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il rasoio di occam

Il socialismo come limite conflittuale del capitalismo

di Nicolò Bellanca

Il socialismo è oggi una voce del movimento intellettuale e politico planetario che lotta per limitare l'espansione capitalistica nella vita personale e sociale. Si tratta di una prospettiva che non riesce però ad affermarsi ne "L'idea di socialismo" di Axel Honneth, argomenta Nicolò Bellanca in questo nuovo capitolo della riflessione avviata sul "Rasoio di Occam" intorno all'ultimo libro del filosofo tedesco

capitalismo socialismo honneth 499Il recente libro del filosofo francofortese Axel Honneth, intitolato L’idea di socialismo, è un’occasione per chiederci se e quanto resti in piedi di una delle grandi impostazioni teoriche, e di uno dei maggiori progetti politici, della modernità.[1] L’impianto teorico del volume è scontato e abbastanza condivisibile: «al determinismo storico, alla centralità del proletariato e alla rigidità dell’economia pianificata centralizzata, si sostituisce un deciso sperimentalismo storico, aperto sia riguardo alle forme economiche sia riguardo agli attori in gioco. Alla cecità giuridica e politica del socialismo tradizionale è contrapposto un progetto radicalmente democratico, giocato sulla discussione pubblica e sull’ampliamento dei partecipanti a essa».[2] In termini costruttivi, al cuore della proposta di Honneth vi è non già il valore dell’uguaglianza – come in tanti altri contributi sul tema del concetto di sinistra e/o di socialismo[3] –, bensì l’idea della libertà sociale: accanto alla libertà negativa come non-interferenza e a quella positiva come autodeterminazione, quella sociale si acquisisce soltanto in relazione con gli altri. Più esattamente, l’ideale della libertà sociale si realizza non nel rapporto dell’uno-con-l’altro (intersezione), bensì in quello dell’uno-per-l’altro (interconnessione) e, secondo Honneth, coincide, tra i principi normativi introdotti dalla Rivoluzione francese, con la fraternité o reciprocità solidale.

Tuttavia, possiamo obiettare, la libertà sociale è un ideale incapace di tener adeguatamente conto della dimensione del potere. Essa, per manifestarsi, richiederebbe una comunità nella quale «ognuno si occupi in modo disinteressato dell’autorealizzazione di ogni altro» e gli obiettivi collettivi siano tali «per cui ogni singolo li assuma come massima o come fine della propria azione».[4] Simili enunciazioni mettono i brividi, poiché rappresentano una collettività organicisticamente incapace di misurarsi con la conflittuale coesistenza di una pluralità irriducibile di fini ultimi: è questo un punto sul quale torneremo. Inoltre, non è chiaro come possa un ideale così irrealistico diventare un progetto politico: «perché mai i cittadini delle società capitalistiche odierne dovrebbero “volere” la fraternità, sostituendo l’individualismo che caratterizza il loro comportamento sociale? Perché dovrebbero volere la realizzazione della libertà di ogni altro individuo? Perché mai questo imperativo morale dovrebbe diventare il principio regolatore della società futura?».[5] La perplessità viene confermata nella parte finale del libro, dove le indicazioni riguardanti il disegno istituzionale del socialismo sono estremamente generiche e, verrebbe da dire, pre-politiche.

Offriamo qualche spunto alternativo di ragionamento, in termini succinti, semplificati e asseverativi. Primo passaggio: quelli che c’interessano sono i contenuti teorico-politici, non le etichette. Pur nella convinzione che il termine “socialismo” abbia un nobile retroterra storico, includendo l’impegno solidaristico di generazioni di militanti, e le riflessioni di grandi intellettuali critici dello status quo, non ci strapperemmo le vesti se risultasse opportuno, in termini di rinnovamento e di chiarezza, abbandonarlo.

Secondo passaggio: per definire il socialismo, non si può non prendere le mosse da una definizione del suo nemico storico, il capitalismo. Eccone una accettabile: «una società moderna che si riproduce come effetto non voluto della massimizzazione competitiva del profitto da parte di soggetti razionali, mediante un “processo lavorativo” che combina capitale privatamente posseduto con forza-lavoro mercificata, realizzando la promessa di Mandeville di volgere i vizi privati in pubbliche virtù».[6] Disporre di un concetto “spesso” di capitalismo, che non lo riduca a un’economia decentrata di mercato, equivale a comprendere da che cosa il movimento socialista vuole distanziarsi.

Terzo passaggio: il terreno teorico-politico cruciale del distacco tra capitalismo e socialismo riguarda i rapporti tra la razionalizzazione economica, che il capitalismo introduce e approfondisce, e la vita personale e sociale in ogni sua espressione, che il socialismo si batte per salvaguardare e far fiorire. Sulla linea della lezione del socialista Karl Polanyi, «la storia delle società capitalistiche dalla loro nascita può essere letta come storia dapprima dell’abolizione progressiva dei limiti che ostacolavano il dispiegamento della razionalità economica, in seguito della reimpostazione di nuovi limiti: proibizione della schiavitù, della tratta delle donne, della vendita e del lavoro dei bambini ecc., fino alla regolamentazione della durata e del prezzo del lavoro, della densità dell’habitat, delle norme igieniche, dei rifiuti inquinanti ecc. In altre parole, il problema centrale della società capitalistica, e la posta in gioco dei suoi conflitti politici, è stato, sin dall’inizio, quello dei limiti all’interno dei quali la razionalità economica deve operare».[7] Ne segue che la lotta per il socialismo è null’altro che (una parte molto rilevante del)la lotta per la «subordinazione delle attività economiche a fini e valori della vita sociale».[8] È superfluo aggiungere che ogni contesa per vincolare l’espansività sfrenata del capitalismo, è nel contempo un conflitto volto a modificare traiettorie e modelli di funzionamento del capitalismo.

Quarto passaggio: è nell’ambito della contesa appena richiamata che possiamo inquadrare le due decisive coordinate lungo cui la sinistra e la destra politica si oppongono: egualitarismo vs gerarchia e autonomia del cittadino vs eteronomia del suddito.[9] Infatti la dinamica del capitalismo genera continuamente disuguaglianze multidimensionali, tra le quali spicca quella di ricchezza, e asimmetrie di potere, tra cui spicca il rapporto tra capitale e lavoro nell’impresa; più la vita personale e sociale è pervasa da questa dinamica di disuguaglianze e asimmetrie, meno facile è, per i soggetti, resistere al comando di altri soggetti e al dominio delle strutture in cui svolgono funzioni subalterne. Contrastando l’invasione della razionalità capitalistica nei variegati percorsi della sociabilità, il socialismo si batte altresì per forme di egualitarismo sostanziale e di sviluppo integrale delle capability umane.

Quinto passaggio: nell’affrontare la lotta anticapitalistica, la teoria e la pratica politica socialista ereditano dall’Illuminismo l’idea che la società sia un prodotto umano, e che quindi sia modificabile da parte di coloro che l’hanno creata. Quest’idea è stata a lungo declinata in termini escatologici, agognando un fine e una fine della storia umana.[10] È stata inoltre a lungo associata alla spropositata ambizione di una pianificazione dall’alto dell’intero cambiamento storico-sociale.[11] Il suo senso più profondo, tuttavia, può e deve essere recuperato in termini laici. Esso suggerisce «che è possibile fare qualcosa per migliorare le cose. Ormai invece la nostra cultura è dominata dalla percezione di una deriva sociale ineluttabile della quale nessuno è veramente disposto a dichiararsi responsabile. La retorica che presenta la globalizzazione come il processo incontrollabile al quale siamo sottomessi e che nessuno può orientare in una direzione desiderabile ne è l’esempio emblematico».[12] Paradossalmente, è la cultura di destra – proprio con il progetto politico della globalizzazione neoliberista, evocato nel brano citato – che dimostra quanto ancora le odierne società complesse siano modificabili.[13] Nessuna ripresa di una cultura socialista può avvenire senza un avvertito recupero dell’idea della modificabilità di noi stessi e del nostro mondo sociale.[14]

Sesto passaggio: «il problema prioritario che si pone alle società non è quello della scarsità materiale, bensì quello della rarità simbolica, non tanto quello della penuria di cose, quanto della mancanza di mezzi per produrre senso. [...] L’obiettivo di una società pienamente democratica è di permettere ai suoi cittadini di sperimentare la pluralità irriducibile dei fini ultimi».[15] Oltre alla lotta per vincolare l’invasione economicistica della vita sociale, il socialismo non può non impegnarsi a cercare un senso dell’umana sociabilità che differisca da quello affermatosi con il capitalismo. A differenza di Honneth, questa ricerca di senso attraversa però molteplici ideali normativi, nella consapevolezza che nessuna definitiva sintesi armonica tra essi sarà mai raggiunta.[16]

Settimo passaggio: come tutti i fenomeni storici, il sistema socio-economico capitalistico scomparirà. Esistono solidi argomenti per sostenere che siamo già entrati nella traiettoria del suo declino, che potrebbe peraltro durare a lungo.[17] Tuttavia, «è un pregiudizio marxista, o meglio modernista, che l’epoca storica capitalista avrà termine soltanto quando una società nuova e migliore sarà formata e quando un soggetto rivoluzionario sarà pronto a gestirla in nome del progresso dell’umanità».[18] Come suggeriva a suo tempo il movimento socialista eterodosso Socialisme ou Barbarie, anche qui occorre un’iniezione di disincantata laicità: dobbiamo considerare la possibilità che la lotta socialista non abbia altro esito che i miglioramenti temporanei e limitati ottenuti strada facendo, senza riuscire a creare un diverso sentiero di civilizzazione.[19] Ciò ammesso, torniamo al Quinto passaggio: poiché la società è modificabile, siamo in grado di elaborare e discutere progetti di come orientarne il cambiamento. Le principali istituzioni capitalistiche – come mercati, imprese, diritti di proprietà e Stati nazionali – non costituiscono una “gabbia d’acciaio” di cui accettare supinamente l’esistenza. Esse sono invece indagabili come strutture modulari che la lotta socialista può contribuire a scomporre e riorganizzare diversamente.[20]

Ottavo e ultimo passaggio: il proletariato industriale di fabbrica non è più, se mai lo è stato, il “soggetto collettivo rivoluzionario”; malgrado ciò, nelle attuali condizioni sono identificabili e politicamente costruibili “blocchi sociali” sufficientemente coesi da animare e promuovere le lotte socialiste.[21] Peraltro, come visto al punto precedente, constatare una potenzialità non equivale a sostenere che il “blocco sociale” si stia componendo e possa avere un impatto adeguato.

Riassumendo, il socialismo – se ci piace chiamarlo ancora così – è oggi una voce del movimento intellettuale e politico planetario che lotta per limitare l’espansione capitalistica nella vita personale e sociale. Esso si distingue da altre espressioni anticapitalistiche per la visione egualitaria e libertaria, centrata sull’autonomia del cittadino e sul politeismo dei valori, e per l’impegno nel progettare “utopie concrete” quali percorsi di cambiamento istituzionale.

* Questa nota apparirà anche sul sito della rivista “Il Ponte” all’indirizzo http://www.ilponterivista.com


NOTE
[1] Axel Honneth, L’idea di socialismo. Un sogno necessario (2015), traduzione di Marco Solinas, Feltrinelli, Milano, 2016.
[2] Marco Solinas, “Sull’idea di socialismo di Axel Honneth”, Il Ponte, 23 maggio 2016, all’indirizzo http://www.ilponterivista.com/blog/2016/05/23/sullidea-socialismo-axel-honneth/ Gli argomenti critici nei riguardi del paradigma teorico-politico socialista, pur espressi in un magniloquente gergo filosofico, sono del tutto ovvi tra gli scienziati sociali critici. Sarebbe anzi un facile esercizio selezionare, da questa sterminata letteratura, contributi ben più radicali, incisivi e nitidamente espressi, rispetto alle formulazioni, non di rado contorte e allusive, di Honneth.
[3] Tra questi contributi ricordiamo Norberto Bobbio, Destra e sinistra, Donzelli, Roma, 1994.
[4] Honneth, op.cit., pp.39 e 33.
[5] Lucio Cortella, “La via normativa al socialismo. Considerazioni sul libro di Axel Honneth L’idea di socialismo”, Micromega, Il rasoio di Occam, 6 luglio 2016, all’indirizzo http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/07/06/la-via-normativa-al-socialismo-considerazioni-sul-libro-di-axel-honneth-%E2%80%9Cl%E2%80%99idea-di-socialismo%E2%80%9D/
[6] Wolfgang Streeck, “How will capitalism end?”, New Left review, 87, 2014, p.48.
[7] André Gorz, Metamorfosi del lavoro. Critica della ragione economica (1988), Bollati Boringhieri, Torino, 1992, pp.141-142.
[8] Gorz, op.cit., p.202. Il libro di Gorz è, nelle pagine qui menzionate, di forte ispirazione polanyiana; abbiamo preferito citarlo per l’efficacia della formulazione. Nella stessa direzione, possiamo dire che il socialismo è un «progetto di superamento del capitalismo e della sua de-differenziazione a dominante economico-finanziaria». Rino Genovese, “L’idea di socialismo rivisitata”, Il Ponte, 3 giugno 2016, all’indirizzo http://www.ilponterivista.com/blog/2016/06/03/lidea-socialismo-rivisitata/
[9] Vedi al riguardo Paolo Flores d’Arcais, Il disincanto tradito, Bollati Boringhieri, Torino, 1994; Marco Revelli, Sinistra Destra. L’identità smarrita, Laterza, Roma-Bari, 2007, pp.74-82.
[10] «Sebbene fossero reazioni contro l’ordine sociale esistente, le speranze secolari che ispirarono le più estreme rivoluzioni moderne non erano semplicemente, e neppure principalmente, richieste di specifici miglioramenti sociali. Esse erano portatrici di miti apocalittici». John Gray, La forza oscura (2007), Baldini Castoldi Dalai, Roma, 2009, p.38.
[11] Questa spropositata ambizione è stata il bersaglio delle acute critiche di grandi intellettuali liberali come Karl Popper o Friedrich von Hayek.
[12] Stefano Bartolini, Manifesto per la felicità, Donzelli, Roma, 2010, pp.33-34.
[13] Vedi David Harvey, Breve storia del neoliberismo (2005), Il Saggiatore, Milano, 2007.
[14] Per un’importante elaborazione teorica d’ispirazione socialista di quest’idea, vedi Roberto Mangabeira Unger, Politics (1987), Fazi, Roma, 2015.
[15] Alain Caillé, Trenta tesi per la sinistra, Donzelli, Roma, 1997, p.19.
[16] Vedi ad esempio Ernesto Screpanti, Comunismo libertario, Manifestolibri, Roma, 2007.
[17] Tra i tanti libri recenti sul tema, segnaliamo: Paul Mason, Postcapitalismo (2015), Il Saggiatore, Milano, 2016; Arun Sundararajan, The sharing economy, The MIT Press, Cambridge (Mass.), 2016. Di parere opposto è Honneth (op.cit., p.133), secondo cui «ormai sembra tramontata la fiducia in una tendenza immanente del capitalismo all’autodistruzione».
[18] Streeck, op.cit., p.46.
[19] Vedi Mario Baccianini e Angelo Tartarini, a cura di, Socialisme ou Barbarie. Antologia critica, Guanda, Parma, 1969.
[20] Per un disegno istituzionale da “utopia concreta”, vedi Nicolò Bellanca, Isocrazia. Le istituzioni dell’eguaglianza, Castelvecchi, Roma, 2016, disponibile anche come e-book all’indirizzo http://temi.repubblica.it/micromega-online/online-un-nuovo-ebook-di-micromega-%E2%80%9Cisocrazia-le-istituzioni-delleguaglianza%E2%80%9D-di-nicolo-bellanca/
[21] Vedi Nicolò Bellanca, “Un ‘blocco sociale’ per la sinistra italiana?”, Micromega, 5/2016, in corso di pubblicazione.

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