Print Friendly, PDF & Email
pierluigifagan

Una enciclopedia del pensiero complesso

di Pierluigi Fagan

Recensione di “Vita e Natura. Una visione sistemica” di F. Capra e P. L. Luisi, Aboca, 2014

mg22229710-800-1 1200Gli autori di questo ampio volume (578 pagine) sono il celebre fisico Fritjof Capra di cui molti conosceranno l’illuminante long seller “Il Tao della fisica” e il biochimico italiano Pier Luigi Luisi, professore, ricercatore, scrittore e promotore culturale. Il libro è una ben aggiornata enciclopedia di quella grande famiglia che possiamo chiamare “pensiero complesso” o “pensiero sistemico”. L’incedere è quello classico emergentista che partendo dalla nuova fisica moderna (termodinamica, quantistica, relatività), procede attraverso la chimica e la biologia (con inserti di biologia molecolare, chimica prebiotica, Teoria dell’evoluzione), l’ominizzazione, i rapporti mente-coscienza, quelli tra scienza e spiritualità, la sociologia sistemica, la medicina sistemica. Si finisce con l’ecologia, l’economia, le condizioni generali del nostro vivere associato, la speranza si possa affermare una visione del mondo che ci salvi dall’imminente catastrofe del collasso di complessità, lì dove sembra ci si stia dirigendo con poca consapevole ineluttabilità.

Lungo tutto il percorso si dà conto, dell’intreccio dei più vari contributi dei principali pensatori sistemici, nei campi specifici ed in quello multi-inter-transdisciplinare della sistemica generale. Completa la carrellata dei “padri fondatori” da von Bertalanffy al meno conosciuto Bogdanov, da Wiener a Bateson, da Ashby-Pitts-McCulloch a von Foerster, da Maturana e Varela (di cui Luisi è un epigono) a Prigogine, fino a Lovelock-Margulis.

 Questa nuova tradizione di pensiero emerse dopo una piccola rivoluzione epistemica condotta silenziosamente dal concetto di adattamento per modificazione di Darwin, dalla fisica del XIX° e primi XX° secolo, accompagnata in filosofia dall’emergentismo britannico, dalla psicologia della Gestalt e dal successivo sviluppo del pensiero biologico ed ecologico. Precisa e molto utile per la spiegazione divulgativa è anche l’indagine sulla Teoria della complessità in quanto tale, che propriamente è una teoria matematica, dalla quale dipartono la Teoria del Caos, delle Catastrofi, i frattali e l’intero nuovo mondo della non linearità. Altresì, oltre a questi pezzi che possiamo considerare ormai tutti dei “classici”, preciso anche l’aggiornamento delle nuove generazioni di pensiero sistemico-complesso, dalla biologia di S. Rose e D.Noble all’epigenetica di Waddinghton,  dai contributi sull’evoluzionismo di S.J.Gould ripresi in Italia da T.Pievani alle scienze cognitive con G.Edelmann e A. Damasio ma anche il neurobiologo S. Zeki e la linguistica cognitiva di G. Lakoff, la sociologia sistemica, fino all’ecologia di Lester Brown.

I pezzi scritti da Capra sono riconoscibili e senz’altro più godibili di quelli di Luisi, ma quest’ultimo porta nuove ed aggiornate informazioni scientifiche dall’area bio-chimica. La visione sistemica della vita dei due è organizzata dai parametri della varietà e delle interrelazioni spesso veicolanti feedback che formano sistemi che danno vita a fenomeni emergenti. Questi sistemi auto-organizzati, dissipativi, auto-poietici, si trovano nei livelli biologici, cognitivi, sociali, ecologici ed economici, cioè dell’intera sequenza di strati vitali che compongono l’essere umano e la vita.

Gli ultimi capitoli affrontano da vicino la crisi generale del nostro modo di stare al mondo, in particolare secondo il doppio parametro ecologico – economico. Le posizioni dei due accademici, sono in linea con il lavoro del Worldwatch Institute di Lester Brown, con quello di N. Stern e con le posizioni del Sierra Club, con Vandana Shiva, con i movimenti alter mondisti anti-globalizzazione, con le analisi sul nuovo mondo dell’iperconnettività di Manuel Castells, con la critica del capitalismo anfetaminizzato dalla droga finanziaria di J. Stiglitz e con i sogni dell’economia smaterializzata delle reti di J. Rifkin, una sorta di pantheon della sinistra internazionale politically correct.  Il concetto di sviluppo sostenibile è criticato in quanto indefinito ed a volte contradditorio ma più che manifestarsi in favore della decrescita, Capra e Luisi, si muovono verso la democratizzazione dell’economia di mercato, l’internalizzazione dei costi ambientali, la crescita qualitativa con superamento dell’indicatore quantitativo (PIL), il benessere di comunità, la riduzione delle diseguaglianze, l’ecologia come valore guida, il ripristino della democrazia delle classi medie.  Le posizioni sono piene di buona volontà anche se a volte un po’ troppo ingenue come il consiglio al Pentagono di ridurre le spese militari, aumentando i fondi per la diplomazia, gli investimenti contro le minacce del clima e per una nuova economia verde (p.473) che è puro wishful thinking.

Quanto a multidisciplinarietà, Capra e Luisi non sono secondi a nessuno. Eppure mancano, nella loro review enciclopedica, accenni alla psicologia sistemica, all’antropologia o all’archeologia, qualcosa di un po’ più sostanzioso sull’economia (ad esempio Georgescu Roegen) che non l’intervento di ricostruzione dell’economia classica o cartesiana di Hazel Henderson sebbene siano altresì interessanti le notizie sugli studi di Marjorie Kelly sulla riforma delle imprese e delle forme di proprietà in favore di una democrazia di mercato quasi-stazionario. In ambito umanistico, manca anche qualcosa di storia come Wallerstein o Arrighi se non il solito Braudel. In compenso però, i due studiosi, ci hanno risparmiato le insopportabili litanie, che in genere ammanniscono copiosamente i sistemici americani, sull’ Artificial Intelligence o l’Artificial Life ed anche gli sbrodolamenti sulla Teoria delle reti, che sono di per sé interessanti, ma tradiscono spesso l’identità di ricercatori embedded l’NSA ed altri progetti di controllo USA. Ma una mancanza specifica si fa sentire, a nostro avviso, più delle altre: la filosofia.

= 0 =

Fa ormai parte del giovane canone della cultura della complessità, la partenza a critica alzo zero di Cartesio e Newton. Quella di Newton ben s’inquadra col fatto che la maggior parte dei sistemici sono scienziati e il nuovo paradigma è certo in alternativa ortogonale con quello meccanicistico – riduzionista –   della verità semplificatamente certa e precisa della tradizione classica. Ma dopo la mia iniziazione al pensiero complesso una trentina di anni fa, mi sono domandato – siamo poi così sicuri che la barriera cognitiva che rallenta l’affermazione e lo sviluppo di questo nuovo modo di pensare, sia tutta colpa di Descartes?

Certo, come fondatore del canone moderno, Descartes responsabilità ne ha ma credo che a riguardo ci sia una sottovalutazione del grado di radicalità che la visione del mondo sistemico – complessa comporta. In questi anni, la mia personale ricerca si è mossa proprio a cercare di rispondere alla domanda: dove si formano i punti di resistenza che impediscono una evoluzione del pensiero verso il modo-mondo nuovo della complessità?  Dopo lunga ricerca, che è tuttora in corso e di cui spesso do conto proprio in questo spazio, mi sono convinto che l’immagine di mondo complessa è radicalmente alternativa nelle fondamenta rispetto a quella occidentale tout court, non solo a quella moderna che ne è un di cui temporale. Questioni come la rivoluzione copernicana, Galileo, i dubbi sistematici di Cartesio, vengono in genere raccontati come se i 90 gradi di svolta che rappresentarono fossero il massimo possibile. Ma forse lo furono dati i tempi, lo furono “relativamente” al periodo precedente, il Medioevo, che sappiamo esser stato abbastanza mortificante per il pensiero che si definisce tale.

Per molti versi, questa “svolta” seicentesca, rimane tutta interna al canone occidentale, è un segmento di una stessa retta. Basta appaiare i caratteri del libro della natura di Galileo col frontone dell’Accademia ateniese che dissuadeva i “non-geometri” ad entrare, appaiare la ricerca della verità a prova di ogni possibile scetticismo che Cartesio conduce scavando col dubbio metodologico con il Socrate che lottava contro i sofisti, appaiare la cartesiana separazione mente – corpo con la tradizione platonica – neoplatonica- patristica – scolastica quindi in definitiva col cristianesimo che necessitava di una anima immortale in un corpo mortale,  il deismo di Newton con il Timeo, le successive monadi leibniziane con l’Uno platonico per capire che le radici del moderno hanno qualcosa di molto antico, qualcosa che fuoriesce dalla cronologia del tempo perché fonda il nostro pensiero nelle radici più profonde della nostra forma di civilizzazione, quelle che non sono oggetto di revisione stagionale.

Capra semina qui e là nel vasto testo, la considerazione che la visione sistemica richiede un cambiamento di prospettiva fondamentale: dall’oggetto alle relazioni . Beh, questa notazione non è cosa di poco conto. Da quando Aristotele definì e fondò l’ontologia, quindi la metafisica, la “sostanza” è “l’oggetto”, il degno complemento dell’Uno platonico che è il soggetto. L’Uno e la sostanza, il soggetto e l’oggetto, la meravigliosa coppia dell’intero corso della filosofia occidentale. Lo sono e lo rimangono più che mai lungo tutto il Medioevo, ma lo sono implicitamente o esplicitamente ancora lungo tutta la modernità. L’Uno platonico e la sostanza aristotelica sono ancora lì, piantati e saldi nei recessi primari della nostra corteccia frontale ed infatti, grande smarrimento, uno smarrimento da cui sembra non ci si sia ancora ripresi, occorse quando Freud mostrò che questo soggetto non è poi così Uno come pensavamo. Smarrimento che si sommò a quello a scoppio ritardato che aveva forse inconsapevolmente prodotto Kant, dicendo che noi “l’oggetto”, in sé per sé, non possiamo conoscerlo, possiamo solo percepirlo secondo le forme a priori del nostro intelletto e della nostra sensibilità. In questo caso, lo scoppio dello smarrimento fu ritardato perché l’Idealismo tedesco eresse un formidabile edificio di resistenza alle conseguenze della critica kantiana, ma si ripresentò in un certo senso intatto e conclamato nel Nietzsche per il quale più che fatti, ci sono interpretazioni. L’inconoscibile oggetto continuò a lavorare intrecciato allo sgretolato soggetto, lungo tutto il Novecento, provocando una lunga stagione di filosofia problematica, ripiegata sull’interpretazione e sul linguaggio, non sistematica, a tratti negativa, spesso critica e mai assertiva, relativistica e sofistica, magari cinica ed a tratti scettica. Un lungo vagabondare ai margini del canone la cui fondazione centrale pur non essendo  più difendibile era ancora in grado di interdire possibili, radicali, rifondazioni.

Le ricerche che abbiamo pubblicato sull’ontologia della relazione [1.qui, 2.qui, 3.qui, 4.qui e 5.qui, per il momento] indagavano proprio sulle tracce di coloro che hanno ipotizzato questa apertura ad una concezione della sostanza relazionale e relativa, poiché queste incerte tracce mostravano, a nostro avviso, proprio la difficoltà che l’immagine di mondo occidentale ha col concetto di relazione. Concetto che invece – è - la fondazione ontologica di una immagine di mondo sistemica e complessa, così come ha ben intuito Capra. Sia Capra che Luisi, ma già N. Bohr a suo tempo e con lui molti fisici dell’ultimo secolo, scoprono che l’immagine di mondo orientale, non solo queste difficoltà non le ha ma al suo interno, la relazione è un concetto primario.

Qualcuno penserà che questa deviazione filosofica non sia necessaria per l’argomento in questione, ma credo sbagli. Credo che il pensiero umano funzioni nei precisi limiti di quella che qui spesso chiamiamo “immagine di mondo”. Questa struttura ha tratti impliciti, financo inconsci ed anche del tutto fuori dalle nostre possibilità di oggettivarli, essendo forme del come è organizzata la nostra mente, nei suoi reticoli neuro-assonici e nelle forme prevalenti dei processi chimico-elettrici che vi viaggiano. Ed ha tratti espliciti o che potrebbero essere esplicitati con buona volontà analitica, sebbene noi li si usi spesso senza troppa riflessione. Questo vale per tutti noi, potremmo dirlo il “complesso mentale” e dovemmo considerarne una meta – versione generalissima quella “mentalità occidentale” che tutti noi, volenti o nolenti, condividiamo per il semplice fatto di esser nati e vissuti in questa tradizione. Ve ne sono versioni anche reciprocamente contrarie e simmetriche o dialetticamente contrapposte ma anche quando alternative, hanno tutte una comune radice di concetti e logiche.  Ve ne sono versioni di carattere più spiccatamente artistico o scientifico o religioso ma quelle che hanno il grado di generalità più ampio ed almeno in teoria dovrebbero avere più consapevolezza di se stesse, sono quelle filosofiche.

La filosofia è stata la fabbrica in cui più si è ricercato e riflettuto su come pensiamo, quel pensiero che pensa se stesso (una definizione cibernetica) per come Aristotele riteneva si potesse definire il motore immobile, descrizione che Hegel poneva alla fine della sua Enciclopedia ovvero del suo edificio dello spirito autoconsapevole. I filosofi pensano per concetti, come notava G. Deleuze. Questi concetti sono idee che sintetizzano e precisano pensieri che sono generali, sono nell’aria, sono propri di un certo tempo, alcuni sembra quasi che non abbiano tempo. Sono i filosofi che li catturano, li soppesano, li manipolano, li battezzano dandogli nome (operazione ben gravida di conseguenze) per trovarne la forma propria che poi mettono in relazione con altri concetti per far pensiero, idee, discorsi, logos. Costrutti che sono sistemi, sistemi del come definiamo e pensiamo la parti e l’intero di noi e del mondo. Vi sono filosofi sistematici come spesso gli antichi ed ancora alcuni grandi scolastici fino ad Hegel, vi sono filosofi sistematici all’interno di un particolare sottoargomento del pensiero generale come (la gnoseologia, l’etica, la logica, la politica, la religione, la scienza, l’estetica, il linguaggio etc.) e filosofi a-sistematici e legati a qualche preziosa intuizione locale. Ma in ogni caso, da quello più generale a quello più particolare e limitato, il filosofo, operando su i concetti e regole delle loro connessioni con altri concetti, opera consapevolmente o meno, su un sistema generale: l’immagine di mondo. Quell’immagine di mondo che poi diventa il sistema di pensiero di una certa epoca o luogo o civilizzazione.

A molti sembrerà inverosimile che noi si sia ancora così influenzati dai concetti magari di Platone o di Aristotele e certo non riconosceranno questa paternità. Eppure se gli scienziati sono riduzionisti e deterministi e meccanicisti, questo fatto deve molto sì a Newton ma al Newton dei Principia Mathematica che ha molte e molte pagine spese in “filosofia” se non addirittura in cripto-teologia. E Newton certo conosceva molto bene Platone e la teologia cristiana che da esso e dai suoi seguaci “neo”, derivava. Certo, il sistema sociale basato sull’economia che chiamiamo “capitalismo” non l’ha inventato A. Smith. Quando Hegel diceva che la filosofia era il proprio tempo appreso col pensiero o diceva che arriva sempre tardi al farsi sera, stava dicendo che la filosofia non “inventa” idee che poi diventano fatti, ma concettualizza fatti che già sono, li concettualizza, li sistema in una rete di significati e logiche di processo mentale che chiamiamo immagine di mondo e fa in modo che diventino pensiero, pensiero trasmissibile, oggetto di riflessione, razionalizzazione che poi si imprime nei cervelli in formazione, determinandone i limiti di pensabilità, il giusto, il bello, il vero.  O quello che si ritiene tale in un data epoca o luogo.

Se la fabbrica del pensiero occidentale ha lavorato da sempre con la materia prima della sostanza e la sostanza per esser detta e precisata deve stare ferma e non muoversi o cambiare di continuo, deve essere un in sé e non una cosa allacciata con molte altre che potrebbero influirla e scombinarla sotto i nostri occhi proprio mentre cerchiamo di catturarne “l’essenza”, deve essere qualcosa di cui si possa dire o A o B per non diventare contradditori, di cui si possa dire la “verità” usando una parola che corrisponda alla cosa, certo che il concetto di relazione avrà difficoltà ad essere inserito in quella immagine di mondo. Perché il concetto di relazione comporta proprio il contrario di ciò che si ritiene necessario. Le relazioni muovono le cose, le cambiano, le influiscono, le determinano, le confondono, addirittura le creano. Chiunque di noi, banalmente, è figlio di una relazione. Insomma, è una intera immagine di mondo che va in pezzi se l’ontologia su cui si fonda, la fondiamo a sua volta anche sulla relazione. Ne consegue che, secondo noi, l’immagine di mondo sistemico – complessa, lancia una sfida a quella tradizionale della nostra civilizzazione, ben più radicale che non quella che ha target in Cartesio o in Newton e tutto ciò che conseguì nella modernità, Illuminismo incluso.

Capra e Luisi a pagina 461 del loro libro, dicono che per affrontare i nuovi complessi drammi della nostra precaria condizione ecologica, “dovremmo tutti diventare, per così dire, ecologicamente colti”. La stessa cosa però si potrebbe ed in realtà si dovrebbe dire dell’economia poiché va maturata la consapevolezza che quello che abbiamo vissuto negli ultimi due secoli è finito, non tornerà più, non vale più per pensare come regolare e che ruolo dare a questa attività umana. La stessa cosa si dovrebbe poi dire della politica e di quella planetaria più di ogni altra, dove dovremmo considerare che il posto della civilizzazione occidentale non potrà più essere quello di forma prima o forma guida di tutte le altre e che dalla piramide con al vertice i bianchi semi-divini, dovremmo passare ad un chiassoso condominio di cui è tutto da scrivere il regolamento di convivenza. E per rimanere in politica, si dovrebbe  porre in questione anche quali forme vogliamo darci della comune convivenza perché le cose non funzioneranno più come prima, ci sarà più da redistribuire che da creare in termini di ricchezza, ci sarà meno quantità che dovremo compensare con più qualità, occorrerà innovare davvero, non inventare un nuovo gadget elettronico ma inventare un nuovo modo di stare nel mondo nuovo, un modo complesso di adattarci ad un mondo complesso.

Pensare che tutto ciò verrà fatto come nei venticinque e passa secoli passati, da una élite, è senza speranza perché quello che dovremmo fare è proprio redistribuire consapevolezza e redistribuire facoltà di decisione fondata su una solida consapevolezza generalizzata, cioè passare dalla gestione della politica, dell’economia e della cultura dei Pochi a quella dei Molti. Ma tradizione ed interessi delle élite, inerzia e mancanza di coraggio, pigrizia intellettuale e paura del nuovo, rendite di posizione e rimozione delle consapevolezza che la nostra condizione occidentale va a restringere le proprie condizioni di possibilità, opporranno un freno formidabile, un muro invalicabile, una resistenza forse invincibile. Il tutto certificato, rinforzato, prescritto dal longevo dominio di una ben specifica immagine di mondo fatta di Uno, semplicità ed assoluto, il canone della verità occidentale da venticinque secoli. Una immagine di mondo che vive nei testi, nei pensieri e nelle menti, un canone trasferito di generazione in generazione, ma anche un sistema immateriale intrecciato nella tradizione di pratiche spesso altrettanto immateriali che però danno vita al nostro universo materiale. Le forme, le strutture della politica, dell’educazione, dell’informazione, della socialità, del lavoro.

In questo spazio, noi spesso facciamo riferimento ad un pericolo di disadattamento. Quello che pensiamo è che il mondo reale ha subito e sta subendo una trasformazione radicale, di qualità e quantità inedita, che mai si è manifestata nella storia precedente, almeno da quando la scriviamo e ce la tramandiamo. La nostra immagine di mondo, essendo un riflesso ritardato del reale, vive ancora nella tradizione, nel tempo che è stato. Non è in grado di leggere il mondo nuovo complesso e non leggendolo, non porta conoscenza, conoscenza che è la nostra prima forma di adattamento. E’ come per quei collegamenti satellitari a lunga distanza e scarsa qualità, in cui le immagini dicono dei fatti che la voce commenta con uno scarto, con un ritardo. Cambiare questa immagine di mondo e sincronizzarne la funzione è molto difficile perché la tradizione oppone una resistenza formidabile ma anche perché ciò che l’immagine di mondo prescrive è riflesso materialmente nelle strutture del nostro mondo. Ad esempio, la logica conseguenza del dire che la conoscenza non può più essere esclusivamente mono-disciplinare e che per molti argomenti si necessita di una conoscenza consapevole molto vasta e ben distribuita presso i Molti, significa cambiare radicalmente il sistema educativo ed informativo.

Ad esempio le cattedre, i sistemi di insegnamento e quelli precedenti di formazione degli insegnanti, il significato stesso di apprendimento e sua valutazione e certificazione. Ma anche il tempo che dedichiamo all’apprensione del mondo ed alla discussione e riflessione. Intendiamo ad esempio, il fatto che lo studio, non può limitarsi alla giovinezza, dovremmo studiare tutti tutto e per sempre, travasare tempo di lavoro impiegato nella produzione (una attività che per altro non richiede più gli sforzi che si facevano nel XIX° e primo XX° secolo)  in tempo di lavoro conoscitivo. Lavorare meno, studiare di più. Dire una cosa del genere è dire una cosa del tutto inedita, per la quale non abbiamo riferimenti pratici ma neanche teorici. E’ dire una cosa che imprenditori, economisti, religiosi, finanziari, molti intellettuali che vivono dell’esclusività della loro funzione sociale, politici, ma anche molti sindacalisti e marxisti convinti che l’uomo si realizza nel lavoro materiale, realisti conservatori di varia specie e tutto il complesso delle élite sociali che deriva il proprio privilegio da come il nostro mondo è costruito, tratteranno come ridicola. Non solo non è ridicola, non solo non è impossibile, ma è strettamente necessaria per adattarci ai nuovi tempi della Grande Complessità. E’ un imperativo categorico, possiamo discutere di come farlo, non “se” farlo.

Trattare di complessità, adattamento, immagine di mondo, trasformazione del pensiero e del mondo non è cosa facile e siamo andati già lunghi. Fermiamoci qui. Il libro di Capra e Luisi è comunque un ottimo contributo per approcciare la questione per cui lo consigliamo e ne raccomandiamo la lettura. Diffondere e distribuire questo tipo di conoscenza è comunque preliminare ad ogni e qualsivoglia ulteriore passo, quindi ben vengano questi sforzi. Buona lettura.

Add comment

Submit