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Trasgressione e moralità (7.0)

di Valerio Bertello

Premessa

Quando la teoria marxiana scende sul terreno della prassi tratta in maniera pressoché esclusiva il problema delle condizioni sociali necessarie allo svolgimento dell’azione politica. Ma non afferma quasi nulla sui contenuti di questa azione e sulle loro forme organizzative. Tale impostazione è coerente con il contesto in cui sorge il marxismo, che è quello di una critica radicale del comunismo utopico e quindi del rifiuto di fornire ricette “per l’osteria dell’avvenire.” Infatti per Marx “La classe operaia non ha da realizzare ideali, ma soltanto da liberare gli elementi della nuova società di cui è gravida la vecchia società in via di disfacimento” (La guerra civile in Francia). E ancora con Engels “Il comunismo non è una dottrina ma un movimento [storico] … Il comunismo è risultato della grande industria” (I comunisti e Karl Heinzen). Quindi sul piano pratico non è necessario inventare nulla. Il movimento storico creerà gli strumenti e i contenuti necessari all’abbattimento della società borghese. La teoria rivoluzionaria ha solo il compito di dimostrare ciò. Il marxismo riesce a dare tale dimostrazione fondandosi su di un unico postulato: lo sviluppo delle forze produttive porta necessariamente ad un grado crescente di socializzazione delle stesse. Ciò in quanto tale sviluppo si impone come interesse generale, quindi prioritario in senso assoluto, poiché è la condizione per una vita qualitativamente superiore, in quanto basata su consumi crescenti e una riduzione del tempo di lavoro ad un minimo.

Naturalmente si possono prospettare altre finalità, quali il controllo delle crisi, l’abolizione delle disparità sociali, ecc., ma il loro conseguimento è subordinato allo sviluppo della produttività del lavoro. Altrettanto fondamentale tra queste finalità è lo sviluppo dell’autocoscienza, che infatti sorge dalla necessità di porre sotto un controllo cosciente le forze produttive per evitare che si trasformino in forze distruttive.

E’ quanto fa Marx affrontando la tematica del feticismo, sotto i tre aspetti del denaro, della merce, del capitale e, incluso in questo, del lavoro.

Questa mediazione dell’autocoscienza da parte delle forze produttive sfocia nel superamento del determinismo e nell’accesso della società alla storia cosciente. Quindi il passaggio al comunismo è deterministico solo nella fase iniziale, poi subentra l’autocoscienza. Ciò implica che la lotta di classe è necessaria non solo per vincere la resistenza che la borghesia oppone alla fine del suo mondo, ma anche per instaurare l’autocoscienza nel proletariato, cioè la capacità di concepire e costruire una propria organizzazione sociale.

Queste due fasi del processo rivoluzionario, quella deterministica-incosciente e quella volontaristica-autocosciente, corrispondono alle due fasi classiche: socialismo e comunismo. Come le prime rivoluzioni borghesi ebbero luogo all’interno di una visione del mondo presa a prestito dalla religione e si espressero in tale linguaggio, così nella prima fase il comunismo si esprime ancora mediante istituti e concetti borghesi. Nella seconda il proletariato può abolire questa sovrastruttura, cioè il “guscio”, e dare forma comunista a ciò che originariamente aveva forma borghese.

Nel testo che segue si è sviluppato il discorso precedente in un ambito particolare, considerando la questione della transizione dal punto di vista giuridico.


Moralità e storia


1. La società produce le sue norme, che sono finalizzate alla regolazione dei suoi rapporti interni, cioè sociali, e di quelli esterni, cioè con l‘ambiente. Quando questo atto è compiuto consapevolmente e liberamente ad opera di tutta la società, le norme così prodotte hanno carattere universale in quanto tutelano l’interesse generale.

2. Questa produzione è un processo storico, dove i rapporti esterni determinano quelli interni. Ai primi stadi di sviluppo della società la produzione di norme avviene in modo inconsapevole e condizionato direttamente dall’ambiente naturale. Infatti l’origine di tali norme, quindi anche la loro pretesa validità universale, è attribuita agli dei, cioè alla natura nella forma di potenze personalizzate.

3. Tale origine mitica delle norme produce l’illusione che esse rispecchino i contenuti di una moralità originaria esteriore alla società stessa, esistente prima di esse, eterna e immutabile. Essa concretamente assume la forma di verità rivelata o più laicamente quella di comportamento istintuale o innato. Entrambe le concezioni divengono fondamento del diritto naturale

4. La moralità come qualcosa di esterno e superiore alla società esiste realmente solo come stadio primitivo transitorio corrispondente alla società naturale, pre-istorica, dove i comportamenti sociali sono il risultato dell’evoluzione naturale di tali gruppi primitivi. Il processo evolutivo è di tipo darwiniano, cioè determinato dal rapporto del gruppo con uno specifico ambiente che agisce come fattore che seleziona quei gruppi le cui norme comportamentali conferiscono loro una più elevata capacità di sopravvivenza, cioè una maggiore coesione, sviluppo materiale, forza militare, ecc. Tali norme divengono “costumi (mores) dei padri”, sacri e immutabili, norme non scritte rispecchiate dalle leggi quando inizia una produzione giuridica scritta. E’ il luogo di nascita del diritto naturale: qui legge e moralità sono ancora identiche ma non hanno carattere universale in quanto ogni gruppo sociale ha la sua moralità e quindi le sue leggi particolari.

6. Poiché i rapporti che i membri di una comunità intrattengono rispetto al gruppo sociale corrispondono al modo in cui essi si rapportano collettivamente all’ambiente naturale, le leggi in quanto regolano tali rapporti rappresentano il modo sociale in cui la comunità affronta l’alienazione naturale. Lo sviluppo delle forze produttive del lavoro sociale, cioè della divisione del lavoro, autonomizza la società dalla natura ma determina la nascita delle classi, cioè spezza la compagine sociale in frazioni contrapposte. E’ il momento della transizione dall’alienazione naturale a quella sociale.

7. Quando nasce la società di classe, il diritto comincia a perdere il suo carattere naturale. Infatti le classi sono entità essenzialmente economiche, in quanto determinate nei loro rapporti dal grado di sviluppo delle forze produttive. Ma la classe dominante a sua volta utilizza tali forze e le loro leggi di sviluppo per proteggere i suoi interessi particolari. Quindi, al contrario di quanto accade nelle società naturali, nella società di classe le leggi iniziano ad avere origine interna, cioè hanno cause sociali, in quanto il rapporto con l’ambiente divene indiretto, in quanto è mediato dalla struttura di classe. Infatti, seppure le leggi sono un prodotto della classe dominante e hanno il fine primario di proteggerne gli interessi, tuttavia ora la legge inizia ad essere una produzione consapevole, primo passo verso l’universalità. Infatti il carattere di classe delle leggi tende a superare i confini del gruppo sociale, come riflesso del noto cosmopolitismo delle classi dominanti, tendendo quindi all’universalità.

8. La conservazione materiale della società esistente è interesse generale, quindi anche della classe dominante. Perciò le leggi classiste devono tutelare la sopravvivenza della società stessa, ma lo fanno come fine mediato, cioè subordinato a quello di preservare quei rapporti sociali che garantiscono la posizione sociale delle classi dominanti.

9. L’esistenza di due fini, uno classista e uno sociale, costituisce per la classe dominante l’aspetto più problematico del suo rapporto con le altre classi, questo perché si tratta di finalità intrinsecamente contradditorie, essendo l’una la tutela dell’interesse particolare di una parte soltanto della società, l’altra di quello generale. Ma al contempo tale ambiguità consente alla classe dominante, con qualche artificio, di presentare il diritto come insieme di norme che esiste a vantaggio della generalità degli individui. Così nasce la moralità come ideologia razionalista, che trova il suo sviluppo più completo nella società capitalista. E’ la forma sviluppata del diritto naturale o la sua forma laicizzata.

10. Originariamente il diritto è specchio della moralità, si identifica con essa. Con l’avvento della società di classe, soprattutto di quella borghese, la legge si autonomizza dalla moralità. Il rapporto tra legge e moralità si capovolge: la legge diviene essa stessa moralità concreta, per la quale è morale ciò che è sancito dalla legge. In effetti i fondamenti naturalistici o religiosi del diritto naturale, quindi della morale assoluta, sono abbandonati. La moralità diviene essenzialmente una questione privata, mentre attraverso il mito del contratto sociale viene affermato il principio dell’origine sociale delle leggi. Ma il fondamento assoluto del diritto viene mantenuto, trasferendolo ad un principio di razionalità posto ancora aprioristicamente, e precisamente come razionalizzazione dell’esistente. Infatti il diritto borghese ha una finalità classista. I diritti dell’uomo non sono altro che i diritti del borghese e primo fra tutti quello alla proprietà privata, posta ideologicamente come principio che garantisce benthamianamente “la massima felicità per il massimo numero di persone”.

11. Ma dal diritto razionalista deriva il diritto positivo, la forma conseguente che la legge assume nella società borghese. Qui la copertura ideologica della razionalità del diritto è abbandonata e diviene diritto semplicemente ciò che lo stato prescrive. Dato il carattere classista dello stato borghese il diritto positivo diviene la forma perfetta del diritto di classe, forma che si presenta come prodotto consapevole, libero e collettivo, e lo è nei limiti del mondo borghese come superamento del diritto naturale.

12. Il diritto borghese è progressivo rispetto al diritto naturale, cioè come trascendenza, in quanto, similmente a ciò che il pensiero borghese compie per molte altre ideologie, ne scopre l’origine umana e sociale, e pertanto lo rende criticabile e modificabile, sebbene ne preservi il carattere di classe in quanto protegge nella proprietà un determinato rapporto di produzione, quindi un determinato rapporto politico e giuridico.


La prassi incosciente: il controllo sociale


13. Il problema fondamentale è la questione della funzione del diritto in un corpo sociale, problema che la società classista affronta ma non risolve, oscillando tra diritto naturale e diritto positivo. Il diritto è l’oggettivazione del rapporto tra individuo e l’ambiente mediato dalla società, quindi di un rapporto che a livello sovrastrutturale si presenta come rapporto tra individuo e società. Si tratta di un rapporto intimamente contradditorio. In sostanza si tratta dello scontro tra due diritti opposti: quello della società di difendersi dall’individualismo anomico, e quello dell’individuo di difendersi dalla società totalitaria. Ma fra due diritti uguali e opposti decide la forza, fattore che nega irrimediabilmente il sociale. La forza si manifesta dal lato dell’individuo come trasgressione, dal lato della società come repressione.

14. La trasgressione si presenta in due forme. La prima forma si presenta ad un estremo dello spettro dei possibili comportamenti trasgressivi dove si colloca l’anomia, cioè comportamenti devianti aventi carattere individuale o di gruppo sporadico. Sono di tre tipi: l’anomia parassitaria, l’anomia reazionaria e infine quella patologica.

15. All’altro estremo si trova la seconda forma, la ribellione, che ha fondamentalmente carattere politico. Ma perché presenti questo carattere deve avere carattere collettivo, cioè deve avere rilevanza sociale, almeno dal punto di vista statistico, ancor più se assume carattere organizzato.

16. Le anomie sono comportamenti anomali che in una società emancipata possono considerarsi eccezionali e come tali vanno trattati, cioè come eccezioni individuali assimilabili a patologie. Si interviene, a richiesta con strumenti clinici sia per la diagnosi che per la terapia, oppure con l’esclusione o l’isolamento.

17. Ma tali casi possono avere una certa diffusione in una società di transizione, e possono quindi assumere carattere politico. Quindi in tale fase fondativa la politica svolge ancora un ruolo fondamentale, per cui tali problemi vanno affrontati con gli strumenti della politica.

18. Psichiatria e politica costituiscono strumenti di intervento nei casi di trasgressione in situazioni normali. In casi estremi, poiché la società deve difendersi dalle anomie, può rendersi necessario l’uso della forza materiale e quindi disporre di strumenti repressivi.

19. Questi devono avere quanto meno due caratteristiche: (1) riduzione della repressione al minimo, limitando in particolare l’uso della forza materiale al contenimento; (2) tale compito deve essere svolto da tutti a mediante avvicendamento turno; (3) l’intervento repressivo deve essere considerato un’occasione per riconsiderare i fondamenti dei rapporti sociali vigenti, un indizio che rivela l’esistenza nei principi di incongruenze che si manifestano con l’insorgere dell’anomia oggetto della repressione.


La prassi cosciente: la responsabilità sociale


20. Ma i principi precedenti possono essere applicati solo transitoriamente. A uno stadio più avanzato del processo rivoluzionario si può applicare un altro principio che, capovolgendo quello precedente, riconosce il primato dell’individuo sulla società. Cioè, si riconosce che se il diritto è una produzione sociale, necessariamente anche la trasgressione lo è. Detto altrimenti, se l’individuo è un prodotto sociale egli non è responsabile delle sue azioni, in quanto esse sono determinate dall’ambiente sociale in cui si è formata la sua personalità (Owen). Cioè vale il principio che la legge esiste per gli uomini e non viceversa.

21. La responsabilità della trasgressione è quindi della società, per cui l’origine della trasgressione è da individuarsi nella legge, in quanto la trasgressione dimostra la sua inapplicabilità e questa la sua inadeguatezza, cioè il fatto di non essere universale.

22. Poiché in una società di classe il difetto di universalità è da attribuirsi al carattere di classe del diritto, che gli vieta di avere carattere universale, la responsabilità del crimine è da attribuirsi alla qualità classista della legge stessa. Quindi, poiché nella società di classe non esiste la legge in quanto corpo coerente di principi universalistici, non vi è trasgressione ma solo ribellione.

23. Poiché in una società di classe la tutela degli interessi generali da parte della legge è semplice apparenza in quanto essi sono subordinati a quelli di classe, la responsabilità della legge non è limitata a quegli aspetti del diritto che hanno carattere classista. Pur essendo la legge un intreccio di particolarismo e universalismo che appare unitario, tale carattere unitario della legge borghese è pura apparenza in quanto rispecchia la preminenza assoluta conferita all’interesse di classe.

24. In particolare nella società borghese, essendo essa individualistica, chi subisce il danno è sempre un individuo, per il quale i suoi interessi economici, quindi anche quelli sopravvivenziali, si realizzano sempre a scapito di quelli di altri individui ad esso concorrenti, cioè la società mercantile permette di infliggere un danno economico, alla sola condizione che venga rispettata la proprietà. Per cui la trasgressione non fa che aggiungere danno ad un sistema fondato sulla guerra economica, quindi sul principio naturale mors tua, vita mea trasferito sul piano economico, una competizione che vede sempre prevalere il più forte. Infatti la mano invisibile realizza l’interesse generale incidentalmente, mentre in realtà sopprime una moltitudine di interessi particolari a favore di pochi altri.

25. Solo in una società senza classi la legge può effettivamente essere universalistica. Solo in essa quindi la trasgressione può esistere insieme al carattere sociale della responsabilità. Anzi esso viene accentuato dalla qualità compiutamente sociale dei rapporti fra gli individui.

26. Qui chi subisce il danno è la società intera, che però è responsabile della trasgressione, per cui al livello reale in cui ho luogo il fatto, quello sociale, danno e punizione sono identici in quanto investono lo stesso soggetto, la società. La trasgressione infatti va considerata come la sanzione sociale che la società stessa infligge a se stessa per aver tollerato una contraddizione che non ha saputo correggere e forse nemmeno rilevare.

27. La questione essenziale è quindi non la pena da comminare al singolo, ma il fatto che la trasgressione è una disfunzione che interessa la società intera, che si manifesta come carattere oppressivo della società. Il vero problema è individuare le cause e porvi rimedio.

28. La trasgressione non è semplicemente negazione della legge, quindi della socialità. In realtà è uno strumento necessario di trasformazione sociale, per cui la garanzia del carattere emancipato di una società sta nella possibilità di violarne le norme, cioè nel diritto alla rivolta


La scommessa utopica


29. Il carattere contradditorio del rapporto tra individuo e società è irrisolvibile a livello sovrastrutturale, dove propriamente si colloca la sfera del diritto, poiché la reale origine del diritto è nel rapporto della società con l’alienazione. Quindi la soluzione, se esiste, non può che trovarsi a livello strutturale, suo luogo di nascita, cioè della produzione delle condizioni materiali di esistenza della società.

30. La soluzione sta nei rapporti di produzione, quini nello sviluppo delle forze produttive. Si tratta di una scommessa: che la socializzazione di tali forze produca: (1) l’abbondanza sufficiente a ridurre al minimo la sfera della necessità economica, quindi il lavoro in generale come costrizione; e di conseguenza (2) rapporti sociali non costrittivi e quindi comportamenti non conflittuali a livello sovrastrutturale, nella sfera del consumo.

31. Ma anche quando siano realizzate le condizioni questa prospettiva si presenta come un azzardo perché si tratta di costruire una situazione finora mai esistita. Quindi è necessario inoltrarsi in un territorio quasi del tutto sconosciuto e con pochi punti di riferimento, per lo più ipotetici. Con il rischio di sbagliare. Come è accaduto nella rivoluzione russa, dove si è tentato di costruire il comunismo attraverso una repressione peggiore di quella capitalista.

32. Con la fine dello stalinismo è finito anche il sistema sovietico, la cui vicenda si è conclusa con un approdo al capitalismo. Ciò significa non che la costrizione sia necessaria ma che essa porta al capitale come sistema di costrizione più evoluto. Cioè dimostra che la costrizione una volta introdotta non è più eliminabile. Ma, quel che è peggio, tale esperienza dimostra che la frazione sociale che gestisce la repressione non può che allargare la sfera del suo potere e quindi dei privilegi, fino a trasformarsi in classe dominante. L’esperienza del marxismo sovietico segna la fine irreversibile della teoria della presa del potere come instaurazione della dittatura del proletariato. Essa si trasforma in dittatura del partito, poi in quella del comitato centrale, poi dell’ufficio politico, infine della segreteria e poi in quella di un uomo solo.

33. L’azzardo è che sia possibile un comunismo senza costrizione. E’ necessario affrontare questo azzardo. E’ ciò che hanno fatto i borghesi nella loro rivoluzione, sopprimendo anche fisicamente la monarchia. Condannando a morte il re avevano voluto, anche simbolicamente, liberarsi del timore che la sovranità popolare non potesse sostituire quella del re, tale per decreto divino. Cioè che il popolo non fosse in grado di autogovernarsi. Così la borghesia compì l’atto fondamentale della presa del potere politico, non solo impadronendosene, ma dimostrando di saperlo gestire.

34. Con questo atto la borghesia trasferì la fonte del potere dal cielo alla terra e l’esercizio unitario di esso da un sol uomo a tutto il popolo. Ma essendo l’economia la vera sorgente del potere, questo trasferimento è avvenuto a beneficio di una sola classe, la borghesia. E’ compito ora del proletariato eliminare il carattere classista del potere e portare a termine l’impresa lasciata incompiuta dalla borghesia. Quindi, come la borghesia ha affrontato il rischio connesso alla soppressione della monarchia assoluta, così il proletariato deve affrontare le incognite che si presentano con la soppressione della borghesia e dello stato.

35. Ma parallelamente all’assolvimento di tale compito appare la vera natura del potere sociale, quello di essere il potere della società su se stessa, che si realizza come controllo sociale. Questo autogoverno si è finora costituito mediante istituzioni costrittive gestite da una classe dominante. L’azzardo sta nel presupporre che tale potere di autogoverno possa esistere senza costrizione e che si realizzi da sé una volta cancellato il carattere classista del potere. Ciò che equivale ad asserire che la società può autogovernarsi realmente, cioè governarsi senza la mediazione di una classe dominante.

36. E’ questa la classica teoria dell’estinzione dello stato in quanto strumento del potere di classe. La scommessa sta nel postulare che ciò può aver luogo senza sostituire ad esso un altro stato che nega se stesso, ciò che è una contraddizione in termini. Cioè si scommette sul comunismo senza transizione.

37. Nel comunismo immediato le due fasi classiche, socialismo e comunismo, sono compresenti. Per evitare la dissoluzione della società in un pulviscolo di individui anomici, o il suo irrigidirsi in una struttura gerarchica o totalitaria, il comunismo non può che essere fondato sull’equilibrio dei due poteri fondamentali: il potere degli individui sullo stato e quello dello stato sugli individui. Ciascuno costituisce un limite per l’altro. Quindi tale coesistenza garantisce una centralizzazione senza dispotismo e un individualismo senza anarchia individualista.

38. Che ciò sia possibile è comprovato proprio dall’esistenza storica della società di classe, se solo la si considera rovesciando il punto di vista e si fissa l’attenzione alla sua esistenza non solo come prodotto del potere classista, ma anche per il fatto che ha continuato ad esistere nonostante il suo carattere classista la rendesse una società attraversata da fratture insanabili. Ciò significa che la società alienata produce insieme sia l’alienazione che i mezzi per la sua rimozione.

39. Vi sono inoltre le rivoluzioni incompiute che costellano la storia del mondo moderno, che hanno dimostrato praticamente, pur nella loro esistenza effimera, che il comunismo è una possibilità concreta e un esito storico obbligato della società del capitale. Lo dimostra altresì l’ostinato ritorno di simili esperienze, nonostante i ripetuti fallimenti.

40. Certo resta il problema della resistenza che la borghesia può opporre a firmare la sentenza della sua condanna a morte. Il livello di sviluppo materiale e di consapevolezza della società civile attuale, rendono questa resistenza sempre più improbabile. Lo dimostrano le rivoluzioni moderne, che producono repentini crolli totali dei poteri costituiti, come è accaduto nel Maggio francese del 68, il paradigma di tali movimenti, la fine improvvisa e inattesa del sistema sovietico nel’89, le successive rivoluzioni di velluto e colorate nell’Est europeo e le attuali primavere arabe. Sono sollevazioni di massa che annullano di colpo i poteri esistenti con un uso limitatissimo della violenza e mostrando grande capacità di resistenza alla repressione, peraltro anch’essa molto limitata. Tali movimenti di massa preannunciano la futura rivoluzione senza transizione.

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