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la citta futura

Il capitale ha riconquistato piena padronanza del sistema bancario

di Ascanio Bernardeschi

Le politiche liberiste europee, passivamente subite dall’Italia, hanno determinato lo scompaginamento del sistema bancario togliendo allo Stato la leva della politica monetaria e creditizia e ponendolo alle dipendenze della finanza. Le regole europee e le misure anti-covid non consentono di esercitare un controllo pubblico dell’economia. Lo Stato dovrebbe riappropriarsi del sistema bancario per poter indirizzare le risorse finanziarie verso obiettivi economici e sociali pianificati. Inizia con questo articolo un servizio sul sistema bancario italiano nel contesto della crisi economica

3f0dc5075701d5d5db787404ede5fb5f XLCominciamo con Marx. Nel caso del denaro dato a prestito, la forma della metamorfosi del capitale è D-D’ con D’ maggiore di D. Cioè viene messo in circolazione denaro e se ne ritrae di più di quello immesso. La valorizzazione avviene attraverso il puro movimento del denaro, senza che intervenga non solo la produzione, ma neppure la stessa circolazione delle merci. Si crea l’illusione che il denaro possa sgorgare da sé stesso e moltiplicarsi alla stregua dei pani e dei pesci di evangelica memoria. A chi si ferma a questa manifestazione fenomenica diviene invisibile la circostanza che il guadagno del capitalista finanziario è solo una quota del plusvalore complessivo, cioè lavoro non pagato, estratto nei settori produttivi e ripartito fra tutti i capitalisti, compresi quelli operanti nei settori non produttivi. Si raggiunge quindi con questa forma il culmine del feticismo del denaro.

La sezione finanziaria del capitale è anche quella che meglio di tutte rappresenta la pulsione del capitalista all’autoaccrescimento della ricchezza astratta, a prescindere dai modi con cui tale valorizzazione si realizza. Perciò non è sorprendente se nelle formazioni economiche in cui predomina il modo di produzione capitalistico, cioè nella maggior parte del globo, tutto si sacrifica agli interessi del capitale finanziario, compresi, il debito “sovrano”, che sovrano non è, trascinato fino ai limiti dell’ingovernabilità (e talvolta anche oltre), e le stesse istituzioni democratiche, regolarmente soggiogate alle sue esigenze.

Non va dimenticato però che le banche hanno oggettivamente un ruolo di primissimo piano nel sistema economico in virtù della loro capacità di determinare l’allocazione delle risorse finanziarie fra i vari rami economici e le varie imprese, attraverso le loro decisioni di finanziamento.

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lafionda

Derivati di Stato: quando Mario Draghi svendette l’Italia alle banche d’affari

di Thomas Fazi

draghicattivoMario Draghi, nel suo recente e molto discusso intervento al Meeting di Rimini (che abbiamo già trattato qui), ha ribaltato una delle architravi della narrazione euro-austeritaria dell’ultima decennio (avallata dallo stesso Draghi), quella dell’imperativo assoluto della riduzione del debito pubblico, costi quel che costi in termini economici e sociali (per maggiori informazioni citofonare alla Grecia), sostenendo che l’attuale fase storica «sarà inevitabilmente accompagnata da stock di debito destinati a rimanere elevati a lungo». Insomma, contrordine compagni: il debito pubblico non è più il male assoluto, ma anzi l’aumento degli stock di debito è una necessità impellente per evitare «una distruzione permanente della capacità produttiva e quindi fiscale, [che] sarebbe ancora più dannosa per l’economia», come ha dichiarato qualche mese addietro in un’altra occasione.

Allo stesso tempo, però, Draghi si è affrettato a specificare che bisogna distinguere tra “debito buono” e “debito cattivo”, laddove il primo è quello “produttivo”, quello cioè, se decodifichiamo il gergo draghiano, che piace ai mercati finanziari, ovverosia che genera ritorni economici al capitale privato nel breve periodo, mentre il secondo è quello cosiddetto “improduttivo”, ovverosia quello che, nella migliore delle ipotesi, pur generando rendimenti sociali di lungo periodo potenzialmente molto benefici per la società nel complesso – laddove venisse utilizzato, poniamo, per aumentare le assunzioni e le retribuzioni di medici e insegnanti –, non offre rendimenti economici nel breve termine. Insomma, non siamo di fronte a nessuna conversione sulla via di Damasco, come hanno sostenuto alcuni; più banalmente, cambiano gattopardescamente le parole (“debito” al posto di “austerità”) affinché non cambi nulla: la visione del mondo e della società che sottende le parole di Draghi, e gli interessi che quest’ultimo rappresenta, sono gli stessi di sempre.

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sbilanciamoci

Il labirinto del debito pubblico e privato in Italia

di Roberto Artoni

Come ha ricordato il governatore della Banca d’Italia, l’Italia ha un forte debito pubblico, ma poco debito privato: nell’insieme ha una posizione più solida di altri paesi europei. Una mappa per non perdersi nel labirinto del debito, della finanza pubblica, delle politiche di bilancio

BANCONOTE MONETE EURO LABIRINTO FOTOLIA kWR 258x258IlSole24Ore WebNelle Considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco sul 2019, un passo è dedicato al confronto fra la situazione debitoria del nostro Paese e quella di altri Paesi dell’area euro. In particolare, nelle parole del governatore, “la posizione netta sull’estero dell’Italia ha raggiunto un sostanziale equilibrio”. “La ricchezza netta, reale e finanziaria delle famiglie italiani è elevata. Il debito delle famiglie è basso nel confronto internazionale ed è concentrato presso i nuclei con una maggiore capacità di sopportarne gli oneri“. “Nel complesso il debito era pari al 110 cento del Pil, oltre 50 punti in meno del valore medio dell’area dell’euro”.

Nella figura qui sotto è rappresentato il debito pubblico e privato in percentuale del prodotto interno di vari Paesi. Il debito pubblico italiano è pari al 130 % del Pil, contro poco meno del 100 % di Francia e Spagna; è invece sensibilmente inferiore in Olanda e Germania (intorno al 50 %). Il quadro è radicalmente diverso se si esaminano i debiti finanziari delle famiglie e delle imprese. In Olanda si raggiunge lo straordinario livello del 250 %, in Francia il 200 %, il 150 % in Spagna; infine, Italia e Germania si collocano intorno al 100%.

Questi dati devono essere ulteriormente elaborati se si vuole ottenere una descrizione più precisa della situazione finanziaria dei diversi Paesi, e individuare le opzioni di politica economica e istituzionale appropriate.

E’ mia opinione, infatti, che le analisi correnti tutte concentrate sul rapporto debito pubblico prodotto interno non rappresentino in modo compiuto la situazione finanziaria o le prospettive economiche e finanziarie che possono derivarne.

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la citta futura

E allora, viva, viva il debito!

di Raffaele Picarelli

Dopo decenni di dogmi, in tempo di crisi cade la maschera: il denaro di chi paga le tasse serve per socializzare le perdite dei profittatori privati. Ma una volta sanata l’azienda, lo Stato si levi di mezzo

13cf665de00e3d3ffc61de183a9459cd XLIl grido di dolore

Non è tempo di guardare al debito (pubblico)! tuona Mario Draghi al “Financial Times” il 25 marzo scorso. Non è tempo di guardare al debito (pubblico)! gli fa eco il 29 aprile scorso il governatore della Fed Jerome Powell. Ma come? Per circa quarant’anni essi e i loro predecessori ci hanno martellato sulla necessità inderogabile di tenere i conti pubblici in equilibrio! Allora era tutto uno scherzo? No, era semplicemente lotta di classe: il liberismo e il monetarismo degli ultimi quarant’anni è stato il volto feroce del dominio capitalista nel mondo.

Il ‘rigore’ dei conti è stato il totem ideologico da cui è partito un poderoso attacco per lo sfruttamento planetario e senza limiti dei subalterni; per la massiccia riduzione (spesso scomparsa) di diritti, salari, servizi sociali; per l’estrazione massiccia di plusvalore e per l’appropriazione capitalistica della massa dei profitti. Ora, al tempo della Pandemia, dello sconvolgimento della società capitalistica, serve il denaro pubblico, il denaro di chi paga le tasse (ben sappiamo chi è), per salvare il sistema. E non solo il denaro pubblico di ora, ma dei prossimi anni (almeno 12 a leggere il DEF governativo approvato nei giorni scorsi dalle Camere).

E allora, viva, viva il debito! Soldi e capitali pubblici subito! Lo dicono tutti: imprese, governi, istituzioni economiche nazionali e internazionali. In tanti gridano spaventati che la base produttiva e fiscale potrebbe saltare, la società entrare in dinamiche fuori controllo, la riproduzione capitalistica avviarsi verso una crisi ingovernabile. Per queste ragioni, gridano fra i molti Carlo Messina, amministratore delegato di Banca Intesa, e Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, è ineludibile una rapida e mastodontica socializzazione delle perdite private.

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vocidallestero

Monetizzazione del debito: niente panico

di Olivier Blanchard e Jean Pisani-Ferry

In un articolo su VoxEU inusitatamente chiaro, Olivier Blanchard (ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale) e Jean Pisany-Ferry (già consigliere del governo francese) spiegano la monetizzazione del debito. L’emissione di moneta da parte di uno Stato è uno strumento assolutamente naturale per fronteggiare determinate circostanze, ed è già stato esplicitamente dichiarato da Gran Bretagna e Stati Uniti. Anche l’eventualità (assolutamente remota al momento) di un episodio inflattivo potrebbe essere considerata accettabile per la riduzione del peso del debito. Questo articolo contribuisce (confermando quello che nel dibattito in Italia abbiamo sentito in modo forte e coerente solo da Borghi e da Bagnai) a distruggere molti dogmi sulla moneta, il debito e il finanziamento pubblico, e apre anche a una monetizzazione del debito nell’Eurozona, caratterizzata dalla condivisione del rischio sui diversi titoli sovrani, sulla quale tuttavia, dicono i due economisti, non ci dovrebbero essere motivi di panico

bankofengland2 854x540Le operazioni straordinarie che sono in atto nella gran parte dei paesi in risposta allo shock da COVID-19 hanno fatto sorgere il timore che una monetizzazione del debito su ampia scala finisca per innescare un grande episodio inflattivo. Questo articolo sostiene che, fino a ora, non ci sia evidenza che le banche centrali abbiano rinunciato o si accingano a rinunciare al loro mandato sulla stabilità dei prezzi. Sebbene ovviamente sia il caso di prestare attenzione, le banche centrali stanno facendo la cosa giusta e gli autori di questo articolo non vedono alcuna ragione di panico.

In risposta alla crisi sanitaria, in molti paesi sono in atto operazioni straordinarie (Baldwin e Welder di Mauro, 2020). Sono stati avviati programmi di sostegno fiscale di portata eccezionale, e spesso a tempo indeterminato, e vengono accompagnati da acquisti altrettanto eccezionali di titoli di stato. Nel Regno Unito, il Tesoro e la Bank of England, hanno annunciato la riattivazione temporanea di un programma che rende possibile il finanziamento diretto della spesa pubblica da parte della banca centrale.

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seminaredomande

Moneta a debito o NON a debito?

di Francesco Cappello

debito pubblico lira 1 640x342Uno scudo a protezione del risparmio privato e del Paese

Perché chiedere pericolosissimi prestiti internazionali se in casa nostra abbiamo risorse sufficienti ad affrontare la crisi sistemica in atto ed organizzare la rinascita del paese? Per chi non lo sapesse, noi italiani, abbiamo un risparmio privato pari a quasi il doppio del debito pubblico! 4200 miliardi da impiegare virtuosamente, proteggendoli allo stesso tempo, ed efficacemente, da instabilità finanziarie e dalla normativa bail-in introdotta dall’unione bancaria europea. Esiste un preciso piano di attacco al risparmio italiano da parte di certa finanza a cui è necessario non prestare il fianco. Esso va protetto e valorizzato secondo i dettami della Costituzione che al primo comma dell’art. 47 afferma: la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Lo si può fare tramite l’emissione di titoli di Stato: “buoni di solidarietà e protezione“ riservati al risparmio nazionale secondo la proposta originale di G. Grossi. Non farlo nelle condizioni attuali del paese sarebbe una scelta criminale.

 

Moneta nazionale o economia di puro debito?

Come dice l’ex Presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan: uno Stato che emette la propria valuta, ha zero possibilità di fallire.

Oggi, alla categoria dei debitori appartengono non solo famiglie e imprese ma interi popoli e le loro organizzazioni statali.

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sollevazione2

Monete complementari: una critica

di Leonardo Mazzei

writer ideas 1080x675Commentando un mio articolo sui CCF (Certificati di Credito Fiscale), un nostro lettore — Dianade — così scriveva il 6 gennaio scorso:

«Lo so che c'é tanta informazione in rete su minibot e CCF, però che io sappia non c'é nessuno studio che faccia dei raffronti e spieghi le differenze tra l'uno e l'altro e tutte le implicazioni.

E non solo tra questi due, c'é anche la proposta di Mazzei dei BTP famiglia, c'é quella di Conditi, di Zibordi, la moneta parallela, etc. Io non mi ci raccapezzo. Credo che anche molti altri».

Senza nessuna pretesa di completezza, tantomeno dal punto di vista tecnico, proverò a dare una risposta a questa giusta domanda di Dianade.

Prima di entrare nel merito voglio però ricordare due cose. In primo luogo, la mia critica ai sostenitori dei CCF nasce dalla loro recente, ma rivelatrice proposta di mandare Mario Draghi a Palazzo Chigi, incoronandolo come Re Salvatore del Paese. In secondo luogo, chi scrive non è affatto contrario all'idea di una moneta complementare, ma non pensa proprio che la si possa realizzare senza infrangere le regole europee e senza scontrarsi con l'oligarchia eurista al gran completo. Rimando dunque a quanto ho scritto nell'articolo della settimana scorsa:

«Senza dubbio — non entrando qui nel merito delle sue possibili forme — essa (la moneta complementare) potrebbe rivelarsi utile e per certi aspetti addirittura necessaria. Ma utile e necessaria solo nel quadro di un percorso che ci porti alla vera sovranità monetaria, cioè all'uscita dall'euro».

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paginauno

Derivati finanziari: salvare il sistema per non cambiarlo

di Giovanna Cracco

e038b646089baa1744b7c556939e66a0 kUDF 835x437IlSole24Ore WebDerivati finanziari. Li abbiamo conosciuti nel 2007, non come la miccia che ha innescato la crisi dei subprime ma la benzina che ha trasformato l'esplosione di una bolla in un enorme incendio, poiché erano il liquido su cui galleggiava il sistema finanziario mondiale. Per qualche tempo sono stati sulle pagine dei quotidiani, economici ma non solo, nel tentativo di capire cosa fosse accaduto, dopodiché sono tornati nell'ombra nella quale vivono e proliferano. Hanno di nuovo fatto una fugace comparsa l'estate scorsa, quando Deutsche Bank ha presentato il piano di ristrutturazione per non fallire - creazione di una bad bank dove scaricare i titoli spazzatura e licenziamento di 18.000 persone sugli attuali 91.700 dipendenti - con un numero che è difficile afferrare perché sfugge alle scale di grandezza a cui riusciamo a dare un significato: 48.000 miliardi di euro è il valore nominale dei derivati oggi detenuti dalla banca tedesca (1). Per inserire la cifra in un discorso di senso, il Pil italiano nel 2018 è stato di 1.753 miliardi, pari dunque al 3,65% dell'ammontare dei derivati della Deutsche Bank. Una sola banca possiede titoli finanziari per un valore nominale equivalente a più di 27 volte il prodotto interno lordo di un Paese di 60 milioni di abitanti, la settima potenza manifatturiera al mondo. E questo all'alba di una recessione economica e in una fase di bolle sui mercati (2). Significa che dal 2007 nulla è cambiato? Qual è oggi la situazione nell'universo parallelo dei derivati finanziari?

Future e opzioni sono esistiti fin dalla seconda metà deN'800: al Chicago Board of Trade si scambiavano quelli sul grano per tutelarsi dalle variazioni di prezzo dovute alla ciclicità della produzione e per un secolo furono legati solo alle commodities

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economiaepolitica

Verso la moneta digitale pubblica

L’audacia di Christine Lagarde e la prudenza di Mario Draghi

di Enrico Grazzini*

moneta digitale libera 640x449Christine Lagarde, attuale direttore del Fondo Monetario Internazionale e prossimo Presidente della Banca Centrale Europea, vorrebbe che le banche centrali adottassero rapidamente sistemi di emissione di monete digitali aperte al pubblico, ai cittadini e alle aziende, mentre Mario Draghi, l’attuale presidente della BCE, è assai più prudente e afferma che la BCE non ritiene ancora opportuno sviluppare progetti sulla moneta digitale aperta a tutti.

Sarà interessante capire se Lagarde alla BCE avanzerà concretamente nella direzione che lei stessa ha indicato nella veste di direttore del FMI. Se procederà nella rotta che ha tracciato muteranno radicalmente non solo le funzioni della BCE ma anche tutto il sistema bancario e finanziario. Si verificherà una vera e propria rivoluzione monetaria.

Finora praticamente solo le banche possono detenere conti presso la Banca Centrale che, appunto, viene chiamata “banca delle banche”. La politica monetaria delle BC passa quindi solo per il canale bancario e la nuova moneta viene quindi emessa e distribuita al pubblico principalmente come “moneta bancaria”, ovvero come moneta-debito per chi la riceve in prestito con l’impegno di restituirla con gli interessi. Le banche commerciali possono “creare moneta dal nulla” concedendo prestiti, come ha spiegato chiaramente la Bank of England[1], e il 90% circa della moneta totale in circolazione è moneta bancaria. Anche le banconote – che sono l’unica moneta legale e l’unica moneta che la BC emette per il pubblico – vengono distribuite dalle banche solo a chi ha già un conto corrente bancario. In pratica sono le banche commerciali a dominare il circuito e la circolazione della moneta nell’economia. Le BC possono condizionare l’attività bancaria soprattutto grazie alla fissazione del tasso di interesse principale, cioè del prezzo imposto dalla BC sulla moneta di riserva delle banche.

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micromega

Perché le critiche del prof. Perotti alla “moneta fiscale” sono sbagliate

di Enrico Grazzini

moneta fiscale 510 lGentile prof. Roberto Perotti,

vorrei approfondire la discussione sulla cosiddetta “Moneta Fiscale” che lei ha criticato nel suo scritto “La sirena della moneta fiscale[1] pubblicato sul sito web lavoce.info, e desidero dimostrare che le sue obiezioni e le sue tesi sono fallaci.

Nel suo articolo spiega che

La moneta fiscale è essenzialmente un Certificato di Credito Fiscale (CCF), cioè un titolo emesso dallo stato che può essere usato, alla scadenza, per pagare tasse, multe, ed altre obbligazioni finanziarie verso lo stato, per un valore pari al valore facciale del titolo stesso. Il titolo è trasferibile a terzi”. Lei sostiene che la moneta fiscale è un tentativo di “aggirare il monopolio della produzione di moneta da parte della Bce, senza dover uscire dall’euro”.

Ma a suo parere questo tentativo è inefficace e sbagliato perché la moneta fiscale non sarebbe affatto diversa da un normale titolo di debito pubblico, per esempio da un BOT e quindi, come tale, provocherebbe un incremento di deficit pubblico. Ne deriva logicamente che l'emissione di moneta fiscale produrrebbe uno sforamento dei parametri fissati dall'Unione Europea, e che l'aumento del debito pubblico potrebbe perfino portarci fuori dall'euro. Da qui -secondo lei - il sostanziale fallimento della proposta di Moneta Fiscale.

Io vorrei dimostrarle che le sue tesi sono quasi totalmente sbagliate. Le mostrerò che, contrariamente a quanto lei indica nel suo scritto, grazie all'emissione di Titoli di Sconto Fiscale il governo italiano può fare crescere rapidamente e notevolmente l'economia reale senza fare deficit, anzi diminuendo il rapporto debito pubblico/PIL. Tutto questo rispettando necessariamente le (peraltro rigide, antiquate e restrittive) regole dell'eurozona e della UE.

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micromega

Come l’helicopter money potrebbe rilanciare l'economia italiana

di Enrico Grazzini

BlackRock e il Financial Times suggeriscono l'helicopter money: anche il ministro dell'economia Gualtieri dovrebbe “mettere soldi direttamente nelle tasche degli italiani”

helicopter moneyLa Banca Centrale Europea di Mario Draghi, dopo il parziale fallimento del primo Quantitative Easing, ritenta un secondo QE, seppure tra molti contrasti – Germania, Francia e Olanda non vorrebbero questo QE - e parecchie perplessità degli investitori sulla riuscita dell'operazione. Il problema è che con il QE la BCE ha stampato una montagna di moneta solo a favore delle banche (2,6 triliardi) e ha congelato il debito degli stati ma non è riuscito ad aumentare l'inflazione, e soprattutto non ha rilanciato l'economia reale. Le banche dell'eurozona scoppiano di liquidità ma non offrono abbastanza credito a una economia già troppo indebitata. Un mezzo fallimento. Draghi invoca allora un forte aumento degli investimenti pubblici per rilanciare l'eurozona sulla soglia della recessione. Ma è molto difficile che la Germania e i Paesi del nord Europa decidano una forte espansione della spesa pubblica. Così la liquidità monetaria continua a mancare nell'economia reale. La soluzione, come suggeriscono fonti autorevolissime, come BlackRock e il Financial Times, è l'Helicopter Money: con l'HM la BCE dovrebbe offrire soldi direttamente ai cittadini, alle imprese e agli enti pubblici e non più solo alle banche. Il presidente della BCE ha affermato però che “l'ipotesi di Helicopter Money non è stata mai discussa alla Bce” e che l'HM non è necessario. Tuttavia in questo articolo suggerisco che il ministro dell'economia del governo Conte-2 Roberto Gualtieri potrebbe (e dovrebbe) attuare urgentemente l'HM per risollevare l'economia italiana emettendo titoli/moneta per metterli direttamente nelle tasche degli italiani. Tutto questo senza aumentare il deficit pubblico e nel pieno rispetto delle regole dell'eurozona.

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contropiano2

Verso la guerra delle monete

di Italo Nobile

Dollaro e YuanTeoria e critica delle politiche economiche e monetarie dello sviluppo” (Roma, 2019, Efesto Edizioni) è il secondo volume del Trattato di Critica delle Politiche per il Governo dell’Economia dove Luciano Vasapollo e Joaquin Arriola (con la collaborazione di Rita Martufi, Pasqualina Curcio e Ramiro Chimuris) adattano ad un quadro in tumultuosa evoluzione le categorie marxiste rielaborate da Luciano Vasapollo nel “Trattato di Critica Dell’Economia Convenzionale”. Nel Prologo Atilio Boron fornisce la cornice in cui questa analisi viene svolta.

Nell’introduzione invece Vasapollo e Arriola dichiarano di voler fornire un punto di vista critico ai principali approcci alla Politica Economica Internazionale (PEI) soprattutto verso gli analisti come Nye e Haas che fanno dipendere questa visione dalla teoria delle Relazioni Internazionali (RI).

Nel primo capitolo “La trasformazione dal capitalismo internazionale” Vasapollo e Arriola esaminano la dinamica di questi duecento anni di capitalismo individuando uno dei fattori di stabilità nel dominio delle relazioni internazionali da parte del mondo anglosassone (prima GB e poi gli Usa) che ha respinto le pretese sia della Francia, sia della Germania. Nel XXI secolo la Cina punta alla costruzione di una nuova leadership globale, sostituendo gli Usa come primo partner commerciale in molti paesi. Il deficit commerciale Usa sia pure leggermente diminuito è in buona parte concentrato rispetto a pochi paesi (Cina, Messico, Germania, Giappone) provocando una fragilità strutturale degli Stati Uniti relativamente alla posizione di dominio globale che essi vogliono mantenere.

Negli anni Novanta il loro predominio militare ha salvaguardato una dominazione economica basata sempre più sulla moneta e sulle finanze. Si tratta di un segno di stagnazione di un ciclo storico di egemonia.

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marx xxi

SottoZero

Scenari controversi: quanto positivi possono essere i tassi negativi?

di Francesco Cappello

Riceviamo da Francesco Cappello, autore del libro "Ricchezza fittizia povertà artificiosa. Paradigmi economici", questo interessante articolo sulla fase economica

Yugoslav Army entering Trieste May 1945 Source http wwwstarerazglednicePro e contro il tasso negativo. Un mondo capovolto

Accendere un mutuo a tasso negativo significa che sarai tenuto a rimborsare un pò meno del capitale preso in prestito! Vi sareste mai aspettati che una Banca privata potesse proporre alla propria clientela mutui a 10 anni a tasso fisso negativo come ha cominciato a fare Jyske Bank (- 0,5%) che peraltro non è sola in questa apparente follia. Nordea Bank, ad esempio, vi permette la stipulazione di mutui per acquisto casa a 20 anni, allo 0% e prestiti con tassi negativi fino a 30 anni!

Comprare denaro è diventato assai conveniente. Ti permettono di restituire meno di quanto hai preso in prestito. Sembra un miracolo, non vi pare? (1)

Le banche accettano una piccola perdita rinunciando, apparentemente, alla remunerazione del capitale e quindi del servizio prestato. La ragione ufficiale sarebbe che prestare denaro a tassi elevati è divenuto rischioso, nel senso che i clienti della banca, nel caso in cui non riuscissero a rimborsare il prestito, rischierebbero di infliggerle una perdita maggiore di quella più contenuta nel caso in cui viceversa la banca accetti di praticare tassi sotto lo zero.

Ci si potrebbe chiedere come fa a sopravvivere una banca che non prende interessi ovvero come funziona la contabilità bancaria o quali altri attività remunerano il suo operato? Ecco, il fenomeno in atto, se non bastassero tutte le prove ed evidenze sul funzionamento delle banche e della creazione di moneta scritturale dal nulla, ce ne propone una di grande evidenza empirica, ormai sotto gli occhi di tutti. È il caso di dire che la contabilità bancaria, è venuta ormai allo scoperto… Quando la banca crea moneta scritturale dal nulla, tramite prestiti a interesse positivo, si comporta come un falsario legalizzato con l’aggravante (rispetto al falsario) di aggiungere al reddito monetario, derivante dalla creazione di moneta dal nulla, gli interessi.

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utopiarossa2

La moneta mondiale privata

di Riccardo Petrella*

iu 1L’annuncio della creazione di una moneta mondiale digitale privata il Libra, da parte di Facebook e 27 altre maggiori imprese multinazionali (statunitensi) (1) non ha fatto bomba. Nel comunicato ufficiale della Facebook si legge «Tramite Calibra, si permetterà di rispamiare, inviare e pagare con Libra. (…) Calibra permetterà di trasferire dei Libra a qualunque persona dotata di uno smartphone in maniera altrettanto facile e istantanea che inviare un sms , a basso costo, gratuitamente. Nei tempi consentiti, speriamo offrire dei servizi supplementari ai particolari e alle imprese, come pagare delle fatture premendo solo su un bottone, comprare un caffé o utilizzare i trasporti pubblici senza denaro e senza biglietto».

Non ha suscitato nessun scalpore, nè reazione di massa, né dibattiti nazionali e internazionali al di fuori dei circoli degli addetti al lavoro. Le reazioni non sono mancate, ma è come se si fosse trattato di un fatto di cronaca. L’assenza di sorpresa da parte della gente non meraviglia. Le reazioni delle autorità pubbliche e monetarie sollevano molti interrogativi.

 

Un fatto normale ?

A proposito di « moneta mondiale » è evidente che dopo più di quarantanni di bombardamento mediatico e politico sulla nuova grande era della globalizzazione dell’economia , del commercio, dei trasporti, dell’informazione e comunicazione, delle imprese e della finanza, la crezione di una moneta mondiale (per il momento, mezzo di pagamento e di trasferimento di denaro) non costituisce una novità, ma è percepita come la concretizzazione di una necessità, di un’evoluzione naturale dell’economia di mercato globalizzata. Le economie nazionali hanno dato la nascita alle monete nazionali, l’economia mondiale crea la moneta mondiale.(2)

La stessa osservazione di « normalità » vale per la « moneta digitale ». Tutto sta diventando digitalizzato, specie nel mondo dell’informazione e della comunicazione, in tutti i campi della realtà , beninteso virtuale compresa. Da anni, la moneta metallica ed ora quella cartacea è in via di abbandono.

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coniarerivolta

Clamoroso: la Germania ha fatto default, ma non è successo niente

di coniarerivolta

diapositiva1 1Da oltre vent’anni a questa parte, il dibattito politico è costretto a muoversi negli angusti spazi del pareggio di bilancio: qualsiasi opzione politica deve confrontarsi con il paradigma della scarsità delle risorse che, secondo i paladini dell’austerità, caratterizzerebbe il funzionamento di un’economia sana. Ci viene spiegato ogni giorno che quel paradigma non ce lo impone l’Europa, con i suoi vincoli al deficit e al debito pubblico, ma deriva dalla razionalità dei mercati: se ti indebiti troppo perdi la credibilità dei mercati e nessuno è più disposto a finanziare il tuo debito pubblico. È lo spettro del default, agitato in ogni discussione politica per tenere a bada le istanze di progresso sociale: non possiamo aumentare le pensioni, non possiamo costruire nuovi ospedali, non possiamo garantire la piena occupazione perché non ci sono i soldi, e se non tieni i conti in ordine ti ritrovi – questa la minaccia ricorrente – in bancarotta. L’incubo degli statisti di ogni colore politico sarebbe dunque quello di scatenare l’ira dei mercati, e cioè di ritrovarsi senza più nessuno disposto a prestare i soldi allo Stato. L’austerità, in questa narrazione, è la medicina amara ma necessaria: tagliare diritti, salari e stato sociale non piace a nessuno, ma dobbiamo farlo per evitare un baratro di nome default.

Nel disinteresse generale, pochi giorni (esattamente, il 10 luglio 2019) fa si è verificato un piccolo ma significativo fatto, una curiosa circostanza che dimostra plasticamente l’infondatezza di tutto questo terrorismo sul debito pubblico. Ironia della sorte, lo spettro del default – o, per dirla più semplicemente, del fallimento, della bancarotta – è apparso dove meno te lo aspetti: un’asta di titoli del debito pubblico della virtuosa Germania ha registrato una domanda di bund (così sono chiamati i titoli di Stato tedeschi) inferiore alla quantità offerta dal Governo. A fronte di 4 miliardi di euro di titoli di Stato tedeschi offerti al mercato, sono pervenute domande per 3,9 miliardi. Il risultato? Come avrete notato, non è successo assolutamente nulla. Capire perché un’asta scoperta non produce alcun default può aiutarci a sfatare alcuni miti sul debito pubblico e, soprattutto, a ricollocare tutti questi fenomeni economici nella dimensione politica che gli è propria, l’unica entro cui possono essere compresi. Ma andiamo con ordine.