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geopolitica

Ciò che è non appare, ciò che appare non è

Gianfranco La Grassa

geopL’unica cosa che appare pressoché sicura è che Renzi, (vedi qui e qui) appena rientrato dagli Usa e dopo il duetto con Obama, ha l’appoggio di quest’ultimo per entrambe le posizioni prese. Tuttavia, sappiamo che in merito ai due problemi, gli Stati Uniti sono decisamente contrari all’austerità e alla rigida posizione della UE (e soprattutto della Germania) in merito – così come si era già riscontrato all’epoca della grave crisi greca – e manifestano una dura contrapposizione alla Russia sia per l’Ucraina che per la Siria; per cui, sono favorevoli alle (anzi sono promotori delle) sanzioni economiche verso Mosca, considerata l’aggressore, esattamente come espresso dalla Merkel (“Chiediamo la fine degli attacchi. Non solo abbiamo detto che potremmo imporre sanzioni alla Siria, ma anche sanzioni contro tutti gli alleati della Siria. Questo si applica alla Russia).

Se fossimo affetti da quel rozzo economicismo attribuito, sbagliando di grosso, a Marx, potremmo dire che Renzi è spinto all’attenuazione del suo atteggiamento anti-russo dalla situazione difficile in cui verrebbero a trovarsi alcuni settori produttivi italiani che esportano in Russia. Troppo semplice a mio avviso. Non c’è un solo attore sulla scena politica mondiale che dica effettivamente quel che pensa e il cui gioco persegua gli scopi apparentemente voluti. Questo è abbastanza normale in politica e in ogni tempo; tuttavia, in periodi come questi, data la sempre accentuata subordinazione alla potenza predominante, le manovre dei paesi europei hanno un superiore tasso di ambiguità e autentico inganno.

La Merkel, cioè l’attuale governo tedesco, non ha evidentemente gli strumenti e le pedine giusti per essere meno dipendente dagli Usa; nemmeno ha, però, governanti con una vera personalità e chiarezza di intenti e di visione internazionale. La Germania ha comunque apertamente osteggiato il TTIP (voluto dagli americani) e, all’inizio, sembrava non proprio soddisfatta delle sanzioni alla Russia; ben 15 sue grandi imprese (fra cui la Siemens) si incontrarono segretamente con i russi per aggirarle (e poi fecero in modo che un giornale rivelasse il tutto). Oggi invece tale paese sembra prendere una posizione eccessivamente dura verso quel paese. Il governo italiano ha invece appoggiato il TTIP; e tuttavia, dopo la sfacciata sottomissione a Obama, Renzi si lancia in dichiarazioni non eccessivamente rigide in merito alle sanzioni anti-russe che, mi sembra, dovrebbero essere sospese (in tutto?) da gennaio. Gli Stati Uniti hanno più volte manifestato il loro malcontento per l’atteggiamento tedesco in generale e, con il loro appoggio a politiche economiche meno austere, intendono contrastare il predominio tedesco in Europa. Nel contempo, chiudono un occhio di fronte al blando atteggiamento italiano verso la Russia. Qualcuno si porrà qualche domanda o si è al contrario così “ingenui” da pensare che Renzi, subito dopo la manifestazione di aperta sottomissione agli Usa e dopo aver ricevuto da questi uno speciale riconoscimento, si metta a fare l’indipendente?

Tornando alla politica tedesca, quel governo accetta d’essere piuttosto miope e sgradevole, passibile di malcontenti e critiche anche da parte di altri paesi europei, pur di mettere in condizioni di grande difficoltà l’Italia. Il nostro paese non rappresenta affatto per i tedeschi un antagonista credibile rispetto al loro desiderio di supremazia in Europa; l’Italia è semplicemente una succube pedina del vero predominante, in grado di imporre la sua volontà anche alla Germania, che s’inchina quindi nel prendere alcune rilevanti decisioni di politica estera nel senso voluto dagli Usa, ponendo tuttavia qualche intralcio alla piena subordinazione europea in altri ambiti. In fondo, per fare un esempio, il TTIP non è solo una manovra economica; ricorda invece quella politica voluta dall’Inghilterra nell’800 (utilizzando le teorie ricardiane del libero commercio internazionale, allora avversate da List) per ostacolare la crescita di potenza della Prussia (cioè Germania dal 1871) e soprattutto della loro ex colonia, appunto gli Stati Uniti, che si liberarono da ogni dipendenza con una bella guerra civile costata oltre un milione di morti.

Il gioco contorto, che si sta oggi giocando in una situazione in cui altre potenze iniziano ad infastidire seriamente gli attuali predominanti, è assai complicato e nascosto nei suoi reali intenti. Vediamo se si riesce a capirci qualcosa. Bisogna però liberarsi di ogni semplicismo interpretativo e capire che, in situazioni così intricate come l’odierna, la politica assume in pieno tutta la sua doppiezza e si carica di menzogne e di falsi obiettivi, che ritardano la resa dei conti finale perché è indispensabile arrivare ad un mutamento profondo della situazione “sul campo” prima di affrontarla. Oggi gli Stati Uniti sono ancora troppo forti e le altre potenze – non più semplicemente “in nuce” tuttavia – devono fare e rifare le loro mosse per portarsi verso una “angolazione d’incidenza” tale da poter infine tentare di scalzarli dalla loro posizione di preminenza. Chi non capisce questo (o finge di non capire), sostiene che Renzi sta facendo almeno una cosa buona. No, è invece pessima, ha avuto il consenso di farla proprio dal suo padrone. Vediamo un po’.

Intanto, riporto questo bell’articolo: qui. Foa capisce che Renzi sta giocando a favore degli Usa al fine di scalzare la Germania da quella posizione – la prima in Europa, pur restando però pur sempre nella sfera d’influenza americana – dalla quale essa, rafforzandosi con l’indebolimento delle più servili pedine filoamericane (del tipo del governo italiano), potrebbe poi tentare un graduale spostamento dei suoi rapporti verso est (Russia in specie). Dobbiamo però a questo punto compiere un lungo détour.

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Torniamo alla seconda guerra mondiale. Per una serie di fattori, che dovranno completamente essere storicamente ristudiati e rivisti, si uscì da quel sanguinoso confronto con il totale ridimensionamento di Inghilterra, Francia e naturalmente Germania, paesi ormai succubi della sfera d’influenza degli Usa, che finanziarono anche ampiamente quei settori sedicenti antifascisti e falsi europeisti, in realtà completamente piegati alla subordinazione a quel paese. Per gli eventi della guerra – ma soprattutto per la lungimirante politica seguita negli anni trenta dal gruppo dirigente staliniano, politica da riconsiderare nei suoi intenti pretesi “socialistici” e comunque da difendere contro la meschinità di chi è oggi ancora bestialmente anticomunista (o stupidamente trotzkista), incapace di comprendere che quella politica non fu nei fatti, e per somma fortuna, di “costruzione del socialismo”, e tuttavia estremamente efficace per le sorti del paese – l’Urss emerse quale seconda potenza mondiale e contraltare appunto degli Stati Uniti, conquistando una sua sfera d’influenza in Europa; tuttavia, nei paesi meno sviluppati di quest’area. Inoltre, il distacco della Jugoslavia dal campo “socialista” (nulla del genere, uso solo l’etichetta di allora) indebolì la posizione sovietica proprio nel suo fronte principale di antagonismo con il più potente avversario.

Sia chiaro che gli Stati Uniti lanciarono le atomiche sul Giappone per dare un preciso segnale all’Urss, che nemmeno osasse rispondere per le rime alle azioni di loro rafforzamento nelle varie aree mondiali (e invece i sovietici osarono più volte). Vi fu la liquidazione pressoché immediata dell’influenza inglese in India (che storici “ammaestrati” ci hanno ammannito come successo “pacifico” del gandhismo); poi quella appena più tarda (dopo una bella guerra in Corea per bloccare l’influenza della vittoria dei comunisti in Cina nel ’49) del colonialismo francese in Indocina, con la sconfitta di Dien-bien-phu nel 1954, cui non furono per nulla estranei gli Usa, che ne approfittarono per stabilire il loro predominio su metà Vietnam. E ancor prima, nel ’47, ci fu appunto la “strana” defezione della Jugoslavia dal Cominform, che favorì, fra l’altro, la sconfitta dei comunisti di Markos in Grecia nel ’49. Senza questa defezione, non ci sarebbe probabilmente stata la sconfitta greca. Inutile raccontare storielle; e quante invece ne sono state propalate di completamente false.

La sconfitta di Markos fu presa quale piena conferma della linea togliattiana seguita dal Pci, che pure era stato l’anima di quella Resistenza, fatta passare per “liberazione” mentre i suoi intendimenti erano assai diversi. Capiamoci bene: penso fosse impossibile, in Italia, porre in atto un processo di trasformazione sociale, scontrandosi con l’esercito Alleato, che aveva già dimostrato le sue capacità di violenza durante lo sbarco in Sicilia (altro che “liberatori”!). Tuttavia, si andò ben oltre l’accettazione delle inoppugnabili necessità tattiche. Ci si piegò di fatto alla piena ripresa del predominio delle vecchie classi dirigenti, quelle che avevano già mostrato l’8 settembre del ’43 le loro predisposizioni nettamente antinazionali e servili verso chi poteva mantenerle in vita quali ceti sociali subordinati allo straniero. Se volete, un po’ come i proprietari delle piantagioni di cotone nel sud degli Usa a metà ottocento, servili verso l’Inghilterra per interessi propri (esportazione del cotone all’industria inglese, che vedeva come fumo negli occhi la competizione dell’industria americana del nord). Sappiamo come finì; bene in quel caso per i settori settentrionali, che schiacciarono i subordinati agli inglesi e diedero inizio a quello sviluppo che, dopo 80 anni, portò al completo predominio del loro paese nel mondo “occidentale”, e oltre.

In Italia, nel 1945, vinsero ben altri, che si piegarono in pieno allo straniero americano. Questo diede impulso pure ad un annacquamento completo delle tesi che avrebbero dovuto essere quelle tipiche del Pci, annacquamento poi ulteriormente favorito dal XX Congresso del Pcus con l’impropria destalinizzazione. Si manteneva solo, almeno in superficie, una certa predisposizione per l’industria pubblica. Tuttavia, anche qui, si dimentica troppo facilmente, io credo, che questa era stata messa in piedi dal fascismo e rafforzata nel dopoguerra da determinati settori della Dc (contrastati da altri legati a quella privata, a quella piegata allo straniero americano), che la rafforzarono nel ’48 con la Finmeccanica, nel ’53 con l’Eni (di Mattei), nel ’62-’63 con l’Enel (in compartecipazione con il Psi). Indubbiamente, ampi settori del Pci – favoriti da quella veramente incredibile degenerazione subita dal pensiero di Marx, per cui la proprietà statale era vista come proprietà socialista dei mezzi produttivi – favorirono tali settori industriali; non però per il loro interesse strategico, proprio perché il solo formalmente “pubblico” veniva propagandato come un primo passo in direzione di una diversa società, salvandosi così l’anima presso la propria base, cui si poteva raccontare che non tutto era stato abbandonato dopo la “svolta di Salerno” e, più tardi, con la presa d’atto della sconfitta di Markos.

Tuttavia, siamo proprio sicuri che Mattei sia stato poi eliminato soltanto da settori Dc in combutta con le “sette sorelle”? E siamo sicuri che, appena un po’ più tardi, Felice Ippolito (fra l’altro vicino al Pci) sia stato arrestato e perseguitato – insomma messo in condizioni di non più proseguire la sua opera a favore dell’energia nucleare, sempre per il fine dell’indipendenza energetica del paese – dai soliti ambienti diccì? Siamo sicuri che non abbiano dato ampia mano quei settori piciisti che poi prenderanno in mano il partito negli anni ’70, porteranno ai vari viaggi di loro esponenti negli Usa con infine l’aperto cambio di campo alla caduta del “socialismo reale”? Questi settori, l’abbiamo visto, sono diventati i veri servi degli Stati Uniti, hanno pestato perfino un filoamericano come Berlusconi perché costui, immagino per suoi interessi, ha per qualche anno flirtato con la Russia di Putin, favorendo un nuovo rafforzamento dell’Eni e cambiando a tal fine il suo massimo dirigente (Mincato di cui prese il posto Scaroni) nel 2005 per mandare a buon fine gli accordi con la Gazprom circa il Southstream, progetto oggi decaduto mentre ha ancora pieno vigore, guarda caso, il suo ramo nord, diretto dal tedesco Schroeder (noto dirigente socialdemocratico, cancelliere tra il 1998 e il 2005), che nell’ormai lontano ottobre 2009 s’incontrò con Putin e Berlusconi in Russia.

Mi scuso per un nuovo inciso che devo fare. Metto due link che mi auguro si leggano.

Qui

Qui

In uno si parla di possibili e sospette cointeressenze di Berlusconi per l’affare Southstream. Nel primo, si mette in luce come quell’incontro del 2009 non fu solo per l’energia e vi fu anche quello strettamente privato tra l’italiano e Putin. Perché m’interessa? Perché sono convinto che questo viaggio, quasi segreto e senza presenze diplomatiche, sia servito all’allora premier italiano per chiedere aiuto a Putin poiché sentiva approssimarsi la bufera, che poi si abbatté su di lui in specie nel 2010 e seguenti. Non poté trovare appoggio alcuno dei russi (e non per mancanza della loro volontà di aiutarlo), e questo deve spingerci a una breve riflessione. Evidentemente, Putin avrà chiesto al suo interlocutore se era in grado di minimamente controllare i Servizi italiani. E’ facile intuire la risposta, dato ciò che è l’Intelligence italiana, totalmente dipendente dall’americana. Quindi, è pure facile immaginarsi l’allargarsi delle braccia del leader russo. E nel 2011, come già sappiamo, l’allora premier italiano cedette del tutto a Obama a Deauville, tradendo pure Gheddafi e ogni altro.

Tornando indietro, rilevo che l’Urss sembrò tener testa agli Usa per un lungo periodo di tempo. Senza dubbio era stata creata una grande potenza, grazie alla politica degli anni ’30. Tuttavia, permaneva pur sempre, anche con Stalin, l’equivoco della costruzione socialistica e, dunque, della classe operaia e delle masse popolari quali veri “eroi della storia” e soggetti antagonisti e trasformatori della società capitalistica, trattata come sempre eguale a se stessa pur se ormai rappresentata dagli Stati Uniti e non più dall’Inghilterra, il “laboratorio” del pensiero di Marx (per sua stessa indicazione). Quest’equivoco faceva da sfondo e da ispiratore dei vari partiti comunisti, in primo luogo di quello sovietico. Il partito comunista – in quanto pretesa avanguardia della classe in questione – doveva detenere tutte le leve del potere secondo una struttura organizzativa fortemente centralizzata e sempre pronta al combattimento sotto la direzione del capo e di un ristretto vertice di comando, all’interno del quale si regolavano i conti quando necessario, ma in modo che la base non ne venisse troppo turbata; chi veniva battuto era apertamente indicato quale traditore e venduto al nemico oppure affetto da “culto della personalità” o un sostanziale inetto.

Tuttavia, il vertice del partito manteneva ancora il suo riferimento ideologico alla base operaia e contadina, comunque a quella popolare dei livelli più bassi; per cui venivano di fatto stritolati tra questo vertice ristretto e questa base proprio quegli strati sociali intermedi, che invece la storia della società moderna, fortemente industrializzata e innovativa in termini tecnologici, ha dimostrato in veloce crescita a detrimento di quelli “alti” e “bassi”. Arrivati dunque, e con rapidità straordinaria (dieci anni al posto di un secolo, così per dire) a un notevole e più moderno livello di industrializzazione, tale vertice si è “perso” d’orientamento e non ha saputo aggiornarsi. Tuttavia, prima che ciò avvenisse, nel ’49 l’Urss giungeva pur essa alla bomba atomica e poi a quella all’idrogeno. Si creò allora il cosiddetto “equilibrio del terrore”, in effetti un mondo bipolare. Tutto sembrò bloccarsi nel cosiddetto “primo mondo”, mentre le due potenze si scontravano e producevano squilibri nel “terzo”, dove d’altronde andavano sviluppandosi le “lotte di liberazione nazionale”, con risultati pur essi da riconsiderare storicamente nel loro complesso. Anche perché molti di quei risultati, che pure per un periodo storico non brevissimo sono sembrati sfavorevoli al predominio statunitense, sono stati dovuti proprio alla ormai decisiva, e vittoriosa, sostituzione di quest’ultimo al vecchio colonialismo di tipo inglese e francese.

Malgrado la forte crescita di potenza – ripeto che nascondeva l’incapacità di ristrutturare all’interno i rapporti tra gruppi sociali formatisi con l’industrializzazione a tappe forzate – l’Urss entrò di fatto nel suo non subito notato declino. Dopo il XX Congresso del partito (febbraio 1956), la deriva fu sempre più incisiva. Tra colpi di qua e di là si arrivò al ventennio brezneviano, cruciale e da ri-studiare; comunque di stasi produttiva e sociale. Un vero blocco – nascosto dalla potenza precedentemente raggiunta – che ha preparato l’implosione. In altra sede, cercherò di riprendere il discorso sulla relazione tra il conflitto che investe le diverse “costellazioni di potere” (così indico gli Stati e le nazioni) e quello inerente alla loro struttura sociale interna. Resta il fatto che l’Urss sembrava dotata della capacità di opporsi alla prepotenza statunitense, in apparente declino (importante al proposito il ritiro dal Vietnam), mentre invece lo era proprio il paese sovietico. Oggi possiamo capire meglio quello che alcuni settori “comunisti” sostenevano fin dall’inizio degli anni ’70 (e a questi mi onoro di aver appartenuto): l’Urss era già in discesa, bloccata dalla rigidità delle sue strutture sociali interne, dall’incapacità politica del vertice direttivo (dello Stato e del partito) di imprimerle un nuovo slancio.

Alcuni hanno creduto che lo scombinato e disarticolato sviluppo in Cina, tra la fine degli anni ’50 e la morte di Mao (settembre 1976) potesse sostituire quello dell’Urss a fini anti-americani. In definitiva, detto sviluppo, fattosi nel post-maoismo più “ordinato” e per null’affatto indirizzato ad una qualsiasi costruzione “socialistica”, ha pur esso alimentato le sempre più evidenti difficoltà dell’Urss nel tenere il passo con la potenza avversaria. Non ci fu bisogno di alcuna resa dei conti tra potenze – com’era sempre avvenuto in passato nel passaggio dal policentrismo al predominio di una di esse – poiché fu sufficiente l’impossibilità della dirigenza sovietica di affrontare la fine miseranda perfino della visione ideologica, che aveva retto il sedicente scontro tra campo capitalistico e quello preteso, ormai ridicolmente, socialista. Di conseguenza, si verificò l’improvvisa e rapida fine dell’Urss e l’entrata nell’attuale fase di transizione ad una diversa epoca, di cui è impossibile prevedere gli effettivi caratteri poiché si è ancora impigliati nei vecchi scontri tra ideologie ormai morte e che non ci si decide a seppellire.

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Torniamo adesso alle contingenze odierne. Diciamo intanto che il crollo dell’Urss (1991) ha creato l’impressione dell’affermarsi di una nuova epoca nella sostanza monocentrica (come grosso modo si può ritenere fosse quella tra il 1815 e la guerra franco-prussiana del 1870-71, dominata tutto sommato dall’Inghilterra). Tuttavia, già con l’avvio del XXI secolo, credo si possa dire che si è andati più che altro verso un multipolarismo sia pure imperfetto poiché gli Usa restano, in ogni caso, nettamente superiori alle altre potenze in avanzata: in primo luogo, la Russia, in un certo senso rinata dalle ceneri dell’Urss, e la Cina; India e Brasile le considererei nettamente inferiori.

In tale situazione, diciamo che l’Amministrazione statunitense ha in un primo tempo usato direttamente i muscoli nel tentativo di mettere ordine definitivo al loro primato mondiale. Successivamente, e con l’Amministrazione democratica obamiana, si è posta in atto una strategia del caos, dando spazio a subordinati di rilievo (vedi, ad es., Inghilterra e Francia nel caso della Libia) o a scontri interni tra diversi schieramenti politici e/o etnici (vedi Irak o anche Siria, ecc.). E si sono sfruttati inoltre contrasti apertamente anti-russi come in Ucraina, ecc. ecc. Non scordiamoci infine l’utilizzazione del cosiddetto estremismo islamico (con caratterizzazioni terroristiche), del resto già sperimentato mediante Al Qaeda, poi con l’Isis che sembra pur esso oggi in fase di decadenza, anche se non possiamo al momento dire l’ultima parola.

E’ semplicemente da ricordare che una simile strategia deve mettere in conto la possibilità di eventi sfuggiti di mano, in ogni caso non programmati nel loro effettivo svolgimento. Tuttavia, quando si creano numerose zone di caos, soprattutto attorno a quello che si ritiene l’avversario più pericoloso in prospettiva (e secondo me non vi è dubbio che per gli Usa si tratti della Russia), è piuttosto evidente che di tale situazione soffre di più proprio la potenza in crescita, ma ancora ben lungi dall’avere raggiunto il rivale quanto a forza complessiva: in particolare quella economica e militare. Gli Stati Uniti agiscono comunque lontano dai loro confini e potendo intervenire con le loro forze armate (in specie marittime e aeree) in tutte le zone del mondo. La Russia è già costretta entro una sfera d’influenza ben più limitata, tutt’attorno a se stessa. E’ inoltre obbligata ad una serie di tatticismi, perfino facendo finta di credere all’atteggiamento benevolo (tipo l’ultimo italiano in merito alle sanzioni) di chi è invece nettamente manovrato dal “nemico”. E anche sapendo, perché sono convinto che Putin se ne renda ben conto, il perché di questa permessa, anzi comandata, benevolenza.

Ribadisco quanto detto più volte. L’Asia è più sicuramente sotto il controllo statunitense. La Cina è senz’altro un antagonista potenziale, ma ha da risolvere ancora alcuni problemini interni (a cui la Russia, proprio grazie al crollo sovietico, ha già ovviato almeno in buona parte). Dovrà pure fare bene i conti con tutto ciò che ha intorno, a partire dall’India, anch’essa in crescita. Perfino quel paese, che un tempo era sembrato simbolo della sconfitta americana, il Vietnam, è di fatto oggi sotto l’influenza del momentaneo perdente; certamente è avverso alla Cina. Non scordiamoci il Giappone e pure la Corea del sud, ecc., tutti sostanzialmente allineati con gli Stati Uniti.

D’accordo, anche la Russia è fondamentalmente contenuta nei suoi confini; tutti i paesi est europei non le sono amici, deve sempre fare attenzione a certe forze esistenti nelle Repubbliche centroasiatiche. E’ costretta a utilizzare notevoli risorse per non perdere influenza in zone come la Siria; la Turchia è a volte nemica, a volte sembra ammorbidire le sue posizioni, ma non credo ci sia da fidarsi. Forse va un po’ meglio con l’Iran, ma sempre “cum grano salis”; e così pure con l’Egitto, che non vedrei affatto così “irritato” verso gli Stati Uniti come si vuol far credere. Non mettiamoci però adesso a fare il conto delle difficoltà russe. L’importante è che non si creda troppo facilmente agli insuccessi delle mosse americane in questa primissima parte del secolo. Ci si accorgerà presto quanto poco avveduto sia un simile giudizio; tanti “fallimenti” (presunti) e, ciononostante, una presa degli Usa sull’Europa – zona d’influenza cruciale per il loro predominio mondiale – tuttora assai efficace. Appaiono correnti di simpatia per la Russia in alcune forze europee; anche in Italia ad esempio. E dove sono situate? Qui da noi in ambienti di quel centro-destra, il cui uomo sempre principale (e che i suoi “alleati” non hanno il coraggio né decisa intenzione di scaricare) sta giocando una partita assai sporca, perché la sua opposizione al governo è in definitiva tesa a situarsi in una posizione più vantaggiosa per lui quando infine si farà avanti, senza più veli, il progetto di un governo di “unità nazionale”, che in realtà renderà questa nazione ancora più succube degli Stati Uniti.

Forse qualcosa apparirà fra poco meno oscuro. Senza dubbio, bisogna attendere anche le elezioni presidenziali americane e, in particolare, il futuro gennaio (alla fine) quando la nuova Amministrazione potrà entrare in piena attività. Tuttavia, non si creda che cambierà in toto la strategia americana. L’Europa resta il centro di gravità della necessità del caos. Si deve impedire nel modo più assoluto che alcune forze europee, certamente per i loro interessi in gioco, si orientino ad una minore dipendenza nei confronti della potenza preminente e aprano qualche canale di troppo in direzione est, cioè con la Russia.

Per il momento, gli Stati Uniti sembra accettino di restare ancorati alla prospettiva di appoggiare l’attuale loro principale servo in Italia. Non direi che ha avuto una vera investitura con il suo recente viaggio a Washington (anche perché Obama, così tanto sorridente e amichevole, è in scadenza), ma forse per il momento si punta a che questo “bamboccione fiorentino” resti premier. Qual è invece il punto debole statunitense in Europa? Nessuno sembra volerlo vedere, ma è la Germania. Quello che sono il governo tedesco e soprattutto la Merkel non è facile da capire; probabilmente hanno veramente poco coraggio e non si metteranno contro gli Stati Uniti, salvo che per alcune questioni economiche; mica di poco conto però, perché non lo è affatto il TTIP, malgrado alcuni vorrebbero sottovalutarne gli effetti se fosse approvato. E nemmeno è di così poco conto che le maggiori imprese industriali tedesche abbiano dimostrato chiaramente di voler aggirare le sanzioni anti-russe.

Il problema centrale è però, almeno credo, che la Germania ha difficoltà grosse, si sente stretta in questa Unione Europea così com’è. Molti critici, proprio in questa Italia di servi, dicono che la vuol dominare, e di questo si servono per darle addosso, per sollecitare sentimenti antitedeschi. Indipendentemente da quello che possono pensare la Merkel & C., la Germania avrà sempre più la necessità di risorgere quale vera potenza, come non lo è più dalla seconda guerra mondiale. Ci vorrà senz’altro del tempo (settant’anni di accettazione della sconfitta e subordinazione sono tanti), ma si farà di nuovo vivo il revanscismo, la volontà di rinascita vera, che non può essere solo economica. L’economia è l’ancella – certo fondamentale nelle società dell’epoca moderna – per la conquista di quelle sfere d’influenza senza le quali un paese resta dipendente da altri. I liberali, che vedono solo il mercato – quindi l’economia è l’unico vero loro idolo – pensano nei termini del “libero commercio internazionale”. Già una volta, tanto tempo fa, la Germania (e allora assieme agli Usa) si accorse che così non era. E non lo sarà nemmeno durante questo secolo. L’economia è solo un’arma importante per affermare un proprio predominio. Ci sono però anche altri settori decisivi: la creazione di una rete di associazioni “amichevoli” in altri paesi, la corruzione di ambiti politici in essi. E, dietro a tutto, una buona potenza militare. E se non la si possiede in misura sufficiente, occorre una giusta politica delle alleanze con “qualcun altro”.

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La Germania, dunque, potrebbe non compiere più quello sbaglio decisivo che commise nel 1941 aggredendo l’Urss. Allora pensava che fosse il paese del comunismo. Non lo era, ma non è questo adesso il problema che ci interessa. Con la sua ultima dura posizione a favore delle sanzioni anti-russe, in realtà volute dagli Stati Uniti, sembra quasi che il governo tedesco ripercorra, in tono certamente minore e in ben altre condizioni storiche, l’errata via di un tempo. O comunque sembra che non sia minimamente in grado di comprendere i suoi veri interessi perché totalmente succube della potenza ancora prevalente. Forse però – non se ne può ancora essere sicuri – non è esattamente così. Credo che sottovalutiamo il nostro paese; cioè sottovalutiamo il grado di vergognoso servilismo a cui sono giunti i nostri gruppi detti dirigenti. Lo sono gli industriali – da paragonare in pieno ai “cotonieri” del sud degli Usa prima della guerra civile (o di secessione) – e lo sono i politici, che hanno superato di mille lunghezze quelli della prima Repubblica.

Con simile servilismo al suo più alto livello, non solo l’Italia sta degradando anche economicamente (salvo appunto alcuni settori di “cotonieri”), ma è anche diventata la pedina fondamentale per le manovre statunitensi. Sia verso altre aree – ad es. nordafricane, mediorientali, sudorientali, ecc. – sia nei confronti proprio della UE. Non è un caso che molti, ergendosi da falsi quali sono a “duri” critici di questa Unione Europea, sanno semplicemente proporre una revisione delle sue strutture, nel corso della quale, se avvenisse, l’Europa diverrebbe ancora di più sfera d’influenza statunitense. Ecco allora che questi bugiardi strillano contro la Germania perché vuole “comandare” in Europa; e, nel perseguire tale scopo, attacca l’Italia, la vuol mettere sempre più in difficoltà per indebolirla. La realtà vera è che la vuole indebolire perché serva sempre meno efficacemente da pedina degli Stati Uniti.

Come si comportano infatti gli americani? Da una parte, criticano la Germania fingendosi quasi keynesiani e ponendosi contro l’austerità; invitano ad un certo allentamento dei limiti posti al debito pubblico, ecc. Dall’altra, approfittano di un possibile errore del governo tedesco – che allora si presenterebbe come un riflesso di paura di fronte alla prospettiva di tensioni eccessive con gli Usa, conducendo a quella decisione di diventare “più realisti del re” in tema di sanzioni anti-russe – e danno al governo italiano il permesso (forse perfino l’ordine) di essere più longanimi su questo problema. Intanto, non mollano affatto la presa, soprattutto approfittando degli atteggiamenti antirussi di certi paesi est-europei. E Putin viene spinto ad amichevoli comportamenti nei confronti degli italiani (così benevoli in tema di anti-sanzioni!), con ciò favorendo l’azione del servo dei servi filo-americani e rischiando invece qualche tensione con i tedeschi.

Tuttavia, nutro una speranza: che il governo tedesco, magari tramite i suoi settori industriali, comunichi alla Russia che questo gioco è obbligato dalla situazione in cui si trova comunque la Germania, situata saldamente nella sfera d’influenza americana. Mi augurerei che si faccia capire come il problema centrale in questo momento sia di mettere in crisi il governo italiano, ormai diventato la principale arma di manovra degli Stati Uniti per bloccare ogni e qualsiasi slittamento dell’Europa – dove in alcuni paesi si stanno sviluppando forze forse favorevoli ad autentici rapporti con la Russia, non solo in tema di anti-sanzioni economiche, ma proprio di politica estera più aperta nei suoi confronti – verso posizioni più complesse e, diciamo, “articolate”, tendenti a una maggiore autonomia. E che, inoltre, darebbero fastidio ai “prepotenti” anche in termini militari nell’ambito della Nato.

Ovviamente, non so se sia proprio così o se invece il governo tedesco ha scelto per il momento di rinunciare ad ogni minima mossa autonoma. Settant’anni di predominio statunitense (meno lungo nell’Europa dell’est, dove però è più forte il sentimento anti-russo) hanno senza dubbio creato pesanti forme di dipendenza anche nei termini delle strutture e comandi militari, degli altri apparati di sicurezza, dei Servizi, ecc. nei più importanti paesi europei. E figuriamoci cosa ha provocato in Germania.

Comunque, è certo che la situazione si è andata configurando in modo da rendere facile il gioco antitedesco. Il nostro paese è sfavorito dalle prese di posizione della Germania; e gli italiani ci vanno di mezzo tutti insieme e dunque facilmente possono nutrire antipatia crescente nei confronti di tale paese. Una situazione veramente fastidiosa, in cui si rende più difficile smascherare i veri nostri nemici. Al primo posto stanno i prepotenti d’oltreatlantico e tutti i loro subordinati in Italia e negli altri paesi europei; anche i fintoni che giocano all’anti-europeismo, ma in funzione semplicemente antitedesca. Non dobbiamo scordarci che oggi, tra questi succubi e servitori, i peggiori, quelli da combattere senza sosta, stanno in Italia; e non sono ancora stati adeguatamente smascherati per quello che rappresentano di estremamente pericoloso. L’Italia è veramente il paese cardine delle manovre americane per impedire ogni altra influenza, diversa dalla loro, in Europa. Per il momento, finisco qui; ma solo per il momento. 

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