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André Gorz: cento anni avanti per chi va cento anni indietro

Dopo l'umanesimo. Etica, politica e natura umana.

di Paolo Vernaglione

immaterialeNel testo L’Immateriale. Conoscenza, valore e capitale (2003) André Gorz risolve la vexata quaestio del post-capitalismo contemporaneo, tagliando alla radice la presunta continuità tra la struttura materiale delle società occidentali novecentesche e la post-modernità. Gorz parte dalla novità più rilevante del ciclo produttivo inaugurato dall’estensione globale del liberismo: la produzione di sé, come funzione che va sostituendo definitivamente la produzione materiale di ricchezza e di senso.

La produzione di sé è infatti la “messa al lavoro” dell’intero regesto delle facoltà umane, catturato nell’ordine simbolico e non più solo psico-fisico dell’antico salariato, in cui si dissolve l’obsoleta distinzione tra tempo di vita e tempo di lavoro.

Produzione di sé significa infatti che il regime globale della produzione, da un lato si individualizza per afferrare interamente l’esistenza, non più solo la sua parte lavorativa, che anzi diviene minoritaria, dall’altra che ogni singolo essere umano entra nel flusso economico globale mettendo a frutto intelligenza, affettività, sapere e cooperazione.

Si tratta niente di meno che dell’abolizione del lavoro, che del resto era stata pronosticata da Marx ne L’ideologia tedesca, così commentata: «In questo contesto Marx definiva il comunismo come abolizione del lavoro che ha perso ogni apparenza di attività personale…».

In questa situazione «l’attività di produzione di sé è una dimensione necessaria di ogni lavoro immateriale e… questo tende a fare appello alle stesse capacità…personali delle attività libere al di fuori del lavoro…» (pag.17). Ma questa situazione è propria sia della “visione neoliberale del futuro del lavoro”, sia di chi crede che la dissoluzione del lavoro sia la premessa necessaria per un mondo alternativo. Ecco perché, continua Gorz, è necessario rivendicare il reddito d’esistenza, che sblocca l’empasse del declino inevitabile del lavoro salariato e della precarietà, “ignorata” dal neoliberismo.

«Il reddito d’esistenza ha il senso di un “attacco contro il valore lavoro”» (pag.23), poiché non esige né remunera alcunchè; cioè perché è già fuori dalla sfera di creazione di valore e sintetizza la condizione esistenziale dell’attività di autoproduzione, oggi subordinata a processi di valorizzazione. E’ la cultura che non serve a niente, scrive Gorz, a dover essere acquisita, scambiata, messa in circolazione in forma di rete, perché essa, oltre ad essere il dato di fatto delle società neoliberali, ha il potere di sottrarsi alla valorizzazione capitalista.

La fuoriuscita dalla stretta produzione-valorizzazione si realizza nel capitale immateriale che, a differenza del capitale in corso fino a tutto il XX secolo non è capitale, in quanto ha alla base non lavoro ma liberà attività potenziale, non capitale fisso ma cooperazione e soprattutto, non valore in senso economico ma conoscenze, che sono il prodotto del “commercio universale tra gli uomini”, cioè di comunicazioni non mercantili.

E’ questo lo snodo decisivo della post-modernità, la svolta della realtà immateriale, il passaggio da una dimensione economica ad una associativa della relazione sociale. La libera attività si attua nella dissolvenza delle merci. Il sapere infatti per sua natura non è merce «è anzitutto una capacità pratica, un sapere fare…La maggior parte dei saperi corporei sfugge alla possibilità di una formalizzazione»(pag.27).

Citando Christian Marazzi nel famoso Il posto dei calzini: la svolta linguistica dell’economia e i suoi effetti sulla politica (1999), Gorz scrive che il nuovo capitale fisso «non presenta le caratteristiche tradizionali del capitale fisso, è inappropriabile, indivisibile, non quantificato, diffuso”. Questo il carattere dell’immateriale, che siano conoscenze scientifiche o tecniche, brevetti o software, arte o entertainement, esso è “intelligenza generale”, cultura comune, knowledge. Il che significa che se essa è fonte di valore distrugge immensamente più «valore di quel che serve a creare». La conoscenza apre dunque ad una “economia dell’abbondanza” (altro che decrescita et similia).

La conoscenza dunque diventa capitale immateriale che è valutato senza corsi con base misurabile. Tanto è vero che il boom del credito al consumo, degli strumenti finanziari derivati e la pratica dell’indebitamento delle famiglie (Gorz scriveva dopo la crisi della new economy del 2000, ma ciò che dice è applicabile con poche variazioni all’attuale crisi dei mutui statunitensi), testimoniano l’aleatorietà della base materiale che legava produzione e consumo nella modernità.

La difficoltà è «semplicemente (quella) che c’è nel far funzionare il capitale intangibile come un capitale, nel far funzionare il capitalismo detto cognitivo come un capitalismo».
Gli è che «il capitalismo detto cognitivo è la crisi del capitalismo» (pag. 40). Da questa contraddizione nasce il “consumatore” che è stato concepito come “il contrario del cittadino”, perché la sfera pubblica in cui si instaurano relazione sociale e diritti individuali viene risucchiata nella sfera mercantile, pur non appartenendovi.

Pubblicità, advertising, logo, brand, sono i segni di questa contraddizione: «l’immagine di marca esercita una funzione di presa di potere del capitale fisso immateriale sullo spazio pubblico, sulla cultura del quotidiano e sull’immaginario sociale» (pag. 48).

Ma la pubblicità e in genere la valorizzazione di stili di vita e segmenti personalizzati di esistenza fanno scivolare l’importanza della singola merce verso il senso della “pubblicità in generale”, trasformando la funzione economica del consumatore in funzione etica.

Questa è un’altra differenza fondamentale tra l’economia immateriale e il capitalismo, già evidenziata da Naomi Klein, cioè la differenza tra valori intrinseci alla produzione di ricchezza ed estrinseci, in una spinta alla totalità dell’evento produttivo.

Prese di posizione, opzioni di valore, preferenze sono così inserite in un campo conflittuale in cui il linguaggio “è una posta in gioco centrale”, e in cui la comunicazione è la struttura della produzione.

Gorz insiste più volte sul fatto che questo capitalismo cognitivo non è un capitale nel senso usuale e che la sua funzione primaria non è la produzione di plusvalore, bensì la dissoluzione di valore in un «al di là del capitalismo, del lavoro merce e degli scambi mecantili» (pag.53). «L’economia della conoscenza” contiene dunque nel suo fondo una negazione dell’economia capitalistica di mercato. A trattarla come “la nuova forma del capitalismo” se ne maschera il potenziale di negatività» (pag. 54). Essa infatti è un valore verità, non un mezzo di produzione.

I fondamenti del reddito di esistenza, incondizionato e universale sono quindi: il fatto che sia sufficiente e non funzioni come una sovvenzione mascherata ai datori di lavoro. Che il lavoro dipendente non è più l’unica forma di creazione di ricchezza. Che l’esistenza non si riduce al rapporto salariale. «Che non si tratta di rivendicare una piena occupazione ma di sperimentare una piena occupazione della vita» (pag.72).

In quella che può essere considerata la seconda parte del testo Gorz esamina l’intelligenza e la produzione di sapere come condizione e fatto della civiltà post-umana. Qui la riflessione attraversa fenomenologia, logica, intelligenza artificiale, biogenetica, saldando le tappe importanti dell’evoluzione del sapere scientifico che culmina nell’asserzione decisiva riguardo alla potenzialità “sovversiva” dell’intelligenza comune, cioè il fatto che essa non è un programma già scritto, bensì esiste «soltanto in quanto vivente come capacità di prodursi secondo le proprie intenzioni; è questa capacità di farsi mancanza, che è alla base della capacità di creare, di immaginare, di dubitare, di cambiare, in breve di autodeterminarsi…» (pag. 91).

La piega della post-modernità è nella condizione della tecnica che «dev’essre intesa come la natura che crea se stessa mediante l’uomo» (pag. 94). Natura e tecnica perdono così la loro illusoria identità in un re-ingeneering continuo, in una dis-appartenenza possiamo aggiungere, che diviene la cifra reale e potenziale insieme di una post-umanità liberata dall’oppressione del lavoro e del potere.

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