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sinistra

L’austerità come ostetrica di nuovi fascismi?

di Andrea Del Monaco*

Con il ritorno alla “Fornero” la UE di Draghi e Scholz assomiglia al Governo Bruning nel 1932. Attenzione al sempiterno ordoliberismo di Hayek

WeimarPer capire il nesso tra l’assalto neofascista di Forza Nuova alla Cgil, le conseguenze dei risultati delle elezioni tedesche, l'abolizione di quota 100, il contestuale ritorno alla riforma Fornero e l’egemonia dell’ordoliberismo di Friedrich Von Hayek, occorre rileggere il Karl Marx de “Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte” partendo dal suo incipit: “Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano per, così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa. Caussidière invece di Danton, Louis Blanc invece di Robespierre, la Montagna del 1848-1851 invece della Montagna del 1793-1795, il nipote invece dello zio.”. Oggi abbiamo le politiche deflattive di Draghi e Scholz invece delle politiche deflattive del cancellere tedesco Bruning. L’assalto squadrista alla Cgil inevitabilmente evoca le distruzioni delle sedi dei sindacati, de L’Avanti, de L’Unità e dei partiti antifascisti dal 23 marzo 1919 (fondazione dei fasci da combattimento) al 24 dicembre 1925 (la prima delle leggi fascistissime che chiude definitivamente la fase dell’Italia liberale). Diversamente dal fascismo, il nazismo arriva al potere in Germania nel 1933. La narrazione dominante spaccia come ragione dell’avvento del nazismo l’iperinflazione durante la repubblica di Weimar negli anni venti. In realtà la causa dirimente dell’avvento di Hitler è la politica di austerità condotta dal cancelliere Bruning tra il 1930 e il 1932: aumento del tasso di sconto, forti riduzioni delle spese dello Stato, aumento dei dazi doganali, riduzione dei salari e dei sussidi di disoccupazione. Cosa accadde? Aumentarono la disoccupazione e le imposte, i tagli al welfare ridussero il tenore di vita dei disoccupati e dei proletari presso cui Bruning divenne impopolare. I socialdemocratici, che avevano espresso il precedente cancelliere Muller fino al 1930, malgrado le politiche di Bruning colpissero i lavoratori, si astennero nel timore che il presidente Hindenburg nominasse un governo di destra.

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gliasini

Il cattivo debito dell’Italia

di Alberto Rocchi

DSCF3671 1536x1229Vorrei dare una prospettiva, probabilmente falsata e limitata di quello che vedo io quotidianamente, oltre a darvi conto di alcune letture fatte. In particolare vorrei partire da una parola attorno alla quale gira tutto il futuro dei prossimi quattro-cinque anni. Questa parola è debito. In realtà essa già in passato aveva un significato preponderante perché noi stiamo vivendo quella che tanti economisti chiamano la “fase del debito” o anche “l’economia del debito”: è un’analisi che va molto di moda. Entriamo nel dettaglio e chiediamoci perché questa parola, debito, debba avere una connotazione negativa, o per meglio dire quando essa ha una connotazione negativa e quando ne ha una positiva. Evito le discussioni sul rapporto tra economia e religione, anche queste molto di moda (su cui rimando all’intervista a Luigino Bruni, sul numero 85, marzo 2021). Il debito ha una connotazione positiva quando dietro al debito c’è un progetto, un programma di sviluppo. Dal punto di vista economico un debito è una leva, un leverage, serve per portarci da un punto a un altro. Se io faccio debiti per raggiungere un obiettivo sto facendo una cosa buona, non necessariamente cattiva.

Quando si deteriora questa parola? Quando faccio i debiti per coprire i debiti, ma soprattutto quando un debito non è il frutto di uno scambio negoziale equo. Dietro il debito c’è un contratto di finanziamento, tra due soggetti; uno scambio contrattuale che unisce una persona disponibile a prestare denaro a una bisognosa di riceverne. In una visione perfetta del sistema economico questi due soggetti si trovano su una posizione di simmetria, cioè hanno lo stesso potere negoziale. Può succedere che questa simmetria si sposti fisiologicamente a favore di uno o dell’altro: se un debitore è già particolarmente indebitato, avrà difficoltà a contrattare un nuovo prestito; al contrario, se è molto solvibile, sarà lui a poter imporre delle condizioni al suo finanziatore.

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sinistra

La Fed, i tassi di interesse e la stagflazione

di Michael Roberts

Stagflazione USA 1970 scaled 1024x768"L'economia ha compiuto dei progressi verso gli obiettivi di occupazione e inflazione e se i progressi continuano in maniera più ampia, come previsto, potrebbe presto essere giustificata una moderazione nel ritmo degli acquisti di asset", hanno affermato i funzionari della Federal Reserve degli Stati Uniti nella relazione sulla politica monetaria di settembre. La Fed ha anche segnalato che gli aumenti del tasso di interesse potrebbero continuare più rapidamente del previsto, con 9 responsabili politici su 18 che prevedono che i costi di finanziamento dovranno aumentare nel 2022. La Fed ha ridotto la sua previsione della crescita del PIL reale per quest'anno al 5,9% dal 7% della sua proiezione di giugno, ma ha innalzato la sua previsione per il prossimo anno al 3,8% dal 3,3% della proiezione di giugno. Più preoccupante per i mercati degli investimenti e per i lavoratori dipendenti, è che quest'anno l'inflazione dovrebbe attestarsi in media al 4,2% prima di tornare al 2,2% l'anno prossimo; e il tasso di disoccupazione rimarrà al di sopra dei livelli pre-pandemia per quest'anno e il prossimo. Il problema più importante per la Fed è se deve smettere di iniettare enormi quantità di denaro nel sistema bancario possibilmente per sostenere gli affari durante la crisi del COVID. Durante la sua riunione, ha chiarito che era imminente un "tapering"1 del suo acquisto mensile di titoli di stato e titoli ipotecari (prossima riunione) e "potrebbe presto essere giustificato" allentare i suoi acquisti di asset. Tuttavia, la Fed è divisa su quando farlo. Il presidente della Fed Powell ha osservato che alcuni partecipanti al FOMC ritengono che i criteri di "sostanziali ulteriori progressi" siano già stati soddisfatti, mentre ha descritto le condizioni del mercato del lavoro come se avessero "quasi soddisfatto" la sua visione di questi criteri.

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bastaconeurocrisi

Moneta Fiscale: i temi essenziali

di Marco Cattaneo

external 0987r4sdfuIl concetto di Moneta Fiscale

Si definisce Moneta Fiscale qualsiasi titolo o attività che possa essere utilizzato dal detentore per compensare obbligazioni finanziarie (di natura fiscale o di qualsiasi altro genere) dovute al settore pubblico. È in altri termini un titolo che dà diritto a uno sconto fiscale, e può essere scambiato ricevendo beni, servizi o un corrispettivo finanziario da soggetti che lo accettino su base volontaria. Il settore pubblico nazionale si impegna da parte sua ad accettarlo in compensazione (come sopra definita) ma non, in nessun modo, ad effettuare pagamenti in cash.

 

Deficit e debito pubblico non impoveriscono l’economia nazionale

Per comprendere la logica del progetto Moneta Fiscale è necessario sgombrare il campo da alcune affermazioni insensate che purtroppo ancora orientano (anche se per fortuna meno che in passato) il dibattito economico, nel nostro paese e altrove.

In particolare, si sente tuttora dire che il deficit e il debito del settore pubblico costituiscono gravami per l’economia di un paese.

L’affermazione è sbagliata, e la ragione fondamentale è che il deficit del settore pubblico è l’eccesso della spesa del settore pubblico medesimo, rispetto al prelievo fiscale. Questo eccesso di spesa, per evidenti ragioni contabili, si tramuta in un saldo positivo a disposizione del settore privato. Se il pubblico spende più di quanto tassa, il privato riceve più di quanto paga: incrementa, quindi, i suoi redditi e i suoi risparmi.

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Visco, Draghi e il Recovery Plan: un ottimismo ingiustificato

di Ernesto Screpanti

Draghi e Visco 720x300Un’ondata di ottimismo sta travolgendo l’Italia: La vittoria sulla pandemia covid è a portata di mano, l’economia è in forte ripresa, il governo è il migliore possibile e fa politiche keynesiane espansive aiutato dalla BCE e dalla Commissione Europea, dalla quale sta per arrivare “una pioggia di soldi”. “Nulla sarà più come prima”, e nel clima millenaristico tutte le nefandezze del neoliberismo sembrano definitivamente cancellate.

Non voglio essere un pessimista a ogni costo, e non dirò che queste speranze sono proprio tutte infondate. Mi sarà concesso però esprimere almeno qualche dubbio da economista. Cosa che farò articolando un discorso in quattro parti.

Innanzitutto presenterò alcuni dati statistici per spiegare cosa è accaduto all’economia italiana durante la crisi covid e cosa sta accadendo nel rimbalzo; in secondo luogo presenterò una sintesi delle politiche economiche del governo italiano e di quelle della BCE e della Commissione Europea; in terzo luogo esporrò le valutazioni del Governatore della Banca d’Italia, Visco; infine avanzerò una critica all’eccesso di ottimismo che trapela da quelle valutazioni.

Ho scelto di concentrarmi sul punto di vista che emerge dalle Considerazioni Finali del Governatore perché è quello della vera classe dirigente italiana e del capo del governo, Draghi, ma il Governatore lo esprime rigorosamente senza nessuna concessione alla ricerca del consenso popolare.

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Sacrifici in arrivo per l’Italia

di Leonardo Mazzei

uscire conviene 768x402Sacrifici in ogni caso. Ma sacrifici pesanti e concentrati, o sacrifici più leggeri ma spalmati all’infinito nel futuro dell’Italia? Su questo mortifero dilemma discetta Federico Fubini sulle pagine del Corriere della Sera.

Il suo editoriale parte da un dato di fatto. In materia di debito pubblico nell’Ue si confrontano due partiti, quello dei “falchi” e quello delle “colombe”. Il primo stanziato a nord, il secondo al sud. Partiti che rispecchiano ovviamente le opposte esigenze delle rispettive economie.

Per Fubini la linea dura verrà riproposta, ma essa non sarebbe più egemone a Bruxelles, anche perché difficilmente applicabile nel contesto attuale. Da qui la sua certezza sul fatto che le regole europee verranno riscritte, concetto ripreso direttamente da alcune recenti affermazioni dello stesso Draghi.

Già, verranno riscritte, ma come? Sul punto l’editorialista del Corsera accenna a quella che sarebbe la proposta di revisione del Patto di stabilità del governo italiano. Essa si baserebbe su due pilastri: l’emissione di debito comune nei momenti di crisi; l’impegno ad una spesa pubblica in discesa nelle fasi di crescita. Ovviamente si tratta di uno schema generale, i cui meccanismi andrebbero poi precisati nelle solite estenuanti trattative brussellesi. Laddove, si sa, il diavolo si nasconde sempre nei dettagli.

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sbilanciamoci

L’abc delle imposte sui redditi in Italia

di Roberto Artoni

Come sono tassati i redditi in Italia? L’analisi dei dati sull’Irpef e le altre imposte suggerisce le misure necessarie: ridurre l’evasione, tassare meglio i redditi da capitale e immobiliari, introdurre aggiustamenti mantenendo la progressività delle imposte

1b649a3aa5203eba6f967910142b66Ripetendo vicende più volte vissute in passato, è in corso il dibattito sulla riforma dell’Irpef, intesa come passo essenziale per il miglioramento del sistema di prelievo fiscale nel nostro paese. L’Irpef è un’imposta personale e progressiva che in linea di principio dovrebbe colpire il reddito complessivo delle persone fisiche, qualunque sia l’origine, capitale lavoro o immobili. Di fatto in tutti paesi, non solo in Italia, il tentativo di riportare nella stessa base imponibile tutte le categorie di reddito si è rivelato illusorio. Oggi l’Irpef si applica solo ai redditi di lavoro autonomo e dipendente, oltre che alle pensioni. Al contrario, ai redditi di capitale e immobiliari si applicano in larghissima misura regimi sostitutivi.

In un’analisi di questa imposta i problemi sono di duplice natura, e quindi materia di possibili riforme. Si deve analizzare l’Irpef com’è attualmente configurata, per valutarne la coerenza con il principio costituzionale per il quale il sistema tributario deve essere ispirato a criteri di progressività. Si dovrà poi stabilire se i regimi sostitutivi applicati ai redditi diversi da lavoro sono adeguatamente coordinati con l’imposta personale.

Nelle questioni tributarie è infine evidente che esiste una forte dissociazione fra enunciazioni normative e loro concreta applicazione: le migliori intenzioni possono essere rese vane da diffusi fenomeni di evasione.

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lafionda

Perché il Piano per la Ripresa potrebbe non essere sufficiente per un autentico rilancio del Mezzogiorno

di Nicola Dimitri

pnrr6763e1. «Crede, e spera, nella Madonna, il fabbricante di Madonne?»[1]

Con queste parole Carlo Emilio Gadda si domandava se è sempre sovrapponibile, nell’artista che compie un’opera, l’aspetto del credere con quello dell’eseguire. Altrimenti detto, Gadda si chiedeva se tra lo stato emotivo interno, che spinge un soggetto a immaginare di compiere un’attività (in questo caso, preordinata alla realizzazione di un’opera d’arte), e l’atto esterno, che consiste nell’eseguire e osservare il comando necessario per realizzare l’opera, vi fosse sempre intimità, inevitabile coincidenza.

Per impiegare ancora i termini di Gadda: «Qual è il grado di adesione interna, di accensione intima nei confronti del tema, che induce ad opera l’artista, che gli guida la mano sulla tela?»

Ebbene, quello di Gadda era sicuramente un interrogativo retorico. Infatti, non sempre la mano che esprime l’atto e che permette di realizzare un’opera, è fedele testimone dello stato emotivo interno che pure induce a realizzare l’opera, così come infine sarà.

In effetti, ciò che ha a che fare con l’eseguire non sempre corrisponde a quel che riguarda il credere.

Già Ludwig Wittgenstein, benché in altri contesti, ci avvertiva del rapporto rivale e per certi versi dicotomico che può emergere tra il credere e l’eseguire, sottolineando, ad esempio, che l’essere persuasi di seguire una regola non equivale certo ad eseguire una regola.

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bastaconeurocrisi

I keynesiani mainstream e la MMT

di Marco Cattaneo

scuole economiche 1Ho letto con molto interesse questo articolo di Thomas Palley, pubblicato pochi mesi fa (fine 2020). Come indica il titolo, “What’s wrong with Modern Money Theory: macro and political restraints on deficit-financed fiscal policy”, si tratta di una disamina critica della MMT.

L’autore è un economista di impostazione keynesiana e di orientamento politico progressista. Pur condividendo le finalità generali di quanto gli economisti MMT propongono, Palley ritiene però sostanzialmente errata la base teorica della MMT.

L’articolo è interessante in quanto costituisce una sintesi, molto articolata, delle critiche alla MMT così come espresse da commentatori che non sono sospettabili di pregiudizi ideologici negativi nei confronti della MMT stessa (o più precisamente nei confronti delle sue finalità). Critiche, quindi, di natura essenzialmente tecnica e concettuale.

Come ho detto in altre sedi, mi riconosco al 95% nel pensiero MMT. Confutare le critiche di Palley mi pare un esercizio utile in quanto si tratta, in sostanza, delle medesime argomentazioni che spingono i governi e le istituzioni sovranazionali ad adottare un approccio ancora decisamente troppo timido nel contrastare i problemi dell’economia anche (ma non solo) in seguito alla crisi pandemica. Troppo timido, purtroppo per noi, soprattutto nel caso dell’Eurozona e in particolare dell’Italia.

Qui di seguito, i punti salienti (a mio avviso) dell’articolo di Palley, e le mie controdeduzioni.

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contropiano2

La Bideneconomics spiegata dal capo dei consiglieri economici Usa

di Giacomo Marchetti

bidenomics deesAbbiamo tradotto questa lunga conversazione, di circa un’ora, tra Ezra Klein e Brian Deese, capo-economista del neopresidente Biden che già lavorava nell’amministrazione Obama.

Qui viene spiegato l’attuale ampio programma economico federale. nonché le differenze che sussisterebbero tra il 2009 e l’oggi.

Inizialmente pubblicata in forma di podcast, è apparsa come trascrizione sul New York Times il 9 aprile.

Deese è il tipico prodotto di quel sistema delle “porte girevoli” che caratterizza le élite statunitensi, lo dimostra il suo curriculum che da “giovane economista” dello staff di Obama l’ha portato, prima di giungere nell’amministrazione Biden, con un ruolo dirigenziale nella BlackRock.

Due principi, innanzitutto, sembrano innervare le politiche fin qui intraprese e da prendere da parte dell’attuale amministrazione statunitense: la coscienza della crescente disuguaglianza economica e del cambiamento climatico, secondo le parole dell’intervistato. Deese li pone come due elementi che differenziano il contesto attuale da quello precedente durante l’era Obama.

Ma l’urgenza dell’azione economica in grado di risanare la frattura sociale prodottasi, e riparare la catastrofe ambientale che si sta consumando, è vista all’interno del vero aspetto di novità sostanziale: l’emersione della Cina come potenza economica.

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micromega

Debito pubblico e sovranità monetaria: perché l’Italia rischia il default

di Enrico Grazzini

Schermata del 2021 04 06 20 52 05Che il presidente Draghi dichiari che è il momento di non preoccuparsi del debito pubblico è in parte una buona notizia. Ma finché non recupereremo sovranità monetaria prima o dopo i mercati chiederanno il conto

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha affermato nella conferenza stampa del 25 marzo che “questo non è il momento di preoccuparsi per il debito pubblico”. Per alcuni aspetti questa affermazione è più che giusta: l’aumento della spesa pubblica è infatti indispensabile per contrastare l’emergenza sanitaria; e senza fare nuovo debito la povertà, i fallimenti e la disoccupazione dilagherebbero senza limiti e la pesantissima recessione italiana sarebbe ancora più grave. Ma per molti altri aspetti l’affermazione di Draghi è invece pericolosa e sbagliata: ormai il debito pubblico italiano in euro è arrivato al 160% del prodotto interno lordo ed è molto probabile che senza una svolta decisa di 180 gradi diventi ingestibile. In Italia si sta diffondendo (anche presso gli economisti e i politici più progressisti e illuminati) l’idea illusoria e dannosa che il debito pubblico conti poco perché “tanto la BCE e l’Europa ci proteggeranno” e perché grazie al Next Generation EU da 750 miliardi di euro l’economia europea e italiana riprenderà a correre. È un grave errore. Prima o poi i mercati faranno pagare all’Italia il conto del debito.

Solo qualche tempo fa il presidente del parlamento europeo David Sassoli ha proposto la cancellazione dei debiti in pancia alla BCE, una proposta avanzata anche da diversi economisti, tra cui Thomas Piketty, Gaël Giraud, Leonardo Becchetti e Riccardo Realfonzo, che hanno sottoscritto l’appello “Cancelliamo il debito detenuto dalla Bce e torniamo padroni del nostro destino”.

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lafionda

Controlli ai flussi di capitali: un’opzione eretica?

di Matteo Di Lauro

globalelectronicflowslargeNel suo ultimo libro Emiliano Brancaccio evoca spesso la limitazione della libera circolazione di capitali come strumento per prevenire la destabilizzazione delle economie da parte di capitali esteri[1]. Come spesso è accaduto nella storia recente, è stata la libera circolazione di capitali e merci che ha portato a crisi della bilancia dei pagamenti. Ne è un esempio la crisi del debito sovrano che, nonostante il nome fuorviante, è stata invece causata da forti squilibri nella bilancia dei pagamenti all’interno dell’Eurozona.

Ma torniamo alla libera circolazione dei capitali. È un’ipotesi estremista e priva di esempi storici?

In realtà è vero l’esatto opposto, la storia dell’economia moderna si è quasi sempre caratterizzata da un controllo sui capitali da parte degli stati e gli ultimi 30 anni nella storia europea costituiscono un’eccezione a un diritto da sempre esercitato da parte degli stati di controllare i flussi di capitale. Per quanto la vulgata tenda a farci credere che viviamo in una situazione di normalità, questa è solo un’illusione. Qui mi limiterò a parlare delle misure atte alla limitazione della circolazione dei capitali in Europa, e di quanto, fino a pochi anni fa, fossero ampiamente praticate dalla maggior parte degli stati occidentali.

L’architettura monetaria di Bretton Woods concepiva esplicitamente l’introduzione di controlli ai flussi di capitale e gli stati europei dopo la Seconda guerra mondiale erano particolarmente avversi alla liberalizzazione dei flussi di capitali in quanto questi avrebbero influenzato il tasso di cambio e costretto in alcuni casi a dover far fronte a pressioni esterne al tasso di interesse.

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kriticaeconomica

L’alleanza deflazionista

di Yakov Feygin*

Pubblichiamo un’analisi sulla coalizione deflazionista scritta da Yakov Feygin, già ricercatore ad Harvard, e originariamente pubblicata sul sito “Phenomenal World”

m money 696x365Un modo efficace per scrivere la storia degli ultimi trent’anni del ventesimo secolo”, scrisse l’economista Albert Hirschman nel 1985,”potrebbe essere quello di concentrarsi sulle reazioni distintive dei vari paesi al medesimo problema dell’inflazione mondiale“. Dal momento che stava scrivendo proprio mentre la “grande inflazione” globale degli anni ’70 era in fase calante, Hirschman non poteva prevedere quanto avesse ragione.

Come ha scritto recentemente Claudia Sahm sul New York Times, la paura della grande inflazione degli anni ’70 domina ancora il pensiero della Federal Reserve, anche se i suoi recenti messaggi fanno presagire che il vento stia cambiando. In commenti recenti, l’avvertimento di Larry Summers che gli assegni da duemila dollari avrebbero fatto sì che l’economia si surriscaldasse eccessivamente così da generare inflazione ha tradito una cecità decennale sull’argomento.

Gli economisti non hanno una buona comprensione di ciò che causa l’inflazione. Nei programmi introduttivi dei corsi di macroeconomia, il mantra di Milton Friedman “l’inflazione è sempre un fenomeno monetario” rimane centrale: con questa affermazione, Friedman intende che un’eccessiva crescita dei prezzi avviene quando uno Stato allenta le proprie politiche sull’offerta di moneta, espandendo così la base monetaria. Recenti ricerche hanno però messo in discussione questa popolare dottrina.

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economiaepolitica

Dall’austerità di Berlinguer, al cancello di Arundhati Roy

di Lelio Demichelis

Demichelis Squilibrio 690x1024Gennaio 1977: al Teatro Eliseo di Roma si svolge un Convegno di intellettuali – promosso da Enrico Berlinguer e dal suo Pci – su un tema particolarissimo e anche molto scivoloso, quello dell’austerità come via per arrivare, se non ad una società socialista almeno ad una società più giusta. È un rovesciamento radicale delle forme classiche (ottocentesche e novecentesche) del marxismo. Il Convegno fece allora molto discutere, ma verrà anche archiviato/rimosso con grande rapidità.

È stata una grande occasione persa? Forse sì, se rileggiamo quell’evento con gli occhi di oggi – dopo quarant’anni di neoliberalismo e di tecnologie di rete, di disuguaglianze sociali aumentate, di crisi ambientale/climatica che sarebbe già arrivata al ‘punto di non ritorno’ secondo Jonathan Franzen (e molti scienziati), di autocrazia/totalitarismo del sistema industriale/industrialista (o il totalitarismo della società tecnologica avanzata secondo Marcuse, che lo descriveva già settant’anni fa e oggi diventato ipertecnologico[i]), di classe operaia evaporata, di governo del mondo da parte di un oligopolio di imprese private (il Gafam e annessi e connessi). Quel Convegno e il successivo Progetto politico a medio termine, potevano essere analoghi al cancello di cui ha scritto Arundhati Roy a proposito della pandemia? – «un cancello tra un mondo e un altro. Possiamo attraversarlo trascinandoci dietro le carcasse del nostro odio, dei nostri pregiudizi, la nostra avidità, le nostre banche dati, le nostre vecchie idee, i nostri fiumi morti e i cieli fumosi. Oppure possiamo attraversarlo con un bagaglio più leggero, pronti a immaginare un mondo diverso. E a lottare per averlo»[ii].

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sovranitapopolare

Il mito del deficit

La teoria monetaria moderna per un’economia al servizio del popolo

di Stephanie Kelton

ISBN LA MODERNA TEORIA DELLA MONETACare lettrici e cari lettori italiani,

in questo libro utilizzo le lenti della teoria monetaria moderna (Modern Monetary Theory, MMT) per mostrare che, contrariamente a quanto gli economisti mainstream e i politici ci raccontano da decenni, i governi che emettono la propria valuta (che detengono, cioè, la sovranità monetaria) non possono mai “finire i soldi”, né possono diventare insolventi (fare default) sui titoli di debito emessi nella loro stessa valuta. A dire il vero non hanno neanche bisogno di emettere titoli di Stato per finanziare i propri deficit di bilancio. Né hanno bisogno di ricorrere alla tassazione per finanziare le proprie spese. Questo perché, in quanto emittenti di valuta, a differenza delle famiglie e delle imprese, che sono dei semplici utilizzatori di valuta, gli Stati che dispongono della sovranità monetaria possono semplicemente creare “dal nulla” tutto il denaro di cui hanno bisogno. Questi governi, dal punto di vista tecnico, hanno una capacità di spesa illimitata nella propria valuta: possono cioè acquistare senza limiti tutti i beni e servizi disponibili nella valuta nazionale. (Come spiego nel libro, questo non implica che i governi che emettono la propria valuta debbano spendere o incorrere in deficit senza limiti; esistono dei limiti, solo che non sono di natura finanziaria).

Comprendere questa semplice verità equivale a fare un vero e proprio salto di paradigma, perché significa che la maggior parte dei paesi – e in particolare le nazioni industrializzate tecnicamente avanzate e altamente sviluppate che spendono, tassano e prendono in prestito nelle proprie valute inconvertibili (e adottano un regime di cambio fluttuante) – possono “permettersi” (letteralmente) di fare molto di più per incrementare il benessere dei propri cittadini e più in generale per perseguire qualunque obiettivo politico scelgano di prefissarsi (penso per esempio alla mitigazione del cambiamento climatico) di quanto comunemente si creda.