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consecutiorerum

Il rapporto sociale «che si presenta in una cosa»

Legge del valore, carattere di feticcio e metodo della critica dell’economia politica: una lettura del primo capitolo del Capitale

di Federico Simoni

MAG16 INPRATICA2 Mimmo Paladino Calce1. Introduzione

Diversi studiosi marxiani hanno recentemente sostenuto che nel Capitale Marx elaborerebbe, più o meno consapevolmente, una vera e propria rivo­luzione epistemologica. Secondo Michael Heinrich, il pensatore di Treviri presenta nel primo capitolo dell’opera il concetto, del tutto originale, di “forma [sociale] oggettuale di una cosa”, rapporto sociale “che si presenta (darstellt) in una cosa”1 . Tale concetto innerverebbe sia la sua teoria del va­lore sia quella del feticismo delle merci, entrambe presentate in tale capitolo. Esso non è in effetti altro che il valore delle merci:

La forza-lavoro umana allo stato fluido, ovvero il lavoro umano, costituisce va­lore, ma non è valore. Esso diventa valore allo stato coagulato, in forma oggettuale [gegenstandlicher Form ]. Per esprimere il valore della tela come gelatina di lavoro uma­no, esso deve essere espresso come una ‘oggettualità’ [ Gegenstandlichkeit] che sia dis­tinguibile, cosalmente [dinglich], dalla tela stessa e che, allo stesso tempo, sia ad essa in comune con altre merci2.

Per Tommaso Redolfi Riva, in Marx “il carattere di feticcio che assume la socializzazione del lavoro nel modo di produzione capitalistico, il suo carattere oggettuale, è l’origine del feticismo nell’economia politica”3. Il nesso sociale tra produttori privati si trova, in questo “valore”, per così dire tradotto in forma di rapporto di cose. Il valore non rappresenta perciò una qualità dei prodotti come tali (in sé indipendente da questa forma deter­minata, socialmente e storicamente, dello scambio). Esso è però parimen­ti forma oggettuale, ovvero compare necessariamente in forme e rapporti di cose, dei prodotti del lavoro, in virtù diretta di tale nesso. Questo per Marx diviene ed opera realmente come un’oggettualità di fronte ai soggetti sociali stessi che lo attuano, predeterminando la forma della loro “azione sociale”4.

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lanatra di vaucan

La duplice devalorizzazione del valore. Verso la crisi storica del denaro

di Robert Kurz

Pubblichiamo la traduzione di Samuele Cerea del cap.XVII di Geld ohne Wert, ultimo libro pubblicato in vita da Robert Kurz, preceduta da una breve introduzione del traduttore

GOW 17 2048x1536L’ultimo saggio ultimato da Robert Kurz, Geld ohne Wert, rappresenta un tentativo ambizioso di rinnovare la critica dell’economia politica di Marx in una prospettiva eterodossa di superamento rispetto all’originaria esposizione de Il Capitale. Il capitolo XVII del testo si focalizza sulla crisi del denaro come aspetto specifico della crisi generale della valorizzazione capitalistica.

A cosa serve il denaro? Come è noto, per la teoria economica si tratta di uno strumento indispensabile in una società che si fonda su di un regime generalizzato di transazioni economiche. Secondo i manuali di economia il denaro funziona da mezzo di pagamento, unità di conto e misura e riserva del valore. In cosa consiste però il valore del denaro? Cosa si intende dire quando si afferma che esso ha un valore? Rappresenta effettivamente il valore in senso sostanziale, oggettivato? Oppure il valore del denaro si esaurisce semplicemente nella sua funzione di mediazione tra diversi beni nella sfera del mercato, soggetta alla legge della domanda e dell’offerta, sotto la garanzia dello Stato?

Nell’argomentazione di Kurz la mediazione di un denaro simbolico, privo di valore, può avere senso solo in una società fatta di produttori indipendenti che si limitano a scambiarsi vicendevolmente beni materiali in una nicchia di mercato. Ma con l’avvento della società capitalistica questa relazione si inverte: sono i beni materiali ad essere un termine medio in seno ad un movimento che mira ad incrementare una certa quantità di denaro iniziale. In questo senso il denaro diviene qui l’alfa e l’omega del processo produttivo (di valore). Di conseguenza esso non è più un semplice mediatore ma si converte nello scopo dell’intero processo sociale. Come afferma Kurz ne Il Capitale-mondo “l’economicizzazione del mondo equivale alla sostanzializzazione del denaro”.

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materialismostorico 

L’economia politica fra scienza e ideologia. Terza parte

di Ascanio Bernardeschi

1159f95dad2c700aebdcc3993541e6d0 XL1. La critica radicale di Sraffa al marginalismo

La funzione di produzione Q=f(L,K>) implica la conoscenza delle quantità di L, K e Q (lavoro, “capitale” e prodotto). Se si può supporre che tutti i lavori siano riducibili a lavoro generico e misurabili in tempo di lavoro e che sia possibile una misurazione in termini fisici del prodotto (ove si escluda la produzione congiunta) sorge il problema di misurare il capitale, che è composto da merci eterogenee. Ciò nonostante questa fun­zione fa ancora da padrona nell’accademia, ove si sorvola anche sulla cir­costanza che il problema di una misurazione rigorosa del capitale era già stato affrontato da Ricardo, sia pure in modo insoddisfacente, attraverso la finzione della produzione di grano a mezzo di grano. Lo stesso pro­blema, come abbiamo fuggevolmente riferito nel nostro precedente arti­colo1, era stato segnalato da Keynes, per quanto quest'ultimo non ne ab­bia tratto la conclusione di una rottura con il paradigma marginalista. L'argomento diventerà invece cruciale nel contributo di Piero Sraffa.

Italiano e antifascista, dopo avere svolto l'incarico di direttore dell'Uf­ficio del lavoro di Milano, vinse nel 1926 il concorso come professore ordinario presso l’Università di Cagliari. Tuttavia, l’anno seguente, dopo la carcerazione di Gramsci e dopo le minacce di cui fu oggetto egli stesso, dovette recarsi in Inghilterra, a Cambridge, chiamato proprio da Keynes, che lo aveva conosciuto in un precedente soggiorno dell'economista ita­liano in Inghilterra e che gli trovò l'occupazione come bibliotecario della Marshall library. Lì rimase fino al 1983, anno della sua morte. A Cam­bridge accettò, su invito di Keynes, di tenere dei corsi all’Università sulla teoria del valore e sui sistemi finanziari italiano e tedesco.

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antropocene

La critica di Marx all'umanesimo illuminista: una prospettiva ecologica rivoluzionaria

di John Bellamy Foster

2021 02 12 Mario LupoÈ difficile negare che Karl Marx sia stato il principale critico rivoluzionario dell'umanesimo illuminista del XIX secolo. Nessun altro pensatore ha sviluppato una critica dell'Uomo astratto ed egoista dell'Illuminismo in così tanti ambiti – religione, filosofia, Stato, diritto, economia politica, storia, antropologia, natura/ecologia – né ha rivelato così a fondo la sua brutale ipocrisia.

Ma l'opposizione di Marx all'umanesimo illuminista può anche essere vista come un superamento di ogni altra analisi critica fino ai giorni nostri nel suo carattere distintivo di critica dialettica e storica. La sua risposta all'umanesimo borghese non consisteva in una semplice negazione unilaterale, come nella nozione althusseriana di una rottura epistemologica tra il primo Marx e il Marx maturo. Il suo approccio è stato invece più radicale e ha trasformato la sostanza del suo originario approccio umanista e naturalista in un materialismo evoluto.[1] Il risultato fu un simultaneo approfondimento della sua ontologia materialista, che ora assumeva un'enfasi definita e corporea, incentrata sulle condizioni della sussistenza dell’uomo, e la sua estensione all'ambito storico sotto forma di materialismo pratico.

L'analisi di Marx è stata quindi unica nell'offrire una sintesi superiore che prevedesse la riconciliazione tra umanesimo e naturalismo, umanità e natura. Piuttosto che fermarsi a una mera antitesi (come nella maggior parte delle concezioni “post” contemporanee), l'oggetto era il superamento delle condizioni materiali del modo di produzione capitalistico che avevano fatto dell'umanesimo illuminista la forma paradigmatica del pensiero borghese.

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antiper

Manipolazioni di Marx

di Antiper

Critica dell’introduzione di Marco Santoro (Giochi di potere. Pierre Bourdieu e il linguaggio del “capitale”) a Pierre Bourdieu, Forme di capitale, Armando editore, 2015

bourdieu marxCi è capitato solo di recente di leggere l’Introduzione che Marco Santoro, noto studioso del sociologo francese Pierre Bourdieu, ebbe a scrivere qualche anno fa per la pubblicazione di Forme di capitale [1].

Dato l’argomento del testo Santoro non può esimersi dal trattare della relazione tra il concetto di capitale in Bourdieu e il concetto di capitale in Marx, ma lo fa in modo da presentare sistematicamente la distanza, il distacco, la critica, la superiorità… di Bourdieu nei confronti di Marx

“molto distante però sia dal marxismo che dalla teoria economica” “[la] teoria economica (inclusa quella di orientamento marxista) concepisce un’unica specie o forma di capitale – il capitale economico” “uno dei capisaldi della visione sociologica di Bourdieu, strumento di rottura rispetto a qualunque visione economicista della società inclusa quella marxista con il suo primato accordato alla sfera economica e in particolare alla produzione di merci” “avvicinando Bourdieu a Weber piuttosto che a Marx” “sostanziale revisione del concetto così come questo era stato incorporato nella teoria economica (inclusa quella marxiana)” “distanza di questa definizione da quella che regge l’impianto analitico marxiano e le sue derivazioni” “prendeva le distanze dal marxismo ortodosso, il cui economicismo e panmaterialismo il sociologo ed etnologo Bourdieu non ha mai nascosto di considerare fuorvianti e inadeguati” “colpire il riduzionismo economicista di cui il marxismo è accusabile almeno quanto la teoria economica” [2]

Niente di particolarmente sorprendente; nelle università italiane si fa carriera trattando Marx come un appestato o almeno presentandone una versione “decaffeinata” e politicamente corretta.

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ilcovile

Marx e la Gemeinwesen

Prefazione a Urtext

di Jacques Camatte

marx twoÈ nel Frammento del testo originario (Ur­text, 1858) e nei Grundrisse, opere in­compiute o abbozzi di Marx, che si tro­vano piú possibili, che il sistema è aperto.1 È un momento di legame essen­ziale con le opere dette «filosofi­che», giovanili. Non che Marx abbia successi­va­mente abbandonato ogni con­tatto con la filosofia, tut­t’altro. Il Libro primo del Capitale è pienamente com­pren­sibile solo se si conosce almeno ciò che Aristotele ha scritto nella sua Meta­fisica a proposito della forma e della materia, e la logica di Hegel. In non po­che pagine del Capi­tale si ha inoltre un’innega­bile eco spinozia­na. Nell’Urtext è ad un Hegel giovane che Marx si collega, un Hegel che gli era sconosciuto, quello che s’interrogò a fondo sulla Gemeinw­esen, in particola­re quella greca; e al di là di Hegel, Marx si collega sotterranea­mente a una quantità di uomini come Gioac­chino da Fiore, Niccolò da Cusa ecc.2

Autonomizzazione del valore di scam­bio, comunità, rap­porto Stato-equivalente genera­le, definizione del capitale come valore in pro­cesso, tali sono i punti essen­ziali affrontati nell’Ur­text. Non gli sono esclusivi, perché li si ritrovano nei Grundrisse e nel Capitale. Tutta­via in questo testo lo studio è piú sintetico e i diver­si argomenti sono affrontati simultanea­mente; ed essi sono rilevanti, soprattutto per ciò che riguarda l’autonomizzazione e la co­munità. Nel Libro primo del Ca­pitale invece l’esposizione è piú analitica.

Nel complesso, per quanto riguarda la co­munità, Marx fa, nelle opere pubblicate men­tre era in vita, il seguente ra­gionamento: la di­struzione della vecchia comunità a causa del­l’au­tonomizzazione del valore di scambio, di­struzione che permette pure l’autonomizzazio­ne dei diversi elementi costi­tutivi (individuo, politica, religione, Stato), costituisce il punto di partenza di un ampio movimen­to, del quale profitta la borghesia per svilupparsi.

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marxdialectical

Concetti hegeliani e materialismo storico. Il contributo di Alessandro Mazzone

di Roberto Fineschi

Introduzione a Alessandro Mazzone, Per una teoria del conflitto. Concetti hegeliani e materialismo storico, La Città del Sole, 2022

Copertina MazzoneIn occasione del decennale della morte di Alessandro Mazzone, tra alcuni ex-studenti (i “mazzoniani” di un tempo) è nata l’idea di ricordarne la figura e l’importante contributo teorico. Con l’adesione delle figlie è stata fondata un’associazione culturale dal nome “Laboratorio critico” con sede a Siena, città in cui Mazzone ha insegnato per molti anni concludendovi la propria carriera accademica; essa ha tra i suoi obiettivi la valorizzazione del suo lascito teorico e librario.

L’associazione, come suo primo atto concreto, ha deciso di promuovere la pubblicazione di una raccolta di scritti che abbracciano l’ultimo periodo del suo impegno teorico (1999-2012). È stata questa sicuramente una fase delicata della sua vita, segnata da problemi di salute, dalla fine dell’attività universitaria, quindi potenzialmente complessa anche intellettualmente.

Pur tra varie difficoltà egli è riuscito a delineare una serie di nodi problematici che, in qualche modo, davano una dimensione teorico-politica più accessibile alla sua sofisticata teoresi degli anni precedenti. Questa dimensione più “popolare” – nel senso più nobile del termine – rimane ancora di grande attualità e offre importanti strumenti per comprendere la realtà contemporanea.

Un contatto importante di questa fase fu quello instaurato con la Rete dei Comunisti, alla quale Mazzone non ha mai aderito formalmente ma con la quale ha a lungo dialogato partecipando a conferenze e pubblicazioni da essa promosse; è dunque sembrato giusto coinvolgere questa organizzazione nel progetto editoriale. L’auspicio è che questi scritti possano contribuire alla ripresa di un dibattito teorico-politico di più alto livello, con possibili ricadute pratiche.

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antropocene

Il ritorno della "Dialettica della Natura": la lotta per la libertà come necessità

di John Bellamy Foster

MR dic22aÈ una premessa fondamentale del marxismo quella per cui, quando cambiano le condizioni materiali, cambiano pure le nostre idee sul mondo in cui viviamo.

Ai nostri giorni assistiamo a una vasta trasformazione nel rapporto tra la società umana e il mondo fisico-naturale cui essa appartiene; il che è evidente nella comparsa di quella che nella storia geologica è oggi indicata come epoca antropocenica, durante la quale l’umanità è divenuta la principale forza nella trasformazione del Sistema-Terra. Una «frattura antropogenica» nei cicli biogeochimici terrestri – frattura che deriva dal sistema capitalistico – minaccia ora di distruggere la Terra in quanto casa sicura per l’umanità e per le innumerevoli specie che ci vivono, in un arco di tempo non di secoli, ma di decenni.[1] Tutto questo richiede per forza di cose una concezione più dialettica del rapporto tra l’umanità e quello che Karl Marx chiamava «metabolismo universale della natura».[2] Oggi il punto non è soltanto capire il mondo, ma cambiarlo prima che sia troppo tardi.

Dal momento che, fin dalla sua concezione alla metà del diciannovesimo secolo, il marxismo è stato la base primaria della critica alla società capitalistica, ci si aspetterebbe che fosse all'avanguardia nella critica ecologica al capitalismo. Ma se si può dire che i materialisti storici e i socialisti più in generale abbiano svolto un ruolo preminente e formativo nello sviluppo della critica ecologica – specialmente in seno alle scienze –, i contributi fondamentali dell’ecologia socialista, soprattutto in Gran Bretagna, hanno preso piede al di fuori delle principali tendenze che avrebbero definito il marxismo del ventesimo secolo nel suo insieme.

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jacobin

Il capitalismo si infiltra nelle nostre vite quotidiane

Daniel Denvir intervista Nancy Fraser

L'analisi della produzione limitata al posto di lavoro è utile ma non sufficiente: in questa lunga intervista Nancy Fraser spiega come lo sfruttamento si estenda all'intero spettro delle relazioni sociali e ambientali

base web 2 1536x560Molte generazioni di marxisti hanno versato fiumi di inchiostro per approfondire le basi teoriche poste da Marx nella sua potente critica sociale. Le femministe in particolare si sono concentrate sull’analisi del lavoro domestico, scolastico e sanitario, che nella maggior parte dei casi stenta a essere riconosciuto come tale. Ma senza il lavoro necessario per crescere, educare e guarire le persone – che le marxiste femministe hanno chiamato «lavoro di cura» – i lavoratori e le lavoratrici non possono sopravvivere, e dunque nemmeno il capitalismo stesso. Questa teoria cancella il tradizionale confine tra casa e posto di lavoro e svela l’esigenza di un esame più dettagliato sulla pervasività del capitalismo, che va oltre il piano economico in senso stretto.

Nancy Fraser, critica teorica marxista, è nota per i suoi interventi marxisti e femministi sulla riproduzione sociale. Il libro di Fraser, Capitalismo. Una conversazione con Rahel Jaeggi (Meltemi, 2019), estende l’analisi originale della riproduzione sociale agli altri punti critici del capitalismo. Fraser dimostra come sia necessario, per esaminare il capitalismo nella sua totalità, che il marxismo superi la propria visione strettamente economica. La sua posizione rifiuta le divisioni nette, non solo tra casa e lavoro ma anche tra economia, politica e ambiente, e tra il regime liberale del lavoro e l’espropriazione violenta nelle periferie neocoloniali.

Nancy Fraser è stata intervistata da Daniel Denvir – conduttore del podcast di Jacobin The Dig – per parlare del libro che ha scritto con Jaeggi, della crisi della riproduzione sociale del capitalismo e della responsabilità socialista nell’offrire un’alternativa.

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carmilla

Globale è bello? Su “Capitale Mondo” di Robert Kurz

di Samuele Cerea

Robert Kurz, Il capitale mondo. Globalizzazione e limiti interni del moderno sistema produttore di merci, Meltemi, Milano, 2022, pp. 539, euro 30,00.

kurzhytgA quanto ci dicono i commentatori stiamo attraversando un’epoca di de-globalizzazione o di post-globalizzazione a base di tensioni internazionali, protezionismo, guerre commerciali, sanzioni economiche e spettri pandemici. Sugli schermi televisivi furoreggia un remake post-politico tanto desolante, quanto potenzialmente micidiale, del classico confronto tra le superpotenze nucleari, che avevamo liquidato un po’ troppo sbrigativamente come un relitto del passato, con le sue proxy-war e le sue figure emblematiche, oggi un tantino surreali. Nel frattempo le élite occidentali elogiano entusiasticamente la logica dei blocchi, auspicano con ansia la fine della dipendenza energetica, mettono in guardia sollecitamente contro il “pericolo giallo”, gli Stati-canaglia vecchi e nuovi e le torme dei falliti globali che si preparano ad assediare la “fortezza Occidente” (o il “giardino meraviglioso” nella poetica lezione di Josep Borrell).

Mentre Big Brother e Goldstein vivono ormai da tempo con noi e anche Oceania sembra a portata di mano vale ancora la pena leggere un libro pubblicato in Germania nei primi anni Duemila, quando le medesime élite politiche ed economiche urlavano dai tetti la buona novella della globalizzazione, trattando con un misto di sufficienza, di fastidio e di apprensione coloro che, ed allora erano davvero tanti, contestavano con ragioni più o meno condivisibili, l’utopia-distopia del mondo unificato?

Il saggio in questione ha per titolo “Il Capitale-mondo” (“Das Weltkapital”, 2004). L’autore, il tedesco Robert Kurz, ha finora goduto di scarsa fortuna e notorietà in Italia anche se taluni rivoli del suo pensiero affiorano talvolta nelle opere di qualche autore nostrano come fiumiciattoli carsici.

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jacobin

Odio mosso da amore

di China Miéville

Come rapportarsi al sentimento dell'odio generato dalle crudeltà che ci circondano? Bisogna negarlo o provare a governarlo? Una riflessione, Marx alla mano, dello scrittore di fantascienza radicale China Miéville

011222 1536x560Non c’è ragione di soccombere al conforto complesso della disperazione, un rifugio nel lugubre che ci consegna alla sconfitta. Ma sottolineare i ripetuti fallimenti della sinistra è un rimedio inevitabile, data la sua storia di esaltazioni e cazzate, ed evidenziare quanto siano spaventosi e terribili questi giorni, anche se vi possiamo anche scorgere una speranza. Adottare l’approccio liberale e vedere come deviazioni Boris Johnson, Jair Bolsonaro, Narendra Modi, Rodrigo Duterte, Donald Trump, Silvio Berlusconi e i loro epigoni, il violento e intricato «cospirazionismo», l’ascesa dell’alt right, la crescente volubilità del razzismo e del fascismo, significa estrapolarli dal sistema di cui sono espressione. Trump se n’è andato, ma il trumpismo è ancora forte.

Nonostante tutto ciò, vista la recente sconfitta e lo smacco dei movimenti di sinistra nel Regno Unito e negli Stati uniti, causa di profonda depressione e demoralizzazione, questa è stata anche una fase di insurrezioni senza precedenti nelle città americane (e altrove). La storia e il presente sono oggetto di contesa.

Il capitalismo non può esistere senza una punizione implacabile nei confronti di coloro che trasgrediscono i suoi divieti spesso meschini e spietati, e di coloro la cui punizione è funzionale alla sua sopravvivenza, indipendentemente dalla «trasgressione» immaginaria. Dispiega sempre più la repressione burocratica, ma anche un sadismo appositamente congegnato, sfacciato, sopra le righe. Ci sono innumerevoli orribili esempi di riabilitazione e celebrazione della crudeltà, nella sfera carceraria, nella politica e nella cultura. Spettacoli come questo non sono nuovi, ma non sempre sono stati così «sfacciati», come dice Philip Mirowski, «fatti sembrare non eccezionali» – non sono solo una distrazione ma fanno parte di «tecniche di disciplinamento ottimizzate proprio per rafforzare il neoliberismo».

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perunsocialismodelXXI

Rileggere Lukàcs per salvare il marxismo occidentale

di Carlo Formenti

Il testo che segue anticipa la mia Prefazione della nuova edizione della "Ontologia dell'essere sociale" di Lukács che l'editore Meltemi manderà in libreria ai primi del 2023

15676231176Se la Ontologia dell'essere sociale fosse stata pubblicata nel 1971 (l'anno di morte dell'autore) avrebbe certamente influito sulla valutazione della grandezza di Lukács, elevandolo al ruolo di più importante filosofo marxista - e fra i maggiori filosofi in generale – del Novecento. Invece quest'opera monumentale, la cui stesura richiese un decennio di lavoro, tardò a vedere la luce perché l'autore continuava a rimaneggiare il testo dei Prolegomeni che, malgrado la loro funzione di sintesi introduttiva ai temi della Ontologia, furono scritti per ultimi (1); inoltre perché gli allievi che ebbero a disposizione il manoscritto dopo la sua morte ne ritardarono la diffusione (la traduzione italiana della seconda parte uscì nel 1981, mentre la versione originale apparve in tedesco dal 1984 al 1986), ma soprattutto alimentarono un pregiudizio negativo nei confronti dell'opera prima che fosse resa disponibile ai lettori (2). Questi motivi, unitamente al clima storico, ideologico e culturale antisocialista e antimarxista degli anni Ottanta generato dalla rivoluzione neoliberale, dalla svolta eurocomunista di quei partiti europei che interpretarono la crisi del socialismo come “crollo del marxismo”, nonché dalla svolta libertaria e individualista dei “nuovi movimenti” post sessantottini, ha fatto della Ontologia una delle opere più sottovalutate del Novecento. Al punto che il pensiero di Lukács, mentre è rimasto oggetto di culto per minoranze intellettuali non convertitesi al mainstream neoliberale, ha continuato ad essere identificato con opere precedenti come la Distruzione della ragione (3) , e ancor più con Storia e coscienza di classe (4), un libro che lo stesso autore considerava “giovanile” e superato.

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gyorgylukacs

Introduzione a “Storia e coscienza di classe”

di Giorgio Cesarale

Tratto da György Lukács, Storia e coscienza di classe, trad. di G. Piana, PGreco, Milano 2022

md311444232691. La preistoria di Storia e coscienza di classe

Una delle caratteristiche di Storia e coscienza di classe, l’opera filosofica più importante che sia sorta nel seno del marxismo del ’900, è la straordinaria tensione fra la brillantezza delle formulazioni e la complessa e magmatica materia storico-spirituale che vi è sottesa. Soprattutto oggi, a un secolo di distanza dalla pubblicazione dell’opera, si può cogliere in essa la freschezza e la potenza di quelle tesi che hanno dato vita a una intera tradizione filosofica e politica, il “marxismo occidentale”: il marxismo inteso come metodo di autonoma ricerca e nuova costruzione anziché come archivio di “citazioni” da applicare estrinsecamente alla materia storica o come semplice accertamento del fondamento “economico” di ogni azione umana; la coscienza di classe come “coscienza attribuita di diritto”, cioè come coscienza che, comprendendo la propria posizione nella totalità dei rapporti di produzione capitalistici, attinge la sua destinazione storico-politica; la conseguente critica alla separazione fra coscienza e realtà, di cui si scopre il fondamentale motivo generatore nella merce, che è la cellula germinale di quel capitalismo che ne ha cagionato la generalizzazione, sia intensive sia extensive; la diagnosi circa il carattere pervasivo della reificazione o alienazione degli uomini nella società moderna, in grado di investire una molteplicità di livelli costitutivi della loro vita, fino a quello politico, dove essa si esprime o come opportunistico accomodamento alle condizioni presenti, la socialdemocrazia, o come slancio volontaristico al di là di esse, l’utopismo, l’anarchismo, il blanquismo; il principio della prassi come cosciente modificazione della realtà, che ne dissolve la scorza apparentemente intangibile, la “seconda natura”, per ricondurla alla vivente interazione antagonistica fra le classi; la critica alle antinomie della filosofia moderna, p. cs. quelle fra immediatezza e mediazione, contenuto e forma, essere e pensiero, in quanto generate dal mancato attingimento di questo stesso principio della prassi; la ricostituzione delle categorie del marxismo attorno a una nozione di proletariato come “soggetto-oggetto identico” che, fornendo il contenuto materiale delle forme che costellano il processo di riproduzione capitalistico, scioglie le stesse antinomie del pensiero borghese, e impone così una ristrutturazione del significato della storia nel senso di una soggettività che ne costituisce sempre l’oggettività, anziché semplicemente rifletterla; la critica, su tale base, alla dialettica della natura configurata da Engels, per la quale ti soggetto coglie i nessi dialettici naturali in veste di osservatore, come se tosse uno spettatore che li contempla puramente dall’esterno; la riattivazione del nucleo antifeticistico della dialettica, intesa come esperienza del pensiero che, negando ogni determinazione rigidamente finita e unilaterale, arriva a incorporare la stessa genesi delle forme, a riconvertire le cose nei processi e questi ultimi di nuovo nelle cose1.

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la citta futura

La parabola dell’economia politica – Parte XXVII

Critica dei postulati del teorema neoliberista

di Ascanio Bernardeschi

I postulati su cui poggiano le teorie economiche neoliberiste sono irrealistici se non addirittura frutto della fantasia, però le politiche conseguenti vengono ugualmente imposte in quanto utili al sostegno dei profitti e alla conservazione del primato del capitale sul lavoro

faa000add7714a2605b386d1d560cef3 XLNel precedente articolo avevo segnalato che la bocciatura delle politiche keynesiane da parte della scuola di Chicago anche nel breve periodo, discende dall'assunzione che gli investitori assumano le loro decisioni sulla base di “aspettative razionali” che inducono a prendere in considerazione la redditività di tali investimenti nel medio periodo. A questo proposito è bene discutere della razionalità di decisioni che si basano sui dogmi dell’economia ortodossa che vengono divulgati e diventano senso comune. Se il dogma divenuto senso comune ci dice che un dato titolo si apprezzerà, allora la massa degli speculatori scommetterà sul suo apprezzamento e quindi il mercato determinerà un aumento delle sue quotazioni in borsa, facendo sì che questa aspettativa si autorealizzi. Gli operatori sbaglierebbero ad agire secondo le loro intime e magari più ragionevoli convinzioni. Devono agire secondo quelle che ritengono siano le convinzioni del “mercato”, le sole che si autorealizzano, cioè quelle inculcate dagli economisti volgari, che indirizzano la condotta della generalità degli operatori. Così facendo saranno “razionali”, perché per un po’ le cose andranno proprio così, fino allo scoppio di qualche bolla che ripristinerà il primato della realtà sulla fantasia neoliberista

Cose analoghe avvengono nell’economia “reale”: si consigliano comportamenti e decisioni di investimento valutando le scelte statali di politica economica in base alla loro conformità o meno alle prescrizioni degli economisti egemoni.

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la citta futura

La parabola dell’economia politica – Parte XXVI

Il monetarismo e l’apologia della disoccupazione

di Ascanio Bernardeschi

Illustrazione degli elementi cardine della teoria monetarista

8222614fe5db6b0d424da8461ca351d4 XLL’aspetto centrale del monetarismo, che si oppone radicalmente alla teoria keynesiana, è la teoria della moneta, per alcuni aspetti un recupero di prescrizioni della della vecchia teoria quantitativa [1], ma in cui la moneta non è un “velo”, bensì lo strumento più importante per governare l’economia.

Per i monetaristi la causa principale dell’inflazione – che poi è la maggiore preoccupazione dei seguaci di questa scuola [2] – è un eccesso dell’emissione di banconote da parte delle banche centrali. Secondo questa teoria occorre evitare che l’emissione di moneta (offerta) superi la domanda. Dovrebbe invece essere automaticamente quantificata, con l’obiettivo unico di regolare il livello di inflazione. La regola monetaria fissa di Friedman, chiamata k-percent rule, prevede che l’offerta di moneta sia calcolata sulla base di fattori finanziari e macroeconomici conosciuti. In questo modo la banca centrale non dovrebbe obbedire a indirizzi politici ma applicare in piena indipendenza questo automatismo, mentre gli imprenditori e gli speculatori potrebbero agire più consapevolmente, conoscendo in anticipo, sulla base dei dati macroeconomici, tutte le decisioni di politica monetaria, se così possano ancora denominarle, vista la rigidità della regola. L’offerta di moneta dovrebbe arrestarsi ancor prima che sia raggiunta la piena occupazione, la quale è considerata in sé un male. La motivazione tecnica di questo “male” viene dedotta da un uso strumentale della famosa curva di Phillips che descrive una relazione inversa tra il tasso di disoccupazione e il livello dei salari. 

Tale curva, secondo la formulazione originaria [2], mostra semplicemente che al diminuire della disoccupazione, in conseguenza del maggiore potere contrattuale acquisito, la classe operaia rivendicherà salari maggiori. Il che è pacifico e lo abbiamo visto in sede di illustrazione del ruolo dell’esercito industriale di riserva nella teoria marxiana.

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euronomade

Prefazione a “Stato e rivoluzione”

di Antonio Negri

Pubblichiamo qui la prefazione di Toni Negri a Stato e Rivoluzione per PGreco Edizioni

STATO E RIVOLUZIONE pREFAZIONE DI TONI NEGRI 1280x6401. A chi mi chiede quale libro possa meglio introdurlo al marxismo, rispondo: Stato e rivoluzione di Vladimir Ilich Lenin. Perché? Perché se Marx è il cervello, Lenin è il corpo del marxismo, e per i materialisti è nel corpo che risiede anche il cervello. Il marxismo non è infatti una teoria economica ma una critica dell’economia politica, laddove critica significa in primo luogo capacità d’analisi nell’immergersi in un mondo caotico e conflittuale, materialmente dominato da padroni che ti sfruttano e da un sovrano che ti comanda. Quel “ti sfrutta” e quel “ti comanda” significano che il comando ha a che fare con il tuo corpo, cioè con i corpi, le energie, le passioni, i valori di chi abita e lavora questo nostro pianeta. Lenin, con Stato e rivoluzione, mette i corpi all’interno della lotta quotidiana dove si annodano rivendicazione economica e passione politica, sforzo di emancipazione e potenza di liberazione. In questo primo approccio, Stato e rivoluzione significa: i corpi in lotta contro la materialità del comando capitalista.

Questo rapporto svela un primo significato del marxismo come critica: significa esserci dentro all’economia politica, starcidentro a quell’avviluppo di atti di sfruttamento e di mezzi di potere (di capitalismo e di sovranità), dentro alla connessione inscindibile che ne fa uno Stato. Lo Stato è sfruttamento dei corpi dei lavoratori ed è comando sui cervelli dei sudditi. Rivoluzione è la critica che i corpi esercitano contro quello sfruttamento e quel potere sovrano.

All’investimento del dentro, la critica fa dunque seguire, in contemporanea, la potenza del contro. Dire contro significa infatti comprendere come i corpi possano muoversi contro il capitale: significa dunque tradurre Il Capitale – libro inesauribile della critica marxista – in esperimento materialista di una rivoluzione possibile.

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resistenze1

Una critica marxista della "sinistra postmoderna" e dell'"identity politics"

di Jona Textor

Identity politics"Il lavoro in pelle bianca non può emanciparsi, in un paese dove viene marchiato a fuoco quand'è in pelle nera" - Karl Marx

Introduzione

L'uccisione dell'afroamericano George Floyd da parte di un poliziotto bianco a Minneapolis, il 25 maggio 2020, ha scatenato un movimento di protesta contro il razzismo e la violenza della polizia come non si vedeva dai tempi delle campagne di solidarietà internazionale contro il regime di apartheid sudafricano. Gli Stati Uniti stanno vivendo uno stato di emergenza politica che si era visto l'ultima volta al culmine delle proteste contro la guerra del Vietnam e nel periodo di massimo splendore del movimento per i diritti civili dei neri.

A differenza degli anni Sessanta e Settanta, tuttavia, oggi nel movimento non ci sono quasi organizzazioni politiche e leader ideologici [1] che analizzino il razzismo da una prospettiva materialista e formulino il loro antirazzismo sulla base di una concezione marxista del capitalismo. Per il Black Panther Party negli anni Sessanta e Settanta era ancora scontato intendere l'oppressione razziale come parte del sistema di sfruttamento capitalistico. Bobby Seale, uno dei membri fondatori delle Pantere, ha dichiarato: "I lavoratori di tutti i colori devono unirsi contro la classe dirigente sfruttatrice e oppressiva. Permettetemi di sottolineare ancora una volta: crediamo che la nostra lotta sia una lotta di classe, non una lotta di razza"[2]. Purtroppo, oggi rimane ben poco di questa eredità teorica. Certo, nel contesto delle proteste di Black Lives Matter (#BLM), ancora oggi si levano singole voci di attivisti di sinistra o di gruppi che rappresentano posizioni di lotta di classe o che addirittura si rifanno positivamente alla tradizione delle Pantere Nere [3], ma queste sono attualmente ben lontane dal rappresentare l'ampiezza del movimento.

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 materialismostorico

Da Hegel a Nietzsche: la complessa relazione di Domenico Losurdo con il liberalismo

di Igor Shoikhedbrod (Dalhousie University, Canada)

SF 1 kf0F U3020371661469feB 593x443Corriere Web Sezioni   1. I criteri di riferimento per lo studio del rapporto di Losurdo con il liberalismo

Prima di iniziare la mia indagine del rapporto di Losurdo con il liberalismo è il caso di fissare i criteri di base che la guideranno. Ogni tentativo di esaminare questa complessa relazione deve infatti confrontarsi fin da subito con una sfida: dove vanno tracciati i confini interpretativi? Questa sfida è resa più difficile dal fatto che Losurdo è stato uno storico delle idee assai prolifico, che nell’esteso ambito di riferimento dei suoi studi si è occupato di un ampio numero di autori e temi del pensiero politico, dall’illuminismo ai nostri giorni. In questo breve saggio mi concenterò su tre (o meglio, quattro) figure fondamentali della storia della filosofia che sono state oggetto delle sue ricerche: G.W.F. Hegel, Karl Marx (e, ove si dia il caso, Friedrich Engels), e Friedrich Nietzsche. Tutti pensatori che hanno contribuito sotto molti rilevanti aspetti a formare l’eredità della filosofia classica tedesca.

Non sono certo il primo a ripercorrere il movimento che da Hegel conduce a Nietzsche; Karl Löwith ha scritto su questo argomento un libro che è ancora un punto di riferimento1. Tuttavia, credo di essere il primo ad analizzare il movimento che da Hegel porta fino a Nietzsche in relazione all’opera di Losurdo e al suo rapporto con il liberalismo. Sicuramente, inoltre, il fatto che io includa Nietzsche tra i filosofi che hanno contribuito alla tradizione della filosofia classica tedesca susciterà la perplessità di alcuni lettori. Dopotutto, il pensiero di Nietzsche, con la sua guerra contro i grandi costruttori di sistemi filosofici, è spesso considerato come l’archetipo della decostruzione. Ciononostante, non è il caso di misurare il contributo di un autore a una particolare tradizione di pensiero sulla base di quanto quello stesso autore ritenga di essersi occupato di essa. Se così fosse, né Hegel, né Marx (né Engels) potrebbero essere descritti come rappresentanti, e al contempo eredi, di questa medesima tradizione.

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ist onoratodamen

Marx capovolto

Il metodo scientifico nel capitale di Marx

di Lorenzo Procopio

Recensione al libro di Massimo Mugnai “Il mondo capovolto"

marx200Lo scorso anno è stato pubblicato per le Edizioni della Normale un agile e interessante libro del filosofo Massimo Mugnai dall’accattivante titolo “Il mondo capovolto. Il metodo scientifico nel capitale di Marx”. A fronte delle sue ridotte dimensioni è un libro molto denso e ricco di spunti di riflessioni che riprende e sviluppa temi già affrontati dall’autore in una vecchia pubblicazione edita dalla casa editrice Il Mulino nel lontano1984 dal titolo “Il mondo rovesciato. Contraddizione e valore in Marx”.

In questo nostro mondo “capovolto”, immerso nella più grave crisi epocale del sistema capitalistico, aggravata dal persistere della pandemia da Covid 19, che generalizza su miliardi di individui condizioni di vita miserevoli, guerre e disastri ambientali, il libro di Mugnai non ha suscitato particolare interesse neanche tra gli addetti ai lavori. A rompere la quasi indifferenza solo una brevissima e neanche molto generosa recensione di Sebastiano Maffettone pubblicata da Il Sole 24 ore lo scorso mese di ottobre 2021. Chiariamo subito che il nostro interesse per il libro di Mugnai non è determinato da una condivisione di quanto sostenuto dal filosofo fiorentino, lontano anni luce dal pensiero di Marx e che in alcuni passaggi del libro, come avremo modo di vedere, vengono attribuite a Marx tesi che non trovano riscontro nelle sue stesse opere distorcendo di conseguenza il suo pensiero. Ci spingono ad occuparci dell’opera di Mugnai l’importanza degli argomenti trattati, convinti che attraverso una loro disamina si possa contribuire a cogliere, anche in quest’epoca in cui predominano le forme di appropriazione parassitarie più raffinate ed in cui la produzione di capitale fittizio si accompagna al parallelo processo d’impoverimento di miliardi di esseri umani, la validità della critica dell’economia politica di Marx.

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ilcovile

Marx e gli stalloni dello storpio

di Stefano Borselli

fantasmiBianchi denti ha Lecania, e Taide neri. Perché? Quelli son finti, e questi veri.

Marziale

Co Feticcio nell’enciclopedia Trecca­ni: «Oggetto inanimato al quale viene attribuito un potere magico o spiritua­le». L’enciclopedia aggiunge che il termine fu «adottato nel xvi sec per designare gli idoli e gli amuleti che comparivano nelle pratiche cul­tuali di popoli indigeni africani» e in seguito fu esteso «a qualsiasi oggetto ritenuto immagine, ricettacolo di una forza invisibile sovrumana».

Freud rimase dunque perfettamente nel si­gnificato del termine usandolo, ad esempio, per un guanto che diviene generatore di desiderio, surrogato della donna che ne era proprietaria.

Marx intitola «Il carattere di feticcio della merce e il suo arcano» un paragrafo, celeberri­mo, del primo libro del Capitale. In quello Marx descrive (corsivi miei)

fino a che punto una parte degli economi­sti sia ingannata dal feticismo inerente al mondo delle merci ossia dalla parvenza oggettiva delle determinazioni sociali del lavoro

e prosegue:

Poiché la forma di merce è la forma piu generale e meno sviluppata della produ­zione borghese — ragion per la quale essa si presenta cosi presto, benché non ancora nel medesimo modo dominante, quindi caratteristico, di oggi — il suo ca­rattere di feticcio sembra ancor relativa­mente facile da penetrare. Ma in forme piu concrete scompare perfino questa parvenza di semplicità. Di dove vengono le illusioni del sistema monetario?

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maggiofil

Il grano e il tulipano: a lezione da Dgiangoz (“La D è muta”. “Lo soooo”!)

Cronache marXZiane n. 9

di Giorgio Gattei

716dFtJmKtL. AC SX425 1. Nel corso del mio prolungato soggiorno sul pianeta Marx, dove sono stato trascinato dall’astronave marxziana “La Grundrisse” (vedi Cronache MarXZiane n. 1) mi ero fatto l’idea che la presenza delle cosiddette “merci non-base”, che sono una componente significativa del suo panorama, potesse avere una qualche parte nella “legge di caduta” del suo Saggio Massimo (di profitto). Ricordo i due termini in questione: Saggio Massimo è il maggiore dei saggi del profitto qualora non si paghino salari (il che succede in una estrema periferia del pianeta che ho visitato) e questo è evidente: essendo il profitto P = (Y – W) con Y = prezzo del Prodotto al netto del capitale impiegato K e W = ammontare dei salari, per W = 0 sarà:

max r = R = Y/K

da cui si vede subito come Saggio Massimo non sia poi altro che l’inverso del ben più noto rapporto Capitale/Reddito (sebbene questa coincidenza non abbia mai ricevuto sufficiente attenzione).

A loro volta le “merci non-base” sono quelle merci che, secondo la definizione rigorosa data da Piero Sraffa, pur essendo state prodotte come ouput non entrano come input nella produzione delle altre merci – e non si pensi che siano poche queste merci se in esse vanno compresi i “beni di lusso” dei signori ma pure i beni-salario acquistati dai lavoratori oltre il loro consumo necessario e le spese pubbliche improduttive dello Stato, come gli armamenti o le “buche per terra” di keynesiana memoria. Insomma, sono così tante e diverse  queste merci non-base che, per non far torto a nessuna di loro, le ho generalizzate ai tulipani che sono un bene ad esclusivo utilizzo ornamentale e che sono anche stati curiosamente oggetto, come ho ricordato nella Cronaca precedente, della prima speculazione finanziaria “di massa” della storia.

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materialismostorico 

Filosofia della praxis e “apprendimento storico”

Su "La questione comunista" di Domenico Losurdo

di Massimo Baldacci (Università di Urbino)

Schermata del 2022 10 09 15 22 070. Premessa

La questione comunista, il libro postumo di Losurdo (2021) curato da Grimaldi, mi pare avvicinabile ad altri volumi di questo studioso: Marx e il bilancio storico del Novecento (2009); Il marxismo occidentale (2017). In queste opere, infatti, la ricostruzione storica appare indirizzata a un ripensamento degli orizzonti odierni e di quelli futuri, secondo un taglio critico che non cade mai nel dottrinarismo.

In questo saggio, intendo avanzare una chiave di lettura particolare (concepita da un’angolatura pedagogica) di questo lavoro postumo di Losurdo; indicare la problematica che autorizza l’uso di tale chiave interpretativa; e, infine, mostrare un esempio paradigmatico reperibile nel testo in questione.

 

1. La filosofia della praxis come pedagogia sociale

In questo volume, Losurdo legge la storia dell’idea di comunismo secondo il metodo del materialismo storico, non come una astratta disputa ideologica, bensì muovendo dall’esperienza storica reale. Questo atteggiamento teorico è espressamente dichiarato nelle conclusioni del volume:

«Marx ed Engels: nell'analisi della Rivoluzione francese o inglese non prendono le mosse dalla coscienza soggettiva dei loro protagonisti o degli ideologi che le hanno invocate e ideologicamente preparate, bensì dalla indagine sulle contraddizioni oggettive che le hanno stimolate e sulle caratteristiche reali del continente politico sociale scoperto o messo in luce dagli sconvolgimenti verificatisi […] Perché dovremmo procedere diversamente nei confronti della Rivoluzione d’ottobre?»1.

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la citta futura

Sraffa, Il rapporto con Marx

La parabola dell’economia politica – Parte XXIV

di Ascanio Bernardeschi

Il modello di Sraffa rappresenta un’economia in equilibrio statico e ha finalità completamente diverse da quelle di Marx che intendeva indagare le leggi di movimento del modo di produzione capitalistico. Pertanto non è opportuno giudicare la coerenza del sistema di analisi marxiano con il metro di Sraffa.

a3f3d884397656c6e8adec7cd2e489f9 XLAbbiamo visto che Sraffa utilizza la merce tipo, come metro che consente di valutare le merci senza fare alcun riferimento al tempo di lavoro e al contempo senza subire l’influsso delle variazioni nella distribuzione del reddito. Siamo di fronte a un modo completamente nuovo di determinare i prezzi e la distribuzione del reddito attraverso i parametri della tecnica, tutti ugualmente influenti a tale scopo, e non a partire dal solo tempo di lavoro diretto e indiretto, una volta conosciuta una variabile distributiva. Pertanto non si parla più di plusvalore, ma di sovrappiù, di una quantità di merci eccedente quella impiegata nella produzione.

Il sistema tipo, che ci consente di ragionare in termini di quantità fisiche a prescindere dai prezzi, rende visibile la relazione inversa tra salario e saggio del profitto. Viene designato con R il rapporto incrementale tra l’intero neovalore, o prodotto netto, e l’input di lavoro e mezzi di produzione, rapporto che è possibile determinare in termini di quantità fisiche. È chiaro che se il salario fosse pari a zero R sarebbe anche il corrispondente saggio del profitto, il limite massimo che può assumere tale saggio. Ponendo ω come la quota del prodotto netto che va ai salari, otteniamo che il saggio del profitto effettivo è dato da

r=R(1-ω) (1)

cioè sono evidenti gli interessi contrapposti di lavoratori e capitalisti.

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sinistra

Per una critica dell'economia politica dei corpi

di Christian Marazzi

Tratto dal volume AA.VV. L’enigma del valore dei corpi perduti e dei corpi ritrovati, Atti del convegno organizzato da Effimera, 10 ottobre 2020, Milano, Casa delle Donne, a cura di Cristina Morini

convegno marazziEsiste una “economia politica dei corpi” da quando esiste, storicamente e politicamente, la forza lavoro, da quando, cioè, esiste la questione della riproduzione di questa merce particolare, “scrigno che contiene la facoltà più importante della vita”, la condizione che rende possibile il lavoro vivo e la sua capacità di produrre valore32. La biopolitica foucaultiana, il nesso tra esercizio del potere e vita biologica, è di fatto un'economia politica dei corpi iscritta nei processi di accumulazione del capitale. Riprendendo sinteticamente una riflessione iniziata tempo fa33, vorrei ragionare sul divenire macchina, cioè capitale fisso, del corpo della forza lavoro a partire dalla fine del capitalismo industriale fordista. A partire, anche, dal “Frammento sulle macchine”, il capitolo dei Grundrisse in cui Marx, situando il general intellect, cioè il sapere astratto, la scienza e la conoscenza impersonale, nel capitale fisso, definisce il lavoro necessario, vivo e immediato, come “una base miserabile rispetto a questa nuova base che si è sviluppata e che è stata creata nel frattempo dalla grande industria stessa”34. L'ipotesi da cui parte questa riflessione è che, nella transizione al postfordismo, il general intellect si sia per così dire risituato nel corpo della forza lavoro, trasformandolo in contenitore non solo della facoltà di lavoro vivo, ma anche del suo opposto: capitale fisso, macchina, lavoro passato. Questa metamorfosi, questa trasposizione delle principali funzioni del capitale fisso nel corpo della forza lavoro, è stata possibile con l'ingresso del linguaggio e della comunicazione direttamente nei processi produttivi. È il linguaggio che ha veicolato il capitale macchinico nel corpo stesso della forza lavoro, rovesciando il “lavoro superfluo” del Marx del Frammento in “lavoro necessario”, lavoro vivo di cui il capitale si appropria per riprodurre sé stesso, per crescere oltre sé stesso.

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marxismoggi

A proposito de Il Capitale. Il nuovo libro di Paolo Favilli

di Salvatore Tinè

9788835118176 0 424 0 75Il libro di Paolo Favilli (A proposito de Il Capitale. Il lungo presente e i miei studenti. Corso di storia contemporanea, FrancoAngeli 2021) è un immaginario corso universitario di storia contemporanea su Il capitale di Marx, rivolto quindi a un pubblico non solo di studenti ma anche di lettori non specialisti. Come lo stesso titolo ci suggerisce, non è il capolavoro di Marx in quanto tale, come opera puramente teorica e scientifica, a costituire il suo tema specifico.

Tuttavia, è pur sempre “a proposito” de Il capitale, ovvero a partire da esso e sempre in strettissima relazione con la sua teoria economica e le sue categorie analitiche, che viene dipanandosi, nel libro di Favilli, una ricostruzione straordinariamente ricca e suggestiva della fortuna e dell’enorme influenza che la principale opera economica di Marx ha avuto sull’intera vicenda storica e politica della nostra contemporaneità, identificata dall’autore con il “lungo presente” della modernità capitalistica, dentro il quale siamo ancora immersi.

E’ dentro questa “lunga” continuità storica destinata ad giungere fino ai nostri giorni che Favilli inscrive la stessa eccezionale ed estrema vicenda del “secolo breve”, pure segnata da una straordinaria capacità di incidenza storica e di egemonia, nella cultura e nella scienza mondiali, sia della teoria marxista in quanto tale che del marxismo politico.

Alla tragica fine dell’Urss e al suo drammatico impatto negativo sulle forme teoriche del marxismo nonché su quelle politiche ed organizzative del suo tradizionale radicamento e della sua egemonia nel movimento operaio si è accompagnata infatti la fine di un lungo ciclo espansivo dell’accumulazione capitalistica e la conseguente imposizione per via legislativa e “giuridico-costituzionale” da parte delle classi dominanti di una politica economica di stampo neo-liberista particolarmente regressiva e sostanzialmente analoga a quella che aveva preceduto la grande crisi del 1929.