Print Friendly, PDF & Email
Print Friendly, PDF & Email
marx xxi

L'Italia ha perso nella guerra tra capitali

di Pasquale Cicalese

draghi merkel murales«La decisione di immettere base monetaria attraverso il canale dell’acquisto di titoli di stato per un totale di 130 miliardi da parte della Banca d’Italia ha due conseguenze. Mina il bilancio di Palazzo Koch impegnando – in maniera obbligatoria, pare – le riserve ufficiali anche auree. E impedisce in futuro allo stato italiano ogni genere di rinegoziazione o di dichiarare default del proprio debito senza determinare gravi conseguenze anche per la “sua Banca centrale”. Il QE funziona come un’ulteriore bardatura che impedirà al paese scelte diverse da quelle di stare in Europa, obbedendo a Berlino-Bruxelles a rischio di trasformarci in colonia politica». Paolo Savona, economista, già Ministro dell’Industria del governo Ciampi, in “Quel trucchetto di Draghi per incatenare l’Italia all’euro”. Il Foglio 12 febbraio 2015.

Abbiamo perso la guerra, perché non l’abbiamo mai combattuta. Resa senza condizioni, sin dal 1992, quando si decise la fine della Prima Repubblica fondata sul ruolo dei partiti nati dalla Resistenza e si decise, in ossequio a Washington e Berlino, di smantellare i colossi pubblici.

Print Friendly, PDF & Email
kappadipicche

Privatizzazioni italiane

Una storia di insuccesso da portare a termine

Mario D’Aloisio

Riceviamo e nuovamente pubblichiamo una interessante riflessione di Mario D’Aloisio

svendesi-257x300Messa in archivio la partita del Colle, Matteo Renzi torna ad occuparsi di economia, e lo fa organizzando a Roma un raduno di due giorni coi principali investitori internazionali per mettere sul piatto quel che rimane della grande impresa pubblica italiana (Eni, Enel, Poste Italiane, Ferrovie dello Stato, Finmeccanica) in cambio di denaro liquido. A scriverlo è Bloomberg , secondo cui alla conferenza, patrocinata da UniCredit, saranno presenti anche emissari del Tesoro e della Cassa depositi e prestiti. L’obiettivo ufficiale del Governo italiano, condiviso con Bruxelles, è quello di accelerare il processo di privatizzazioni per raccogliere fondi destinati alla riduzione del debito pubblico, in conformità col patto di stabilità e crescita. Questa dunque la notizia, da tempo nell’aria. A questo punto sembra tuttavia doveroso un cenno a quel che hanno rappresentato le privatizzazioni italiane, condotte “da sinistra”, a partire dalla firma del Trattato di Maastricht e negli anni a seguire, soltanto per comprenderne la natura ambigua, oltre che gli effetti del tutto negativi in termini di opportunità economica. In quanto leader del Partito Democratico Renzi ha soltanto imboccato una strada già battuta dai sui predecessori. Vediamo di capire come.

 

La sinistra dopo Maastricht

Gli anni che seguirono al Trattato di Maastricht inaugurarono in Europa la stagione del socialiberismo, cioè del capitalismo camuffato sotto la falsa identità socialista. I governi della sinistra europea che gestirono il periodo della transizione furono i veri promotori a livello nazionale di un “modello di globalizzazione finanziaria e deregolarizzata” (Bloomfield) assai poco conciliabile coi valori tradizionali della socialdemocrazia.

Print Friendly, PDF & Email
micromega

Una domanda semplice ad Alesina e Giavazzi

di Piergiorgio Gawronski

alesina-giavazzi-250Sul Corriere, dopo aver ricordato che in Italia “il Prodotto interno lordo scende da 13 trimestri”, i due alfieri del liberismo nostrano offrono la loro ricetta 2015.0 per “porre fine alla recessione”. E spiegano: “La riforma del mercato del lavoro non basta. Ci vuole anche più domanda”. Bene. Cioè… insomma: se ci vuole più domanda, allora la riforma del mercato del lavoro non è che “non basta”, è proprio dannosa: deprime la domanda! “Ci vuole più domanda” é come dire che c’è un eccesso di potenziale di offerta. Ma il Jobs Act mira a stimolare ulteriormente questo potenziale; se proprio lo si vuole approvare, adesso, sarebbe meglio che entrasse in vigore quando la domanda si sarà ripresa.

Domanda (aggregata) nel linguaggio degli economisti significa spesa, acquisti, e – dal punto di vista delle imprese - vendite. In effetti il grafico dell’Istat sulle vendite delle imprese mostra che la domanda continua a contrarsi: in ottobre il calo a/a è stato -0,8%.

Ripetiamolo: non basta che il barista prepari “100 caffè all’ora” (Bagnai) e li poggi sul banco (con efficienza, produttività, onestà): deve anche venderli. E perché mai la gente non dovrebbe comprarsi un buon caffè caldo, con freddo che fa? Sì, è così: perché ha paura poi di trovarsi in difficoltà economiche - con la crisi, le nuove leggi che facilitano i licenziamenti, il debito pubblico che se esplode sarà peggio che in Grecia, ecc. Perciò s’indebolisce anche la domanda di lavoro da parte delle imprese (grafico sotto), e il cerchio si chiude.

Print Friendly, PDF & Email
gramsci oggi

Ridateci l'Iri

di Bruno Casati

Particle-Fever 07 Installing-the-ATLAS-calorimeter Photo-Courtesy-of-CERN-1024x667L’italia produttiva affonda. Per tenerla a galla non bastano più moda e turismo, ma nemmeno i “distrettini” del made in Italy che, senza una grande industria alle spalle, sono in sofferenza. Siamo alla desertificazione industriale: dal declino si è scivolati nel dissesto.

E nessuno si sogna di investire in Italia. I capitalisti italiani, da tempo, si sono eclissati. Quelli esteri, indifferenti rispetto al Jobs act, si guardano bene dal metterci i quattrini a rischio nel paese che, secondo l’autorevole classifica di Transparency international, è ormai il più corrotto d’Europa (e quella classifica non considerava gli scandali Expo, Mose e Mafia Capitale). Ora però è squadernato un ultimo caso di crisi industriale, quello dell’Ilva di Taranto o, se si vuole, dell’acciaio italiano, che, per la sua rilevanza materiale e simbolica, costringe anche gli indifferenti che ci governano a metterci la faccia.

Perché l’Ilva è diventata un mistero doloroso, visto che, pur passata di mano da un manager ottantenne come Bondi a uno più giovane come Gnudi, continua comunque ad affondare inesorabilmente e in un silenzio tombale. ora questo silenzio viene rotto, all’unisono, dal segretario generale della Fiom e dal Presidente del Consiglio. Pare dicano le stesse cose, ma non è così.

Print Friendly, PDF & Email
economiaepolitica

ILVA: i costi della chiusura e le ragioni per nazionalizzarla

Roberto Polidori e Nadia Garbellini *

Taranto-ILVALa vicenda di ILVA deve essere l’occasione per discutere le conseguenze economiche e sociali delle politiche Europee. A chi afferma che ILVA non si può nazionalizzare perché i trattati non lo consentono, è possibile opporre numerosi argomenti, tanto politici quanto economici.

Come riportato da Luigi Pandolfi, dal 2008 al 2013, mentre ingenti patrimoni privati venivano salvati con centinaia di miliardi di euro pubblici, i PIIGS operavano tagli strutturali a welfare e sanità per 230 miliardi di Euro, un’enorme redistribuzione di ricchezza diretta da Commissione Europea, BCE e Fondo Monetario Internazionale.

Questa Europa, come dice Colin Crouch,[1] è il trionfo del liberismo reale, che “produce un’economia politicizzata molto distante da ciò che gli economisti intendono per economia liberale”. Gruppi di interesse privati accentrano capitale attraverso l’attività di lobbying, concentrando la produzione nel centro e distruggendo capacità produttiva “in eccesso” nelle aree periferiche, depredandone le risorse ambientali e creando disoccupazione. Emiliano Brancaccio ha spiegato il processo di germanizzazione dei capitali (o mezzogiornificazione dellEuropa) sottolineando come anche aziende competitive possano essere spazzate via in questo processo di desertificazione industriale.

Print Friendly, PDF & Email
rassegna sind

Economia: il bilancio (molto) magro del governo Renzi

di Paolo Pini e Roberto Romano

vauro-1-300x300Il bilancio della politica economica del governo Renzi è molto magro. Dopo quasi 10 mesi di governo, tanti annunci, pochi risultati e non pochi errori, l’azione economica del governo non solo non ha fatto cambiare idea a coloro che lo avevano sin dall’inizio contrastato, e questo può essere ovvio benché qualche ripensamento sia sempre da annoverare, ma sta profondamente deludendo anche chi aveva dato ampio credito a Renzi che ha sostituito a febbraio 2014 l’inefficace Letta. Ma oggi vi è chi rimpiange pure quel precedente governo.

Prologo. Nell’autunno del 2013, la Legge di Stabilità 2014 elaborata dal Governo Letta era volta unicamente al rispetto dei vincoli previsti dai Trattati europei, e non alla crescita del reddito e dell’occupazione. Ciò nonostante, la Commissione Europea non aveva dato “semaforo verde”, in quanto il rientro dal debito non era garantito nel breve e medio periodo. La proposta governativa non veniva giudicata soddisfacente dai tecnocrati europei perché non coerente con le politiche di rigore e di austerità. Essa però neppure soddisfaceva le parti sociali che chiedevano interventi non simbolici per la riduzione strutturale e selettiva del cuneo fiscale, e quindi per la crescita e l’occupazione. Il governo prevedeva allora una crescita del reddito dell’1,1% per il 2014, ma per conseguire questo risultato non vi era traccia di alcuna politica economica supportata da risorse economiche reali. A dicembre 2013 il Parlamento approvava la Legge di Stabilità, ma il paese nei sondaggi sfiduciava Letta.

Entrata in campo. Ad inizio gennaio Renzi annunciava il suo Jobs Act per la crescita e l’occupazione e chiedeva di cambiare verso, in Italia ed in Europa. Il lavoro veniva posto al centro della nuova azione, e due pilastri dovevano sostenerla: (a) una politica del lavoro per ridurre il dualismo tra i lavoratori protetti e gli esclusi dal lavoro e dal mercato; (b) una politica economica ed industriale per ridare competitività al sistema produttivo ed alle imprese italiane.

Print Friendly, PDF & Email
the walking

L’esito giapponese del miracolo cinese

Maurizio Sgroi

wen hatoyama 2010Poiché mi persuade il pensiero che l’economia abbia a che fare con la fisiognomica assai più che con la matematica, ho letto con divertita sorpresa l’analisi contenuta nell’ultimo Geneva Report sullo stato di salute e le prospettive dell’economia globale dove ho trovato un capitolo sull’economia cinese. Ossia uno dei due vasi di ferro della nostra economia globale.

Divertito, perché il grande sforzo profuso dagli autori nell’elaborare aritmetiche astruse e congetture stocastiche non conduce poi così lontano da una considerazione che sarebbe bastata, appunto,  la semplice fisiognomica a dedurre: i cinesi somigliano ai giapponesi. Le loro economie, quindi, di conseguenza. E la constatazione che tanto è capitalista il giapponese quanto comunista il cinese appare un miraggio che evapora di fronte alla sostanza della realtà.

Poiché la cosiddetta scienza economica non frequenta le seduzioni del paesaggio, contentandosi di astrazioni cervellotiche ed econometrie retoriche in omaggio al mito seicentesco dell’obiettività, tale affermazione parrà ai tanti esperti che si dicono tali una sorta di molle chiacchiericcio, incapace di sostenere una seria conversazione da accademia. E sicuramente è così: l’accademia, per evidenti ragioni di bottega, è il luogo della censura di ciò che ad essa non corrisponde.

Print Friendly, PDF & Email
asimmetrie

Le riforme strutturali sono depressive

di Piergiorgio Gawronski

11pol2f04-draghiIn questi anni abbiamo più volte osservato che in una Grande Recessione l’economia smette di funzionare in modo ‘normale’. La ‘trappola della liquidità’ genera un mondo alla rovescia “dove la virtù è vizio, ed il vizio virtù” (Krugman). Qualche esempio:

♦ L’austerità non riduce il debito pubblico (i moltiplicatori fiscali sono molto più alti del solito)

♦ La riduzione della spesa pubblica è più depressiva dell’aumento delle tasse

♦ Tuttavia alzare l’IVA è molto depressivo

♦ Stampare base monetaria (M0) non aumenta significativamente la massa monetaria (M3)

♦ Una crescita della massa monetaria M3 non aumenta l’inflazione

♦ Ampliare il deficit pubblico non alza i tassi d’interesse

♦ Le crisi finanziarie dei titoli pubblici (spread) “non dipendono tanto dal debito pubblico” quanto “piuttosto … dalla banca centrale”: Draghi dixit!

Print Friendly, PDF & Email
micromega

Gli effetti redistributivi del debito pubblico

di Guglielmo Forges Davanzati

E’ evidente che ogni emissione di titoli dello Stato determina sul mercato
industriale una vera sottrazione di capitali e crea, per necessità, una classe
di oziosi. E come il debito pubblico cresce, cresce parallelamente il numero
delle persone che non fanno nulla e che vivono di rendita. Questa classe
parassitaria deprime inevitabilmente le condizioni del lavoro. Poiché lo Stato,
per mantenerla, è costretto ad attingere largamente all’imposta” (F.S.Nitti, 1894)

Nonostante dichiarazioni di segno contrario, il Governo ripropone misure di riduzione della spesa pubblica che, oltre a ridurre occupazione e crescita, aumentano il debito pubblico. Una strategia che, in assenza di monetizzazione del debito, rischia di penalizzare i percettori di redditi bassi a beneficio della rendita finanziaria. Vediamo perché

po4Il Presidente del Consiglio ha recentemente dichiarato che: “Se riusciremo a spostare l’attenzione dall’austerità alla crescita, cambiando il paradigma economico dominante di questi anni di crisi, la ricaduta sulla vita delle persone in posti di lavoro e capacità di spesa sarà evidente”, facendo propria una convinzione ormai pressoché dominante nel dibattito italiano secondo la quale le politiche di austerità hanno prodotto esclusivamente danni e, contrariamente all’obiettivo prefissato, hanno contribuito a far crescere il rapporto debito pubblico/Pil.

Non vi è dubbio che ciò sia successo, e non vi è dubbio sul fatto che esse siano assolutamente irrazionali. Ma va registrato che questo Governo continua a praticare misure di riduzione della spesa pubblica (in particolare, nei settori della formazione e della sanità[1]), in palese contrasto con le dichiarazioni – o gli auspici – di Renzi.

E va anche registrato che, almeno nelle intenzioni dichiarate, ciò che il Governo intende fare è convincere la commissione europea a rendere più “flessibili” i vincoli di finanza pubblica, così da rendere possibili politiche di spesa pubblica in disavanzo. Politiche che, nelle condizioni date, non potrebbero che essere finanziate tramite emissioni di titoli pubblici sui mercati finanziari.

Print Friendly, PDF & Email
appelloalpopolo2

La Legge di stabilità e l’ingannevole evergetismo renziano

Andrea Riaca

Matteo-Renzi-Foto-da-Facebook-di-Matteo-RenziAl Tg Rai delle 13.00 del 18 ottobre a proposito della legge di stabilità hanno parlato di “manovra espansiva ottenuta attraverso un taglio delle tasse coperto con la riduzione della spesa pubblica”.

Gli fa eco Linda Lanzillota Vice Presidente del Senato intervistata a Skytg24 Pomeriggio: “Legge di stabilità: Manovra espansiva come non si vedeva da vent’anni”.

E ancora da un ANSA del 16 ottobre: “Una manovra da 36 miliardi di euro, espansiva e studiata con l’obiettivo preciso di abbassare le tasse, arrivate ad un livello che, secondo la definizione di Matteo Renzi, è ormai pazzesco”.

Debora Serracchiani, vicepresidente nazionale del Partito democratico, a T-Mag: “Una manovra finalmente espansiva”.

Insomma il mainstream sta cercando di far passare il messaggio che la Legge di Stabilità 2015 sia una manovra espansiva.

Ma è veramente così?

Da un qualunque testo di politica economica apprendiamo che la politica di bilancio può essere espansiva, restrittiva oppure in pareggio.

Print Friendly, PDF & Email
paroleecose

La Cina al bivio

Crescita economica e distruzione dell’ambiente

di Lara Marie Djurovic*

Foto1 webIn anni recenti la Cina è passata da un’economia di Stato a un’economia di mercato e da paese in via di sviluppo ad una nazione progredita. Questi cambiamenti complessi hanno prodotto contraddizioni inevitabili. Se le attuali disparità dell’economia cinese, lo “squilibrio degli investimenti” o il suo “squilibrio esterno”, rappresentano rischi di breve/medio periodo per la sostenibilità della crescita, il vero problema è però legato ai fattori ambientali e socio-politici di lungo periodo che minacciano non solo quest’economia, ma il futuro dell’intera nazione e della comunità internazionale.

Le questioni più urgenti che riguardano il futuro cinese sono l’esaurimento di sorgenti d’acqua non riciclabile, la crescita della popolazione, il degrado ambientale, il consumo di energia, l’inquinamento dell’aria, e, infine, la minaccia per la stabilità civile e lo Stato che simili contraddizioni potrebbero innescare. Questo saggio esaminerà ogni aspetto nel tentativo di comprendere quali siano gli ostacoli per una crescita sostenibile cinese e una sua espansione futura, cercando di capire se le misure del governo per attenuare le minacce siano davvero adeguate, oppure siano mere soluzioni soluzioni-tampone per mettere a tacere gli spettatori preoccupati, mentre nella realtà si continua a legittimare uno sviluppo pericoloso e irrefrenabile. 

Print Friendly, PDF & Email
vincitori e vinti

Renzi e la traballante stabilità dei numeri

Paolo Cardenà

matteo-renzi1«La piú grande riduzione di tasse mai avvenuta» (citando il presidente del Consiglio Renzi, in conferenza stampa di presentazione della Legge di Stabilità)? Sicuri? O, forse, solo la piú grande manipolazione di numeri dati in pasto all’opinione pubblica? Approvata nella riunione del Consiglio dei Ministri mercoledí 15, il testo era atteso il lunedí successivo al Colle; è giunto solo martedí, e senza la «bollinatura» della Ragioneria Generale dello Stato, apposta solo il giorno successivo. Nel frattempo, le tabelle allegate, i numeri e alcune formulazioni lessicali sono stati modificati (e probabilmente non riapprovati, ma questo — per molti, non solo politicanti di professione — parrebbe quisquilia). Poi interviene la Commissione Europea nel chiedere chiarimenti (e nel fare la parte del «cattivo»); nel frattempo, qualche commentatore isolato, qua e là, sulla stampa e su Internet, osa contestare quei numeri; infine, quasi a voler limitare i danni, interviene il MEF, che sul suo sito pubblica una tabella dei saldi della manovra, definitiva (o quasi).

Già, perché a questo punto della storia, e siamo a giovedí della settimana successiva all’approvazione, quello dei numeri è diventato un vero e proprio rebus. Il Ministero riassume la manovra, precisando che il bonus degli 80 euro è statisticamente classificato quale maggiore spesa, nonché quantificando interventi totali per 36,2 miliardi d’euro, suddivisi in minori entrate lorde per 14,7 miliardi, maggiori spese correnti per 16,3 miliardi, e maggiori spese in conto capitale per 5,2.

Print Friendly, PDF & Email
economiaepolitica

Partire dal lavoro per rimettere in moto l’economia

Luigi Pandolfi

lavoro-usa h partbCrisi, crescita, occupazione. E’ il trinomio che va per la maggiore nell’analisi della “situazione reale” oggigiorno. C’è da chiedersi, però: qual è l’effettiva relazione tra i tre termini? Viene prima la crescita e poi, di conseguenza, l’occupazione oppure è la stessa occupazione che può innescare processi di crescita? Ancora: c’è sempre una correlazione funzionale tra crescita ed occupazione oppure si può avere crescita senza occupazione? Domande non retoriche, che rimandano alla speciale situazione che ha generato la grande crisi in cui ancora siamo immersi ed a questa nuova fase del capitalismo nei paesi cosiddetti avanzati.

Se ci riferiamo, nello specifico, ai paesi Ue o, per ragioni di ulteriore omogeneità fiscale, a quelli dell’Eurozona, non c’è dubbio che diverse politiche pubbliche, espansive, avrebbero potuto, già nel breve periodo, favorire un incremento apprezzabile della ricchezza nazionale, quindi anche dell’occupazione. Ipotesi non scontata, tuttavia, soprattutto se ci si riferisce al recupero dei posti di lavoro persi negli ultimi anni[1] (jobless recovery). Ci sono fattori, come l’innovazione tecnologica, l’aumento della produttività del lavoro, le delocalizzazioni produttive, cambiamenti nella struttura produttiva di un paese indotti dalla stessa crisi, disallineamenti tra domanda ed offerta di lavoro, che, da questo punto di vista, potrebbero agire da freno ad una ripresa occupazionale anche in presenza di una crescita dell’economia.

Print Friendly, PDF & Email
paolo s labini

Quali riforme di struttura per uno sviluppo negli anni 2000?

di Sergio Ferrari

6a00d83451654569e200e54f74a9a88834-500wiLa questione del mancato sviluppo economico dell’Italia in termini di reddito, di qualità del reddito e di corretta distribuzione dello stesso reddito, sembra trovare con il tempo una attenzione crescente rispetto a quella dedicata alla crisi economica internazionale, che pur investe anche il nostro Paese. Questa maggiore attenzione è certamente dovuta all’aggravarsi della situazione della nostra crisi e dalle smentite sul suo superamento ormai puntualmente confermate dai consuntivi statistici con i quali è pur necessario misurarsi. Una questione, questa dei preventivi/consuntivi, che da sola potrebbe sollevare seri dubbi sulle capacità – non solo nazionali – di mettere sotto controllo e correggere le condizioni che regolano lo sviluppo. I dati ben noti sull’andamento  dell’occupazione accentuano, ovviamente, la preoccupazione per l’andamento di una prolungata dinamica negativa sul piano sociale della nostra economia. Tuttavia tale attenzione non è ancora arrivata a esprimere una interpretazione politica ed economica alternativa rispetto a quella offerta dagli attuali detentori dell’opinione pubblica, fermi a una concezione “neoliberista”. Una visione dell’economia, in base alla quale il libero mercato sarebbe in grado, se svincolato da ogni ingerenza pubblica, di assicurare il pieno impiego delle risorse disponibili, ivi compreso il lavoro, non in grado di fornire una spiegazione accettabile dell’attuale crisi e, quindi, tanto meno in grado di elaborare una terapia. Ed è così che essa sta ora vivendo una fase di difesa attiva facendosi forte dei pulpiti e delle cattedre da tempo occupate a livello nazionale e internazionale.

Print Friendly, PDF & Email
intelligonews

Renzi sta sbagliando tutto

Lucia Bigozzi intervista Antonio Maria Rinaldi

Analisi lucida ma impietosa sul Renzi-chef economico in versione Porta a Porta, con una sintesi estrema: “Siamo in un vicolo cieco”. Nella conversazione con Intelligonews, il professor Antonio Maria Rinaldi, economista e docente di Economia internazionale all’Università di Chieti-Pescara, svela tutti i nodi che Renzi non ha sciolto. E non solo…

BwMZ7hPCQAArq A.jpglargeQual è la risposta dell’economista Rinaldi alla ricetta anti-crisi di Renzi declinata a Porta a Porta?

Non so da dove cominciare… Facciamo un po’ di chiarezza. Ormai Renzi ci ha abituato a forti annunci poi non supportati da fatti concreti. Anche questo è un modo di fare politica, ma in questo momento in Italia servono cose concrete. Non capisco un aspetto tra i tanti che mi lasciano perplesso.

 

Quale?

Posto che Renzi non è un economista, spero si avvalga della collaborazione e della consulenza di persone che hanno dimestichezza economica. Ecco, non capisco come mai non gli abbiano fatto comprendere in maniera precisa che tutti questi annunci sulla creazione di posti di lavoro come nel caso dei 150mila precari della scuola, non trovano un riscontro oggettivo nella pratica perché impongono di reperire adeguate coperture finanziarie e, oltretutto, non tornano rispetto alle dichiarazioni dello stesso presidente del Consiglio che non più di 48 ore fa ha confermato il blocco dei rinnovi contrattuali per il pubblico impiego perché non ci sono risorse. È oltremodo strano che il fatto che si annunci una riduzione del costo del lavoro. Vorrei che Renzi rispondesse a una mia domanda…