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contropiano2

Il “Mondo Nuovo”: la repressione nella democrazia tecno-liberista

di Vincenzo Morvillo

mondo nuovo tecnoliberistaLe immagini del video – circolato nei giorni scorsi su media, stampa, social – che ritraggono le guardie penitenziarie di Santa Maria Capua Vetere accanirsi, con sadico piacere di aguzzini, sui detenuti di quel carcere (finanche su quelli costretti in sedia a rotelle) che avevano protestato, lo scorso anno, per il logico timore che si potesse verificare una rapida diffusione del Covid – sono la rappresentazione plastica di Corpi di Polizia sempre più fuori controllo.

Sempre più pervasivi e dunque concepibili quali gangli indispensabili della governance occidentale e neoliberista che disciplina, ormai, ogni settore delle nostre esistenze.

Corpi, dunque, sempre più dotati di potere autonomo e discrezionale, sempre più impuniti ed esenti dal rispondere a un supposto vertice politico sulla catena del comando.

E peraltro sempre pronti a coprire ogni nefandezza…

Corpi, dunque, per molti versi assimilabili a squadroni della morte di stampo fascista.

Sono immagini, quelle viste nel carcere sammaritano, che evocano e possono benissimo sovrapporsi a quelle delle brutalità compiute dalla Dina cilena di Pinochet, dalla Tripla A durante la dittatura della Junta in Argentina, dalla Falange del Maggiore D’Aubuisson in Salvador, dai Contras in Nicaragua.

O da qualunque altro corpo speciale creato, a fini repressivi, da uno Stato che rilasci un assegno in bianco alle forze dell’ordine e su cui la cifra e l’intensità delle violenze e delle torture venga costantemente aggiornata al rialzo.

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lafionda

DDL Zan, ovvero quando la confusione aspira a diventare legge, ovvero Caligola che fa console il suo cavallo

di Sirio Zolea

ddl zan 1280x720 1Fino a questo momento mi sono guardato dall’intervenire sul cosiddetto “Ddl Zan”. Il diritto penale non è la mia materia e, data un’occhiata a qualche cronaca sui contenuti del Ddl e sul relativo dibattito, mi ero fatto l’idea che la discussione si sarebbe presto sopita e che un testo così bislacco e raffazzonato sarebbe caduto nel dimenticatoio senza che neanche si arrivasse in proposito a un dibattito parlamentare serio. Ma il fatto che col passare dei mesi il Ddl resti sulla cresta dell’onda, a differenza di proposte dalla spiccata rilevanza sociale come salario minimo e obsolescenza programmata, e le sollecitazioni di svariati colleghi allibiti e preoccupati mi spingono a una più attenta analisi critica del testo, cercando di evidenziarne i punti più allarmanti, nell’auspicio di dare un modesto contributo affinché quello che a me pare soltanto il frutto di molta confusione – terminologica, concettuale e fors’anche mentale! – non possa aspirare seriamente a trasformarsi in legge dello Stato. Ciò aggiungendo alcune considerazioni di più generale portata alle più specifiche e ben motivate critiche giuspenalistiche che già tanti esperti del settore hanno manifestato. Per la verità, tali e tante sono le amenità contenute nella proposta, che si ha solo l’imbarazzo della scelta di quelle su cui più infierire!

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coniarerivolta

Roma: morire di debito o sfidare il commissariamento

di coniarerivolta

saccoromaDa troppi anni Roma versa in una situazione di disagio e abbandono, specialmente nelle sue aree più periferiche e popolari. Quel che accade a Roma è ormai arcinoto: carenza di servizi, emergenza abitativa, buche su ogni tipo di strada, spazzatura che resta non raccolta per giorni, disservizi al trasporto pubblico locale, impoverimento dell’offerta culturale. La lista sarebbe ancora lunga, ma fermiamoci qui. Come vedremo, si tratta del frutto di precise scelte politiche messe in atto, senza distinzione di colore politico, dalle amministrazioni che hanno guidato Roma negli ultimi decenni. Chi ha governato Roma, infatti, ha scelto di brandire e usare l’austerità imposta dalle norme nazionali ed europee per effettuare tagli su tagli al tessuto pubblico e sociale della città.

Lo Stato centrale e, a cascata, tutti gli enti locali devono sottostare al pareggio di bilancio previsto dai trattati europei (il famigerato Fiscal Compact), che meglio di ogni altra regola incarna il disegno politico dell’austerità. Significa, in breve, che amministrazioni centrali ed enti locali possono spendere (per garantire servizi) solo nella misura in cui riscuotono (tramite le tasse), senza avere la possibilità di indebitarsi per coprire le spese non coperte dalle entrate fiscali. Al di là della retorica liberista, questo dispositivo ha degli obiettivi economici e politici ben precisi: vietare il ricorso alla spesa in disavanzo significa far venir meno il principale strumento di stimolo alla crescita economica, rendendo in questo modo impossibile una piena fornitura di servizi, lo sviluppo della città e, in ultima istanza, il perseguimento della piena occupazione.

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ilpungolorosso

Alla lotta contro i licenziamenti e contro il governo Draghi!

di Tendenza internazionalista rivoluzionaria

external content.duckduckgo.com905rSiamo ad un passo dallo sblocco dei licenziamenti di massa, e sulla stampa di regime, il regime-Draghi, è partito il battage propagandistico dell’“andrà tutto bene”, che già ci assordò tempo fa, e abbiamo visto com’è andata. Al megafono il forzista Brunetta, ministro della p.a.: “Siamo alla vigilia di un nuovo boom economico. Stiamo vedendo all’opera gli ‘spiriti animali’ della nostra Italia. Con le nostre riforme (…), una rivoluzione gentile. È il momento Italia” (la Repubblica, 30 maggio). Il capo di Bankitalia Visco ha lanciato l’identico messaggio.

 

C’è euforia nei palazzi del potere

Il boom di cui parlano sarebbe in realtà un semplice rimbalzo dal fosso (-8,9%) in cui è caduta nel 2020 l’economia italiana insieme a quella mondiale; un rimbalzo che, se andasse “tutto bene” (+4,3% nel 2021, +4,0% nel 2022), la riporterebbe nel 2023 ai livelli del 2019, che erano inferiori a quelli del 2007. Ma non è detto che vada come prevedono.

La loro euforia si fonda sull’ipotesi di una ripartenza a razzo di Stati Uniti e Cina in grado di trainare l’intera economia mondiale. Su questa ripartenza a razzo gravano, in realtà, diverse incognite, che potrebbero farla cortocircuitare anche piuttosto a breve. A cominciare dall’andamento della pandemia da covid-19 nel mondo, e dalla non remota possibilità di nuove pandemie in arrivo.

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micromega

Ex Ilva, “Vendola colpevole perché debole con i più forti”

Rita Cantalino intervista Michele Riondino

L’attore tarantino commenta la sentenza del processo “Ambiente Svenduto”: “La classe politica e imprenditoriale è responsabile di crimini contro un’intera comunità. La difesa di Nichi Vendola? Ricorda più un Berlusconi dell’ultima ora che Gramsci”

Schermata del 2021 06 09 14 31 13Il 30 maggio a Taranto è stata una giornata molto importante. Dopo sei anni e più di trecento udienze la Corte d’Assise ha emesso la sentenza di primo grado del processo Ambiente Svenduto, che ha sancito il disastro ambientale e sanitario in città, distribuendo circa 300 anni di carcere a imprenditori, politici e tecnici coinvolti nei fatti.

Abbiamo intervistato Michele Riondino, attore da sempre molto attento alle dinamiche della propria città e tra coloro che ogni anno portano avanti la manifestazione Uno Maggio, festival cittadino che è divenuto, dal 2013, palco per gran parte delle vertenze ambientali del Paese.

* * * *

Michele, cosa è successo a Taranto la scorsa settimana?

La sentenza di primo grado del processo Ambiente Svenduto ha condannato una classe politica e imprenditoriale, colpevole di crimini contro la città e contro un’intera comunità. Si tratta di una sentenza che certifica ciò che la società civile ha sempre sostenuto: avevamo ragione nelle nostre battaglie, quando chiedevamo giustizia ambientale e sociale. Anche se, nonostante la condanna, anche adesso il sistema Impresa Italia continua a fare orecchie da mercante.

 

Ti riferisci alle reazioni dell’ex Presidente della Regione Nichi Vendola? Come commenteresti le sue uscite?

Sulla forma in cui le ha espresse preferisco non esprimermi nemmeno. La sua dichiarazione parla da sé, ricorda più un Berlusconi dell’ultima ora che Gramsci e solo per questo dovrebbe porsi delle domande.

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lacausadellecose

Sui morti di Mottarone

di Michele Castaldo

WhatsApp Image 2021 05 23 at 16.22.33Ci risiamo con l’errore umano, l’incuria dell’ultima ruota del carro, la ricerca del capro espiatorio e la responsabilità personale dell’accaduto. Ovvero tutto poteva essere evitato “se solo” ecc. ecc..

Siamo perciò ancora una volta alla miseria umana, alla cronaca di qualche giorno, al rimbalzo di responsabilità, alle “indagini”, alle inchieste, o – anche, perché no? - all’istituzione di una commissione d’inchiesta, visto che non si capisce bene a chi apparteneva la responsabilità della gestione politica oltre che economica della funivia, il ruolo delle regioni, dei comuni, e così via all’infinito, fino alla prossima tragedia o alla prossima strage. Tanto, una in più una in meno cosa si vuole che conti, basta che passino alcuni giorni e tutto si raffredda, tutto si dimentica, e la giostra continuerà a girare grossomodo come prima.

Ma da un po’ di tempo a questa parte alcune tragedie e disastri inducono alla riflessione persino i grandi pensatori e propagandisti dell’unico sistema sociale possibile, il capitalismo. Si avverte nell’aria una sorta di impotenza rispetto a quanto avviene. Ci sbagliamo? Può darsi, ma a leggere certi editoriali come quello di Antonio Polito sul Corriere della sera di giovedì 27 maggio, cioè pochi giorni dopo l’accaduto, ce la conferma: c’è smarrimento.

Le cose sono molto più complicate di come le si vorrebbe presentare e vanno inquadrate nella dinamica temporale per capire, cioè nella ricerca delle la cause delle cose più che la ricerca del responsabile, come sono portati a fare i grandi commentatori, che si ergono a professoroni di diritto e di etica per relegare nell’angolo buio dell’errore dell’individuo e salvare così un sistema di valori dell’attuale modo di produzione.

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lafionda

Da Teodorico a Fedez

di Bruno Montanari

2accba6463c75e572b31241ad8e454deLa politica è una cosa seria; chi la pratica deve essere certamente colto; non specialista di settore, ma abbastanza per capire le proiezioni sociali dei diversi specifici saperi. Deve essere capace, soprattutto, di avere una “visione del mondo”; espressione che nella lingua tedesca appare particolarmente efficace, Weltanschauung, tant’è che nei decenni passati, quando si discorreva di visioni e teorie politiche, la si usava quasi correntemente, proprio perché evocava un contesto culturale speculativamente assai ricco. Senza un bagaglio culturale ampio non è possibile elaborare intellettualmente un progetto di società rappresentabile politicamente. Rappresentazione politica che deve contenere anche una configurazione del potere idonea a porla in essere.

Che il governo fosse una cosa fatta di “visione del mondo”, dunque di conoscenza e intelligenza, e di potere istituzionalizzato, lo avevano capito anche i cosiddetti “Barbari”, quelli che distrussero e occuparono l’impero romano, almeno quello che era diventato d’Occidente. Quelli, insomma, raffigurati da un elmo con le corna, che però calzava una testa dotata di un cervello capace di capire a quale mondo dovessero rivolgersi per governare.

Lo capì in modo particolare Teodorico, il re degli Ostrogoti, che nella sua corte ravennate ospitò come consigliere ed amico Severino Boezio, affidandogli il compito di tradurre i classici greci, Platone e Aristotele.

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paroleecose2

Perchè Berlinguer non ha eredi. Il gesto suicida di un idiota

di Sandro Abruzzese

Ghirri BerlinguerSulla Questione comunista in Italia si potrebbe cominciare, se non altro per limitare il campo, da quell’11 giugno del ’69, a Mosca, dove il futuro segretario del Pci, Enrico Berlinguer, alla Conferenza internazionale dei partiti comunisti, non solo ribadisce la via italiana al socialismo: una via democratica, plurale, nel solco della Costituzione repubblicana; ma rivendica un internazionalismo in funzione antimperialista e antifascista fatto di piena sovranità e parità di diritti tra tutte le nazioni. È un discorso noto, in cui, a pochi anni dal Memoriale di Yalta, il Pci di Longo rifiuta ancora una volta l’ipotesi di stati guida, e condanna nuovamente l’intervento sovietico in Cecoslovacchia dell’anno precedente.

La libertà della cultura, la questione dell’indipendenza e della sovranità, ogni ampliamento democratico, sono auspicabili per la credibilità stessa del socialismo, questa la posizione italiana, che segue la linea storicistica tracciata da Gramsci e Togliatti, il quale, come ebbe a dire Renzo Liconi, per primo aveva maturato l’abbandono della statalizzazione dell’economia in virtù della socializzazione della politica.

All’Unione sovietica viene sì riconosciuto lo sforzo per la pace, per l’emancipazione dei popoli, il ruolo guida della Rivoluzione d’Ottobre, tuttavia da tempo in Italia si rivendica completa maturità e autonomia di giudizio.

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kriticaeconomica

Il falso mito del “Draghi keynesiano”

di Riccardo D'Orsi

Copia di Senza titolo 1024x529Da ormai diverse settimane è in atto un asfissiante opera di propaganda a favore dell’esecutivo tecnico da poco insediatosi, e in particolare, della figura di Mario Draghi. Una simile narrativa si colloca sulla scia dell’approccio scientista che impregna molti dei dibattiti contemporanei e che, nel caso delle questioni economiche, identifica nei professionisti incaricati di occuparsi di una presunta “ingegneria sociale” la soluzione ultima a problemi che in realtà presentano una matrice squisitamente politica. È infatti ignorandone la natura politica che l’economia viene presentata come scienza “dura”, portatrice di verità manifeste e priva di trade-off distributivi. Sulla base di un tale presupposto, gli specialisti che se ne occupano vengono quindi presentati come personalità scientifiche neutrali [1].

È invece dal recupero delle radici ontologiche della scienza economica, originariamente configurata come “economia politica” [2], che è necessario partire per elaborare un giudizio di merito sul nuovo esecutivo. Stabilito quindi che la tecnica non è mai neutrale [3] e che dunque i “tecnici” al governo in realtà esprimono specifiche istanze non suffragate dall’esito della normale dialettica partitica alla base di qualunque sana democrazia liberale, non si può non concludere che questi rappresentino un sintomo della crisi delle istituzioni repubblicane e del fallimento della politica.

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lafionda

Contro! Un manifesto per uscire dalla solitudine politica

di Gabriele Guzzi

Alessandro Di Battista Contro 1920x1000 1Per parlare dell’ultimo libro di Alessandro Di Battista (Contro! Perché opporsi al governo dell’assembramento, PaperFIRST 2021), partiremo da un estratto delle sue conclusioni.

“Mi sento solo, mi ci sento da quanto è scomparsa la mia adorata mamma, da quando in una trincea che credevo affollata sono rimaste solo alcune vecchie vettovaglie, da quando ho scelto seguendo i miei ideali. Credo che l’essere umano, e in particolare chi fa politica, ceda spesso all’incoerenza, perché la solitudine spaventa. La solitudine fa schifo. Si camminerà a testa alta e ci si guarderà pure allo specchio, ma sempre soli si resta.”

Qui è racchiuso, a nostro avviso, il senso complessivo del libro, la sua forza e i suoi punti problematici, quelli che toccano le questioni di fondo, su cui tenteremo un’analisi.

La solitudine che lamenta Alessandro Di Battista in questo passaggio è un’emozione che intreccia fatti personali, su cui non possiamo che esprimere solo la nostra più sincera vicinanza, e fatti politici. Il fatto politico è che la solitudine è diventata lo stato d’animo fondamentale dei nostri tempi. E questo non solo perché a livello psicologico ed esistenziale stanno emergendo sempre più fenomeni di isolamento, depressione, sfiducia per il futuro, come ci conferma un recente studio dell’Università di Padova[1], ma perché la politica non riesce più ad esprimere una direzione aggregativa di senso.

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zapruder

La retata di Parigi

Andrea Brazzoduro intervista Enzo Traverso

liberteViste le reazioni scomposte che hanno accompagnato l’indegna retata parigina del 28 aprile 2021 abbiamo chiesto a Enzo Traverso – tra i massimi storici del mondo contemporanea – di ragionare insieme sulla «stagione della conflittualità» tra storia, memoria, politica e giustizia. Tra questi termini il grande convitato di pietra è infatti la storia, cioè il lavoro di comprensione degli eventi del passato. In che senso l’arresto di un pugno di uomini e donne dai capelli bianchi aiuterebbe l’Italia a «fare i conti con la Storia» – se non proprio col Novecento – come hanno scritto alcuni? Da una parte questi ex militanti politici sono trattati come criminali comuni secondo i dettami di un’ideologia presentista tra le più becere e ignoranti. Dall’altra è convocata (impropriamente) tutta la panoplia dei memory studies per imporre una narrazione del trauma, fondata sul paradigma vittimario. In base a che cosa si dice che nella società italiana ci sarebbe una ferita aperta rispetto agli anni Settanta? Come in Francia per l’occupazione dell’Algeria, sembra piuttosto che si tratti di esplicito uso politico della storia, che niente ha a che fare con i processi sociali reali di elaborazione della memoria.

Intorno a questi temi, a partire dalla ‘retata parigina’, abbiamo intervistato Enzo Traverso per tentare di andare oltre il monologo collettivo che imperversa nel dibattito pubblico.

*  * * *

Donne e uomini coi capelli grigi, tra i 60 e i 78 anni, tradotti in manette, all’alba, nelle camere di sicurezza dell’antiterrorismo. «Ombre rosse» è il nome scelto per la retata con cui, il 28 aprile 2021, sono stati arrestati 7 ex militanti della sinistra rivoluzionaria rifugiati in Francia da anni e accusati dalla giustizia italiana di una serie di delitti che vanno dall’associazione sovversiva all’omicidio commessi, secondo l’accusa, tra il 1972 e il 1982. Si tratta di «chiudere con il Novecento», come scrive «la Repubblica»?

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sinistra

Governare la società del dopo covid

a cura di Salvatore Biasco

Documento di sintesi delle discussioni organizzate dal Network “Ripensare la cultura politica della sinistra” il 28 dicembre 2020 e il 5 e 6 marzo 2021

badiali prina pinacoteca 175227Le coordinate politiche del documento

Il filo rosso delle discussioni tenute in incontri (chiusi) dal nostro Network ha riguardato l’orizzonte possibile per la sinistra nella riorganizzazione del Paese dopo la tempesta della pandemia. Non a caso il documento di sintesi parla di biforcazione nelle scelte da adottare, il cui percorso dipenderà in gran parte dal tipo di politiche che il Paese progetterà e implementerà.

Non si trattava di discutere il Recovery Plan avanzando un ennesimo contropiano e neppure di redigere un manifesto. Ma di mettere a fuoco una cultura politica capace di condurre alle domande giuste nella definizione di una visione dell’Italia, senza lasciarle poi sospese nell’aria, ma indagando anche le possibili risposte ed entrando, per quanto possibile, nel merito delle questioni. Nel corso degli incontri (pur con l’intervallo di appena due mesi) si è verificato un significativo passaggio di fase, che invita a riflettere sugli interlocutori e destinatari di queste riflessioni collettive.

La visione culturale che ispira questa sintesi non combacia con gli schemi mentali cui ci ha abituato la sinistra ufficiale in questi anni. Mai come in questo momento è divenuta evidente come la sua modesta capacità di produrre idee, il suo distacco dal paese reale e l’indeterminatezza della rappresentanza, siano alla base dell’indubbia sconfitta che ha subito con le vicende che hanno portato all’avvento del governo Draghi. Quella sconfitta non può essere archiviata solo come questione di numeri parlamentari. Essa pone in rilievo ancora una volta che fuori da una qualificante presenza di governo la sinistra rimane disarmata, senza egemonia, senza idee forza, progetto politico e mobilitazione sociale.

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lordinenuovo

La parabola del M5S da partito alternativo al nuovo centro-sinistra

di Domenico Moro

Beppe Grillo lingua 766x600Il Movimento 5 Stelle (M5S) rappresenta una delle novità più importanti della vita politica italiana degli ultimi dieci anni e ha contribuito anche nel rendere più difficile – certo insieme ad altri più importanti fattori – la rinascita di una aggregazione politica di sinistra radicale e comunista. Per questo è importante chiedersi le ragioni sia della sua rapida ascesa sia dell’altrettanto rapida discesa che sembra stia attraversando nell’ultimo periodo. Una discesa che è speculare alla sua evoluzione da partito alternativo al sistema politico complessivo a partito che sta in una larghissima maggioranza in appoggio al governo Draghi e che sta diventando una costola del nuovo centro-sinistra progettato dal PD a direzione lettiana.

I numeri dell’evoluzione del M5S sono impressionanti. Alle politiche del 2013 il M5S aveva raccolto il 25,56% dei consensi, risultando pressoché appaiato al PD, che prese il 25,43%. Nel 2018 il M5S, presentatosi sempre da solo alle elezioni politiche, raccolse ben il 32,68% dei voti alla Camera dei deputati, risultando il primo partito e staccando di ben 14 punti il secondo partito, il PD, che raccolse appena il 18,76% dei suffragi. In valori assoluti il M5S ebbe 10milioni e 732mila voti contro i 6milioni e 161mila del PD. Si tratta di un distacco tra la prima e la seconda forza politica che nella storia elettorale italiana si è verificato poche volte con questa ampiezza. Però, in soli tre anni di governo, il M5S ha quasi dimezzato, secondo i più recenti sondaggi, la sua quota di elettorato, scendendo dal primo al quarto posto tra i vari partiti. Infatti, al primo posto troviamo la Lega (22%), seguita dal PD (20%), da Fratelli d’Italia (18%) e dal M5S (17%). Senza contare che un terzo dei suoi parlamentari ha abbandonato il partito.

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cumpanis

Mario Draghi, uno dei Cavalieri dell’Apocalisse

di Fulvio Bellini

Bellini FOTO Editoriale.jfif Premessa: la storia non è finita nonostante Mario Draghi

Tra le varie forme di morfina che vengono date alla nostra società in stadio terminale, come appunto si fa con i malati di cancro per i quali le diffuse metastasi non danno più speranza di guarigione ma si applicano le cure palliative, vi è anche quella di convincere l’opinione pubblica che la storia sia giunta al suo epilogo, avendo “messo in tasca” la moneta d’oro perfetta: la democrazia parlamentare sul dritto ed il sistema liberista sul dorso del conio. Nel 1992 uno dei tanti maggiordomi del capitalismo trionfante, Francis Fukuyama, pubblicò il famoso saggio “La fine della storia e l’ultimo uomo”. Sosteneva questo erudito lacchè che la caduta del muro di Berlino rappresentava la volontà dell’umanità di tendere inesorabilmente ai sistemi politici ed ai principi della democrazia liberale, meta conclusiva della vicenda storica di ogni popolo della Terra. Chi ha scritto la sceneggiatura della commedia o del dramma, dipende da quale prospettiva la si vede, relativa all’ascesa alla Presidenza del Consiglio di Mario Draghi (e vedremo che non si tratta di sceneggiatori di Bruxelles ma di Washington) a mio avviso si sono ispirati almeno al titolo dello smentitissimo saggio di Fukuyama, creando un personaggio che rappresentasse contemporaneamente la fine per una certa vicenda politica italiana e l’ultimo uomo possibile al governo del Bel Paese. Per gli ideologhi stile Fukuyama, il concetto di fine della storia sottende anche l’esenzione dalla necessità di studiarla, essendo ormai inutile ragionare del nostro passato e dei suoi protagonisti.

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gliasini

Una democrazia a pezzi

di Alessandro Coppola

TUL19006 016 1536x1024La democrazia italiana versa in condizioni catastrofiche, probabilmente le peggiori fra i paesi di quella che un tempo era definita l’Europa occidentale. Le ultime settimane hanno illustrato questa condizione in modo particolarmente persuasivo attraverso le sue varie dimensioni.

Le modalità con le quali si è prodotta la crisi del governo Conte, prima di tutto. Sappiamo che nella crisi non sono mai state pubblicamente formulate da parte di chi l’aveva determinata richieste precise che, soddisfatte le quali, l’avrebbero sventata. Le vere ragioni si sono rivelate in seguito, quando la nascita del governo Draghi è stata rivendicata come l’obiettivo di un’azione che, per l’appunto, non aveva mai posto esplicitamente quell’obiettivo. Questa opacità è resa possibile dalla attesa generalizzata di un intervento presidenziale che, ormai, non è più irrituale ed è diventata un tratto strutturale del nostro sistema. Tanto da permettere ad alcuni attori politici di parassitare le azioni del Presidente. Se Matteo Renzi non avesse avuto la certezza che le camere non sarebbero state sciolte in virtù, per l’appunto, di un intervento presidenziale per un “governo del presidente” non avrebbe potuto aprire una crisi senza mai dichiarare i suoi veri obiettivi, correndo i relativi rischi e trovandosi di fronte ai relativi ostacoli. Renzi è abile e scaltro, ma questa sua abilità è in gran parte prodotta dal contesto di generalizzata deresponsabilizzazione della classe politica e sovra-responsabilizzazione del Quirinale che, per quelli come lui, è diventato ideale.