposal for a ‘European wage standard’. International Journal of Political Economy, vol. 41, Number 1.

Comments

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Claudio
Wednesday, 03 February 2016 18:02
Ha, dimenticavo, una critica alle trovate di Oscar Lafontaine, l'avevo prodotta a Commento della “Lettera alla sinistra italiana" pubblicata in Sinistrainrete del 19/10/15
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Claudio
Wednesday, 03 February 2016 17:49
In un certo qual modo mi meraviglio, ma non troppo, che il professor Emiliano Brancaccio, che reputo persona intelligente, preparata ed avveduta, si metta a rimorchio dei volponi della politica antipopolare europea e mondiale, considerando l’euro come la causa primaria dei molteplici mali che attualmente stanno affliggendo l’Europa. Tutti, infatti, sanno, che l’euro durante la sua gestazione e soprattutto nei suoi primi anni di vita reale, ha portato tantissimi benefici ai paesi dell’area euro, ed in modo particolare a quelli più deboli ed indebitati, ma anche agli altri stati d’Europa, in termini di stabilità dei prezzi e quindi di bassa inflazione, di bassi tassi d’interessi e di ugualmente bassi costi dei prodotti energetici e delle altre materie prime importate, con in ordine d’importanza petrolio e gas, poi anche per il fatto che moltissimi paesi extra europei, utilizzavano la moneta comune per i propri scambi internazionali, nonché come moneta di riserva. Se quindi precedentemente l’euro ha originato tantissimi benefici, per quale ragione ora dovrebbe essere la causa dei tantissimi mali dell’Europa. La causa, quindi, va ricercata altrove.
Esattamente nella profonda ed inesauribile crisi economico/finanziaria globale, che da poco meno d’un decennio sta mettendo in ginocchio il mondo intero, e che economisti, politici, media e stregoni vari, stanno impotentemente scrutando per filo e per segno, senza per questo venirne minimamente a capo. Si tratta di una crisi che, a ragion veduta, possiamo considerare essere sia di sovrapproduzione, che di sottoconsumo, in quanto mentre da un lato tantissimi paesi si debbono ogni giorno misurare con produzioni in eccesso che mettono all’angolo molti settori, dall’altro, gli stessi paesi, debbono misurarsi con i consumi in contrazione. Un fenomeno, quest’ultimo, dovuto in primo luogo alla guerra al salario scatenata dalla grande finanza mondiale, per accrescere ulteriormente i propri enormi profitti, a causa r cui, le classi popolari di mezzo mondo, sono state costrette a contenere i consumi. Nello stesso tempo, le organizzazioni statuali sono state sospinte, dalla stessa crisi generale, a dover intervenire massicciamente a sostegno di aziende in crisi e del sistema bancario al collasso, indebitandosi fino all’eccesso, per cui oggi non sono più in grado di poter intervenire con quei portentosi investimenti che occorrerebbero per tentare di ravvivare i settori produttivi in affanno. Massicci investimenti statali che, non va dimenticato, in passato sono stati attuati, e sui quali, il celebratissimo economista inglese, John Maynard Keynes, ha elaborato le proprie teorie, tutt’ora foriere di vivace quanto contestatissima discussione.
Insomma, ciò che vorrei provare a far capire, è che quella attuale è la crisi globale di un preciso modello sociale di produzione, che non regge ormai più, e che da decenni sta implorando il mondo d’essere al più presto sostituito. Non possono essere imputate all’euro, le ragioni dell’attuale specifica crisi dei paesi periferici dell’Europa comunitaria, non solo perché in precedenza esso ha funzionato da toccasana di tali economie, e pertanto non gli si possono imputare due motivazioni diametralmente opposte, ma anche e soprattutto perché della profonda crisi, tutt’ora attuale, ne stanno soffrendo buona parte dei paesi del mondo, la quale a mio modesto parere deve avere un’unica generale matrice, e non matrici peculiari profondamente diverse. Cerchiamo di ragionare. Se i mali dei paesi deboli europei fossero effettivamente causati dall’euro, come si spiegherebbe che nello stesso tempo si trovano in uno stadio di crisi più o meno profonda, anche buona parte di paesi emergenti e del terzo mondo, quelli dell’Est Europa e del Medio Oriente, il Giappone, e che stanno rientrandovi gli stessi Stati Uniti d’America, i quali, in seguito al portentoso ricorso a misure finanziarie non convenzionali, e cioè ricorrendo allo stampaggio e all’immissione nel mercato di grandissime quantità di moneta, operazione questa che ha mandato e continuerà a mandare in crisi moltissimi paesi del mondo, a partire da quelli fortemente indebitati in dollari, sembravano esseri messi definitivamente alle spalle la crisi, ed invece eccoti che i recenti nuovi tenui rallentamenti, stanno provocando potentissime scosse telluriche ai mercati e alle Borse di tutto il mondo.
In conclusione, a mio modo di vedere, non si tratta qui di dover elaborare alcun Piano B o C per l’Europa, come sostiene anche il nostro amico Brancaccio, ma piuttosto del come fare ad organizzare le forze delle vaste classi subordinate del mondo, per portarle alla lotta in direzione del superamento dell’attuale sistema, e, soprattutto, di cominciare a studiare seriamente a come impostare concretamente la società del futuro, che prima o poi, per forza maggiore, dovrà pure imporsi.
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