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ilcomunista

Introduzione a Hans Heinz Holz: Marx, la storia, la dialettica*

Stefano Garroni

Karl Marx carboncinoPerché presentiamo questi scritti di H. H. Holz – rispettivamente già pubblicati dalla rivista “Dialektik” 1991 n. 2 e 1992 n.1? La risposta sta nella paradossale situazione teorica, culturale e politica, in cui ci tocca attualmente vivere.

Voglio dire che, probabilmente, si dovrebbe risalire molto indietro nel tempo, per trovare un’altra epoca in cui, come nella nostra, sia tanto marcata la distanza fra livello teorico – cioè, della riflessione scientifica e di quella filosofica, più strettamente a contatto con gli sviluppi delle scienze e le loro conseguenze anche morali – ed i livelli CULTURALE E IDEOLOGICO – dunque, i piani, che mediano, variamente, consapevolezza teorica e credenze funzionali all’assetto sociale dato. Le conseguenze di tale marcato distacco sono – com’è facile capire e constatare – devastanti: il passaggio, oggi, dalla lettura di un libro importante a quella di un giornale o, più limitatamente, della sua “terza pagina”, autenticamente significa non solo né tanto trascorrere da un livello ad un altro, quanto piuttosto passare da un mondo – raffinato, complesso, difficile, ma probabilmente e parzialmente vero –, ad un universo onirico, la cui difficoltà è data da un fitto intreccio di semplificazioni aberranti ed ipocrisia stupefacente.

Ad aggravar le cose, si aggiunge la novità, per cui – oggi – è proprio la “sinistra”, che si fa portatrice – addirittura paladina – sia di quel distacco, che di quell’intreccio di ipocrisia e semplificazioni deliranti.

Insomma, la nostra è l’epoca in cui – poniamo – ci si batte per la “memoria storica” (così detta); il che ovviamente significa che in primo luogo la “sinistra” – la grande laudatrice delle “radici storiche” – mentre lamenta e denuncia con feroce cipiglio la “smemoratezza” attuale, contemporaneamente accetta la mistificazione di fondo – che consiste esattamente nel ricacciare, nel confinare, storia e radici nel PASSATO, appunto, in ciò che sta dietro le nostre spalle e che, dunque, ATTUALMENTE non ci occupa più. Ma è proprio questo che serve fondamentalmente all’attuale capitalismo neo-malthusiano: cancellare dall’orizzonte mentale delle masse cose – storiche, passate, da album di famiglia, per dirla con il linguaggio della sinistra – come contraddizione di classe, intreccio fra lotta per la democrazia partecipativa e lotta contro il capitalismo, rapporto fra imperialismo e guerra, ecc., ecc.

Che significherebbe, infatti, AVERE A MENTE tutto ciò? Certo, ricordare le “radici” e sfogliare “gli album di famiglia”, ma anche – e più ancora – ritrovare queste stesse cose nell’ATTUALE. E, allora, scomparirebbe NON LA DIMENTICANZA DEL PASSATO, MA SI' LA DISTRAZIONE RISPETTO AL PRESENTE: si tornerebbe a pensare – e ad agire – in termini di organizzazione, di lotta politica, di scontro di classe. Si recupererebbe, insomma, il “nemico” – in termini reali, effettivi, ricavandolo dall’analisi obiettiva della dinamica storico-sociale e non, come fa in particolare l’odierna sinistra, producendone una versione fantasmatica, irrealistica, generica – dunque, utopica.

Ecco, anticipando su quanto diremo poi, un ottimo motivo per pubblicare queste pagine di Holz: ci servono per apprezzare meglio la densità storica, la molteplicità concreta di intrecci e piani, che confluiscono nella tradizione del pensiero dialettico e danno corpo alla riflessione di Marx sulla storia.
Questo direttamente; ma, indirettamente, ci aiutano a comprender meglio perché il capitalismo neo-malthusiano, nello stesso momento in cui dimostra di non poter tollerare quello sviluppo di forze produttive che esso stesso ha generato, deve – di necessità – spoliticizzare le masse, cancellare la storia e la concretezza dal loro universo mentale, catturarle, invece, nelle maglie dell’astrattezza individualistica e pragmatica. Un mezzo per tale fine è identificare tutto ciò che si lega allo scontro sociale con LA STORIA, IN QUANTO “MEMORIA”.

Dacchè, se la storia è “memoria”, tutto ciò che in essa rientra, appartiene, appunto, al “già trascorso”, alla “nostalgia”, a tempi lontani – se si vuole da “prima repubblica”.

Ed, allora, capita che – a livello culturale e ideologico – faccia la sua comparsa il “nuovo”, ovvero un paradossale intreccio di allucinati progetti di cambiamenti “formali” e di recupero di istanze e modelli, di cui – nella storia e nell’attualità – abbiamo già pagato e paghiamo abbondantemente il prezzo. Si pensi, per fare solo un esempio, alle diffuse lodi del libero mercato, quasi che non sia PROPRIO ESSO che, svolgendosi, crea il contrario di sé, ovvero il capitale oligopolistico, monopolistico, transnazionale. Ma due altri punti dell’attuale ideologia vanno richiamati.

Il bizzarro principio – che Hegel indicava come ASTRATTA VOLONTA’ LIBERA –, secondo cui, purché non violi altrui diritti, qualunque scelta io faccia, essa è legittima e da rispettare.

È tesi bizzarra, questa, perché difficilmente si trova nella storia un’epoca che, quanto la nostra, mostri, al contrario, la DENSITA’ SOCIALE DI OGNI SCELTA, PER QUANTO APPARENTEMENTE INDIVIDUALE. Direi che, ben più dell’antica polis, è esattamente l’attuale città industriale e di massa, che esibisce la RADICALE SOCIALITA’ DI OGNUNO, che – di fatto – carica di una valenza OBIETTIVAMENTE SOCIALE il comportamento di ognuno. E, d’altra parte, la nostra, attuale pratica quotidiana – con un’evidenza, che sfugge solo a chi abbia deciso, come la sinistra d’oggi, non di guardare, ma sì di ALLUCINARE (come dicono gli psicologi) la realtà – dimostra che “abbiamo il mondo in casa”, che “le pareti domestiche” non impediscono la manipolazione e stravolgimento della nostra, individuale e personale esistenza, ad opera di poteri grandi e collettivi, come – poniamo – i ristretti gruppi della speculazione internazionale.

Dunque, crescente spessore sociale della vita d’ognuno, restrizione sempre più marcata del cosiddetto “privato” ed, in questo senso, sempre più stretta interconnessione del mondo. Che realismo ha, di fronte a ciò, riproporre la romantica figura della “volontà astrattamente libera”, della singola volontà che, indifferente ai contenuti delle proprie scelte, si bea – solo – dell’atto di scegliere? Eppure – manco a dirlo – esattamente questa riproposizione è MAGNA PARS della ideologia, che la “rinnovata” sinistra attuale esibisce e propaga. Veniamo all’altro tema.

Com’è noto, assistiamo, oggi, ad una diffusissima gara – che vede la partecipazione di individui e gruppi – a chi più e meglio sappia conquistarsi la palma del pragmatismo efficientista e libero finalmente da ideologie (si badi, però, che tutto ciò s’accompagna – e torneremo sulla cosa – all’esaltazione della “solidarietà”).

Com’è ovvio, questa gara si basa su un equivoco, legato al termine “ideologia”. Se tecnicamente, infatti il termine CONNOTA quell’aggregato di credenze, dalla valenza eminentemente pratica e di sostegno dell’ordine sociale dato; nell’uso quotidiano, invece, DENOTA – perdendo, così, ogni carattere DISCRIMINATIVO – qualunque insieme di idee, non riducibile alla mera utilità ed al principio del minimo costo per il massimo profitto (il cosiddetto “calcolo razionale”).

Non è dubbio – se vale il significato tecnico del termine –, chi più di un marxista può auspicare la liberazione dall’ideologia?

Senonché, la gara a cui accennavamo esalta quella liberazione, MA – DI FATTO – NEL SECONDO SENSO DEL TERMINE “IDEOLOGIA”: quello d’uso comune, quello che implicita – o, almeno, suggerisce – che pragmatismo ed efficienza non siano l’alfa e l’omega dell’esistenza umana.

Insomma, “liberazione dall’ideologia” – questo il contenuto vero della gara – nel duplice significato sia (i) di impegnarsi nella ricerca e proposta di MEZZI, senza porre in questione i FINI (ché, sappiamo, la ragione è debole e NON Può INTERROGARSI INTORNO AI FINI); sia (ii) di trascurar di vedere che UTILITA’ e RAPPORTO ECONOMICO TRA SFORZO E RISULTATO sono concetti e valori storici, comprensibili, solo, a patto che venga ricostruito L’UNIVERSO DEI FINI, RISPETTO A CUI ESSI HANNO SENSO.

Per quanto parziali, bastino le notazioni fin qui fatte, allo scopo di delineare l’ambiente – a dir così – entro cui si vuol collocare la nostra proposta dei due scritti di Holz.

Ciò che ci importa, ovviamente, è la loro valenza affatto critica rispetto al quadro ideologico e politico, precedentemente abbozzato.

Valenza, che si rivela subito con il loro, evidente, duplice intento: da un lato, di rivolgersi ad un pubblico non necessariamente di specialisti (anche se, comunque, una certa fatica il lettore la deve pur fare. Ma questo è bene); e dall’altro di riproporre l’attenzione su Marx e la dialettica, senza nascondere nulla della complessità teorica e della densità storica, che questi temi implicitano.

Certo, Holz fa riferimento prevalente a pagine del giovane Marx (i MANOSCRITTI PARIGINI e l’IDEOLOGIA TEDESCA), che lo stesso autore non ritenne di dover pubblicare: evidentemente non a caso, ma perché egli stesso ne comprendeva i limiti.

Si tratta, però, di testi che, negli ultimi decenni, hanno conosciuto una notevole “fortuna” (ma non sempre è stato un bene, per l’uso pasticciato ed ideologico – nel senso TECNICO – che se ne è fatto) e che – se letti seriamente – ci consentono di sorprendere, non visti, (come oggi si dice sulla scorta di certa retorica “sintomale” e wittgensteiniana) Marx nel laboratorio, in cui sta forgiando le sue idee. Ed, allora, possiamo cogliere certe prospettive di fondo, che accompagneranno l’intera evoluzione del pensiero di Marx e che – se confrontate non solo col clima ideologico-politico che dicevo, ma anche con la più rigorosa ricerca teorica contemporanea – si rivelano di importanza ed attualità grandi.

Si pensi, ad es., alla problematica dell’UNICA SCIENZA STORICA e della SCIENZA REALE, presente in entrambi i testi giovanili, che sono in questione.

Naturalmente, non dobbiamo rimarcare in tale proposta una qualche istanza – tra il romantico e il sensista –, che punti ad “afferrar l’insieme, il vivente”, di contro all’intelletto analitico della scienza empirica (l’economia politica, ad es.). Sebbene, qualche spunto in tale direzione possa trovarsi nel linguaggio di Marx (ed in quello di Engels), non è questo il nodo della questione.

Piuttosto, lo troviamo – questo nodo – nel Marx, che critica la NATIONALOKONOMIE perché si limita a costruire generalizzazioni, a partire dai fatti come si danno. Ciò che Marx contrappone è un metodo, che punta al BEGREIFEN, dunque alla costruzione del , inteso come nucleo fondamentale di tensioni e contraddizioni, capace di rendere il senso, la dinamica, la prospettiva dell’oggetto indagato (la società della proprietà privata, com’egli si esprime nei MANOSCRITTI PARIGINI). Nel far questo, Marx si colloca – di fatto – entro una tradizione (razionalistica), che critica l’empirismo, non per quanto ha di anti-speculativo, non per la sua insistenza a definir l’oggetto dell’analisi e, così, render possibili controlli, verifiche e falsifichi (si ricordi, ad es. l’enfasi che Marx pone sull’empirismo inglese esattamente, quando – nella SACRA FAMIGLIA – traccia uno schizzo storico del materialismo; né si dimentichi la presenza di Locke, poniamo, nella riflessione di Hegel, che pensa lo Stato moderno).

Ma lo critica, semmai, per la ragione opposta: come già aveva dimostrato Leibniz in polemica con Locke (ed il richiamo a Leibniz è centrale in Holz), l’approccio empiristico finisce col rappresentare un limite alla ricerca, all’indagine scientifica, perché ELEVA IL “DATO” A TRIBUNALE D’ULTIMA ISTANZA; impedendo, così, all’acribia della ragione di costruire nuove forme di relazione, nuove strutture logiche che possano, invece, mostrare come il “dato” sia – in verità – un che di POSTO, di DERIVATO DA “ALTRO” – anche se quest’ “altro” non si dà nell’immediata evidenza o, almeno, non si mostra in connessione significativa con ciò da cui l’indagine è partita (sotto questo profilo di grande interesse la citazione da Hegel che, a p. 48, fa K-H Ilting nel suo HEGEL DIVERSO, nell’edizione laterziana del 1977: “ … il pensiero libero … non si ferma al DATO sia esso sostenuto dall’esterna autorità positiva dello Stato, o dal consenso degli uomini, o dall’autorità del sentimento interno e del cuore o dalla testimonianza immediatamente consenziente dello spirito; ma procede per proprio conto e, appunto perciò, esige di sapersi unito in intimità con la verità …).
Insomma, nella sua resa dei conti con l’economia politica, Marx fa propria quella CRITICA DELL’EVIDENZA che – caratteristica del razionalismo di un Cartesio o di un Leibniz – è poi parte integrante e centrale della stessa dialettica hegeliana.

Affatto significativa, in questo quadro, è la denuncia marxiana del cinismo della NATIONALOKONOMIE, vale a dire della sua incapacità a render conto della miseria, che consegue alla produzione di ricchezza e, perfino, della sua propensione a giustificarla (quando addirittura non la occulti), quale prezzo necessario acché la ricchezza si crei.

Non è dubbio che in questa denuncia si esprima, anche, un orientamento morale fondamentale, che Marx fa proprio – e che, d’altronde, esplicitamente indica nei MANOSCRITTI PARIGINI con quel LEBEN ERZEUGENDES LEBEN (un vivere produttore di vita), di netto sapore hegeliano. Ma c’è anche dell’altro, che riguarda la sostanza scientifica marxiana, la SCIENZA CRITICA verso cui egli va orientandosi.

Se il BEGREIFEN – intorno a cui ruota la concezione scientifica di Marx – ha il senso che abbiamo detto, un aspetto caratteristico, essenziale dell’approccio che Marx contrappone a quello degli economisti, è la capacità di annodare assieme le contraddizioni dell’oggetto dato e di produrre quel concetto (BEGRIFF) – o forma strutturale di base –, che è in grado di mostrare come le opposte caratteristiche (produzione di ricchezza e, contemporaneamente, di miseria) si implichino di necessità – PERCHE’ COSI’ E COSI’ E’ FATTO L’OGGETTO IN QUESTIONE (la forma di società analizzata).

Dunque, la << scienza reale >> di Marx dice la LINEA DI MOVIMENTO DELLA COSA STESSA, ossia – non disdegnando, ma sì tenendo ferme le contraddizioni dell’oggetto – ne individua il complesso di strutture dinamiche, che ne costituiscono la FORMA ESSENZIALE (NON DATA NELL’IMMEDIATA EVIDENZA); ed è proprio nello svolgimento – reale , obiettivo – di questa forma, che trovano spiegazione sia le contraddizioni dell’oggetto, sia lo scarto tra il suo modo di presentarsi ed il suo essere essenziale, sia, infine, la sua dinamica, le sue tendenze e contro-tendenze.

Come si vede – per tornare un attimo al più squallido panorama ideologico a noi contemporaneo –, non è un caso se la gara per il pragmatismo, l’efficienza e la liberazione dall’ideologia, poi, abbiano come PENDANT l’appello al solidarismo. La situazione è analoga a quella, in cui si trova la NATIONALOKONOMIE da Marx criticata.

Da un lato, infatti, si cantano le lodi di un astratto, formale calcolo razionale (l’efficientismo, il pragmatismo); ma dall’altro, ci si ritrova per le mani l’effetto contraddittorio di quella REALE, PRATICA astrattezza (ovvero, la barbarie e la povertà, così largamente presenti nel mondo del pragmatismo e dell’efficienza).

L’ideologia – se prendiamo questo termine nel suo senso TECNICO – dell’efficienza non è in grado – PER SUA NATURA E DESTINAZIONE – di render conto di quel rovescio contraddittorio e, dunque, se lo scrolla di dosso, affidandolo ai buoni sentimenti, agli affetti comuni (dunque, realmente, all’istituto, che l’ipocrisia ufficiale delega a rappresentarli, cioè la chiesa, l’organizzazione religiosa). Ancora una volta, quindi, un MONDO SENZA SPIRITO (il libero mercato, l’efficienza, il pragmatismo) trova in uno SPIRITO SENZA MONDO (la religione, l’universale sentimento) il proprio gemello, la propria compensazione e sanzione.

Se, però, volgiamo le spalle alla miseria dell’ideologia attuale e torniamo a ragionare di cose più degne, un altro lato della “scienza reale” di Marx dobbiamo sottolineare.

La produzione del concetto – il BEGREIFEN, di cui abbiamo già detto –, nello stesso momento in cui coglie l’insieme necessario delle contraddizioni dell’oggetto, ne indica, anche, le tensioni, le torsioni, le dinamiche e contro-dinamiche. In una parola, consente di COGLIERNE IL SENSO.
E non già, perché investa la storia di significati che la trascendano, che abbiano origini diverse dalla storia stessa. Tutto al contrario, perché SI IMMERGE DENTRO LA STORIA, perché ricava dalla “LINEA DI MOVIMENTO DELLA COSA STESSA” IL SENSO DELLA COSA.

A questo punto, vediamo reciprocamente richiamarsi scienza e morale, teoresi e scelta pratica. VEDIAMO OPERARE, insomma, L’APPROCCIO DIALETTICO. Eccoci, allora, all’altro punto – centrale – del discorso di Holz.

Un diffuso luogo comune vuole che esista un’autentica contraddizione fra LOGICA FORMALE – O SIMBOLICA - da un lato e LOGICA DIALETTICA. Le conseguenze che se ne traggono sono, per la dialettica , devastanti.

La logica formale basata sul DIVIETO DELLA CONTRADDIZIONE, è essenziale per la produzione degli enunciati delle scienze; la logica dialettica, per parte sua, è, invece, BASATA SULLA CONTRADDIZIONE; dunque, delle due l’una: o VALE la logica formale e, con ciò, la scienza stessa, OPPURE VALE la logica dialettica – ma, in questo caso, cadrebbe non solo la logica formale, ma sì la stessa scienza, che ad essa è necessariamente legata. Un risultato delle pagine di Holz è far giustizia di tale luogo comune.

NON SOLO PERCHE’ L’OBIETTIVO DIALETTICO FONDAMENTALE – PENSARE INSIEME I CONTRADDITTORI E LA LORO UNITà – almeno a partire da Platone (Holz richiama quell’autentico, difficile capolavoro che è il dialogo platonico PARMENIDE), è parte organica dell’impegno teoretico delle scienze e della filosofia; ma anche perché logica dialettica e logica formale, in realtà, NON PARLANO DELLE STESSE COSE (con la conseguenza che non possono trovarsi in rapporto di RECIPROCA ESCULSIONE – come, invece, accadrebbe, se tra loro vi fosse, giusta la lezione di Kant, AUTENTICA CONTRADDIZIONE). Ciò che voglio dire è semplice.

Un ovvio enunciato della logica formale come (ovvero, nel linguaggio tecnico della logica formale, SE “A” ALLORA “B”) non dice COSA SIGNIFICHINO “a” e “b”; ma dice, invece, che tra loro – comunque – si postula un determinato rapporto, chiamato IMPLICAZIONE. Il calcolo logico-formale – che può esser svolto dall’enunciato di partenza – ha, come una sua condizione fondamentale, il fatto che SEMANTICAMENTE (cioè dal punto di vista del “significato”) A E B NON SIANO DEFINITE: insomma che abbiano un QUALUNQUE significato (o nessun significato e, proprio perciò, possano ricevere le più DIVERSE INTERPRETAZIONI). Ciò che il calcolo logico mi apprende è che – nel quadro di certe regole e di certi principi – se << a implica b e b è falso, allora anche a è falso>>. E tale conclusione è logicamente inoppugnabile,QUALE CHE SIA IL SIGNIFICATO DELLE VARIABILI PRESENTI A E B. Ci si può attendere qualcosa del genere dalla logica dialettica? Certamente no.

E ciò perché – ricorrendo al linguaggio di Holz – le FORME di cui la dialettica si occupa – e che produce – non sono MERE forme LOGICHE, ma sì logico-ONTOLOGICHE.

In altri termini, la dialettica non può prescindere dal fatto che i termini, di cui analizza i rapporti contraddittori (QUALE CHE SIA LA FORMA DETERMINATA DI CONTRADDIZIONE – PERCHE’ NON CE N’E’ UNA SOLA), HANNO un significato, RIGUARDANO il mondo del significato, SONO il mondo del significato.

È per questo, d’altronde, che l’indagine e la riflessione dialettiche nascono a stretto contatto con l’effettivo impegno conoscitivo: perché è DEL MONDO, che quell’indagine e quella riflessione vuol parlare.

È significativo infatti – per concludere la nostra introduzione – che l’attenzione di Holz verso Leibniz si collega alla costatazione dell’esito SPECULATIVO, a cui Hegel – se letto in un certo modo – sembra pervenire; dunque, alla difficoltà – POSTA QUELLA LETTURA DI HEGEL – in cui termina la sua dialettica: di dissolvere il mondo dei SIGNIFICATI EFFETTIVI, della REALE EFFETTUALITA’.


*Da:    Marx, la storia, la dialettica, Ed. Laboratorio politico 1996

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