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euronomade

Prefazione a “Stato e rivoluzione”

di Antonio Negri

Pubblichiamo qui la prefazione di Toni Negri a Stato e Rivoluzione per PGreco Edizioni

STATO E RIVOLUZIONE pREFAZIONE DI TONI NEGRI 1280x6401. A chi mi chiede quale libro possa meglio introdurlo al marxismo, rispondo: Stato e rivoluzione di Vladimir Ilich Lenin. Perché? Perché se Marx è il cervello, Lenin è il corpo del marxismo, e per i materialisti è nel corpo che risiede anche il cervello. Il marxismo non è infatti una teoria economica ma una critica dell’economia politica, laddove critica significa in primo luogo capacità d’analisi nell’immergersi in un mondo caotico e conflittuale, materialmente dominato da padroni che ti sfruttano e da un sovrano che ti comanda. Quel “ti sfrutta” e quel “ti comanda” significano che il comando ha a che fare con il tuo corpo, cioè con i corpi, le energie, le passioni, i valori di chi abita e lavora questo nostro pianeta. Lenin, con Stato e rivoluzione, mette i corpi all’interno della lotta quotidiana dove si annodano rivendicazione economica e passione politica, sforzo di emancipazione e potenza di liberazione. In questo primo approccio, Stato e rivoluzione significa: i corpi in lotta contro la materialità del comando capitalista.

Questo rapporto svela un primo significato del marxismo come critica: significa esserci dentro all’economia politica, starcidentro a quell’avviluppo di atti di sfruttamento e di mezzi di potere (di capitalismo e di sovranità), dentro alla connessione inscindibile che ne fa uno Stato. Lo Stato è sfruttamento dei corpi dei lavoratori ed è comando sui cervelli dei sudditi. Rivoluzione è la critica che i corpi esercitano contro quello sfruttamento e quel potere sovrano.

All’investimento del dentro, la critica fa dunque seguire, in contemporanea, la potenza del contro. Dire contro significa infatti comprendere come i corpi possano muoversi contro il capitale: significa dunque tradurre Il Capitale – libro inesauribile della critica marxista – in esperimento materialista di una rivoluzione possibile.

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resistenze1

Una critica marxista della "sinistra postmoderna" e dell'"identity politics"

di Jona Textor

Identity politics"Il lavoro in pelle bianca non può emanciparsi, in un paese dove viene marchiato a fuoco quand'è in pelle nera" - Karl Marx

Introduzione

L'uccisione dell'afroamericano George Floyd da parte di un poliziotto bianco a Minneapolis, il 25 maggio 2020, ha scatenato un movimento di protesta contro il razzismo e la violenza della polizia come non si vedeva dai tempi delle campagne di solidarietà internazionale contro il regime di apartheid sudafricano. Gli Stati Uniti stanno vivendo uno stato di emergenza politica che si era visto l'ultima volta al culmine delle proteste contro la guerra del Vietnam e nel periodo di massimo splendore del movimento per i diritti civili dei neri.

A differenza degli anni Sessanta e Settanta, tuttavia, oggi nel movimento non ci sono quasi organizzazioni politiche e leader ideologici [1] che analizzino il razzismo da una prospettiva materialista e formulino il loro antirazzismo sulla base di una concezione marxista del capitalismo. Per il Black Panther Party negli anni Sessanta e Settanta era ancora scontato intendere l'oppressione razziale come parte del sistema di sfruttamento capitalistico. Bobby Seale, uno dei membri fondatori delle Pantere, ha dichiarato: "I lavoratori di tutti i colori devono unirsi contro la classe dirigente sfruttatrice e oppressiva. Permettetemi di sottolineare ancora una volta: crediamo che la nostra lotta sia una lotta di classe, non una lotta di razza"[2]. Purtroppo, oggi rimane ben poco di questa eredità teorica. Certo, nel contesto delle proteste di Black Lives Matter (#BLM), ancora oggi si levano singole voci di attivisti di sinistra o di gruppi che rappresentano posizioni di lotta di classe o che addirittura si rifanno positivamente alla tradizione delle Pantere Nere [3], ma queste sono attualmente ben lontane dal rappresentare l'ampiezza del movimento.

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 materialismostorico

Da Hegel a Nietzsche: la complessa relazione di Domenico Losurdo con il liberalismo

di Igor Shoikhedbrod (Dalhousie University, Canada)

SF 1 kf0F U3020371661469feB 593x443Corriere Web Sezioni   1. I criteri di riferimento per lo studio del rapporto di Losurdo con il liberalismo

Prima di iniziare la mia indagine del rapporto di Losurdo con il liberalismo è il caso di fissare i criteri di base che la guideranno. Ogni tentativo di esaminare questa complessa relazione deve infatti confrontarsi fin da subito con una sfida: dove vanno tracciati i confini interpretativi? Questa sfida è resa più difficile dal fatto che Losurdo è stato uno storico delle idee assai prolifico, che nell’esteso ambito di riferimento dei suoi studi si è occupato di un ampio numero di autori e temi del pensiero politico, dall’illuminismo ai nostri giorni. In questo breve saggio mi concenterò su tre (o meglio, quattro) figure fondamentali della storia della filosofia che sono state oggetto delle sue ricerche: G.W.F. Hegel, Karl Marx (e, ove si dia il caso, Friedrich Engels), e Friedrich Nietzsche. Tutti pensatori che hanno contribuito sotto molti rilevanti aspetti a formare l’eredità della filosofia classica tedesca.

Non sono certo il primo a ripercorrere il movimento che da Hegel conduce a Nietzsche; Karl Löwith ha scritto su questo argomento un libro che è ancora un punto di riferimento1. Tuttavia, credo di essere il primo ad analizzare il movimento che da Hegel porta fino a Nietzsche in relazione all’opera di Losurdo e al suo rapporto con il liberalismo. Sicuramente, inoltre, il fatto che io includa Nietzsche tra i filosofi che hanno contribuito alla tradizione della filosofia classica tedesca susciterà la perplessità di alcuni lettori. Dopotutto, il pensiero di Nietzsche, con la sua guerra contro i grandi costruttori di sistemi filosofici, è spesso considerato come l’archetipo della decostruzione. Ciononostante, non è il caso di misurare il contributo di un autore a una particolare tradizione di pensiero sulla base di quanto quello stesso autore ritenga di essersi occupato di essa. Se così fosse, né Hegel, né Marx (né Engels) potrebbero essere descritti come rappresentanti, e al contempo eredi, di questa medesima tradizione.

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ist onoratodamen

Marx capovolto

Il metodo scientifico nel capitale di Marx

di Lorenzo Procopio

Recensione al libro di Massimo Mugnai “Il mondo capovolto"

marx200Lo scorso anno è stato pubblicato per le Edizioni della Normale un agile e interessante libro del filosofo Massimo Mugnai dall’accattivante titolo “Il mondo capovolto. Il metodo scientifico nel capitale di Marx”. A fronte delle sue ridotte dimensioni è un libro molto denso e ricco di spunti di riflessioni che riprende e sviluppa temi già affrontati dall’autore in una vecchia pubblicazione edita dalla casa editrice Il Mulino nel lontano1984 dal titolo “Il mondo rovesciato. Contraddizione e valore in Marx”.

In questo nostro mondo “capovolto”, immerso nella più grave crisi epocale del sistema capitalistico, aggravata dal persistere della pandemia da Covid 19, che generalizza su miliardi di individui condizioni di vita miserevoli, guerre e disastri ambientali, il libro di Mugnai non ha suscitato particolare interesse neanche tra gli addetti ai lavori. A rompere la quasi indifferenza solo una brevissima e neanche molto generosa recensione di Sebastiano Maffettone pubblicata da Il Sole 24 ore lo scorso mese di ottobre 2021. Chiariamo subito che il nostro interesse per il libro di Mugnai non è determinato da una condivisione di quanto sostenuto dal filosofo fiorentino, lontano anni luce dal pensiero di Marx e che in alcuni passaggi del libro, come avremo modo di vedere, vengono attribuite a Marx tesi che non trovano riscontro nelle sue stesse opere distorcendo di conseguenza il suo pensiero. Ci spingono ad occuparci dell’opera di Mugnai l’importanza degli argomenti trattati, convinti che attraverso una loro disamina si possa contribuire a cogliere, anche in quest’epoca in cui predominano le forme di appropriazione parassitarie più raffinate ed in cui la produzione di capitale fittizio si accompagna al parallelo processo d’impoverimento di miliardi di esseri umani, la validità della critica dell’economia politica di Marx.

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ilcovile

Marx e gli stalloni dello storpio

di Stefano Borselli

fantasmiBianchi denti ha Lecania, e Taide neri. Perché? Quelli son finti, e questi veri.

Marziale

Co Feticcio nell’enciclopedia Trecca­ni: «Oggetto inanimato al quale viene attribuito un potere magico o spiritua­le». L’enciclopedia aggiunge che il termine fu «adottato nel xvi sec per designare gli idoli e gli amuleti che comparivano nelle pratiche cul­tuali di popoli indigeni africani» e in seguito fu esteso «a qualsiasi oggetto ritenuto immagine, ricettacolo di una forza invisibile sovrumana».

Freud rimase dunque perfettamente nel si­gnificato del termine usandolo, ad esempio, per un guanto che diviene generatore di desiderio, surrogato della donna che ne era proprietaria.

Marx intitola «Il carattere di feticcio della merce e il suo arcano» un paragrafo, celeberri­mo, del primo libro del Capitale. In quello Marx descrive (corsivi miei)

fino a che punto una parte degli economi­sti sia ingannata dal feticismo inerente al mondo delle merci ossia dalla parvenza oggettiva delle determinazioni sociali del lavoro

e prosegue:

Poiché la forma di merce è la forma piu generale e meno sviluppata della produ­zione borghese — ragion per la quale essa si presenta cosi presto, benché non ancora nel medesimo modo dominante, quindi caratteristico, di oggi — il suo ca­rattere di feticcio sembra ancor relativa­mente facile da penetrare. Ma in forme piu concrete scompare perfino questa parvenza di semplicità. Di dove vengono le illusioni del sistema monetario?

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maggiofil

Il grano e il tulipano: a lezione da Dgiangoz (“La D è muta”. “Lo soooo”!)

Cronache marXZiane n. 9

di Giorgio Gattei

716dFtJmKtL. AC SX425 1. Nel corso del mio prolungato soggiorno sul pianeta Marx, dove sono stato trascinato dall’astronave marxziana “La Grundrisse” (vedi Cronache MarXZiane n. 1) mi ero fatto l’idea che la presenza delle cosiddette “merci non-base”, che sono una componente significativa del suo panorama, potesse avere una qualche parte nella “legge di caduta” del suo Saggio Massimo (di profitto). Ricordo i due termini in questione: Saggio Massimo è il maggiore dei saggi del profitto qualora non si paghino salari (il che succede in una estrema periferia del pianeta che ho visitato) e questo è evidente: essendo il profitto P = (Y – W) con Y = prezzo del Prodotto al netto del capitale impiegato K e W = ammontare dei salari, per W = 0 sarà:

max r = R = Y/K

da cui si vede subito come Saggio Massimo non sia poi altro che l’inverso del ben più noto rapporto Capitale/Reddito (sebbene questa coincidenza non abbia mai ricevuto sufficiente attenzione).

A loro volta le “merci non-base” sono quelle merci che, secondo la definizione rigorosa data da Piero Sraffa, pur essendo state prodotte come ouput non entrano come input nella produzione delle altre merci – e non si pensi che siano poche queste merci se in esse vanno compresi i “beni di lusso” dei signori ma pure i beni-salario acquistati dai lavoratori oltre il loro consumo necessario e le spese pubbliche improduttive dello Stato, come gli armamenti o le “buche per terra” di keynesiana memoria. Insomma, sono così tante e diverse  queste merci non-base che, per non far torto a nessuna di loro, le ho generalizzate ai tulipani che sono un bene ad esclusivo utilizzo ornamentale e che sono anche stati curiosamente oggetto, come ho ricordato nella Cronaca precedente, della prima speculazione finanziaria “di massa” della storia.

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materialismostorico 

Filosofia della praxis e “apprendimento storico”

Su "La questione comunista" di Domenico Losurdo

di Massimo Baldacci (Università di Urbino)

Schermata del 2022 10 09 15 22 070. Premessa

La questione comunista, il libro postumo di Losurdo (2021) curato da Grimaldi, mi pare avvicinabile ad altri volumi di questo studioso: Marx e il bilancio storico del Novecento (2009); Il marxismo occidentale (2017). In queste opere, infatti, la ricostruzione storica appare indirizzata a un ripensamento degli orizzonti odierni e di quelli futuri, secondo un taglio critico che non cade mai nel dottrinarismo.

In questo saggio, intendo avanzare una chiave di lettura particolare (concepita da un’angolatura pedagogica) di questo lavoro postumo di Losurdo; indicare la problematica che autorizza l’uso di tale chiave interpretativa; e, infine, mostrare un esempio paradigmatico reperibile nel testo in questione.

 

1. La filosofia della praxis come pedagogia sociale

In questo volume, Losurdo legge la storia dell’idea di comunismo secondo il metodo del materialismo storico, non come una astratta disputa ideologica, bensì muovendo dall’esperienza storica reale. Questo atteggiamento teorico è espressamente dichiarato nelle conclusioni del volume:

«Marx ed Engels: nell'analisi della Rivoluzione francese o inglese non prendono le mosse dalla coscienza soggettiva dei loro protagonisti o degli ideologi che le hanno invocate e ideologicamente preparate, bensì dalla indagine sulle contraddizioni oggettive che le hanno stimolate e sulle caratteristiche reali del continente politico sociale scoperto o messo in luce dagli sconvolgimenti verificatisi […] Perché dovremmo procedere diversamente nei confronti della Rivoluzione d’ottobre?»1.

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la citta futura

Sraffa, Il rapporto con Marx

La parabola dell’economia politica – Parte XXIV

di Ascanio Bernardeschi

Il modello di Sraffa rappresenta un’economia in equilibrio statico e ha finalità completamente diverse da quelle di Marx che intendeva indagare le leggi di movimento del modo di produzione capitalistico. Pertanto non è opportuno giudicare la coerenza del sistema di analisi marxiano con il metro di Sraffa.

a3f3d884397656c6e8adec7cd2e489f9 XLAbbiamo visto che Sraffa utilizza la merce tipo, come metro che consente di valutare le merci senza fare alcun riferimento al tempo di lavoro e al contempo senza subire l’influsso delle variazioni nella distribuzione del reddito. Siamo di fronte a un modo completamente nuovo di determinare i prezzi e la distribuzione del reddito attraverso i parametri della tecnica, tutti ugualmente influenti a tale scopo, e non a partire dal solo tempo di lavoro diretto e indiretto, una volta conosciuta una variabile distributiva. Pertanto non si parla più di plusvalore, ma di sovrappiù, di una quantità di merci eccedente quella impiegata nella produzione.

Il sistema tipo, che ci consente di ragionare in termini di quantità fisiche a prescindere dai prezzi, rende visibile la relazione inversa tra salario e saggio del profitto. Viene designato con R il rapporto incrementale tra l’intero neovalore, o prodotto netto, e l’input di lavoro e mezzi di produzione, rapporto che è possibile determinare in termini di quantità fisiche. È chiaro che se il salario fosse pari a zero R sarebbe anche il corrispondente saggio del profitto, il limite massimo che può assumere tale saggio. Ponendo ω come la quota del prodotto netto che va ai salari, otteniamo che il saggio del profitto effettivo è dato da

r=R(1-ω) (1)

cioè sono evidenti gli interessi contrapposti di lavoratori e capitalisti.

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sinistra

Per una critica dell'economia politica dei corpi

di Christian Marazzi

Tratto dal volume AA.VV. L’enigma del valore dei corpi perduti e dei corpi ritrovati, Atti del convegno organizzato da Effimera, 10 ottobre 2020, Milano, Casa delle Donne, a cura di Cristina Morini

convegno marazziEsiste una “economia politica dei corpi” da quando esiste, storicamente e politicamente, la forza lavoro, da quando, cioè, esiste la questione della riproduzione di questa merce particolare, “scrigno che contiene la facoltà più importante della vita”, la condizione che rende possibile il lavoro vivo e la sua capacità di produrre valore32. La biopolitica foucaultiana, il nesso tra esercizio del potere e vita biologica, è di fatto un'economia politica dei corpi iscritta nei processi di accumulazione del capitale. Riprendendo sinteticamente una riflessione iniziata tempo fa33, vorrei ragionare sul divenire macchina, cioè capitale fisso, del corpo della forza lavoro a partire dalla fine del capitalismo industriale fordista. A partire, anche, dal “Frammento sulle macchine”, il capitolo dei Grundrisse in cui Marx, situando il general intellect, cioè il sapere astratto, la scienza e la conoscenza impersonale, nel capitale fisso, definisce il lavoro necessario, vivo e immediato, come “una base miserabile rispetto a questa nuova base che si è sviluppata e che è stata creata nel frattempo dalla grande industria stessa”34. L'ipotesi da cui parte questa riflessione è che, nella transizione al postfordismo, il general intellect si sia per così dire risituato nel corpo della forza lavoro, trasformandolo in contenitore non solo della facoltà di lavoro vivo, ma anche del suo opposto: capitale fisso, macchina, lavoro passato. Questa metamorfosi, questa trasposizione delle principali funzioni del capitale fisso nel corpo della forza lavoro, è stata possibile con l'ingresso del linguaggio e della comunicazione direttamente nei processi produttivi. È il linguaggio che ha veicolato il capitale macchinico nel corpo stesso della forza lavoro, rovesciando il “lavoro superfluo” del Marx del Frammento in “lavoro necessario”, lavoro vivo di cui il capitale si appropria per riprodurre sé stesso, per crescere oltre sé stesso.

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marxismoggi

A proposito de Il Capitale. Il nuovo libro di Paolo Favilli

di Salvatore Tinè

9788835118176 0 424 0 75Il libro di Paolo Favilli (A proposito de Il Capitale. Il lungo presente e i miei studenti. Corso di storia contemporanea, FrancoAngeli 2021) è un immaginario corso universitario di storia contemporanea su Il capitale di Marx, rivolto quindi a un pubblico non solo di studenti ma anche di lettori non specialisti. Come lo stesso titolo ci suggerisce, non è il capolavoro di Marx in quanto tale, come opera puramente teorica e scientifica, a costituire il suo tema specifico.

Tuttavia, è pur sempre “a proposito” de Il capitale, ovvero a partire da esso e sempre in strettissima relazione con la sua teoria economica e le sue categorie analitiche, che viene dipanandosi, nel libro di Favilli, una ricostruzione straordinariamente ricca e suggestiva della fortuna e dell’enorme influenza che la principale opera economica di Marx ha avuto sull’intera vicenda storica e politica della nostra contemporaneità, identificata dall’autore con il “lungo presente” della modernità capitalistica, dentro il quale siamo ancora immersi.

E’ dentro questa “lunga” continuità storica destinata ad giungere fino ai nostri giorni che Favilli inscrive la stessa eccezionale ed estrema vicenda del “secolo breve”, pure segnata da una straordinaria capacità di incidenza storica e di egemonia, nella cultura e nella scienza mondiali, sia della teoria marxista in quanto tale che del marxismo politico.

Alla tragica fine dell’Urss e al suo drammatico impatto negativo sulle forme teoriche del marxismo nonché su quelle politiche ed organizzative del suo tradizionale radicamento e della sua egemonia nel movimento operaio si è accompagnata infatti la fine di un lungo ciclo espansivo dell’accumulazione capitalistica e la conseguente imposizione per via legislativa e “giuridico-costituzionale” da parte delle classi dominanti di una politica economica di stampo neo-liberista particolarmente regressiva e sostanzialmente analoga a quella che aveva preceduto la grande crisi del 1929.

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sinistra

Tempi storici della lunga accumulazione capitalistica

di Massimiliano Tomba

Da L. BASSO , S. BRACALETTI , M. FARNESI CAMELLONE , F. FROSINI , A. ILLUMINATI , N. MARCUCCI , V. MORFINO, L. PINZOLO , P.D. THOMAS , M. TOMBA: Tempora multa. Il governo del tempo, Mimesis, 2013

Jacques Louis DavidIl lavoro che il capitale cerca di appropriarsi direttamente e indirettamente può presentarsi nelle forme più diverse: dal lavoro di cura svolto in famiglia, necessario per riprodurre la forza-lavoro, alla scienza, che, nel Capitale, è presentata come un caso di lavoro altrui appropriato senza pagarlo: «la scienza non costa in genere ‘niente’ al capitalista, il che non gli impedisce affatto di sfruttarla. La scienza ‘altrui’ viene incorporata al capitale, come lavoro altrui»1. Nel modo di produzione capitalistico «tutti i modi per incrementare la forza produttiva sociale del lavoro si attuano a spese del lavoratore individuale; tutti i mezzi per lo sviluppo si capovolgono in mezzi di dominio e di sfruttamento del produttore»2. L’enfasi prometeica sullo sviluppo macchinico, ancora presente nei Grundrisse3, non ha più come esito il passaggio immediato al comunismo. L’«individuo sociale», per quanto suggestivo laboratorio di ricerca su un mutamento antropologico, lascia il posto allo storpiamento del singolo operaio, mettendo così in evidenza l’esito capitalistico di quel possibile mutamento. I mezzi per lo sviluppo della produzione, scrive Marx, «mutilano il lavoratore facendone un uomo parziale, lo avviliscono a insignificante appendice della macchina, distruggono con il tormento del suo lavoro il contenuto del lavoro stesso», e non solo, ma

gli estraniano le potenze intellettuali del processo lavorativo nella stessa misura in cui a quest’ultimo la scienza viene incorporata come potenza au- tonoma; deformano le condizioni nelle quali egli lavora, durante il processo lavorativo lo assoggettano a un dispotismo odioso nella maniera più meschina, trasformano il periodo della sua vita in tempo di lavoro, gli gettano moglie e figli sotto la ruota di Juggernaut del capitale4.

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cumpanis

Frammenti di un discorso su Marx e le teorie novecentesche della dinamica economica

di Alessandro Volponi*

Presentiamo l'intervento svolto dal professor Volponi alla Festa Nazionale di "Cumpanis" tenutasi a Castelferretti (Ancona) dal 2 al 4 settembre scorso

IMMAGINE PRIMO ARTICOLO SEZIONE SCUOLA QUADRI articolo di di VolponiCom’è noto, toccò ad Engels il duro compito di mettere ordine nel vasto lascito di Marx dando veste organica alla massa di appunti che costituirono, tra l’altro, il secondo e il terzo libro del Capitale e proprio nel secondo libro del suo capolavoro Marx espone un’idea che si rivelerà assai feconda: dividere l’apparato produttivo in due grandi settori e descrivere le relazioni che necessariamente intercorrono fra di essi in due situazioni diverse che sono quella di un’economia stagnante e quella di un sistema in crescita (riproduzione semplice e riproduzione allargata).

Proprio questa seconda rappresentazione fornisce la base di una teoria della dinamica che nel ‘900 darà i suoi frutti più maturi, in particolare dopo il terribile ‘29. Si ricordi che nel secolo di Marx il pensiero economico dominante nega la possibilità delle crisi che sarebbero, dunque, sempre prodotte da cause extraeconomiche (cause esogene). Per Marx, le crisi sono non solo possibili ma necessarie, esse producono periodicamente un temporaneo aggiustamento dei rapporti tra le grandezze fondamentali del sistema; da esse, per tutta la durata della giovinezza del capitale, si fuoriesce con rinnovato slancio verso più gloriosi destini del sistema. Egli, però, nei suoi schemi della riproduzione, non descrive la crisi ma, con esempi aritmetici, presenta un percorso ideale in cui tutto il plusvalore è consumato o investito dai capitalisti, tutto il salario è consumato dai lavoratori, i beni di consumo prodotti da un settore equivalgono esattamente alla domanda complessiva e allo stesso modo i beni di investimento prodotti corrispondono esattamente alle necessità di entrambi i settori. Nello schema della riproduzione allargata una quota di questi beni, soprattutto di investimento, è in eccesso e costituisce una base più larga della produzione nel periodo successivo.

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la citta futura

Marxismo e movimenti sociali

di Alessandra Ciattini

In questa fase di grave confusione ideologica e politica è forse il caso di tornare a chiederci chi è nelle condizioni sociali di agire come agente trasformatore

a5bf66a85eb1934333613ec7ea857fcc XLIn un libro pubblicato in Italia nel 1973 (Neocapitalismo e crisi del dollaro), in cui sono raccolti vari articoli scritti in precedenza che sono ammirevoli per la profondità di analisi e la lucidità dell’autore, Ernest Mandel riflette sulla “negazione della funzione centrale del proletariato dei paesi metropolitani nella lotta su scala mondiale contro l’imperialismo e il capitalismo” (p. 118). Come è noto, Mandel era un autorevole economista trotskista, che certo non può esser trascurato per questa ragione in una fase in cui siamo invitati a riflettere a fondo su tutta la nostra complicata e dolorosa tradizione.

Esamina con cura questa tesi perché polemizza con chi sostiene che la stabilità del sistema capitalista non può esser alterata se non sollecitata dalle rivoluzioni avvenute nei paesi ex coloniali (Lin Piao) e con chi invece ritiene che i seppellitori di esso saranno i “gruppi ai margini della società: le minoranza nazionali e razziali, i settori supersfruttati della popolazione, le nuove avanguardie giovanili”.

Queste tesi poggiano su una generalizzazione sbrigativa di fatti inconfutabili: “il proletariato occidentale è passato in secondo piano nella lotta rivoluzionaria mondiale durante gli ultimi 20 anni tra il 1948 e il 1968”, anche per le manipolazioni ideologiche cui è sottoposto. Le tesi su indicate si fondano su argomentazioni tutt’oggi valide che prendono le mosse dalle profonde trasformazioni economiche, sociali e tecnologiche che hanno investito il neocapitalismo o tardo capitalismo (p. 118).

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materialismostorico

Karl Marx: umanismo e materialismo

di Caterina Genna (Università di Palermo)

Mood 18Ad inizio del XXI secolo, consolidatasi la crisi delle ideologie, la memoria storica induce a ripensare alle opere di alcuni autori, che hanno caratterizzato il pensiero occidentale contemporaneo. Tra gli autori che di tanto in tanto tornano di moda, oppure sono ricordati con nostalgica memoria, trova posto Karl Marx, troppo spesso legato alle vicende storiche del XX secolo, dalla rivoluzione d’ottobre del 1917 al processo di destalinizzazione avviato in URSS con lo svolgimento del XX congresso del PCUS nel 1956; nonché dall’esplosione del movimento giovanile del 1968 alla caduta del muro di Berlino nel 1989. L’autore de Il capitale, nel corso della seconda metà del XX secolo, è stato oggetto di studio e di continue reinterpretazioni alla luce della riscoperta o della pubblicazione postuma di non poche opere giovanili1. Sempre nel corso della seconda metà del XX secolo, è stato oggetto di facili entusiasmi, sia in Europa orientale che in Europa occidentale; con la riscoperta di alcuni scritti giovanili, per un verso (in Europa occidentale), è stato osannato per avere posto al centro della sua produzione il cosiddetto problema della persona umana nell’ampio contesto della Sinistra hegeliana2; per un altro verso (in Europa orientale), è stato assunto a simbolo di un sistema politico che riteneva di potere cambiare il mondo3. Venuto meno il sistema politico del socialismo reale, l’opera di Karl Marx costituisce a pieno titolo una delle componenti più interessanti della storia della cultura contemporanea, se si presta la dovuta attenzione, oltre che agli scritti del Marx giovane, a quelli del Marx giovanissimo solitamente trascurati. Se ci si sofferma sui contenuti delle opere dedicate all’economia politica, si può riscontrare che il problema della persona umana continua a costituire il tema centrale del materialismo storico e dialettico, già posto ed elaborato nelle opere giovanili sul piano antropologico e sociologico.

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jacobin

I dilemmi marxisti di Paul Sweezy

di John E. King

L’economista statunitense ha dedicato la propria vita a comprendere il funzionamento del capitalismo e i suoi cambiamenti dai tempi di Marx. Le grandi domande economiche che ha affrontato perseguitano ancora oggi la sinistra socialista

Sweezy jacobin italia 1320x481Paul Sweezy è stato uno degli economisti marxisti più illustri e più controversi del ventesimo secolo. Ha affrontato alcune delle questioni più vitali che chi vuole comprendere il capitalismo per poterlo superare si trova davanti. Nonostante abbia giocato un ruolo significativo nel diffondere le idee di Karl Marx, non gli è bastato fermarsi a questo e ha sviluppato un proprio schema concettuale per spiegare il modo in cui le economie capitaliste si stavano evolvendo durante i decenni del dopoguerra.

I suoi due libri più importanti, La teoria dello sviluppo capitalistico (1942) e Il capitale monopolistico (1966), quest’ultimo scritto insieme a Paul Baran, hanno generato una grande quantità di letteratura critica, e sono stati tradotti in molte lingue. La sinistra odierna è ancora alle prese con i problemi che Sweezy ha incontrato nel cercare di dare un senso al capitalismo contemporaneo, e la sua influenza continua a farsi sentire nel mondo intellettuale dell’economia politica radicale.

 

Il percorso di Sweezy verso il marxismo

Paul Marlor Sweezy è nato a New York City il 10 aprile 1910, figlio di un banchiere di Wall Street. È stato educato alla Phillips Exeter Academy e all’università di Harvard, dove si è laureato nel 1931, senza aver imparato assolutamente niente di Marx. Nel 1932-33, si è iscritto alla London School of Economics, dove ha studiato economia liberale sotto Friedrich von Hayek e Lionel Robbins, ma ha anche appreso idee politiche socialiste da Harold Laski.

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materialismostorico

Comunismo e/o marxismo? Note in margine a La questione comunista. Storia e futuro di un’idea, di Domenico Losurdo

di Luigi Alfieri (Università di Urbino)

SALVO HERO1.

È come filosofo politico che intervengo qui: toccherò quindi quello che in un’ottica filosofico-politica mi sembra il tema fondamentale proposto nel libro postumo di Losurdo.

Da un punto di vista filosofico-politico, direi che il punto centrale, sia per la sua obiettiva importanza intrinseca, sia per tutta una serie di conseguenze anche implicite ma comunque molto rilevanti che ha, è la polemica di Losurdo contro la teoria dell’estinzione dello Stato e in particolare contro le versioni anarcoidi e utopistiche recenti di questa teoria, il cui atteggiamento Losurdo, con un’espressione che mi piacerebbe rubargli, caratterizza come “gesto civettuolo” che maschera una posizione rinunciataria da slancio utopico1. E si riferisce a Badiou, a Negri, ad Asor Rosa, a Žižek, a coloro insomma che continuano a vedere nel marxismo essenzialmente una dottrina del superamento dello Stato, e quindi della politica, e quindi di ogni forma di potere2. Senza considerare abbastanza che il potere statale non è necessariamente soltanto strumento di oppressione, ma può anche essere strumento di garanzia, di protezione, di riconoscimento.

Mi sembra che a questo proposito Mimmo ragioni in un’ottica che è evidentemente, direi clamorosamente, hegeliana. Ci sono dei brani, dei capitoli interi di questo libro che potrebbero essere intitolati Hegel con- tro Marx3. Non c’è dubbio che la visione che Losurdo esprime dello Stato, in questo testo, è molto più hegeliana che non marxista. Anche se in verità Losurdo presenta la propria presa di distanza dalla teoria dell’estinzione dello Stato come conseguenza di un “processo di apprendimento” interno alla storia del marxismo, quindi come un almeno potenziale o incompleto autosuperamento del marxismo stesso:

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cumpanis

L’anti-positivismo rivoluzionario e il ruolo del partito nel pensiero di Lenin

di Alberto Sgalla*

IMG 20220821 200020Positivismo, Empiriocriticismo

Il Positivismo è un indirizzo filosofico che si è sviluppato a partire dalla prima metà del sec. XIX accompagnando l’organizzazione tecnico-industriale, capitalistica, della società. Il termine, coniato da Saint-Simon, fu poi adottato da Comte per designare lo stadio scientifico del sapere umano in contrapposizione agli stadi precedenti, teologico e metafisico. La scienza era posta come unico fondamento possibile della vita degli esseri umani, garanzia infallibile del loro destino, suo compito era scoprire le “leggi” dei fenomeni. Comte riteneva razionalmente inevitabile il progresso, cioè il perfezionamento incessante che la società umana subisce nella sua storia.

La scoperta di Darwin del principio dell’evoluzione biologica comportò una diffusione del Positivismo nella seconda metà del sec. XIX, con una conclusione ottimistica della dottrina darwiniana: l’evoluzione è il fatto fondamentale della natura e della storia, è ineluttabile il progresso anche biologico dell’uomo. Spencer, il maggiore esponente del Positivismo inglese, ritenne il principio evoluzionistico valido per ogni campo della realtà, la legge universale dell’evoluzione doveva essere applicato anche alla vita sociale e alla vita psichica. Lo sviluppo graduale della società era ritenuto possibile lasciando libero gioco al conflitto tra le classi sociali e vietando ogni forma di dirigismo pubblico, ritenuto contrario al progresso. Il Positivismo inglese, individualistico-liberale, fu tipica espressione della borghesia che vedeva il progresso nel pieno dispiegamento degli appetiti speculativi e della libera concorrenza nel mercato.

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sinistra

Proletari e dominio di classe

di Carlo Di Mascio

paris communeNikolai Alexandrovic,
si trova da me il compagno Ivan Afanasevic Cekunov, un contadino assai interessante, che propaganda a modo suo i principi del comunismo. Egli ha perso gli occhiali e ha pagato 15 mila rubli per una porcheria! Non lo si potrebbe aiutare a trovare dei buoni occhiali? Vi prego molto di aiutarlo e di pregare il vostro segretario di comunicarmi se ci siete riuscito.

Lenin, Al compagno Semascko

I

Lenin, in modo estremamente chiaro, affermava che in una società fondata sulla lotta di classe, in cui esistono dominanti e dominati, non può esistere una scienza imparziale, per cui anche la filosofia, che mira a giustificare e a ricucire il vecchio con il nuovo in funzione di un ordine minacciato1, destinata cioè a servire o a sfruttare le pratiche scientifiche, come sottolineava Althusser, non può in definitiva che rappresentare istanze di parte2. Si tratta quindi di schierarsi, di prendere posizione a favore o contro qualcosa o qualcuno, si tratta in buona sostanza di demistificare chi pretende di costruire ideologicamente la realtà per un obiettivo di classe, soprattutto quando questo obiettivo è finalizzato a controllare la conflittualità sociale e ad implementare massivamente il rapporto tra chi sfrutta e chi è sfruttato.

Il dominio di classe, dunque, quando si sente minacciato si difende, e per farlo ricorre ad ogni accorgimento, sapendo che tutto deve in ogni caso svolgersi all’interno dell’organizzazione del capitale che non è altro che organizzazione della società, sicché il suo sistema ideologico, filosofico e burocratico-giudiziario, non rappresenta altro che la condizione essenziale della dialettica dello sviluppo capitalistico-borghese, la quale si dipana violentemente tra imposizione al lavoro e riproduzione sociale del rapporto di sfruttamento.

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bollettinoculturale 

Sulla determinazione del valore dei beni capitali in un’economia moderna

di Andrea Pannone

treno merci faIl tema affrontato in questo scritto può sembrare astratto e di appannaggio riservato ai soli specialisti. In realtà, quello della valutazione dei beni capitali è un aspetto estremamente problematico sin dagli inizi della storia del pensiero economico e costituisce, più o meno esplicitamente, un fattore discriminante di tutte le teorie del valore.

Senza la minima pretesa di esaustività, nelle pagine seguenti procederemo come segue:

  1. forniremo brevissimi cenni su come le varie scuole economiche abbiano affrontato nel tempo il problema della valutazione dei beni capitali.

  2. forniremo gli elementi di un approccio alternativo alla determinazione del valore dei beni di capitale. Tale approccio, oltre a permettere di superare (almeno alcuni de)i principali limiti degli approcci esistenti in letteratura, risulta estremamente coerente con importanti aspetti dell’evoluzione tecnologica e finanziaria delle economie moderne.

 

La valutazione dei beni capitali lungo la storia del pensiero economico: alcuni cenni

Come ci ricorda Giorgio Gattei (2003), ad esempio, ai fini della validità della ‘legge’ del valore- lavoro – ossia del principio di origine Smithiana secondo cui le merci si scambiano sul mercato in base al rapporto tra le quantità di lavoro necessarie a produrle - è anche implicitamente richiesta l’ipotesi che nei processi produttivi delle due merci non venga impiegato alcun bene capitale. In caso contrario, anche la presenza di un solo bene capitale non consentirebbe più la semplificazione del valore di scambio al rapporto dei lavori contenuti.

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Imperialismo e sottoconsumo in Sweezy e Baran

di Bollettino Culturale

maxresdefaultuygbytresdPaul Sweezy, un marxista americano di grande importanza nel XX secolo, ha collaborato lungamente con Paul Baran, un marxista nato nell'ex impero russo, con l'obiettivo di evidenziare l'unicità dell'economia mondiale sotto la direzione del capitalismo monopolistico, nonché la centralità della categoria “surplus economico” come spiegazione delle crisi. Sweezy, ancor prima della sua collaborazione con Baran, stava già cercando di approfondire, con maggiore attenzione, il problema del mismatch tra produzione e realizzazione di merci nella sua opera più nota “Theory of Capitalist Development”, pubblicata negli anni ‘40. In questo opuscolo, Sweezy ha sottolineato che Marx non ha dedicato un'analisi del sottoconsumo nella produzione capitalistica, concentrando la sua attenzione sull'ambito della produzione in situ. Il cuore dell'analisi di Sweezy è il processo di circolazione del capitale, secondario ai cambiamenti nella composizione organica del capitale come principale fattore scatenante della crisi.

Sweezy ha evidenziato che il sottoconsumo esercita un'influenza preponderante sulle dinamiche dell'economia mondiale, essendo una dimensione inscindibile del funzionamento del capitalismo che contribuisce a due distinti sviluppi: crisi e stagnazione. La crisi deriverebbe dall'offerta aggiuntiva di beni di consumo al mercato, ovvero dallo squilibrio tra offerta potenziale e domanda di consumo potenziale, determinando una riduzione della capacità produttiva aggiuntiva. La stagnazione deriverebbe dall'incapacità del mercato di assorbire il volume potenziale dei beni di consumo. A proposito di quest'ultimo punto, Sweezy ha affermato che, poiché il capitalismo presenta sempre una capacità produttiva potenziale che viene utilizzata raramente, pena la sofferenza del sottoconsumo, il suo ritmo normale è quello della stagnazione.

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L’economia politica fra scienza e ideologia

di Ascanio Bernardeschi

Parte prima

947996830259ca56eff14683b8bab0a9 XLPremessa

In una lettera a un operaio inglese, Karl Marx scriveva a buona ragione che l’opera alla quale stava lavorando avrebbe costituito il più terribile proiettile scagliato contro la borghesia. Non si tratta solo del fatto che Il capitale individua l’unica fonte del valore nel lavoro, mostrando come all’origine dei profitti e della rendita ci sia il lavoro non pagato. A questo risultato, sia pure in termini meno rigorosi, erano giunti anche i socialisti ricardiani e limitarsi a considerare questo solo aspetto sarebbe fortemente riduttivo della ricchezza della critica marxiana dell’economia politica. Per non dilungarmi troppo, indico qui solo alcuni spunti.

1. Occorre distinguere fra oggetti comuni ai diversi modi di produzione (beni, mezzi di produzione, lavoro utile ecc.) e forme sociali storicamente determinate in cui tali oggetti si presentano nel modo di produzione capitalistico (merci, capitale, lavoro astratto ecc.). A differenza di quanto sostengono gli economisti classici, il capitale è visto da Marx come un rapporto sociale storicamente determinato e non solo come un insieme di beni impiegati nella produzione, cosa necessaria e comune a ogni modo di produzione. Ciò comporta che il capitalismo non sia un orizzonte naturale, necessario ed eterno, ma corrisponda a una determinata fase della storia: non è esistito prima, non ci sarà una volta che l’uomo avrà superato questa fase della storia umana.

2. Il capitale costituisce la condensazione, l’accumulo di lavoro sfruttato in passato. Inoltre, i presupposti del capitale – la concentrazione della proprietà dei mezzi di produzione nelle mani del capitalista, l’esistenza di lavoratori spossessati di tali mezzi e l’esistenza di un vasto mercato delle merci – vengono continuamente posti dal capitale stesso, che riproduce su scala allargata le condizioni della propria esistenza.

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maggiofil

Pane e tulipani, ovvero così non parlò Piero Sraffa

Cronache marXZiane n. 8

di Giorgio Gattei

Marx religiao opio do povo trier museu karl marx1. Con l’accumulazione del profitto realizzato in moneta viene messa in gioco la sorte del pianeta Marx. Ma come procedere per comprenderlo? Vale pur sempre la regola esposta dal suo primo “mappatore” per cui, davanti ad un fenomeno complesso, «si deve sempre partire dal presupposto che le condizioni reali corrispondano al loro concetto o, ciò che significa la stessa cosa, che le condizioni reali vengano esposte solo in quanto coincidano con il tipo generale ad esse corrispondenti» – insomma che il concetto sia adeguato all’oggetto secondo la sua necessità logica, mentre le altre condizioni, che sul momento sono state trascurate, potranno poi esservi aggiunte. Ciò vale soprattutto per l’argomento conclusivo da considerare, e cioè che il pianeta Marx, a differenza di ogni altro corpo celeste, ad ogni rotazione cresce di dimensione per l’accumulazione del profitto indirizzandosi verso un esito finale, una sorte o un destino che si possono almeno congetturare. Si sa che Marx ne aveva previsto la fine per la “caduta tendenziale” del saggio generale del profitto: essendo «il vero limite della produzione capitalistica il capitale stesso», esso entra «in conflitto con i metodi di produzione a cui deve ricorrere per raggiungere il suo scopo e che perseguono l’accrescimento illimitato della produzione, la produzione come fine a se stessa, lo sviluppo incondizionato delle forze produttive sociali del lavoro», cosicché «il modo di produzione capitalistico, che è un mezzo storico per lo sviluppo della forza produttiva materiale e la creazione di un corrispondente mercato mondiale, è al tempo stesso la contraddizione costante tra questo suo compito storico e i rapporti di produzione sociali che gli corrispondono».

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bollettinoculturale

La ricchezza improduttiva, l'"economia di carta" e la teoria del valore

di Andrea Pannone

images4erfvgbnjiPremessa

In un articolo su Bollettino Culturale del 2021 ho affrontato il problema della forma valore in Marx in modo esplicitamente non convenzionale rispetto a come il tema è stato affrontato nella letteratura economica marxista. La non convenzionalità, per essere chiari, è stata quella di raggiungere in modo formalmente rigoroso le stesse conclusioni raggiunte da Marx nel primo libro del Capitale - prima di tutto quella di ricondurre l’origine del profitto al pluslavoro, ossia a un rapporto di sfruttamento – facendo riferimento, però, a una rappresentazione dell’economia capitalistica piuttosto diversa da quella adottata dal filosofo di Treviri, almeno per ciò che attiene al modo di produrre e all’organizzazione dei mercati. Questi due aspetti, infatti, sono stati rappresentati nel nostro schema teorico in modo estremamente coerente ad un sistema economico moderno, anche ricorrendo, seppur solo parzialmente, ad alcune idee di autori molto distanti dal pensiero di Marx (in primo luogo Keynes). 

In questo scritto integrerò le assunzioni portanti del suddetto schema teorico con il meccanismo di circolazione monetaria proposto da Marx nel terzo libro del Capitale (vedi Marx 1894), opportunamente modificato per essere maggiormente coerente con la realtà de sistemi economici e finanziari moderni. Lo scopo è quello di spiegare – in modo fortemente compatibile con l’approccio da me seguito nel mio primo articolo su Bollettino - il fenomeno dell’enorme espansione dei guadagni (earnings) derivanti dal possesso di asset non riproducibili (come ad esempio titoli, azioni, beni immobili ecc.), che sta caratterizzando le economie capitalistiche da almeno 25 anni.

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Diritto e metodo marxista in Pashukanis*

di Carlo Di Mascio

Prova HD 01 AltaIl pensiero come tale non può implicare mai e poi mai il processo di formazione del concreto stesso.
Karl Marx, Grundrisse

1. Il diritto quale costruzione storicamente determinata dalle condizioni della produzione capitalistico-borghese

L’eccezionale radicalità della critica marxista di Pashukanis, risiede principalmente nella tesi secondo cui quando si procede allo studio del diritto, prima di catturare il suo contenuto politico, occorre interrogarsi rispetto alla sua forma, e ciò in quanto, per il giurista sovietico, il diritto e il suo formalismo rappresentano il fondamento strutturale, e non meramente sovrastrutturale, del dominio dell’economico, nonché della sua assunzione a giustificazione universale della società moderna. Ora, interrogarsi sulla forma del diritto, come «disciplina teoretica autonoma»1 e non come prodotto ideologico, significa affermare che il diritto è un’astrazione che tuttavia non altera la verità concreta, per cui non va affatto confuso con un semplice meccanismo con il quale il dominante inganna il dominato, bensì identificato con «un principio realmente operante nella società borghese [che si fonda sulla merce] un processo reale di giuridicizzazione dei rapporti umani, che accompagna lo sviluppo dell’economia mercantile-monetaria (e, nella storia europea, lo sviluppo dell’economia capitalistica)»2. Questa premessa conduce Pashukanis ad assegnare al diritto, piuttosto che lo status di una mera categoria dell’ideologia borghese, quello di un vero e proprio «fenomeno sociale oggettivo»3 che opera concretamente nella società, indipendentemente da una volontà di classe, e comunque non con immediati obiettivi di falsificazione. Esso, contrariamente a come appare immediatamente, con le sue generalità e astrattezze, con i suoi principi eterni ed immutabili, non comanda se non all’interno di una relazione, che altro non è che una relazione di mercato tra possessori di merce, tra chi compra e chi vende, tra chi detiene i mezzi di produzione e chi solo la merce «forza-lavoro».

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Prefazione a Karl Marx: Scritti di critica dell'economia politica

di Giovanni Sgrò

Karl Marx: Scritti di critica dell'economia politica, Pgreco/Filo Rosso, 2022

Visual Arts1. Presentazione dei testi

Il presente volume ripropone in veste invariata la raccolta di testi marxiani, allora veramente “inediti” in Italia, pregevolmente curata da Mario Tronti nel 1963. I testi sono i seguenti:

1) Il commento di Marx agli estratti, risalenti al 1844-1845, dalla traduzione francese del libro di James Mill, Elemens d’économie politique (Paris 1823).

2) La parte superstite (risalente al periodo settembre-ottobre 1858) del secondo e del terzo capitolo, dedicati rispettivamente al denaro e al capitale, del “testo primitivo” (Urtext) di Per la critica dell’economia politica (1859).

3) L’appendice sulla forma di valore per i lettori “non dialettici”, che Marx su consiglio di Friedrich Engels (1820-1895) e di Louis Kugelmann (1828-1902) preparò per la prima edizione del primo libro de Il capitale (1867). Nella seconda edizione (1872) Marx fuse poi insieme il primo capitolo della prima edizione e l’appendice per i lettori “non dialettici” nell’unica nuova versione del primo capitolo, che sarà alla base anche dell’edizione francese (1872-1875) e della terza (1883) e quarta (1890) edizione, pubblicate queste ultime due postume da Engels.

4) Le glosse, risalenti al 1881, alle parti della seconda edizione (1879) del Manuale di economia politica del “socialista della cattedra” Adolph Wagner (1835-1917), in cui erano contenuti riferimenti espliciti alla prima edizione del primo libro de Il capitale (1867).

5) L’inchiesta operaia preparata personalmente da Marx nel 1880 per il movimento rivoluzionario francese.