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sinistra

Le frontiere del capitale

di Into the Black Box*

Come la nuova organizzazione logistica e il potere degli algoritmi hanno cambiato il mondo

aaahgE tutta questa coscienza comune si accontenta di usarmi come una scatola nera?
Dato che la scatola nera funziona, è superfluo sapere cosa ci sia dentro?
A me non sta bene. Voglio sapere cosa c’è dentro, io.
Voglio sapere perché ho scelto Gaia e Galaxa come futuro, altrimenti non starò in pace.
Isaac Asimov, Fondazione e Terra, Mondadori, Milano, 1986, p. 14

 

1.0 - Prequel

Questo volume nasce dal percorso di ricerca collettiva Into the Black Box.

Era il finire del 2013. Da qualche anno si susseguivano in EmiliaRomagna, Lombardia e Veneto blocchi dei facchini ai cancelli degli interporti. Eravamo in piena crisi economica globale. Dopo la bolla dei subprime Usa, l’intero territorio europeo aveva visto abbattersi la scure dell’austerity. Le piazze di mezza Europa si incendiarono. Per confrontarsi su questo, un seminario internazionale intitolato proprio Teaching the Crisis si tenne a Berlino. Partecipammo entusiasti. Giovani militanti e ricercatori di mezzo mondo portarono le loro esperienze e analisi. Piazza Syntagma, Porta del Sol, Piazza Taksim, Kottbusser Tor o le strade di Lubiana: chi aveva attraversato quei luoghi di conflitto si incontrò per parlare di crisi, di reazioni, di lotte e di prospettive. Da Bologna portammo l’esperienza delle “lotte nella logistica” e non è riduttivo dire che davanti a noi si aprì un mondo (puntata 4.1).

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jacobin

Vietato parlare di neoliberismo

di Lorenzo Zamponi

Il neoliberismo non va neppure nominato perché non è un’ideologia che contiene opzione di politica economica tra le tante: viene presentato come la legge naturale dell’economia e della società

iran1 jacobin italia 1536x560È solo l’ultima di tante storie simili. Una ricercatrice scrive su una testata online un articolo sulle proteste in Iran in cui usa la parola «neoliberista» per definire le politiche del regime degli ayatollah. Su Twitter si scatena l’inferno: centinaia di account attaccano lei, la rivista e la sua tesi, per aver osato usare quella parola. Come se i regimi autoritari non avessero una politica economica. La stampa di area salta sopra alla storia, e Carlo Calenda ci mette la ciliegina insultando pubblicamente la ricercatrice. Una storia di ordinaria follia social in un paese in cui il dibattito pubblico sulle questioni economiche è ostaggio di tabù e paletti che risulterebbero incomprensibili e fuori tempo in tutto il resto dell’Occidente. Dietro questa storia ci sono i meccanismi perversi del circuito mediatico-social che sta portando i liberali italiani ad assumere linguaggi, stili e comportamenti trumpiani. Ma se la leghiamo alla canea che ha accolto l’uso del termine «neoliberismo» nel percorso congressuale del Partito demodratico, questa storia ci dice qualcosa di più: quella parola deve restare un tabù perché, per il pensiero dominante, nessuna persona e nessun movimento di massa può essere influenzato da istanze socioeconomiche, e perché citare il neoliberismo come un’ideologia significa minarne lo status di legge naturale universale che caratterizza le ideologie dominanti, e indicare quindi la possibilità di immaginare e creare altri mondi possibili.

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effimera

Centralizzazione della proprietà e capitalismo contemporaneo

A proposito di “La guerra capitalista”

di Andrea Fumagalli

copertina La guerra capitalistaA distanza di 10 mesi dall’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russia sono usciti alcuni interessanti saggi che analizzano la nuova situazione geo-politica e riflettono sulle possibili tendenze internazionali[1]. Tra loro merita sicuramente un posto in prima fila il recente contributo di Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti, Stefano Lucarelli, La guerra capitalista. Competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista, Mimesis, Milano, 2022, uscito in libreria lo scorso 25 novembre.

Il libro è suddiviso in tre parti, con l’aggiunta di tre appendici finali e una postfazione di Roberto Scazzieri. La prima parte inizia con la “sconcertante presa d’atto di un Marx ‘rapito dal nemico’: tanto dimenticato dai sedicenti tribuni degli oppressi del nostro tempo quanto studiato e rivalutato dagli agenti del capitale” (p. 10). Tale punto di partenza è particolarmente utile per soffermarsi sulla marxiana “legge di centralizzazione”, il nodo teorico che ha più affascinato la riscoperta mainstream di Marx all’indomani della crisi finanziaria globale del 2007. Nel testo, infatti, gli autori propongono “una nuova teoria della riproduzione e della tendenza verso la centralizzazione capitalistica, un approccio che si contrappone al paradigma teorico mainstream ma solleva obiezioni anche ai filoni di pensiero critico che hanno ridotto il marxismo a un intoccabile reliquiario anti-scientifico, o che da lungo tempo tacciono sul grande tema delle “leggi” generali”. (p. 10).

A partire da queste premesse, la seconda parte approfondisce l’evidenza empirica della tendenza della centralizzazione capitalistica, che viene definita “un inedito della letteratura scientifica in materia” (p. 10).

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cumpanis

“Come finira’ il capitalismo?” Anatomia di un sistema in crisi

di Sergio Leoni

IMMAGINE LIBRO STREEK Recensione LeoniNel punto interrogativo del titolo di questo libro è già espresso il senso e il tema che l’autore sviluppa in più di trecento pagine fortemente argomentate, di lettura chiara ma non facile e che dunque richiede una buona dose di volontà di comprendere tesi che oggi, rispetto al “senso comune”, appaiono quantomeno eccentriche se non eretiche.

L’autore, secondo le stringate note nella terza di copertina , è “sociologo ed economista tedesco”. Direttore emerito del Max Planck Institute for the Study of Societes di Colonia. Membro dell’ Accademia delle Scienze di Berlino e Corresponding Fellow della British Academy”.

Qualcosa di più è possibile sapere su questo autore attraverso i soliti canali (wikipedia in questo caso): ha studiato nella Università Goethe di Francoforte, negli anni in cui l’omonima scuola di Horkeimer e Adorno è stata al centro o comunque parte essenziale del dibattito filosofico e politico a cavallo degli anni 60/70.

In ogni caso, questo testo si colloca del tutto al di fuori di quello che è stato, negli ultimi decenni, un mainstream cui si sono adeguati, in maniera più o meno convinta, la gran parte degli storici, dei filosofi, degli economisti. Senso comune, detto in parole povere, secondo cui, con la caduta del muro di Berlino, con la fine, evidentemente più dichiarata che effettivamente realizzata, della guerra fredda, il modello capitalistico, non solo occidentale ma perfino “mondiale”, sarebbe diventato il solo e unico scenario, l’unico modello economico possibile, l’unica forma di strutturazione della società, l’unica e definitiva “visione del mondo”.

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carmilla

Immaginare la fine del capitalismo con Fredric Jameson

di Fabio Ciabatti

Marco Gatto, Fredric Jameson, Futura Editrice, Roma 2022, pp. 192, € 14,25

FJameson ritrattoRecentemente Fredric Jameson ha fatto una interessante puntualizzazione su quella che è probabilmente la più citata delle sue affermazioni: “quando ho detto che è più difficile immaginare la fine del capitalismo che la fine del mondo, non volevo certo intendere che fosse impossibile”. Questa presa di posizione può essere letta come una precisazione relativa ai possibili esiti della sua celebre analisi sul postmodernismo che sembrerebbe depotenziare le istanze critiche presenti nei suoi precedenti lavori incentrati sulla produzione culturale moderna e modernista. La citazione conclude la prefazione, firmata dallo stesso critico americano, al testo di Marco Gatto, intitolato Fredric Jameson.1 Il libro ripercorre sinteticamente le fasi più rilevanti dell’avventura intellettuale di un autore capace di produrre testi fondamentali, in ambito marxista e non solo, come Marxismo e forma, L’inconscio politico e Postmodernismo. Opere in cui si sostanzia “l’esperimento materialista di Jameson” che, sintetizza Gatto, consiste nello “sforzo di capire il presente attraverso le forme e le rappresentazioni dell’immaginario”.2

Il senso ultimo di una lettura dialettica dei fenomeni culturali consiste, secondo Jameson, nel mettere in luce la relazione profonda che essi intrattengono con una storia che li contiene e surclassa. Cosa accade a questo approccio, quando, con l’avvento del postmodernismo, possiamo sostenere, utilizzando la formula suggerita da Marco Gatto, che la spazialità sostituisce la temporalità? In questo articolo si cercherà di ritagliare un percorso di lettura attraverso il testo di Gatto per abbozzare una risposta a questa domanda, cercando di non fare torto alla densità concettuale della sua ricostruzione di un percorso intellettuale quanto mai complesso.

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machina

Capitalismo delle piattaforme, capital gain e revolving doors

di Andrea Pannone

Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Andrea Pannone, economista esperto nell'analisi dei processi di innovazione tecnologica e attualmente ricercatore senior alla Fondazione Ugo Bordoni. L’articolo, nell’analizzare le radici del profitto e del potere delle aziende a maggiore capitalizzazione, ha il merito di focalizzarsi su uno dei «meccanismi» reali con cui si costruisce la convergenza tra finanziarizzazione, grandi colossi hi-tech e potere politico.

Il contenuto dell'articolo è esclusiva responsabilità dell'autore e non coincide necessariamente con la posizione dell'Ente in cui lavora

0e99dc 32bcadccbe264fb284a701bdaa0942e2mv2Piattaforme digitali e «paradosso dei profitti»

La recente affermazione del «capitalismo delle piattaforme» – ossia di una forma organizzata di estrazione del valore basata sull’appropriazione dei dati e dei contenuti prodotti dagli utenti delle piattaforme digitali – ha fatto emergere tra molti ricercatori un notevole interesse sul concetto di «paradosso del profitto» (vedi ad esempio Eeckhout, 2021). Tale concetto è usato per spiegare perché, nelle ultime due/tre decadi, la maggior parte dei benefici economici derivanti dai progressi tecnologici connessi alla massiccia diffusione di Ict in tutti i settori dell’economia sono stati catturati da un numero estremamente limitato di imprese, che hanno aumentato a dismisura il proprio potere di mercato a scapito dei concorrenti e, di conseguenza, la propria capacità di aumentare i prezzi dei beni e servizi offerti, di comprimere i salari e di frenare la nascita di nuove imprese sul mercato. Dove sta il paradosso? Nel fatto che questo fenomeno contrasta con l’idea dominante, presente sin dagli albori della «rivoluzione digitale» nella letteratura economica e nei media, secondo cui l’uso generalizzato di Ict, combinato con la pervasività di Internet, avrebbe sicuramente eliminato quasi del tutto i vecchi intermediari nelle transazioni e abbattuto i costi connessi al funzionamento del meccanismo di mercato (noti come «costi di transazione» [1]). Questo processo avrebbe dovuto, nel tempo, guidare i mercati verso il funzionamento di perfetta concorrenza descritto nei testi di economia, che prevede prezzi decrescenti e tecnologie più efficienti a vantaggio dei consumatori.

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resistenzealnanomondo

Resilienza: adattarsi a un mondo tossico

di Silvia Guerini

imagesjuygbnjkoL’ultimo uomo è l’umano resiliente in perfetta sintonia con i dettami di Davos: dinamismo resiliente era una frase lanciata dal WEF nel 2013. Schwab delinea una società più inclusiva, resiliente e sostenibile. Non è un caso che il piano nazionale per l’economia approvato nel 2021 in Italia dopo la pandemia dichiarata al fine di velocizzare la transizione ecologica e digitale sia stato chiamato Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). La parola resilienza entra così a pieno titolo nel leitmotiv di inclusività e sostenibilità. In perfetta sintonia con la fluidità che deve contraddistinguere ogni cosa e diventare una caratteristica di ogni individuo.

La resilienza in ingegneria si riferisce alla proprietà dei metalli di assorbire un urto seguendo il corso delle deformazioni senza spezzarsi. Così, come per i metalli, all’umano nelle nuove geometrie del mondo tecnomorfo viene chiesto di diventare poroso per assorbire ogni tipo di tossicità e di diventare plastico in grado di deformarsi senza più tenere memoria del suo stato originario. Dalla meccanica dei corpi alla meccanica dello spirito per una sopportazione dell’insopportabile.

In ambito psicologico la resilienza rappresenta la capacità di attraversare e superare dei traumi, per riuscire a far fronte a delle situazioni immodificabili come l’avvento di un tumore o la morte di una persona cara.

Quando alcune parole vengono fatte proprie dal potere chiediamoci cosa andranno poi a significare e cosa andranno a rappresentare nelle trasformazioni e metamorfosi messe in atto dal potere stesso. La resilienza, da qualità che può essere considerata positiva in ambito strettamente psicologico, viene resa modus operandis, ideologia, imperativo dominante.

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lanatra di vaucan

Questa società è troppo ricca per il capitalismo!

di Norbert Trenkle e Ernst Lohoff

IMG 20220728 132804 scaled 2048x1536Presentiamo qui l’epilogo del libro Die große Entwertung di Norbert Trenkle e Ernst Lohoff, autori del Gruppo Krisis ed esponenti di punta della cosiddetta Wertkritik (Critica del Valore), libro uscito in Germania nel 2012 e, come la maggior parte dei testi provenienti da questa ricca corrente di pensiero, purtroppo ancora inedito in Italia. Abbiamo deciso di presentarne la parte finale perché questo breve testo ci sembra racchiuda, con una formula decisamente azzeccata, una parola d’ordine che potrebbe diventare centrale per le rivolte del prossimo futuro. Il titolo, infatti, recita Questa società è troppo ricca per il capitalismo.

Il messaggio che qui risuona (ma non solo in questa occasione) appare particolarmente indicato, crediamo, per rappresentare una svolta nel desolante panorama degli “slogan” politici di movimento, poiché trasgredisce alla regola dell’auto-sofferenza a cui ci hanno abituati, almeno da fine anni ‘70 in poi, i movimenti che dovrebbero e vorrebbero sovvertire il sistema. L’ultimo di questi “slogan”, quello per il quale avremmo oltrepassato i limiti e adesso dovremmo fare tutti dei sacrifici per far tornare il mondo, e noi stessi, in uno “stato di salute”, è particolarmente insidioso nella misura in cui va incontro proprio ai più intimi desideri del sistema del capitale nella sua fase finale, quella cioè determinata dalla iper-produttività a traino microelettronico, che ne erode le fondamenta e impedisce una sufficiente redditività agli ingenti capitali in circolo – i quali, non a caso, si rifugiano nella finanza per soddisfare la propria inestinguibile fame di denaro.

Il capitale in crisi è capace solo, oramai, di fecondare poche sacche di territorio qua e là, vere e proprie “riserve” dove il meccanismo riesce in qualche modo a funzionare – ovviamente sempre più a spese del resto del mondo – mentre altre, molto estese, sono lasciate andare alla deriva e utilizzate al più come scorta di preziose materie prime da depredare e forza lavoro schiavizzata da sfruttare.

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acropolis

Il neoliberismo è il problema del XXI secolo

di Fabrizio Li Vigni

Introduzione (1)

HXKTDFGLU5G4VE3KZNBTABY7TALa domanda cui mi propongo di rispondere in queste pagine è la seguente: esiste un legame fra il cambiamento climatico, le crisi migratorie, le disuguaglianze, le carestie, la mortalità infantile, lo sfruttamento minorile, la disoccupazione, l’evasione fiscale, il degrado dei servizi pubblici e l’estinzione delle specie viventi? E se esiste, di che si tratta?

Il pamphlet che avete fra le mani ha come obiettivo di mostrare le interdipendenze che connettono tutti i principali problemi che i popoli della Terra sono ad oggi costretti ad affrontare. Tale filo conduttore va spesso sotto il nome di «neoliberismo». In un’intervista recente, il filosofo canadese Alain Deneault(2) affermava che il neoliberismo «è il problema del XXI secolo»(3). Nelle prossime pagine vorrei mostrarvi perché.

La maggior parte della cosiddetta «opinione pubblica» disconosce tanto il termine quanto il suo significato; spesso ignora persino che ci possa essere un minimo comun denominatore fra i fenomeni sopra citati. I politici che conoscono il neoliberismo non lo nominano quasi mai: quelli che lo sostengono non hanno interesse a dare ai cittadini un’arma concettuale potente per combatterlo; e quelli che lo combattono hanno paura di rendersi incomprensibili ai loro elettori.

Di fatto, creatori ed esecutori di questo sistema economico, politico e culturale sono abilissimi nel renderlo indecifrabile. Eppure se avete sentito parlare di «austerità», «società dei consumi», «aggiustamenti strutturali», «libero mercato», «mondializzazione», «globalizzazione»,«consenso di Washington», «turbocapitalismo», «libero scambio», «capitalismo finanziario», «reaganismo», «thatcherismo», «laissez-faire»(4) (lasciar fare), «deregulation» (deregolazione), «el modelo» (come lo chiamano in Cile), «new public management» (nuovo management pubblico), «gig economy» (economia dei lavoretti), «flessibilità», «flexicurity» (flessicurezza), «delocalizzazioni», «dumping salariale/fiscale/ambientale», «crony capitalism» (capitalismo clientelare o di collusione), «governance» (governanza), di «deep state» (Stato nello Stato) o di «filantrocapitalismo», allora avete sentito parlare di questo regime, di una sua variante o di una sua componente.

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linterferenza

L’ ideologia new-liberal e la deriva nichilista dell’Occidente

di Antonio Castronovi

Immagine evento“Il tramonto dell’occidente…esprime un destino a cui non ci si può sottrarre.
Il sole non si può fermare. Il tramonto è inevitabile.
L’occidente è la terra destinata a ospitare questo tramonto”.
(Umberto Galimberti – Il tramonto dell’Occidente )

 

Il capitalismo post borghese e tecnocratico: fine delle ideologie?

Il paradosso del nostro tempo è che viviamo in un’epoca iper-ideologica caratterizzata nello stesso tempo dalla negazione della stessa ideologia, in quanto la nostra sarebbe l’epoca post-ideologica e della Fine della Storia, dominata e governata dalla Tecnica. I suoi attori non sarebbero più le classi sociali ma oscuri tecnocrati che amministrano l’economia e la finanza e le tutelano dalle ideologie che vi si oppongono e le criticano. In questa autorappresentazione non ci sarebbe più posto per la filosofia e la politica come ricerca della verità sociale, come pensiero che trasforma il mondo con l’azione consapevole, e non ci sarebbe più posto per l’autocoscienza come processo di apprendimento dialettico dalla storia.

L’Epoca borghese è così tramontata con il tramonto del suo soggetto storico e della dicotomia borghesia-proletariato, e con la fine della narrazione che ne aveva segnato l’ascesa come ideologia del progresso.

La Globalizzazione si presenta oggi come fatalità ineluttabile e come destino, e tutto ciò che si oppone ad essa è denunciato come ideologia e come nemico da combattere anche con le guerre camuffate da guerre di civiltà.

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carmilla

Un capitalismo totale?

di Sandro Moiso

Il testo che segue costituisce una parte della Prefazione al testo di Gioacchino Toni Pratiche e immaginari di sorveglianza digitale, recentemente pubblicato da Il Galeone Editore, Roma 2022

family4Il capitale è valore in processo che diviene esso stesso uomo (Jacques Camatte)

Fin dalle prime formulazioni dell’analisi marxiana del capitalismo, ci si è posti il problema di dove si ponesse il confine tra dominio formale e dominio reale del capitale, non soltanto sul processo di produzione del valore, ma anche su quello di riproduzione della società umana nel suo complesso.

All’epoca di Marx, ad esempio, l’età del mercantilismo avrebbe rappresentato l’epoca del dominio formale del capitale in quanto il prodotto delle svariate attività produttive umane (artigianali, singole, collettive e proto-industriali, se non ancora collegate a forme di conduzione della terra comunitarie o semi-comunitarie) era destinato ormai ad alimentare principalmente lo scambio di merci in un mercato in via di mondializzazione. Merci la cui funzione era quasi esclusivamente rivolta allo scambio monetario, destinato poi a far circolare altre merci secondo lo schema riassuntivo Merce (M) – Denaro (D) – Merce (M), con una crescita continua della circolazione sia delle merci che del denaro come equivalente universale.

Nella stessa epoca, corrispondente pressapoco a quella della grande espansione coloniale europea, la borghesia però non aveva ancora il pieno dominio politico della società e dello Stato, ma era ancora costretta a sottostare ad accordi, anche questi formali, con la nobiltà e l’aristocrazia terriera di cui le monarchie, nazionali o imperiali che fossero, erano espressione ed emanazione diretta.

Soltanto le rivoluzioni borghesi, o atlantiche come alcuni ebbero a definirle, avrebbero successivamente liberato, tra la seconda metà del XVIII secolo e l’inizio di quello successivo, tutta le potenzialità sociali del capitale attraverso uno sconvolgimento del modo di produzione che avrebbe preso il nome di Rivoluzione industriale.

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machina

Chi salvò il liberalismo da se stesso

Una lettura di Ordoliberalismo di Adelino Zanini

di Lauso Zagato

0e99dc 21226e8745c34a629889c74c0cf341f7mv2Ordoliberalismo ed economia sociale di mercato sono concetti politici ed economici che tendono a essere sovrapposti, oppure relegati a una fase specifica del Novecento. In realtà, come ci spiega Adelino Zanini nel suo Ordoliberalismo. Costituzione e critica dei concetti (1933-1973) (Il Mulino, 2022), si tratta di sviluppi teorici e pratici distinti che arrivano fino alla crisi degli anni Settanta e continuano a essere importanti per comprendere e dunque poter analizzare criticamente – anche ponendo nella giusta luce taluni passaggi politico/giuridici rilevanti – quel processo di costruzione europea, avviluppato oggi in una crisi profonda. In questa attenta e approfondita lettura del volume, Lauso Zagato ci consente di analizzare genealogia e attualità di questi concetti, prima di Foucault e oltre Foucault. 

* * * *

La nuova avventura scientifica di Adelino Zanini, cui l’Autore lavorava da tempo, pone prima facie problemi di non facile soluzione al lettore, quand’anche di formazione operaista, che non risulti sufficientemente qualificato sotto il profilo disciplinare di riferimento (la teoria economica). Forse, cresciuto nel solco dell’incontro/scontro con Keynes, egli avrà ignorato l’esistenza di un neoliberismo diverso da quello classico; ciò, almeno, fino al drammatico impatto con l’anarco-liberismo americano trionfante degli ultimi decenni. Esempio tra i tanti, chi scrive è tra costoro, e confessa di aver letto la parola ordoliberalismo per la prima volta in relazione alla formazione teorica (seconda formazione, provenendo l’interessata dalla ex Germania dell’Est e quindi essendosi inizialmente formata nel delirio del diamat) della allora cancelliera Merkel. Il riferimento costituiva una apparente giustificazione della riluttanza di costei nell’assumersi i compiti «interventisti» in materia economica che la crisi del 2008 richiedeva alla Ue e in primis al suo Stato-guida.

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blackblog

La politica del debito estremo e l'adattamento ai cambiamenti climatici nel Sud globale

di Tomasz Konicz

Il debito estremo sta cominciando a sfuggire di mano, soprattutto in Africa e nel Sud globale, dove le crisi economiche e climatiche in generale si intrecciano, alimentandosi a vicenda e rendendo evidente che i limiti interni ed esterni del capitale sono stati raggiunti, come sostiene Tomasz Konicz nel suo contributo alla serie di testi sulla "Berliner Gazette" (BG), "After Extractivism"

AfterIl tardo capitalismo non può più permettersi politiche climatiche costose. Soprattutto non può proprio laddove è più urgente: nel Sud globale. All'inizio del mese di giugno, la Banca Mondiale ha annunciato una grave crisi del debito nei Paesi a «basso e medio reddito», come conseguenza dell'elevato debito pubblico globale, salito alle stelle durante la risposta alla pandemia e del tutto simile all'ondata di fallimenti sovrani e crolli economici che negli anni Ottanta hanno devastato molti Paesi in via di sviluppo. Nel rapporto viene detto che, rispetto al 2019, ci saranno altri 75 milioni di persone alla periferia del sistema globale che - a causa del forte indebitamento, dell'inflazione e del rapido aumento dei tassi di interesse che porteranno a una situazione economica «simile a quella degli anni '70» - rischiano di cadere in «estrema povertà». Dei 305mila miliardi di dollari a cui ammonta oggi la montagna di debito globale, le economie emergenti, compresa la Cina, totalizzano circa 100mila miliardi di dollari. Nel 2019, alla vigilia della pandemia, il debito globale totale era pari a circa il 320% della produzione economica mondiale. Oggi si attesta al 350%, dopo aver raggiunto, nel 2020, un picco del 360%. Tuttavia, gran parte della crescita del debito - resa possibile principalmente dalle banche centrali che stampano denaro - è avvenuta proprio nella semiperiferia. Più dell'80% del debito che si è accumulato lo scorso anno, è stato generato di recente nei mercati emergenti.

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jacobin

Le crepe nell’ordine neoliberale

J. C. Pan intervista Gary Gerstle

Siamo in piena transizione: anche se il neoliberismo potrebbe non essere finito, di certo non è più l'ideologia indiscussa del nostro tempo

neoliberismo jacobin italia 1320x481Un movimento politico diventa ordine politico quando le sue premesse cominciano a sembrare ineludibili. Negli anni Cinquanta, i Repubblicani si piegarono alla realtà politica e sostennero i programmi di assistenza sociale del New Deal; negli anni Novanta, i Democratici abbracciarono la deregulation di Ronald Reagan.

Tuttavia, come sostiene lo storico Gary Gerstle nel suo nuovo libro, The Rise and Fall of the Neoliberal Order: America and the World in the Free Market Era, nessun ordine politico è immune dal potere destabilizzante delle crisi economiche.

Per Gerstle, la stagflazione degli anni Settanta minò l’ordine del New Deal proprio come la Grande Depressione aveva contribuito a realizzarlo. E oggi, all’ombra della Grande Recessione del 2008-2009, con l’inflazione che galoppa e la pandemia che si estende ancora in tutto il mondo, l’ordine neoliberista sembra vacillare. Dunque, cosa potrebbe venire dopo?

Jen Pan ha posto a Gerstle questa e altre domande nel corso di un recente episodio di The Jacobin Show. Nella loro conversazione, che è stata editata per chiarezza e lunghezza, Pan e Gerstle discutono di come Donald Trump e Bernie Sanders siano sintomi di destra e di sinistra del crack neoliberista, di come la New Left abbia inconsapevolmente aiutato l’ascesa del neoliberismo e perché pensa che «il capitalismo [non è] al posto di guida» in questo momento tumultuoso.

* * * *

Intendi qualcosa di molto specifico quando parli di un ordine politico. Cosa distingue un ordine politico da, diciamo, un movimento politico o un’ideologia politica? E quali sono stati alcuni importanti ordini politici negli Stati uniti?

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contropiano2

L’ultima spiaggia dell’Occidente neoliberista

di Francesco Piccioni

ultima spiaggia occidente neoliberistaUno spettro si aggira per le capitali dell’Occidente: la crisi del potere politico. Ci perdonerete il “furto” dell’incipit più famoso della letteratura rivoluzionaria, ma in effetti ci troviamo in difficoltà nel dover sintetizzare quanto sta avvenendo nelle principali cancellerie dell’Occidente neoliberista.

Sarà bene andare con ordine, ossia per singolo paese, e poi vedere se c’è un trait d’union tra le diverse crisi.

 

Gran Bretagna

E’ il primo “caduto” ai vertici della Nato, e uno dei guerrafondai più estremisti. Boris Johnson, come sapete, è stato alla fine costretto alle dimissioni. Anzi, all’annuncio delle dimissioni.

Sfiduciato dai suoi stessi ministri e sottosegretari (oltre 50) e dal partito che guidava – i conservatori – alla fine si è deciso ad uscire dal portone di Downing Street per recitare la parte che ormai tutto il paese gli chiedeva.

L’ha fatto a suo modo, insultando chi lo ha costretto a (quasi) scendere dal piedistallo: “la forza del gregge a Westminster è potente: quando il gregge si muove, tutti si muovono”. Che un leader politico – anche se clownesco, Johnson lo è stato – consideri poco più che “pecore” la classe politica che ha diretto fino ad un minuto prima è forse l’ammissione più “autorevole” sull’autonomia e la “statura” di un’intera generazione di parlamentari.

Johnson, peraltro, nel rinviare l’uscita effettiva soltanto ad ottobre – ha lasciato la carica di presidente dei conservatori, ma mantiene quella di primo ministro fin quando i conservatori non avranno eletto un nuovo “capo politico” – fa capire di voler condizionare al massimo le future scelte del “gregge”, contando su sempre possibili capriole della maggioranza interna.