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Con Marx, contro il lavoro

di Anselm Jappe

A proposito di Moishe Postone, "Tempo, lavoro e dominio sociale. Una reinterpretazione della teoria critica di Marx"; e di Isaak Rubin, "Saggi sulla teoria del valore di Marx". -

jappe25255b525255dNell'assumere come parola d'ordine la liberazione del lavoro, l'uscita dallo sfruttamento, i marxisti tradizionali hanno trascurato il fatto che Marx ha svolto una critica, non solo dello sfruttamento capitalistico, ma del lavoro stesso, così come esiste nella società capitalista. Pertanto, si tratta non di rimettere al centro ma, al contrario, di criticare il posto centrale occupato dal lavoro in questo sistema, dove esso regola tutti i rapporti sociali. E' questo l'oggetto della rilettura di Marx svolta in "Tempo, lavoro e dominio sociale" di Moishe Postone. 

Nell'editoria, a volte ci sono delle felici coincidenze. Così, questa primavera, "Mille et une nuits" (Fayard) ha pubblicato la traduzione francese del libro di Postone, pubblicato negli Stati Uniti nel 1993, mentre le edizioni Syllepse hanno ripubblicato i "Saggi sulla teoria del valore di Marx" di Isaak Rubin, la cui edizione russa risale al 1924 e la precedente edizione francese (di Maspero, ed esaurita da tempo) al 1978. In questo modo, il pubblico francofono ha in un sol colpo, a disposizione, due delle pietre miliari - si potrebbe perfino dire, il punto di partenza ed il punto di arrivo provvisorio - di una rilettura di Marx basata sulla critica del lavoro astratto e del feticismo della merce. 

Non si potrebbero immaginare due vite così dissimili come quelle di questi due autori: mentre l'americano Postone, dopo gli studi di Filosofia, in Germania, presso gli allievi di Adorno, trascorre i suoi giorni tranquilli come professore a Chicago, partecipando a numerose conferenze su Marx, mentre vede il suo libro tradotto in più lingue, la vita del russo Rubin è stata drammatica: nato nel 1885, aderisce alla rivoluzione e diviene professore di economia a Mosca. Arrestato nel 1930, e condannato come "menscevico" a cinque anni di deportazione, viene di nuovo arrestato nel 1937, quando il terrore staliniano è al suo apice, e scompare - non si sa nemmeno esattamente quando, né come. Rimane sconosciuto in Occidente. Attraverso i misteriosi sentieri della storia, un esemplare della sua opera principale arriva, trent'anni più tardi, nelle mani di Freddy Perlman, militante americano di estrema sinistra, il quale la traduce in inglese e la pubblica nel 1969, per la sua famosa casa editrice "Blacks and Red". Questa traduzione in inglese, serve da base alle successive edizioni in più lingue europee, mentre nel frattempo altri libri di Rubin vengono ritrovati e tradotti. Poi, con il calo generale d'interesse nei confronti di una lettura rigorosa dell'opera di Marx, dopo gli anni 1970, cade di nuovo nell'oblio. 

Trent'anni più tardi, tutti i media sono d'accordo: Marx è tornato. La sua "morte", proclamata intorno al 1989, era stata solo un'ibernazione durata poco più di un decennio. Oggi, Marx è di nuovo sotto i riflettori; viene votato, dagli ascoltatori della BBC, come "il più grande filosofo della storia"; viene citato dal Papa e milioni di lettori votano per dei partiti che si richiamano a lui. Ma cosa si nasconde dietro questa incredibile resurrezione, inspiegabile per i seguaci di Popper, di Hayek e di Furet? La risposta appare evidente: i disagi che produce il mercato scatenato, il divario fra ricchi e poveri che cresce di nuovo, la crisi economica che minaccia numerose esistenze, anche nei paesi "sviluppati". Marx appare allora come quello che l'aveva sempre detto: la società moderna non è assolutamente armoniosa, ma si fonda sull'antagonismo di classe, il lavoro viene sempre sfruttato dal capitale, e quelli che non possiedono altro che la loro forza lavoro possono resistere solo associarsi con l'obiettivo di ottenere una regolamentazione politica del mercato. Una simile critica del capitalismo non può portare che ad invocare un nuovo modo di regolamentazione di tipo socialdemocratico e keynesiano (la cui attuazione è alquanto improbabile). La critica del capitalismo viene fatta per lo più in nome del lavoro bisogna che soprattutto quelli che lavorano ricevano in cambio una giusta somma di denaro. 

Questo "ritorno di Marx" sulla scena mediatica ed elettorale, si dunque rivelato soprattutto come un ritorno del marxismo più tradizionale, appena riverniciato. Ma si sviluppano anche altre forme di critica sociale ispirata dal pensiero di Marx. Dopo vent'anni, si assiste all'elaborazione di una critica del capitalismo centrata sui concetti di merce, di lavoro astratto e del feticismo che ne consegue. In Germania, il movimento della "critica del valore" si forma a partire dalle riviste Krisis (dal 1987) ed EXIT! (dal 2004). Il suo autore più noto è Robert Kurz. Negli stessi anni, Moishe Postone ha sviluppato per suo proprio conto una lettura di Marx, spesso simile. Le dense seicento pagine di "Tempo, lavoro e dominio sociale" rappresentano visibilmente la realizzazione di un percorso, un'opera cui l'autore ha consacrato due decenni di riflessione. Assai rigoroso, questo libro riprende continuamente il suo tema centrale, assumendosi il rischio di una certa ripetitività. Incurante della bellezza delle sue formule, è sempre di una chiarezza perfetta e non trascura nessuno dei problemi che solleva. In rapporto agli scritti di Robert Kurz, il libro di Postone ha un obiettivo più ristretto: la reinterpretazione della teoria di Marx (che ha, nondimeno, delle conseguenze più vaste). Ma su tale soggetto, è diventato un punto di riferimento irrinunciabile, soprattutto nel mondo anglosassone: i marxisti "tradizionali", presi di mira quasi ad ogni pagina del suo libro, si sono visti obbligati a discutere a lungo le sue tesi ed a tentare di confutarle.

 

La vera critica marxiana del lavoro

Dov'è lo scandalo del libro di Postone? La sua interpretazione di Marx si trova sovente all'opposto esatto di quelle proposte per più di un secolo da quasi tutti i marxisti (sebbene egli instauri un dialogo, pur molto critico, con Georg Lukács, Rubin, la Scuola di Francoforte Lucio Colletti). La sua ricostruzione del "cuore" della critica marxiana del capitalismo - che Postone distingue dalla critica che lo stesso Marx rivolgeva alle forme empiriche che il capitalismo aveva assunto nel XIX secolo - si fonda sulla seguente tesi: per Marx, il lavoro non costituisce affatto il punto di vista a partire dal quale criticare il capitalismo, ma è esso stesso l'oggetto della critica.  Fondandosi quasi esclusivamente sulla critica dell'economia politica formulata da Marx nelle sue opere della maturità - soprattutto sui Grundrisse e sul Capitale - Postone afferma che Marx non ha affatto tentato di stabilire delle leggi generali del divenire storico. Le sue analisi si riferiscono soltanto al modo di produzione capitalista: "L'idea che il lavoro costituisca la società, e che esso sia la fonte di ogni ricchezza, non si riferisce alla società in generale, ma alla sola società capitalista (o moderna)" (p.17). E' solamente nella società capitalista che il lavoro diventa la mediazione sociale generale, dal momento che è solo in essa che il lavoro possiede una doppia natura: di lavoro concreto e di lavoro astratto. 

A causa della grande confusione che regna a questo proposito, anche fra le persone considerate come marxisti accreditati, bisogna sottolineare che il "lavoro astratto" in senso marxiano non ha niente a che vedere con il "lavoro immateriale", e che il lavoro astratto ed il lavoro concreto non sono affatto due generi di lavori distinti, e neppure due fasi dello stesso lavoro. Nel capitalismo, ogni lavoro ha due aspetti: da un lato, è uno dei tanti lavori concreti che producono uno dei tanti valori d'uso, ognuno differente dagli altri. Ma ogni lavoro è, allo stesso tempo, un semplice dispendio di tempo di lavoro, di energia umana. Questo tempo speso, conosce solo delle differenze quantitative: qualche volta si lavora un'ora, altre volte si lavora tre ore.E' questo dispendio di tempo che determina il valore di una merce. Il valore si presenta sotto forma di una certa quantità di denaro. Il lato puramente temporale, astratto del lavoro, non è dunque una semplice operazione mentale, ma diviene reale nel prezzo che decide alla fine il destino di una merce. nella società capitalista, il lato astratto, e quindi monetario, prevale interamente sul suo lato concreto, come l'utilità o la bellezza di un oggetto, il che significa così che l'aspetto temporale del lavoro è quello che domina. Nella società capitalista, gli uomini sono perciò dominati da delle astrazioni. 

Secondo Postone, Marx aveva concepito la sua analisi del lavoro astratto, della merce, del valore e del denaro come una vigorosa critica di quelle categorie che costituiscono la base del capitalismo - e di esso solo. Tuttavia, i marxisti tradizionali hanno creduto di vedere in questo la descrizione di un fatto ontologico e trans-storico, universalmente valido, e non si sono più interessati altro che alla distribuzione di queste categorie, e quindi alla ripartizione del plusvalore (nota: La pianificazione non è affatto il contrario del capitalismo, ma è soltanto il contrario del mercato; rimane una forma della distribuzione del valore). Il mercato e la proprietà giuridica dei mezzi di produzione, con la struttura ineguale di classe che ne consegue, rappresentano per il marxismo tradizionale il livello più profondo del sistema capitalista, un livello che si nasconderebbe dietro l'uguaglianza apparente che regna nello scambio delle merci. 

La critica di Marx, secondo Postone, è molto più radicale. Per Marx, il mercato e la proprietà giuridica dei mezzi di produzione sono dei fenomeni rilevanti della sfera della distribuzione. Ora, la sua vera critica riguarda la produzione. La caratteristica principale della produzione in regime capitalistico è quella di essere strutturata dalla doppia natura del lavoro. La critica marxiana si propone perciò di superare il ruolo stesso del lavoro nella società moderna. Nelle società pre-capitalistiche, il lavoro era creazione di ricchezza materiale (nota: Questo concetto di "ricchezza materiale" include anche i servizi ed i prodotti "immateriali". Comprende tutti i valori d'uso e si oppone alla "forma valore". Una casa ed un'ora di insegnamento sono, in tal senso, entrambe "ricchezza materiale") attraverso l'azione dell'uomo sulla natura, e questa ricchezza veniva in seguito redistribuita secondo relazioni sociali stabilite su basi diverse da quelle del lavoro (queste basi, tuttavia, non erano necessariamente giuste, o razionali: potevano essere, per esempio, derivate dalla tradizione o dalle gerarchie, esse stesse stabilite con la forza). La ricchezza materiale, presa in sé, "non costituisce affatto i rapporti fra gli uomini, né determina la sua propria distribuzione. L'esistenza della ricchezza materiale, in quanto forma dominante della ricchezza sociale, suppone l'esistenza di forme evidenti per le relazioni sociali che la mediano" (p.230). 

Nel capitalismo, il lavoro è sempre più creatore di valore, quindi di un modo di misurare l'apporto dei produttori particolari. Il valore è un rapporto sociale espresso attraverso le merci, e le relazioni tra le merci dipendono dal rapporto sociale che esse incarnano. E' quello che Marx chiama il "feticismo della merce". La produzione di ricchezza materiale e di valore non coincidono del tutto: gli aumenti della produttività, dovuti alla tecnica, fanno sì che una quantità crescente di ricchezza materiale venga prodotta in minor tempo. Essa perciò contiene meno valore, poiché il valore è determinato esclusivamente in funzione del tempo speso, e contiene perciò anche meno plusvalore, e meno profitto. 

In una società post-capitalista, il lavoro non sarebbe più la misura della ricchezza sociale, quindi non strutturerebbe più i rapporti sociali. Una tale rivoluzione oggi viene resa effettivamente possibile, secondo Postone, dalla sostituzione del lavoro umano con delle macchine, che ormai fa sì che la ricchezza materiale venga prodotta solo in piccola parte direttamente dai tempi di lavoro. Questo divario, sempre più grande, tra produzione di ricchezza materiale e produzione di valore è la causa profonda della crisi del capitalismo. Questi diventa semplicemente anacronistico, quando la sua base, il lavoro che crea il valore, perde la sua importanza. 

"In altri termini, il superamento del lavoro concreto svolto dal proletariato" (p.51) in modo che "il plusprodotto non viene più creato primariamente dal lavoro umano immediato" (p.67). Per il marxismo tradizionale, al contrario, il lavoro è sempre, in ogni società, il principio che struttura la vita sociale. Nel capitalismo, questo ruolo del lavoro sarebbe occultato, mentre spetterebbe al socialismo di portarlo alla luce del sole. Si tratterebbe perciò, in questa visione, di far trionfare il lavoro, concepito come eterno rapporto del lavoratore con la natura, su quelli che lo parassitano dall'esterno, in quanto proprietari dei mezzi di produzione. Pertanto, si potrebbe arrivare a pensare che la collaborazione avviata nelle fabbriche costituisca un modello per la società comunista, e che si tratterebbe semplicemente di liberare il lavoro dal suo sfruttamento da parte dei capitalisti. 

Al contrario, Postone afferma che la "teoria dovrà liberarsi dalle concezioni evoluzioniste della storia e dalle idee secondo le quali la vita sociale degli uomini si fonda su un principio ontologico che è 'di per sé' alla base dello sviluppo storico: per esempio, il lavoro nel marxismo tradizionale oppure l'agire comunicazionale nei recenti lavori di Habermas" (p.39). E' soltanto nel capitalismo che un solo principio omogeneo - il lavoro, non come insieme di lavori concreti, ma in quanto massa globale di lavoro senza qualità" - governa tutta la vita sociale, ponendosi come obiettivo, naturale ed eterno. Nelle altre società, le diverse sfere della vita obbediscono a delle logiche differenti, ed i rapporti “non possono essere spiegati a partire da un unico principio strutturante e non mostrano alcuna logica storica immanente necessaria" (p.124). Esiste sempre qualche forma di "lavoro", in quanto produzione di ricchezza materiale, ma è soltanto nel capitalismo che si trova un lavoro che si fondi e si mediatizzi esso stesso, costituendo così una forma totale di mediazione sociale. Il problema non è il carattere suppostamente "strumentale" di ogni lavoro (come vuole Habermas), in quanto rapporto con la natura, né, all'opposto, il suo controllo svolto unicamente da agenti esterni che lo sfruttano, bensì la sua natura doppia.Non è "naturale", per il lavoro, produrre valore, ed è solo il lavoro astratto che lo fa, e questo in quanto "astrazione reale" e non come semplice generalizzazione mentale, esiste solamente nel capitalismo. 

Nel capitalismo, non sono solo i rapporti con la natura, ma anche i rapporti fra gli uomini che sono mediati dal lavoro; questi due aspetti della vita sociale vengono confusi. "La funzione sociale unica del lavoro sotto il capitalismo non può apparire direttamente come un attributo del lavoro, perché il lavoro, in sé e per sé, non è un'attività socialmente mediatrice; solo un rapporto sociale evidente può apparire come tale. La funzione storicamente specifica del lavoro può apparire solo come oggettivata, in quanto valore sotto le sue differenti forme (merce, denaro, capitale)" (p.250). Così, le forme oggettivate del lavoro, la merce ed il capitale, sono "forme astratte ed impersonali [che] non celano soltanto quello che viene tradizionalmente considerato come i rapporti sociali 'reali' del capitalismo, cioè a dire i rapporti di classe; esse sono i rapporti reali del capitalismo che strutturano la sua traiettoria dinamica e la sua forma di produzione" (p.19-20). 

Il dominio di una classe su un'altra viene ancora oggi considerato come il cuore della teoria di Marx, dalla grande maggioranza di coloro che si considerano marxisti, compresi quelli che non attribuiscono più un ruolo preponderante agli operai industriali. Secondo Postone, questo dominio è reale, ma non è altro che un fenomeno di superficie, appartenente alla sfera del mercato e della distribuzione. "Nell'analisi di Marx, il dominio sociale non consiste, al suo livello più fondamentale, nel dominio degli uomini su altri uomini, ma nel dominio sugli uomini da parte di strutture sociali astratte che gli uomini stessi costituiscono" (p.53-54). Le forme feticiste non mistificano il lavoro come vera fonte di ogni ricchezza, ma sono delle forme di apparenza necessaria di una realtà dove i rapporti delle persone sono dei rapporti di cose. Postone torna in questo modo su tre concetti del marxismo "critico" (introdotti soprattutto da Georg Lukács in "Storia e coscienza di classe", del 1923): la totalità, il soggetto, l'alienazione. La caratteristica del capitalismo, e di esso solo, è quella di avere una sostanza omogenea, una totalità, ossia il lavoro. Questa totalità è dunque, secondo Postone, da abolire, e non da realizzare. Il vero soggetto nel capitalismo non è né l'umanità, né il proletariato, ma è la forma oggettiva del lavoro: il capitale. Si tratta perciò di superare questo soggetto, e non di farlo trionfare: "L'appello alla piena realizzazione del soggetto significa solo la piena realizzazione di una forma sociale alienata" (p.125). Non è la teoria della "morte del soggetto", ma l'affermazione che una vera soggettività si può costituire solo superando la forma-soggetto generata dal lavoro in quanto mediazione sociale oggettivata. Superare la "alienazione" quindi non significa restaurare un soggetto già esistente dietro la mistificazione, un soggetto che, anche se oppresso e nascosto, si situerebbe, per la sua essenza, oltre il rapporto capitalista. Per il marxismo tradizionale, era il proletariato quel soggetto. Per il Marx di Postone, "superare l'alienazione significa abolire il Soggetto su cui egli stesso (il capitale) si muove e si basa, e la forma di lavoro che costituisce ed è costituito dalle strutture dell'alienazione; ciò permetterebbe all'umanità di appropriarsi di quello che è stato creato sotto una forma alienata. Superare il Soggetto storico permetterebbe per la prima volta, agli uomini, di diventare il soggetto delle loro pratiche sociali" (p.331). Bisogna riconoscere che è il lavoro stesso ad essere alienato, quando non è solo un rapporto con la natura, ma è anche una mediazione sociale oggettivata: "Ogni teoria che afferma che il proletariato in quanto Soggetto, implica che l'attività costituente il soggetto deve essere realizzata, e non abolita. Ne consegue che l'attività stessa non può essere vista come alienata. Nella critica fondata sul "lavoro", l'alienazione si estrinseca necessariamente fuori dal lavoro, nel suo essere controllato da un altro concreto: la classe capitalista" (p.129).

 

Tempo astratto e tempo concreto

Postone dedica una lunga digressione storica alla nascita del "tempo astratto". Questo non è "naturale", è la causa e la conseguenza dello sviluppo capitalista. Mentre il tempo concreto è una "variabile dipendente", "una funzione degli avvenimenti o delle azioni", il tempo astratto, che nasce in Europa alla fine del Medioevo, e che non esiste fino ad allora, è un flusso vuoto, "una variabile indipendente; esso costituisce un quadro indipendente in seno al quale il movimento, gli avvenimenti o l'azione, si verificano. Questo tempo è divisibile in unità non qualitative, costanti, uguali" (p.300). (Nota: queste analisi richiamano quelle sviluppate da E.P.Thompson nel suo "Tempo, lavoro e capitalismo industriale", che Postone cita espressamente a pag. 298 del suo libro). Il tempo astratto è perciò costituito socialmente (invece di essere, come pretendeva Kant, un apriori trascendente), ma si presenta come un dato oggettivo. Domina i produttori e gli stessi capitalisti, imponendo loro in quali tempi devono realizzare la loro produzione per non cadere al di sotto degli standard di produttività stabiliti dalla logica temporale del valore. Per illustrare questo, ci si può riferire ad un esempio fatto da Marx: dopo l'invenzione del telaio a vapore, all'inizio della Rivoluzione industriale, il tempo socialmente necessario per produrre una quantità data di tela, precipitò da un'ora a mezz'ora. L'artigiano tradizionale che continuava ad impiegare un'ora per tessere la sua tela, vide improvvisamente il suo "valore" ridotto ad una mezz'ora, e di conseguenza moriva di fame. La tela era rimasta identica in quanto ricchezza materiale, ma in quanto ricchezza sociale era stata ridotta di metà. La subordinazione dell'aspetto concreto della produzione alla sua sola dimensione temporale, è per Postone la "espropriazione" fondamentale che "precede logicamente il tipo di espropriazione sociale concreta associata alla proprietà privata dei mezzi di produzione", essa "ne consegue non fondamentalmente" (p.153).

La totalità capitalista non è la vittoria completa del tempo astratto,ma l'unità contraddittoria del tempo astratto e del tempo concreto. I progressi nella produttività ridefiniscono l'ora sociale, che a sua volta ridefinisce il livello di base della produttività. E' una corsa ad inseguimento, un effetto "valanga" che crea da sé solo - prima ancora del dinamismo introdotto dall'opposizione fra le classi - il carattere dinamico e direzionale del capitalismo. Né il rapporto fra l'uomo e la natura, né i rapporti sociali hanno necessariamente un tale carattere: le società pre-capitalistiche tendevano a riprodurre per lungo tempo l'identico. Contenendo questa dialettica delle due forme temporali, il capitalismo contiene anche una logica direzionale che crea ugualmente, al di là dei disastri cui porta, la possibilità di uscirne, a differenza delle forme sociali precedenti. E' il dinamismo stesso del capitalismo che spinge verso questo superamento, e non un fattore esterno o un attore che, come il proletariato, si suppone faccia parte di un'essenza atemporale situata fuori dalla logica capitalistica: "La dialettica delle forze produttive e dei rapporti di produzione (...) è quindi una dialettica delle due dimensioni del capitale, e non quella del capitale e delle forze che gli sarebbero esterne" (p.515).

 

Il "vero Marx"

Ci si può chiedere come mai Postone voglia presentare assolutamente la sua interpretazione di Marx come un restauro del "vero Marx", invece di ammettere l'ambiguità del discorso marxiano originale: anche se, con la sua critica delle categorie fondamentali della socializzazione della merce, Marx sia stato effettivamente in anticipo sul suo tempo - all'epoca, quelle categorie erano ancora in gran parte mescolate con degli elementi feudali - rimane il fatto che, in un'altra parte della sua opera, Marx abbia ugualmente costituito le basi del "marxismo tradizionale". Robert Kurz, tenendone più conto, distingue un Marx "essoterico" ed un Marx "esoterico": "si tratta della parte della sua opera - quantitativamente molto ridotta - dove analizza il valore, il nucleo pressoché invisibile - soprattutto ai suoi tempi - del capitalismo". E' chiaro in ogni caso che l'elaborazione parallela, a partire dagli anni 1980, di forme similari di una critica basata sui concetti del "lavoro astratto" e del "feticismo della merce", indica che tali categorie sono diventate più direttamente visibili di quanto lo fossero prima.

Nel caso di Rubin, la cosa è ancora più notevole, dal momento che lui ha lavorato in solitario ed è una figura di precursore quasi inspiegabile. Quando si considera la poca chiarezza, cui abbiamo già accennato, che regna ancora oggi fra i marxisti, a proposito di concetti come il "lavoro astratto" ed il "feticismo della merce", non si può che rimanere stupiti di fronte alla precisione di certe analisi di Rubin, ancora più sorprendenti se si considera che sembra che egli non abbia conosciuto il "marxismo occidentale" a lui contemporaneo (Storia e Coscienza di Classe, di Lukács, era stato pubblicato l'anno prima dei Saggi sulla Teoria del Valore) e che i Grundrisse e gli altri manoscritti preparatori del Capitale non erano stati ancora pubblicati. Rubin comincia dicendo che la teoria del feticismo non è una stranezza metafisica di Marx (come avrebbe predicato ancora Althusser mezzo secolo più tardi), ed ancor meno designa una mistificazione dello sfruttamento, piuttosto costituisce una teoria generale dei rapporti di produzione dell'economia capitalista. Si troverebbe addirittura alla base di tutto il "sistema economico" di Marx, e soprattutto della sua teoria del valore. Il feticismo non è soltanto un fenomeno di coscienza sociale, ma dell'essere sociale stesso, afferma Rubin: nessun altro marxista della sua epoca c'era arrivato, e bisogna conoscere l'indifferenza e la confusione anche dei migliori, di fronte alla questione, per poter apprezzare l'acutezza di Rubin.

Il valore, il denaro ed il capitale, non "velano" affatto i rapporti sociali di produzione: li organizzano e diventano il vero legame sociale. Rubin si scaglia anche contro l'ontologizzazione dello scambio di equivalenti: lo "scambio" non è una realtà trans-storica, ma caratterizza solamente il capitalismo. Tra le officine di una fabbrica, così come nei modi di produzione pre o post-capitalistici, non c'è uno "scambio" basato su un'equivalenza del valore dei prodotti scambiati. L'oggetto circola sulla base dei rapporti che gli uomini hanno già creato - non è affatto lo scambio a creare tali rapporti. I rapporti di produzione fra le persone si stabiliscono sulla base della distribuzione sociale delle cose ed in riferimento ad esse, ma non attraverso le cose stesse.

Nel capitalismo è, al contrario, il movimento delle cose (dei fattori produttuvi) che stabilisce i rapporti fra gli uomini. Rubin dice chiaramente che una società basta sul valore, sul denaro e sul capitale è necessariamente feticista, nel senso che l'uomo è dominato dai suoi stessi prodotti. Sottolinea il ruolo centrale che ha, per Marx, e soprattutto per la sua teoria del valore, la distinzione fra il processo tecnico-materiale (quello che Postone chiama la "ricchezza materiale") e la sua forma sociale. Ricorda che non è il lavoro in quanto tale a creare il valore, ma solo il lavoro organizzato in una certa forma sociale: il lavoro astratto. Nel processo produttivo, il lavoro dei produttori di merci è privato, concreto, qualificato ed individuale, ma nel suo valore di scambio, questo lavoro diventa sociale, astratto, semplice e socialmente necessario. Fra queste ultime quattro determinazioni, è il lavoro astratto a giocare il ruolo centrale, poiché è solo in questo modo che il lavoro diventa sociale.

Se Rubin ha qualche difficoltà nel determinare il senso della categoria marxiana di "lavoro astratto", tuttavia perviene all'essenziale: è precisamente il lavoro senza qualità, senza determinazioni sociali e storiche, il lavoro in breve che nel capitalismo diventa una categoria sociale ed il centro della vita sociale. E' soltanto nel divenire astratto che il lavoro privato diviene sociale, ma succede solo nel capitalismo. Nelle società pre-capitalistiche, al contrario, i lavori sono sociali nelle loro forme naturali e particolari, in quanto elementi necessari di un tutto, e non quanto parti equivalenti di una massa di lavoro sociale indifferenziato.

Questa attenzione al carattere astratto ed anonimo della coercizione esercitata dal valore - in un'epoca in cui il proletariato in senso classico si trovava al suo apogeo, in Unione Sovietica come altrove - porta Rubin a vedere nell'inuguaglianza delle classi la conseguenza, piuttosto che la causa, del valore delle merci. Egli afferma che la teoria marxiana del valore non trascura del tutto le classi, ma le tratta a partire dall'uguaglianza delle parti che partecipano allo scambio. La teoria del valore, il cui punto di partenza è l'uguaglianza delle merci scambiate, è indispensabile, assicura, per spiegare la società capitalista e l'ineguaglianza che vi regna. Così, ancora negli anni 1970, abbiamo visto dei prefattori al libro di Rubin che hanno sentito la necessità di prendere le distanze da simili eresie.

Nel suo saggio, "La sostanza del capitale", apparso nel 2004 nel primo numero della rivista tedesca Exit!, da lui diretta, Robert Kurz soppesa i meriti ed i limiti rispettivi dei contributi di Rubin e di Postone. Se entrambi sono fra i pochi autori a comprendere la centralità del concetto di "lavoro astratto", e lo riferiscono alla sola società capitalista, essi conservano tuttavia  ancora un concetto trans-storico ed ontologico del "lavoro". Però, è solo con la modernità che ci siamo abituati a far rientrare nella categoria unica del "lavoro" le attività umane più disparate, e che obbediscono alle più diverse logiche temporali, ed a concepire tutte queste attività come una massa di "lavoro sociale". In una società post-capitalista, come nelle società pre-capitaliste, il concetto stesso di "lavoro" non ha alcun senso, perché non esiste altro che una molteplicità di attività che non possono essere rinviate ad un'unica sostanza, omogenea, di cui sarebbero delle articolazioni. Kurz rimprovera a Postone di accontentarsi di analizzare il ruolo, storicamente unico, del lavoro nel capitalismo, senza porsi la questione di sapere se si possa parlare di "lavoro" nel quadro di altre società.

Tuttavia, le differenze fra Rubin, Postone e Kurz appaiono di poca importanza in confronto a quello che li separa dai marxisti tradizionali per i quali la sola forma di emancipazione nel capitalismo è, e rimarrà sempre, la lotta fra i gruppi sociali costituiti da questo stesso capitalismo, senza che venga mai considerata una critica delle categorie fondamentali. Nelle loro obiezioni alla critica del valore, hanno dimostrato la pertinenza dell'aneddoto riportato da Kurz nel suo scritto: “un contadino domanda all'ingegnere di spiegargli il funzionamento di una macchina a vapore. L'ingegnere disegna degli schemi e gli fa vedere dove si mette il carburante, da dove esce il vapore, come il calore diventa movimento, e tutto il resto. Il contadino lo ascolta e alla fine dice: "Ho capito tutto. Ma dov'è il cavallo?".

 

Articolo apparso su Revue internationale des livres et des idées" (Rili), n°13, settembre/ottobre 2009

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