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Storie di solidarietà e resistenza
Ed Rampell intervista Ken Loach
Ken Loach parla del suo ultimo film, The Old Oak, e riflette sulle forme di lotta e alleanza tra chi è costretto a vendere il proprio lavoro e chi ne trae profitto
Da quando la commedia televisiva della Bbc Cathy Come Home del 1966 ha innescato cambiamenti nelle leggi inglesi sui senzatetto, Ken Loach, figlio di un elettricista, ha fatto film su personaggi ordinari e semplici. Persone alle prese con sistemi capitalisti ingiusti e crudeli – dalla classe operaia in Gran Bretagna alla guerra dei Contras in Nicaragua, fino alle ribellioni irlandesi di Los Angeles con la campagna di organizzazione sindacale Justice for Janitors per azioni segrete a Belfast – così come documentari come quello del 2016 In conversazione con Jeremy Corbyn, il leader di sinistra del partito laburista.
The Old Oak è l’ultimo film sulle sofferenze della gente comune dell’infaticabile esponente socialista. Dopo una lunga e illustre carriera nel mettere in scena e documentare i dannati della terra, The Old Oak è anche l’ultimo lungometraggio di Ken Loach, che compirà ottantotto anni il prossimo giugno. Tra i tanti riconoscimenti di Loach ci sono due Palme d’Oro al Festival di Cannes, tre Premi César e tre Premi Bafta, ma nel 1977 rifiutò la medaglia di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico. Per lo storico del cinema David Thomson, «nella sua dedizione e serietà, è una figura esemplare». Lo abbiamo intervistato via Zoom mentre si trovava nel West Country, in Inghilterra.
* * * *
Raccontaci di The Old Oak, cosa ti ha spinto a girare un film su questa storia?
Avevamo girato due film nel nord-est [dell’Inghilterra]. Uno [Io, Daniel Blake, 2016] sul modo in cui alle persone vulnerabili viene negato il sostegno finanziario a cui hanno diritto da parte di uno Stato che vede la povertà come un modo per disciplinare la working class. Il secondo film [Sorry We Missed You, 2019] parlava dell’insicurezza del lavoro e della gig economy. Non hai sicurezza sul lavoro, sei visto come un lavoratore indipendente, quando in realtà sei un dipendente, ma non hai i diritti di un dipendente, anzi, non hai alcun diritto sul lavoro. Riguardava le conseguenze di tutto questo sulla vita familiare.
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Scontro Israele-Iran e rischi di regionalizzazione del conflitto
di Roberto Iannuzzi
I missili iraniani nei cieli d’Israele segnano una svolta negli equilibri mediorientali
Come di consueto, molti commentatori occidentali hanno perlopiù travisato, talvolta demonizzato, o perfino deriso, le ragioni e la portata della rappresaglia iraniana compiuta in territorio israeliano.
Essa, facendo emergere la pluriennale “guerra ombra” fra Israele e Iran, finora combattuta prevalentemente “per procura” attraverso una pletora di attori regionali, e trasformandola per la prima volta in un confronto militare diretto, segna nondimeno una pericolosa svolta negli equilibri mediorientali.
Dopo alcuni giorni di attesa, la risposta più volte ventilata dal governo Netanyahu, ma scoraggiata da Washington, è giunta stanotte sotto forma di un attacco limitato, compiuto da piccoli droni (quadricotteri) contro la base militare di Isfahan.
Un episodio che non sembra aver provocato danni (i quadricotteri sono stati abbattuti), e parrebbe un segnale di de-escalation, se non vi saranno altri attacchi nei prossimi giorni (maggiori dettagli più in basso nell’articolo).
La possibilità di uno scontro diretto fra Israele e Iran è però ora una realtà regionale con cui bisogna fare i conti.
Gaza come chiave di volta
La rappresaglia iraniana, consumatasi la notte fra sabato 13 e domenica 14 aprile in conseguenza del precedente bombardamento israeliano del consolato iraniano a Damasco, non rappresenta semplicemente un inedito capitolo del confronto regionale fra Israele e Iran.
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SoftWar
di Giulio De Petra
Alla digitalizzazione della guerra corrisponde la militarizzazione del digitale. L’utilizzo dell’AI nella guerra di Gaza è solo la parte visibile di una più vasta e intensa torsione bellica della produzione digitale
Lavender
Da quando l’inchiesta di Yuval Abrahm sulla rivista israeliana +972 Magazine ha raccontato come l’esercito israeliano stia intensamente utilizzando sistemi basati su intelligenza artificiale nella guerra di Gaza, grande è stata l’attenzione che la stampa ha dedicato al funzionamento e all’uso di ‘Lavender’, che è il nome del sistema di AI appositamente realizzato.
In particolare opinionisti ed esperti sono rimasti colpiti dal fatto che l’individuazione dei bersagli da uccidere fosse di fatto delegata al sistema digitale senza alcuna revisione o intervento da parte di militari ‘umani’.
Poiché i bersagli da uccidere sono i militanti di Hamas ci si è interrogati su quali fossero i criteri con cui il sistema individua chi sia un militante di Hamas, attribuendo anche un rango al bersaglio (capo, ufficiale, soldato semplice, fiancheggiatore), rango che, come vedremo, genera effetti significativi nelle procedure di ‘eliminazione’ del bersaglio.
E poi quali fossero gli indizi, sempre valutati dal sistema automatico, che associavano il bersaglio così individuato a un punto effettivo sulla mappa di Gaza da colpire.
E, in presenza di percentuali di errore stimate del 10% dei casi, si è criticata l’assenza di ogni controllo umano, che forse avrebbe diminuito di qualche punto percentuale la possibilità di un falso positivo, cioè di far diventare un bersaglio chi non era un militante di Hamas.
Si sono cioè utilizzati, nell’analisi e nel commento, gli stessi argomenti di valutazione di un sistema digitale automatico di predizione che si sarebbero utilizzati per una campagna di marketing progettata per vendere aspirapolvere.
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Lenin a Wall Street: imperialismo e centralizzazione nel XXI secolo (II)
di Andrea Pannone
A 100 anni dalla morte di Lenin (21 gennaio 1924) e nel pieno di una fase storica nuovamente caratterizzata dalla contrapposizione diretta tra superpotenze mondiali, una riflessione critica sul concetto di imperialismo formulato dal leader bolscevico nel 1917 assume una specifica rilevanza. Partendo da qui, questo scritto si focalizza sul nesso tra eccesso di capacità produttiva e centralizzazione internazionale dei capitali alla luce del processo di finanziarizzazione dell’economia mondiale che sta caratterizzando il XXI secolo. La nostra tesi, infatti, è che i connotati assunti da questi tre fenomeni negli ultimi quindici anni concorrano in modo decisivo a interpretare la natura delle recenti tensioni belliche tra alcune nazioni.
Il lavoro è organizzato come segue. Nel primo paragrafo si esamina la categoria centrale della teoria dell’imperialismo di Lenin ossia il concetto di esportazione di capitale in eccesso. Nel secondo paragrafo si cerca di evidenziare l’attuale rilevanza di questa categoria concettuale alla luce di quella che può essere considerata una sua proxy: gli investimenti diretti esteri. Nel terzo paragrafo si esamina il nesso tra eccesso di capacità e centralizzazione del capitale nella sua evoluzione storica, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso. Il quarto paragrafo analizza la crescente influenza delle oligarchie economico-finanziarie sulle politiche degli Stati e sulle relazioni internazionali. Il quinto paragrafo conclude evidenziando il ruolo dei conflitti bellici nell’equilibrio instabile tra gruppi di potere che perseguono logiche di accumulazione diverse.
Pubblichiamo oggi la seconda parte dello scritto (A.P.)
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IV. Oligarchie economico-finanziarie e potere politico
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Questioni di genere nella sinistra di classe
di Elisabetta Teghil
Mi sta a cuore mettere qualche punto fermo sulla questione che viene chiamata ormai abitualmente <questione gender> (anche se già chiamarla così e definirla come se fosse una questione a parte significa che stiamo facendo il gioco del potere che mette un gruppo sociale contro l’altro, una guerra tra poveri insomma) perché è necessario sapere da dove si parte e se ci sono delle premesse condivise. Io sono materialista e parto da questo terreno. Quindi, per me, ne discendono alcuni posizionamenti di fondo.
Penso che l’approccio etico alle questioni, quali che siano, non ci dovrebbe appartenere, noi non ragioniamo in termini di giusto-sbagliato, bene-male, buoni-cattivi… riteniamo che la storia sia lotta di classe, verità di una classe contro l’altra, rapporti di forza… È chiaro che abbiamo dei valori, ma la scala di valori non è una premessa da imporre, viene dalle lotte che portiamo avanti contro lo sfruttamento, l’oppressione, la soggezione… dove possiamo trovare compagni/e di strada con cui sperare di uscire da questa società e con cui sperare magari di costruire una scala di valori comune.
Dovremmo evitare accuratamente di parlare di natura, di naturalità delle cose, di natura come riferimento perché sappiamo che tutto quello che ci circonda è un prodotto sociale e una costruzione sociale, natura compresa. A quale naturalità dovremmo fare riferimento? a quella del neolitico? a quella del secolo scorso? a quella di ieri? Illuminanti in questo senso sono gli scritti di Colette Guillaumin, femminista materialista francese, di cui in Italia è stato tradotto poco ma è uscito nel 2020 Sesso, razza e pratica del potere. L’idea di natura.
Ci sono esseri umani che hanno organi riproduttivi di un tipo e vengono chiamati maschi, esseri umani che ne hanno altri e vengono chiamati femmine, altre varianti minoritarie che non vengono nemmeno prese in considerazione e, in questa società, corrette alla nascita, ma questo è un dato, evitiamo di aggiungere la specificazione di natura perché ci trascina su un terreno senza costrutto e che non ci appartiene.
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Le tecniche dell'Impero e il disgusto delle coscienze sane
di Alberto Bradanini
1. Seguendo un copione creato a tavolino per ingannare la mente di chi si abbevera ai telegiornali della sera, gli Stati Uniti continuano a tirare il guinzaglio legato al collo del cagnolino d’oltremanica. Quel cagnolino era un tempo l’Impero britannico’, oggi solo un maggiordomo che esegue gli ordini dell’Impero Atlantico: tenere Julian Assange in prigione fino alla morte.
Per la più grande democrazia al mondo – da esportare, se del caso, a suon di bombe e che ormai solo i politici europei (e italiani) credono sia tale – il rischio più esecrabile è costituito dall’emergere della verità. Avendo coltivato l’impudenza di esporre al mondo i crimini commessi da americani e britannici in Iraq e Afganistan, esercitando la professione di giornalista, egli deve morire!
Quel bel tomo di H. Kissinger affermò un giorno che occorreva far rinsavire il popolo cileno che aveva osato votare per Allende, con le buone o con le cattive maniere. In analogia, secondo l’avariata narrativa a guida Usa, democrazia e verità sono valori da difendere solo se non interferiscono con le loro impudicizie e quelle dei loro compagni di merenda. Dietro tale narrativa si celano individui spietati, affetti da gravi patologie e per i quali ricchezze e potere non sono mai abbastanza.
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La guerra (non dichiarata) tra Stati Uniti ed Europa
di Pino Arlacchi
Il detto latino “dagli amici mi guardi Iddio…”, è stato applicato alla geopolitica odierna da Henry Kissinger con la famosa battuta “Essere nemici degli Stati Uniti può essere pericoloso, ma esserne amici è fatale”.
Ed è proprio così che può essere definito l’attuale rapporto tra gli USA e l’Europa.
Dentro lo scontro palese con l’Ucraina alberga infatti, un conflitto non dichiarato ma, appunto, fatale che vede l’Europa soccombere alla prepotenza d’oltreatlantico con danni immensi e di lungo periodo alla sua economia e alla sua popolazione.
Nessuno parla dei veri termini della questione dei rifornimenti di energia. Troverete centinaia di articoli su quanto siamo stati bravi a ridurre le importazioni di gas e petrolio dalla Russia dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, senza che quasi alcuno di essi parli dei folli prezzi della bolletta energetica, che sono il costo vero della guerra.
Pressando l’Ucraina a combattere invece di concludere un accordo già quasi negoziato dopo poche settimane dallo scoppio delle ostilità, spingendo gli alleati europei verso sanzioni estreme contro Mosca, e distruggendo il gasdotto Nord Stream nel settembre 2022, gli Stati Uniti si sono assicurati il primo posto tra gli esportatori di gas liquefatto verso l’Europa e verso il mondo.
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Merci (non grazie)
di Antiper
Alcuni anni fa ci è capitato di partecipare a un ciclo di incontri di formazione sul Capitale di Marx organizzati da un gruppo di studenti di Pisa, tra cui spiccavano alcuni dottorandi presso la Scuola Normale Superiore. Una sera, avendo il relatore principale di questi incontri usato spesso la parola “merce” come di qualcosa di caratteristico della sola fase industriale del modo di produzione capitalistico, decidemmo di rivolgergli la seguente domanda: secondo te, compagno, le merci esistono solo dal XVIII-XIX secolo? Il relatore principale, forse preso un po’ alla sprovvista, rispose affermativamente. Di fronte alla nostra perplessità volle rispondere un secondo relatore, meno principale, secondo il quale la risposta del relatore principale era da considerarsi imprecisa perché in realtà le merci avevano cominciato a esistere già almeno dal XV-XVI secolo.
Evidentemente noi, il relatore principale e il relatore meno principale avevamo letto in 3 modi diversi come Marx parla delle merci nel Capitale.
Il primo libro del Capitale inizia con l’analisi della merce perché la merce, dice Marx, è la forma attraverso cui si presenta la ricchezza nelle società in cui domina il modo di produzione capitalistico.
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Guerra in Ucraina. Il ruolo di droni, della cyberwarfare (e delle altre tecnologie emergenti)
di Carola Frediani
Negli scorsi giorni un gruppo di hacktivisti ucraini chiamato Cyber Resistance ha affermato su Telegram di aver violato i sistemi informatici di un produttore russo di droni, Albatross, sottraendo 100 gigabyte di dati, e di stare coordinando una serie di pubblicazioni dettagliate col sito InformNapalm. Che in un articolo del 15 aprile sostiene di poter confermare come l’azienda di droni agricoli Albatross sarebbe coinvolta nello sviluppo dei droni “suicidi” Shahed, progettati dall'Iran, e impiegati dalla Russia contro l'Ucraina.
A febbraio un misterioso gruppo di hacker chiamati Prana Network aveva diffuso un leak su un’azienda militare iraniana, facendo circolare presunti documenti riservati (non confermati) secondo i quali, dall'inizio della guerra in Ucraina, la Russia avrebbe acquistato almeno 6.000 droni Shahed 136. E avrebbe ricevuto un ampio aiuto per la creazione di linee di produzione locali per i droni, pagando questi accordi in parte in lingotti d'oro (secondo i documenti, i russi avrebbero pagato quasi 200mila dollari a drone e il prezzo includerebbe il supporto per mettere in piedi una produzione autonoma, per poi far scendere il costo unitario a 48mila). “Ora la Russia sta cercando di acquistare e produrre migliaia di droni più avanzati”, scrive Hareetz, che ha esaminato i documenti e li considera autentici.
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Eros della guerra
di Emiliano Brancaccio, Elisa Cuter
Da oggi è in libreria il libro dell’economista Emiliano Brancaccio Le condizioni economiche per la pace (Mimesis, Milano). Nel libro è contenuto un dialogo con Elisa Cuter (una degli editor di questa rivista), di cui riportiamo un estratto.
* * * *
Elisa Cuter: Un tempo si diceva “fuck for peace”, che in versione edulcorata e pubblicabile divenne “make love, not war” grazie a un’intuizione di Penelope Rosemont e altri attivisti, e poi fu riciclato in diverse varianti, tra cui la più hippy probabilmente era “put flowers in your guns”. Questi slogan ebbero un enorme successo mondiale alla fine degli anni Sessanta, nel pieno delle proteste contro la guerra in Vietnam. Viceversa, oggi non sono soltanto dei motti sbiaditi, sono proprio indicibili. Nemmeno il più gretto censore perderebbe tempo a passarci il bianchetto, visto che appaiono talmente assurdi che nessuno oserebbe farli entrare nel gergo pacifista. Insomma, mettere la liberazione dell’amore contro la schiavitù della guerra prima funzionava e adesso proprio no. Questo cambiamento mi pare un fatto rilevante, che rende la questione non di costume ma proprio politica, nel senso che sembra cogliere un mutamento storico essenziale. Quindi voglio domandarti: perché oggi anche solo sussurrare lo slogan “make love, not war” sembra un anacronismo senza senso, una roba da pazzi?
Emiliano Brancaccio: Perché all’epoca tutti mettevano il naso per aria e sentivano l’odore seducente della “rivoluzione”. Oggi la sensazione generale è che l’aria sia stata ripulita, sia diventata asettica, immune al morbo rivoluzionario. Questa sensazione non descrive necessariamente la realtà, eppure è reale: è una “evidenza”, nel senso ideologico che ci ha spiegato Althusser. La specificità dell’ideologia è esattamente quella di imporre senza averne l’aria, poiché presenta le “evidenze” come cose che non possiamo negare, di fronte alle quali ci viene solo di esclamare: “è evidente: la rivoluzione è impossibile”.
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Oltrepassare il secolo lungo
di Luigi Alfieri
Il “paradigma moderno” è legato a un’epoca già finita. Il sistema che gli corrisponde non è sostenibile. È necessario, e perciò possibile, un paradigma antropologico basato sul trinomio cura, rispetto del limite, condivisione
Quello che definisco qui il “paradigma moderno” si basa su una visione profonda dell’uomo, un’antropologia fondamentale, da cui siamo ancora molto condizionati e che continua a sembrarci evidente, un dato indiscutibile di realtà. Invece, come ogni antropologia, è una costruzione culturale, legata a un’epoca che si avvia alla fine, anzi nella sostanza è già finita.
Uccidibilità, desiderio, produttività
Questo paradigma può essere riassunto in tre concetti, ciascuno dei quali esprime quello che si ritiene essere un tratto sostanziale dell’uomo: ‘uccidibilità’, ‘desiderio’, ‘produttività’. L’uomo è per essenza uccidibile, desiderante e produttivo. Tutti questi concetti sono ravvisabili già nel primo grande filosofo della modernità, Hobbes, ma appaiono, con infinite varianti, quasi in ogni sforzo di pensiero, comprese forme ‘sovversive’come il marxismo o la psicoanalisi. Fino a tutto il Novecento e ancora adesso, in un nuovo secolo che non è ancora riuscito a rendersi davvero nuovo. Se Hobsbawm sostiene che il Novecento comincia nel 1914 e finisce nel 1991[1], bisogna probabilmente obiettargli che nasce sì nel 1914 con l’industrializzazione della guerra (su basi comunque assai più antiche), ma si avvia alla fine solo in questi anni Venti del XXI secolo con la catastrofe climatica (e forse con la guerra nucleare). Mi sembra davvero difficile negare che sia il secolo peggiore della storia umana, e questo costringe a interrogarsi sull’intera epoca che in questo secolo culmina, su quella appunto che chiamiamo ‘modernità’. Torniamo dunque ai tre concetti costitutivi della modernità. Come si rappresenta a se stesso l’uomo moderno?
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Dopo il “caso” Soumahoro, ecco il “caso” Bachcu
di Algamica*
Sui giornali online dell’11 aprile e su tutti i quotidiani del giorno successivo abbiamo dovuto leggere che un nuovo pericoloso criminale immigrato è stato arrestato dopo un lunga indagine della polizia e della sezione dell’antimafia durata, stando alla cronaca dei fatti imputati, ben due anni.
L’immigrato in questione, ora agli arresti presso il carcere di Regina Coeli e in attesa del pronunciamento da parte del GIP, non è un immigrato qualsiasi, ma è Nure Alam Siddique detto “Bachcu” famoso per essere un leader storico della comunità Bengalese in Italia la cui associazione, Dhuumcatu, nel corso di trent’anni (dagli anni ‘90 ai giorni nostri) è stata punto di riferimento per l’organizzazione delle lotte non solo degli immigrati connazionali, ma anche per indiani, pakistani, filippini, nord africani, rom, albanesi e latino americani. In sostanza dopo il “l’affare Abou Soumahoro”, un altro pesce ancora più grosso della lotta trentennale degli immigrati in Italia cade sotto la sferza del potere poliziesco e della magistratura, in nome della difesa della legge vigente nel nostro paese. I quotidiani del perbenismo democratico Occidentale si sfregano le mani proponendo tutti lo stesso titolo: “arrestato portavoce e paladino storico e della comunità bengalese di Roma”.
Quali i fatti imputati per cui è agli arresti fin dalla notte tra il 10 e 11 aprile?
Chiariamo sin da subito, che per uscire dalla cosiddetta clandestinità l’immigrato che già lavora in nero è costretto a pagare troppo spesso la documentazione necessaria al datore di lavoro, al proprietario di casa, ecc. Tantissime associazioni di immigrati, inclusa la Dhuumcatu, hanno denunciato e combattuto pubblicamente questa giungla razzista.
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Mentre l’Ucraina affonda, l’Unione Europea si orienta verso un’economia di guerra
di Giacomo Gabellini
Il 12 aprile, l’Institute for the Study of War, think-tank ultra-atlantista riconducibile all’eminente rappresentante neoconservatore Frederick Kagan, ha riconosciuto che «l’esaurimento delle difese aeree fornite dagli Stati Uniti derivante dai ritardi nella ripresa degli aiuti militari statunitensi all’Ucraina, combinato con i miglioramenti nelle tattiche di attacco russe, hanno portato a una crescente efficacia degli attacchi missilistici e droni russi contro l’Ucraina senza un drammatico aumento delle dimensioni o della frequenza. di tali scioperi […]. In assenza di una rapida ripresa degli aiuti militari statunitensi, le forze russe possono continuare a infliggere gravi danni alle forze ucraine in prima linea e alle infrastrutture critiche ucraine nelle retrovie, anche con il numero limitato di missili». Ne consegue che «la sempre più efficace campagna di attacchi russi in Ucraina minaccia di limitare le capacità di guerra a lungo termine di Kiev e di stabilire le condizioni operative affinché la Russia possa ottenere vantaggi significativi sul campo di battaglia».
Considerazioni dello stesso tenore sono state formulate il giorno successivo dal comandante in capo delle forze armate ucraine Oleksandr Syrsky, secondo cui la situazione sul fronte orientale dell’Ucraina è «significativamente peggiorata negli ultimi giorni» a causa della penuria di munizioni che affligge l’esercito ucraino e dei sempre più intensi sforzi offensivi della Russia, che approfittando del clima caldo e secco ha incrementato portata e ritmo dei suoi attacchi corazzati nelle aree di Bakhmut, Lyman e Pokrovsk.
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C’è chi fa dell’aggressione la sua ragione di esistenza--- --- DOMANDA: CHI HA COMINCIATO?
di Fulvio Grimaldi
Quella in fondo all'articolo è la copertina del docufilm che ho girato in Iran. Si racconta chi è questo popolo antico e giovanissimo, fa parlare giovani, donne, combattenti, dirigenti. Smantella il menzognificio in cui hanno cercato di rinchiudere l’opinione pubblica per prepararla all’aggressione che Israele da sempre sollecita e che altri vedono come propedeutica all’armageddon finale. E’ a disposizione per presentazioni e ordini.
Mio commento: https://www.youtube.com/watch?v=gvyrvE8Q1U4
Byoblu-Mondocane 3/22, in onda domenica alle 21.30. Repliche, salvo imprevisti, lunedì 9.30, martedì 11.00, mercoledì 22.30, giovedì 10.00, sabato 16.30, domenica 9.00
Un’analisi di quanto successo prima, durante e dopo la “notte dei fuochi” iraniana che ha colpito Israele nella sua giugulare, la superiorità militare: una base del Mossad e le due basi dell’aeronautica da cui era partito l’attacco al territorio iraniano nella sede diplomatica di Damasco con relativo assassinio di 14 persone.
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Reflazione salariale e sovrapproduzione: l'ultima sfida della Cina
di Pasquale Cicalese
Ieri ho letto da Enrico Tomaselli un post di AuroPronobis (non so se questo è il suo nickname) sulla ipercompetititvità della Cina e delle lagnanze Ue e Usa sulla sovrapproduzione. In effetti, stando al post, che invito a leggere, c'è la conferma dell'adozione del plusvalore relativo marxiano (istruzione, alte spese in R&S, innovazione, salto tecnologico, catena industriale totale) e reflazione salariale. Tutto giusto. Ma dobbiamo essere realisti. Stando ai dati dell'import degli ultimi 3 anni in effetti una tematica di sovrapproduzione esiste perché i consumi, sebbene siano a livelli che noi ce li sogniamo, non sono al passo con la produttività totale dei fattori produttivi (PTFP), dell'ipercompetitività sui mercati esteri, e la stessa reflazione salariale, iniziata con la Legge sul Lavoro del 2008, di cui parlo in Piano contro mercato, ha segnato il passo.
Intendiamoci. La reflazione salariale esiste tuttora, ma manca l'altra gamba. La sovraproduzione sin dal 2013 i cinesi cercano di gestirla attraverso la Belt and Road (la Via della Seta) che non è altro che aumentare gli interscambi commerciali con i paesi interessati.
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Assange, le “non garanzie” USA
di Michele Paris
Nelle scorse settimane si erano intensificate le voci di una possibile risoluzione del caso di Julian Assange, con il presidente americano Biden che aveva anche ammesso di valutare la richiesta del governo australiano di lasciare cadere definitivamente le accuse contro il fondatore di WikiLeaks. Per il momento, il governo di Washington sembra essere però deciso a continuare la battaglia per ottenerne l’estradizione dal Regno Unito. Martedì, infatti, nell’ultimo giorno utile stabilito dall’Alta Corte di Londra, il dipartimento di Giustizia USA ha presentato ai giudici le “rassicurazioni” richieste a fine marzo circa il trattamento legale che verrà riservato ad Assange una volta giunto in territorio americano.
Erano due le questioni sollevate dalla Corte in risposta alle istanze della difesa. Gli Stati Uniti dovevano cioè garantire che nel processo che attende Assange non verrà richiesta una condanna alla pena di morte e che non ci saranno discriminazioni in base alla sua cittadinanza non americana.
Questo secondo punto potrebbe essere quello decisivo nel procedimento in corso. Il trattato di estradizione tra USA e Regno Unito si basa sulla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e se uno o più diritti fissati da quest’ultima rischiano di non essere garantiti nel paese dove l’imputato dovrebbe essere trasferito, la richiesta di estradizione viene respinta.
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G7, come ballare mentre il Titanic affonda
di Pasquale Vecchiarelli
Un commento alla passerella ormai del tutto fuori luogo dei potenti della terra. Ormai il protocollo, le frasi di rito sembrano sempre più farsesche e stridenti se confrontate con la pochezza delle proposte e il disordine bellicista all’orizzonte
Aree rosse, sommozzatori, zone blindate ma anche visite dell’isola, foto ricordo con vista sui faraglioni, gelatino, pizza, tanto buon vino e grasse risate. Questo è il diario di viaggio del primo giorno del G7 esteri a Capri. Certamente si potrebbe obiettare che criticare il “protocollo” è poca cosa, anche perché è una prassi consolidata che ormai sembra far parte del normale corso del mondo ma, che volete, siamo gente forse di altri tempi. Gente che si vergognerebbe, e non poco, a mostrarsi lieti e sorridenti, ipocritamente impegnati in foto di rito e appassionati discorsi sulla fuffa quando il mondo è letteralmente sul baratro della guerra mondiale. Fanno davvero rabbia questi finti risolini stampati sulle facce di politicanti al servizio dell’imperialismo, questo mostrarsi ipocritamente affaccendati mentre -si sa- tutte le decisioni sono prese altrove. A dire il vero anche il mainstream ha difficoltà a montare i servizi giornalistici di queste assise sempre più inutili dei potenti del mondo -inutili, s’intende, a risolvere le questioni di fondo che interessano noi proletari- perché deve essere terrificante anche per la morale dei giornalisti più asserviti al potere dominante staccare dall’immagine di bambini palestinesi mutilati per passare ai faccioni tronfi e pieni di sé che godono della meravigliosa vista che offrono i faraglioni di Capri.
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Ponte di Messina, dalla commedia alla farsa
di Stefano Lenzi
Smontato da 534 pagine di osservazioni redatte da esperti di 9 atenei e presentate dalle associazioni ambientaliste e dai comitati dei cittadini messinesi, il Ponte sullo Stretto è stato grottescamente confermato dal governo. Cosa resterà dell’incredibile progetto già accantonato 11 anni fa?
Lavorate con la fantasia, siete nelle prime file con me a teatro dell’antica Roma repubblicana a vedere l’ultima strepitosa commedia di Plauto “De ponte Messanae”, sì, “Sul ponte di Messina”. Nell’attesa dell’inizio dello spettacolo, in platea risatine degli spettatori solo per il titolo. Nelle idi di Aprile dell’Anno 200 AC (15 aprile) ci troviamo in un teatro che ha al centro della scena un’ambientazione austera, con colonne poste ad anfiteatro, siedono alti funzionari della Repubblica (compiaciuti) e popolani espropriandi (piuttosto irati). Silenzio e poi brusio, ha inizio lo spettacolo. Passato poco tempo, entra in scena un messaggero trafelato, irrompe in scena e annuncia: “Sono 240, sono 240 le richieste di integrazione del progetto, è una battuta d’arresto per il ponte sullo Stretto di Messina, non può stare in piedi!”. Si agitano alcuni dignitari. L’autorevole Pichetto (ministro), imperturbabile, risponde: “È del tutto ordinario che ci siano osservazioni e richieste di dati e informazioni tecniche”, mormorio in sala. Lancia il cuore oltre l’ostacolo Salvini (ministro): “Vado avanti dritto, i lavori partiranno entro l’estate”. Chiosa, tale Ciucci (amministratore delegato della Stretto di Messina SpA – SdM SpA): “Contiamo entro la fine dell’estate, che finisce a settembre, di avere l’approvazione del Cipess”. Fragorose risate del pubblico in sala per la protervia dei personaggi, ma soprattutto per la confusione tra estate e autunno: i protagonisti della commedia non sanno nemmeno in quale stagione collocare, nel calendario, il mese di settembre (Plauto è geniale). E non sanno nemmeno distinguere, gli attori principali, tra approvazione e apertura dei cantieri.
Facciamola breve, arriva a concludere la commedia, ormai tramutata in farsa, la dea ex machina Minerva – dea della saggezza, dell’ingegno e delle arti utili…tra cui c’è l’ingegneria – che entra impetuosa e intima ai dignitari di sgomberare il campo.
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L’ebreo immaginario degli antisemiti non abita a Tel Aviv
di Fabio Ciabatti
Manuel Disegni, Critica della questione ebraica. Karl Marx e l’antisemitismo, Bollati Boringhieri, Torino 2024, pp. 448, € 26,60
Ma davvero qualcuno ha potuto sostenere che Marx era antisemita? Ebbene sì. Evidentemente è difficile resistere alla tentazione di attribuirgli anche questa infamia. Di sicuro il linguaggio del rivoluzionario tedesco è tutt’altro che politically correct quando parla dei problemi attinenti alla questione ebraica. Si pensi, solo per fare un esempio, a un’espressione come la “raffigurazione sordidamente giudaica” utilizzata nelle Tesi su Feuerbach. In ogni caso, tutta questa faccenda non meriterebbe di essere presa sul serio se non fosse che, dietro di essa, si nasconde il tentativo truffaldino di attribuire lo stigma dell’antisemitismo a tutta una tradizione politica che a Marx si richiama o, molto più spesso, si richiamava. E questo per alimentare la narrazione degli opposti estremismi, di destra e di sinistra, a beneficio di un centrismo liberale tanto nobile quanto introvabile. O, peggio ancora, il presunto peccato di Marx servirebbe a ripulire l’immagine di una destra che verso gli ebrei ha avuto storicamente un’ostilità esplicita e feroce. Come dire, tutti antisemiti, nessun antisemita.
E allora prendiamo il toro per le corna, utilizzando l’interessante testo Critica della questione ebraica. Karl Marx e l’antisemitismo di Manuel Disegni. Attraverso questo libro vogliamo partire da Marx per giungere a questioni di più stretta attualità arrivando a conclusioni che, meglio dichiararlo subito, potrebbero anche non piacere all’autore. Marx tratta apertamente dell’antisemitismo in un solo testo, per di più giovanile. Si tratta del famoso articolo intitolato Sulla questione ebraica in cui Marx non ha remore nell’utilizzare stereotipi ripresi dalla tradizione antiebraica a lui coeva. Senonché, nota l’autore, non li utilizza perché li condivide ma perché li vuole ritorcere contro chi li propugna.
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Iran contro Israele, con l’Ucraina che passa in cavalleria
di Paolo Arigotti
La notte tra sabato 13 e domenica 14 aprile 2024 l’Iran ha lanciato contro Israele un attacco con centinaia di droni e missili: si calcola che siano stati utilizzati circa 170 droni, 30 missili da crociera e 120 missili balistici[1].
Leggere in questo episodio un atto terroristico e/o un nuovo capitolo della conflittualità tra la Repubblica Islamica e lo stato ebraico sarebbe a dir poco riduttivo. Teheran, appellandosi all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite[2], che contempla il diritto all’autotutela in attesa delle eventuali misure assunte dal Consiglio di sicurezza, ha motivato l’azione come ritorsione rispetto all’attacco del primo aprile scorso, contro la propria sede diplomatica di Damasco, che provocò la morte di tredici persone (sei delle quali cittadini siriani), tra cui il generale Mohammad Reza Zahed, ufficiale delle Guardie Rivoluzionarie e altri sei membri dello stesso corpo.
Il raid israeliano era stato criticato in termini piuttosto blandi da diversi leader occidentali, pur ricevendo la condanna del segretario dell’ONU Antonio Guterres, per la violazione della Convenzione di Vienna del 1961[3] (quella che sancisce l’inviolabilità delle sedi diplomatiche[4]); gli stessi leader occidentali, però, si sono affrettati a chiedere la condanna iraniana per le azioni del 13 e 14 aprile.[5]
In una recente intervista[6], la professoressa Hanieh Tarkian, docente di studi islamici, ha parlato di superiorità morale dell’Iran, che ha attuato una rappresaglia in conformità al diritto internazionale, prendendo di mira obiettivi militari e senza provocare vittime, oltretutto agendo in piena autonomia e senza il supporto degli alleati regionali; Hezbollah si è limitata ai consueti attacchi dal territorio del Libano.
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Da Bruxelles al G7. I guerrafondai europei: ipocriti, dilettanti e pericolosi
di S. C.
Al vertice dei ministri degli Esteri del G7 in corso a Capri, l’Alto responsabile della politica estera e di sicurezza dell’Unione europea, Josep Borrell, ha chiesto ai ministri della Difesa europei di prendere “decisioni concrete” per l’invio di più sistemi di difesa aerea all’Ucraina.
Secondo il capo della politica estera Ue (sic!), non solo gli Stati Uniti a doversi assumere la responsabilità di fornire sistemi di difesa aerea all’Ucraina. “Abbiamo Patriot e altri sistemi missilistici. Dobbiamo portarli fuori dai depositi”, ha dichiarato Borrel invitando i Paesi europei e occidentali a prendere decisioni “più rapide” per sostenere Kiev, che ha bisogno di armi che vanno fornite “molto più velocemente” per fronteggiare l’offensiva della Russia del presidente Vladimir Putin.
Forse Borrel non ha letto la disamina impietosa del generale Tricarico sul fatto che – ad esempio – la difesa antiaerea e antimissile dell’Italia già oggi sarebbe in difficoltà nel respingere di un’ondata di attacchi aerei come quella condotta dall’Iran su Israele.
Ma anche sul piano politico/diplomatico Borrel conferma di essere un guerrafondaio sul teatro bellico in Ucraina. “Non possiamo permetterci la vittoria di Putin”, ha affermato aggiungendo una sottolineatura che appare una vera e propria lapide su una seria ipotesi di negoziati per la fine della guerra in Ucraina (o per lo meno su un qualsiasi ruolo della UE su questo fronte).
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La politica estera di Macron scredita la Francia
di Andrew Korybko
L'intercettazione da parte della Francia di missili iraniani sopra la Giordania all'inizio di questo mese rappresenta l'ultimo errore di Macron che ulteriormente scredita il suo Paese sul fronte della politica estera. Nel 2018, il leader francese si attribuì il merito di aver impedito una guerra civile in Libano l'anno precedente, dopo che il suo intervento diplomatico contribuì a risolvere la crisi nata dalle dimissioni scandalose dell'ex Primo Ministro Hariri mentre si trovava in Arabia Saudita. Fu intorno a quel periodo, alla fine del 2017, che Macron iniziò anche a parlare della creazione di un Esercito Europeo.
Questi passi hanno fatto pensare a molti che la Francia stesse cercando di rilanciare le sue tradizioni di politica estera indipendente, percezione rafforzata dalle parole di Macron a The Economist alla fine del 2019, quando dichiarò che la NATO era cerebralmente morta. Gli Stati Uniti presero poi la loro rivincita sulla Francia sottraendole un accordo da miliardi di dollari per un sottomarino nucleare con l'Australia due anni dopo, per creare AUKUS. Le divergenze di visione sulla politica estera tra questi due Paesi dal 2017 al 2021 erano chiaramente diventate una tendenza.
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Si vis bellum, para bellum
di Norberto Fragiacomo
Difficile stabilire, basandosi su dichiarazioni contrapposte e video falsificabili, se la ritorsione iraniana contro Israele sia stata un parziale successo (asseriti duri colpi inferti a una base aerea nel deserto del Neghev) o un flop (99% degli ordigni abbattuti, secondo NATO e sionisti): di certo è stata un’operazione dimostrativa cui la Repubblica Islamica non aveva modo di sottrarsi, pena la perdita di credibilità politico-militare presso alleati e fiancheggiatori.
Il fatto che gli USA e alcuni paesi dell’area siano stati preavvertiti rafforza il convincimento che la leadership persiana si sia mossa con la massima cautela dopo l’attacco terroristico (così l’ha correttamente definito Massimo Cacciari) commesso da Israele contro il consolato iraniano a Damasco il primo aprile scorso – attacco che, malgrado la data, non è certo derubricabile a scherzo. I fuochi artificiali che hanno illuminato il cielo sopra Gerusalemme significano in sostanza “siamo pari e patta, finiamola qui”: il problema è che, a differenza del Pakistan (ricordiamoci dello scambio di razzi a inizio anno), lo Stato ebraico non concorda mai le regole della partita, preferendo imporle a partner e contendenti.
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Il mito dell’intelligenza artificiale
di Redazione
Per Erik J. Larson, mitizzare l’intelligenza artificiale è negativo, perché maschera un mistero scientifico con la narrazione di un progresso inevitabile. Ma è improbabile che si riesca a innovare, se decidiamo di ignorare un mistero fondamentale anziché affrontarlo.
Il mito non consiste nell’impossibilità di realizzare l’IA autentica. Da questo punto di vista, il futuro dell’intelligenza artificiale è un’incognita scientifica. Il mito consiste invece nella sua presunta inevitabilità, nel fatto che sia solo una questione di tempo, perché ormai abbiamo imboccato la strada che condurrà all’IA di livello umano e poi alla super-intelligenza. Non è così. Quella strada esiste solo nella nostra immaginazione. Eppure, l’ineludibilità dell’IA è talmente radicata nel discorso comune – alimentato da esperti dei media, maître à penser come Elon Musk e persino da molti scienziati del settore (per quanto non tutti) – che schierarsi contro è spesso considerato una forma di luddismo o quanto meno una visione miope del futuro della tecnologia e una pericolosa incapacità di prepararsi a un mondo di macchine intelligenti.
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Il Fondo Monetario smonta l’Occidente: la Russia crescerà più di tutte le economie avanzate
di Giorgia Audiello
Secondo gli aggiornamenti di aprile del Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Russia nel 2024 crescerà più di tutte le economie avanzate del mondo, compresa quella statunitense. L’organismo finanziario internazionale prevede una crescita del 3,2%, superiore a quella di Stati Uniti (2,7%), Germania (0,2%), Francia (0,7%), Italia (0,7%) e Regno Unito (0,5%). Le stime economiche dell’FMI rappresentano un vero e proprio smacco per il blocco atlantico: hanno smontato, infatti, la propaganda dei capi di Stato e dei media occidentali, i quali dal 2022 hanno sostenuto che le sanzioni euro atlantiche imposte a Mosca avrebbero duramente colpito la sua economia, impedendogli di finanziare la guerra in Ucraina e facendola fallire. Era il 21 settembre 2022 quando l’ex presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, affermava all’Assemblea generale dell’ONU che «le sanzioni che abbiamo imposto a Mosca hanno avuto un effetto dirompente sulla macchina bellica russa, sulla sua economia. […] Il FMI internazionale prevede che l’economia russa si contragga quest’anno e il prossimo di circa il 10% in totale a fronte di una crescita intorno al 5% ipotizzata prima della guerra».
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