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antoniomazzeo

Soldati italiani nell’Europa dell’Est. 1500 pronti alla guerra con la Russia

di Antonio Mazzeo

1oknbqaIn meno di un anno è aumentato di cinque volte il numero dei militari italiani schierati in Europa orientale alle frontiere con Ucraina, Russia e Bielorussia. Sui 7.000 effettivi impiegati attualmente in missioni internazionali quasi 1.500 operano in ambito NATO nel “contenimento” delle forze armate russe. A partire del 2014 l’Alleanza atlantica ha dato vita ad un’escalation bellica sul fianco est come mai era accaduto nella sua storia. Nelle Repubbliche baltiche, in Polonia, Romania, Bulgaria e Ungheria, sono state realizzate grandi installazioni terrestri, aeree e navali, sono state trasferite le più avanzate tecnologie di guerra, sono state sperimentate le strategie dei conflitti globali del XXI secolo con l’uso dei droni e delle armi interamente automatizzate, cyber-spaziali e nucleari.

A seguito dell’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 il processo di riarmo e militarizzazione dell’Europa orientale è pericolosamente dilagato e ancora oggi appare inarrestabile. E l’Italia c’è con le sue truppe d’élite, le brigate di pronto intervento, gli obici, i carri armati e i cacciabombardieri “gioielli di morte” del complesso militare-industriale nazionale e dei soci-partner stranieri, primi fra tutti USA e Israele. A inizio 2023 il tricolore sventola in Lettonia, Ungheria, Bulgaria e Romania. E ogni giorno, 24h, le truppe sono in stato d’allerta e si addestrano in condizioni estreme ad ogni possibile scenario di conflitto con il Cremilino, dai combattimenti casa per casa, vicolo per vicolo, piazza per piazza, agli sfondamenti nell’infinito bassopiano sarmatico, finanche all’impiego di armi atomiche, chimiche e batteriologiche e alla “sopravvivenza” al tragico inverno nucleare.

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giubberosse

Sentenze della Corte Costituzionale: la "scienza ufficiale" come fonte autonoma del diritto?

di Luigi Luccarini

hammer g1d152129d 1920Con le motivazioni delle tre sentenze relative all’obbligo vaccinale, la Corte Costituzionale dimostra una realtà di cui prendere amaramente atto. In sostanza, ci dice di aver rinunciato ad assumere una qualsiasi posizione critica (non in senso oppositivo, ma nel senso proprio di attività diretta ad approfondire e motivare la valutazione di un fatto o di una situazione). Ed arriva al paradosso, non scritto, ma implicito, di stabilire che la conformità a Costituzione si misuri in base al fatto che una norma rispecchi, o meno, il pensiero del Burioni di turno. Così l’avvocato Luigi Luccarini, in una approfondita analisi sul testo delle motivazioni e sulle ragioni profonde che gli sono sottese.

* * * *

Le sentenze della Corte Costituzionale sulla legittimità dell’obbligo vaccinale per il Covid 19 sono intervenute il primo dicembre dello scorso anno, quando già era stato emanato il D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, che aveva anticipato al 1. novembre la fine di quell’obbligo, per consentire il reintegro di 4.000 sanitari sospesi ed ovviare così ad una carenza di professionalità nel settore, definita dal Governo “preoccupante”.

Un norma indotta da necessità contingenti, insomma, se non da semplice convenienza, che testimonia come l’idea di quell’obbligo fosse dall’origine una scelta “politica” che ben poco aveva a che fare con i principi di diritto, naturale e positivo, che dovrebbero informare il nostro ordinamento.

Era quindi tristemente logico attendersi dalla Consulta, investita del problema di stabilire se l’obbligo ormai venuto meno fosse stato o meno legittimo, una tipica decisione fondata sul “cosa fatta capo ha”, con rigetto di tutte le eccezioni di legittimità costituzionale.

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noinonabbiamopatria

L’albero dello stato di diritto e la foresta diseguale

di Noi non abbiamo patria

urlo munchIl 20 dicembre 2022 immediatamente dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale sul caso Cospito questo blog ha pubblicato un articolo dal titolo Alfredo Cospito: innocente. Con questo titolo si voleva contrastare la retorica dello Stato che confermava la più dura delle condanne contro l’anarchico colpevole delle sue azioni di terrorismo. Le azioni di Alfredo Cospito, viceversa, condensano la necessità impersonale di un moto di ribellione degli indistinti individui nei confronti di un sistema generale di sfruttamento e che da questo sistema generale impersonale sono schiacciati. Dunque, al centro della questione era viceversa chi fosse il terrorista, se l’individuo anarchico oppure un modo di produzione fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e della natura, il cui fine è la l’accumulazione del valore in poche mani. E se è questo l’oggetto, allora Cospito è innocente con tutte le attenuanti del caso, ma viene punito duramente per mandare un segnale di paura a chi sta fuori dal carcere e vive nella più generale prigione sociale del XXI secolo.

Una attenzione ad un tema che si è rivelato essere una goccia nell’oceano, mentre l’oggetto affrontato dalla battaglia intrapresa a sostegno dall’anarchico Cospito in carcere e che attraversa trasversalmente il dibattito sui giornali, nelle dichiarazioni di giuristi, intellettuali e nelle piazze sta andando decisamente e concretamente in un verso contrario.

Alfredo Cospito, consapevole di essere duramente colpito dalla repressione dello Stato, giustamente lotta con i mezzi che può – anche a costo della propria vita – contro l’infame stato di detenzione punitivo che a lui è imposto, appunto per motivi essenzialmente politici.

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ilpungolorosso

Il messaggio del governo Meloni, nei suoi primi 100 giorni

di Tendenza internazionalista rivoluzionaria

Gli uccelli interno asini 10 1536x1128“Spread, borsa, economia, l’Italia è più solida e in salute di quanto si voglia far credere”: così la Meloni ha voluto salutare i primi cento giorni del suo governo. Se per Italia si intende il mondo del capitale, gli interessi dei capitalisti, chi può darle torto? C’è però un’altra faccia di questo galleggiamento della borghesia italiana: è lo sprofondamento dell’altra Italia, del mondo del lavoro salariato dove in questi mesi si sono toccati record di morti sul lavoro, c’è stato un pesante taglio dei salari per l’inflazione più alta da 40 anni in qua, sono ulteriormente cresciute precarietà e povertà. E sui luoghi di lavoro il dispotismo padronale si è fatto ancora più aggressivo, incoraggiato ad andar giù duro dal nuovo esecutivo che si è impegnato a “non disturbare chi produce”, cioè chi sfrutta i produttori reali.

Questo effetto si vede anche nella logistica, l’unico ambito della produzione in cui negli ultimi anni le forti lotte dei facchini immigrati organizzati nel SI Cobas hanno fatto arretrare il fronte padronale. Perfino gli scandali e le inchieste sui giri di evasione fiscale e contributiva che hanno coinvolto importanti filiere (Dhl e Brt su tutte), vengono usati strumentalmente dai padroni a proprio uso e consumo. Invece di porre fine una volta e per tutte al sistema degli appalti e dei subappalti, la strategia padronale è quella di andare verso il loro superamento formale, ma con l’obiettivo di imporre un balzo all’indietro della condizione operaia, con il ritorno a livelli salariali, di orario, normativi indecorosi, e l’azzeramento delle libertà sindacali – cancellando così un intero ciclo di lotte. Questa manovra troverà pane per i suoi denti, com’è accaduto alla FedEx. Ma intanto anche quella parte del padronato della logistica che aveva accettato di firmare accordi migliorativi di secondo livello affila le armi, contando sull’aiuto solerte di Cgil-Cisl-Uil, della magistratura e delle forze della repressione.

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effimera

Diario della crisi | Repressione economica e ortopedie della povertà

di Andrea Fumagalli e Cristina Morini

Tano damicoIl terzo appuntamento del «Diario della crisi» mette a fuoco una questione di grande importanza politica e di decisiva attualità: il reddito. In questo importante articolo, Andrea Fumagalli e Cristina Morini propongono una precisa genealogia del tema ed evidenziano la rilevanza strategica della partita che attorno al reddito si gioca. Da un lato, l’attacco condotto dall’attuale esecutivo di destra al pur limitato Reddito di Cittadinanza introdotto dal primo governo Conte ha come obiettivo un ulteriore giro di vite nelle politiche di obbedienza e impoverimento, coazione al lavoro precario e asservimento delle forme di vita; dall’altro, riprendere e sviluppare con forza il dibattito sul welfare e sul reddito è imprescindibile per inventare e reinventare percorsi e prospettive di liberazione.

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Strette e stretti nella morsa di un capitalismo «tutto intorno a noi», che colonizza immaginari oltre che spazi-tempi e forme di vita, non è strano sentirsi stanche e stanchi.

Ebbene, proprio per questo è più urgente che mai guardare da un lato ai meccanismi espropriativi che aggrediscono i campi propri del vivere nel sociale, della riproduzione sociale, dall’altro all’attacco organizzato contro gli strati sociali meno abbienti il cui scopo è facilitare, ancora e ancora, la separazione tra salvati e sommersi, facendo mancare, per questi ultimi, anche le forme minime di assistenza sociale.

 

La repressione economica

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lafionda

Nel meraviglioso mondo di Giorgia Meloni “lo Stato non genera lavoro”

di Eugenio Pavarani

meloni lavoroL’abilità dei politici sta spesso nella capacità di non dire, dando tuttavia l’impressione di aver detto. L’importante è ammiccare al proprio elettorato senza tuttavia cadere, nel contempo, nell’errore di provocare inutili reazioni in campi avversi e, soprattutto, senza scoprire il fianco con affermazioni troppo marcate o addirittura infondate che possano fornire all’opposizione argomenti utili a costruire analisi critiche, polemiche, attacchi politici. Il “dire non dicendo” è un esercizio molto difficile che richiede anni di gavetta e di formazione nella scuola della politica, come avveniva in passato con modalità ben organizzate all’interno del Partito Comunista e all’interno della Democrazia Cristiana. I parvenus della politica cadono molto facilmente nell’errore e le loro dichiarazioni, non adeguatamente auto-controllate, li trasformano spesso in facili bersagli per l’opposizione.

“Dire e non dire” rende più difficile per l’ascoltatore l’interpretazione del reale pensiero, dell’ideologia che sta a monte degli orientamenti che danno impronta alle scelte politiche e rende più difficile il lavoro dell’opposizione. Ha scritto Keynes nella Teoria Generale che “le idee degli economisti e dei filosofi politici, così quelle giuste come quelle sbagliate, sono più potenti di quanto comunemente si ritenga. In realtà il mondo è governato da poche cose all’infuori di quelle. Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto”.

Spesso tale influenza viene oscurata per ragioni contingenti di convenienza politica ed è compito del lavoro critico, intellettuale, togliere il velo, metterla in luce, fare i conti con essa, responsabilizzare nei suoi confronti.

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lacausadellecose

In morte di Prospero Gallinari

19 gennaio 2013 - 19gennaio 2023

di Michele Castaldo

gallinariA dieci anni dalla morte di prospero Gallinari, ripubblico un articolo di commento nei giorni immediatamente successivi alla sua morte e che titolavo: In “morte” di Prospero Gallinari, in “vita” del giudice Caselli.

* * * *

« ….La morte del brigatista rosso Prospero Gallinari ed i suoi funerali potevano essere l’occasione per chiudere definitivamente una pagina tragica degli anni di piombo in Italia, e invece al suo funerale si sono risentiti slogan che rievocano quegli anni terribili ».

Così aprivano i maggiori telegiornali italiani nella giornata in cui si sono celebrati i funerali di Prospero Gallinari. Di qualche giorno prima, Giancarlo Caselli, sul giornale ‘Il fatto quotidiano’ del 18/1/13, metteva in guardia le nuove generazioni e in un articolo intitolato « il paese dei cattivi maestri» scriveva:

«Prospero Gallinari, prima di intraprendere la carriera di brigatista “culminata” con la spietata esecuzione (forse) del “prigioniero” Aldo Moro, si era reso celebre anche per certe singolari sfide che lanciava, tipo mangiare venti calzoni di fila o stare a torso nudo, sotto un albero tutta la notte. La sua morte ha ora scatenato sul web una pattuglia di nostalgici irriducibili, pronti ad osannare la lotta armata anche nel nuovo secolo. Risulta così confermata la patologia che, secondo Barbara Spinelli, affligge molti italiani, spesso vittime di una perdita di memoria che sconfina nell’amnesia e porta a una profonda sottovalutazione del pericolo che si corre occultando il passato per la mancanza continuativa di una coscienza etica. Così prosegue – con effetti devastanti – l’appropriazione indebita dei valori della resistenza partigiana e dell’antifascismo da parte di chi non ha l’intelligenza o l’onestà intellettuale di condannare la violenza organizzata praticata contro una democrazia: un arbitrario che ha potentemente contribuito all’indebolimento di quei valori.

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maggiofil

(Neo)fascismo e antifascismo, oggi* 

di Valerio Romitelli

indexjuytfLa frase con cui Marx ne Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte riprende e rettifica Hegel per misurare le differenze tra Napoleone e il suo nipote Napoleone III è arcinota: “i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte (…) la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa”.

 

1. Ci si azzarderà allora a sostenere che la Meloni è la farsa di Mussolini? Il suo governo la caricatura di quello formato dall’allora futuro Duce nell’ottobre di cent’anni fa? Non esageriamo. Nell’ottobre scorso, 2022, il senatore Scarpinato[1] in un memorabile discorso[2] al parlamento ha messo i puntini sulle i. La tradizione che il governo Meloni incarna non è esattamente il fascismo, ma il neofascismo. Questa precisazione è decisiva. A partire da essa si spiegano molte cose.

Si spiega lo sbaglio colossale di tutti coloro più o meno “rosso-bruni” che hanno intravisto in questo governo una qualche possibile protezione nazionalista di fronte alle perversioni della globalizzazione neo-liberale. Si spiega perché questo governo non  lasci la ben minima speranza a qualsiasi pur vaga nostalgia per l’autarchia degli anni Trenta. Si spiega come mai la leader di Fratelli d’Italia non abbia dimostrato alcuna riserva critica rispetto alla fedeltà atlantista che il governo precedente, l’indecorosa ammucchiata attorno all’ineffabile Draghi, aveva eretto a suo vessillo principale. Si spiega perché nel prossimo avvenire nulla possa moderare l’adesione italiana alle politiche europee di sostegno sistematico, fatto di armi e soldi, al governo Zelensky. Si spiega fino a che punto la sottomissione italiana ed europea alle strategie di guerra americane sia confermata e proiettata ad oltranza, costi quel che costi[3].

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lavoroesalute

‘Historia magistra vitae…’

Alba Vastano intervista Angelo d’Orsi

immagine 28 1024x684Disintermediati dai social e condizionati dal tam-tam h.24 delle news televisive, viviamo in full immersion nell’informazione mainstream e i più, orfani della conoscenza storica e quindi delle dinamiche che hanno segnato i grandi mutamenti sociali, economici e politici, tendono a soffermarsi sui fatti attuali, quasi mai legati propriamente alle fonti storiche che ne accertino la veridicità. E per questo si fa un gran vociare e si dà credito ad affermazioni, spesso totalmente artefatte dal rumor sempre più confuso dei media, e a fittizie verità, scollegate dalla storia.

Così si costruiscono pensieri unici e omologati (che tanto fanno il gioco dei lorsignori del potere) e convinzioni errate che alterano la verità dei fatti. Si può, quindi, affermare che solo chi ha indagato profondamente sui grandi eventi storici che hanno modificato gli aspetti e gli assetti delle comunità (perché la conoscenza della storia è frutto dell’ indagine accurata degli eventi) può comprenderne gli sviluppi e le conseguenze. E allora converrebbe porsi degli interrogativi sui grandi fenomeni che dal passato s’intrecciano con il presente e determineranno il futuro dei popoli, in particolare delle generazioni a venire.

Pertanto è ‘cosa buona e giusta’, soprattutto utile per svelare e per conoscere la verità sostanziale dei fatti storici, porre le più scottanti questioni che agitano oggi la nostra esistenza a chi della conoscenza della storia ne fa ‘… vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis» (Cicerone, De Oratore, II, 9, 36).

Nell’intervista che segue, il professor Angelo d’Orsi, illustre storico, risponde agli interrogativi sui grandi eventi di oggi, legando gli eventi in corso alle dinamiche storiche del passato.

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italiaeilmondo

Corte incostituzionale o incompetente?

di Davide Gionco

COPERTINA CORTE COSTITUZIONALE 1024x576640 giorni prima di pronunciarsi

Lo scorso 1° dicembre 2022 la Corte Costituzionale si è pronunciata in merito alla legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale e della sospensione dal lavoro e dallo stipendio per gli operatori sanitari inadempienti all’obbligo di vaccinazione contro il Covid-19. Responso: “Le scelte del legislatore sull’obbligo vaccinale del personale sanitario sono non irragionevoli, né sproporzionate”.

Non intendo entrare nel merito dell’imparzialità politica della Corte. I meccanismi di nomina dei membri sono noti e ciascuno è in grado di giudicare se le nomine vengano fatte per garantire i cittadini o altri interessi di parte del mondo della politica.

La Corte si è dovuta pronunciare a seguito del ricorso fatto da uno dei soggetti aventi diritto. Lo aveva fatto il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, in una ordinanza del 22.03.2022, contro il Decreto Legge 44/2021 del 01.03.2021, successivamente convertito in legge il 28.05.2021, dopo che già il Consiglio di Stato si era pronunciato favorevolmente al provvedimento con la sentenza n. 7045 del 20.10.2021.

Per chi non ne fosse al corrente, il D.L. 44/2021 prevedeva la sospensione dal lavoro e dallo stipendio degli operatori del settore sanitario (compresi gli amministrativi), i docenti ed il personale della scuola, i militari e le forze di polizia.

Ora non vogliamo entrare nel merito della correttezza formale della sentenza, in quanto il sottoscritto non ha le competenze.

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linterferenza

Regionalismo differenziato e UE

di Gerardo Lisco

REGIONALISMO DIFFERENZIATOLe riflessioni che seguono traggono spunto dalla presentazione del saggio del prof. Gian Paolo Manzella, consigliere SVIMEZ e già sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico con il Governo Conte 2, tenutasi a Potenza lo scorso 2 dicembre ed organizzata dal comitato “Comunità e sviluppo Basilicata” di concerto con la stessa SVIMEZ. Manzella è funzionario del Fondo Europeo per gli Investimenti, quindi, potremmo dire, “persona informata sui fatti”.

L’opera si presenta come un saggio di storia della politica regionalista a partire dagli albori della Comunità fino al Next Generation EU. Le differenze e le problematiche territoriali dell’Europa sono tali e tante che la questione regionale è stata centrale sin dall’inizio ed ha influito sugli sviluppi successivi che hanno portato all’attuale Unione Europea. La questione regionale è importante per una serie di questioni che non incidono solo sull’aspetto delle politiche economiche messe in campo dell’UE. Spesso si è fatto leva sulle regioni per ottenere il superamento dei singoli Stati nazionali e poter costruire quella “cosa” che oggi non è uno Stato ma solo un insieme di apparati burocratici e tecnici oltre che di istituzioni politiche, percepita come lontana da diversi milioni di cittadini europei, non solo italiani.

Da Maritain fino a De Benoit, pur se con sfumature più o meno marcate, in molti sono coloro che hanno teorizzato il superamento degli Stati nazionali in funzione della costruzione di quelli che per alcuni dovrebbero diventare gli “Stati Uniti d’Europa”. Il regionalismo che contraddistingue l’azione politica dei singoli Governi Europei, dal Trattato di Roma in poi, è motivato dalla necessità di superare i divari e le disuguaglianze tra le varie regioni europee al fine di costruire un sistema coeso capace, appunto, di superare le differenze tra i singoli Stati che progressivamente hanno aderito alla formazione di ciò che oggi è l’U.E.

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lacausadellecose

L’affare Soumahoro, determinismo e libero arbitrio

di Michele Castaldo

brain 85262027 jpg 88522.660x368Dico in premessa: scrivo per chi è disposto a capire.

È costume comune nella società moderna occidentale apprezzare il corruttore e schifare il corrotto. L’affare Soumahoro di questi giorni mette a fuoco una questione sulla quale pochi sono disposti a ragionare, ovvero a cercare – spinozianamente – la causa delle cose e tutti, ma proprio tutti, si ergono a giudici contro il malcapitato nero che ha avuto il torto di farsi corrompere da un sistema corruttore.

Il giornale Il Riformista, di un arcinoto uomo un tempo di sinistra, approdato poi alla corte di sua maestà destra ex socialista, ai piedi del povero corruttore Berlusconi, a proposito di Soumahoro titola in prima pagina: « Perché tutti linciano Soumahoro? Perché è “negro”», si notino ovviamente le virgolette a indicare che non viene linciato in quanto nero, ma perché è negro per lo stato in cui è caduto, perché è un corrotto. Chi non condanna un corrotto? Tutti giudici di Corte d’Assise pronti a condannare il reo.

Il pulpito dal quale si erge a giudice è una delle tante voci del padrone, con uno stipendio di riguardo, al calduccio e in ottimo appartamento, la possibilità di fare vacanze e di viaggiare, di mandare all’università i figli e introdurli magari nella carriera. E dunque sia sempre lodato quello Stato che fa vivere il cotanto direttore profumatamente pagato.

Si vuole un altro esempio, sempre beninteso di un brillante giornalista, che viene intervistato dal Corriere della Sera e dichiara che quando gli fu proposto di dirigere il quotidiano Il giornale dal fratello di Berlusconi, tentennò, perché guadagnava un miliardo di vecchie lire all’anno al Corriere della sera.

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resistenze1

Quando il populismo è strumento di egemonia del potere dominante

di Enzo Pellegrin

populismo alain de benoist libroIn uno dei più conosciuti e bei frammenti de L'ideologia tedesca del 1846, Marx ed Engels sintetizzavano:

«Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l'espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l'espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio».

Fin qui tutto bene, ma l'aspetto più interessante non è quello che riguarda la sfera del cosiddetto "conformismo", ma quello delle reazioni dissenzienti, generate da quelle che altrettanto marxianamente si usa definire contraddizioni. Ad un altro marxista del ventesimo secolo, Ernesto Laclau, nelle sue riflessioni sul concetto di egemonia, populismo e strategia socialista, piaceva parlare di "domande insoddisfatte".

Possiamo sperimentalmente annotare come negli ultimi anni della politica italiana, le cosiddette contraddizioni o domande insoddisfatte siano state amministrate da quello che viene spesso definito con un intento spregiativo - impropriamente secondo Laclau - "populismo".

Le contraddizioni della crisi di consenso dei partiti tradizionali, dopo gli anni 80, sono state gestite con concetti populisti come "il cancro della corruzione", il "parassitismo corrotto del sud del Paese", concetti di volta in volta utilizzati da partiti come la Lega, ma, anche successivamente e proficuamente - almeno per il primo concetto - dal Movimento Cinque Stelle.

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crs

Per non fare afflosciare il soufflé. Spunti per un nuovo soggetto della sinistra

di Alfonso Gianni

souffle g0e1e16dc2 1920 1024x808Non potendo certo competere con la conoscenze e le abilità culinarie di Andrea Amato – così bene illustrate nel suo articolo pubblicato in questo sito lo scorso 2 novembre – mi limito, probabilmente in modo più noioso per l’eventuale lettore, a soffermarmi sul senso dell’apologo del soufflè. Ovvero la necessità della costruzione nel nostro paese di un nuovo soggetto politico di sinistra. Non è, almeno per chi scrive, un argomento inconsueto. Se ne parla in diversi modi da circa vent’anni. In particolare da quando i grandi movimenti contro la globalizzazione hanno fatto il loro ingresso sulla scena della politica nazionale e mondiale. Lì si perse senza dubbio un’occasione che poteva essere quella di fare incontrare il movimento dei movimenti con un pensiero politico alternativo al quadro dominante e dare così l’avvio alla costruzione di una forza organizzata che avesse stretti ed interni legami con un largo movimento di massa antagonista. Più o meno così è accaduto in Spagna tra gli Indignatos e Podemos.

Ma non accadde in Italia, certamente per maggiore responsabilità dei gruppi dirigenti delle formazioni della sinistra d’alternativa che quella delle avanguardie di quel movimento che dette vita a manifestazioni memorabili, Genova in primis. Neppure il riferirsi al Partito della Sinistra Europea, cercando di promuoverne l’iscrizione individuale diretta – come si è tentato di fare quando Fausto Bertinotti aveva la presidenza di quel partito – ha avuto successo. L’idea era proprio quella di sfuggire alla frantumazione in tante piccole case delle forze della sinistra di alternativa, trovando una unità a un livello sovrannazionale. Il tentativo non ha funzionato anche perché l’attrattiva del Partito della Sinistra Europea è stata ed è molto bassa.

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ilponte

Per farla breve, il Socialismo

di Lanfranco Binni

apg F1 L11A5531Della situazione politica italiana dopo le elezioni del 25 settembre è facile avere una visione distorta se si scambiano per dati reali i trionfi e i gemiti e i sussurri di un sistema politico che ne è uscito a pezzi. L’astensione al 40% ridimensiona e relativizza i dati elettorali: il nuovo governo della coalizione di destra è espressione di un quarto degli elettori ed è stato premiato unicamente dalle regole perverse del sistema elettorale; nella coalizione di destra, alla vigilia dell’incarico a FdI sono già all’opera le contraddizioni interne e gli interessi concorrenziali dei gruppi di potere; il governo è maggioritario nella scena parlamentare, ma minoritario nel paese: non ha vinto la destra, ha perso il cosiddetto centro-sinistra, politicamente inesistente e frantumato nelle sue componenti interne neoliberiste e pseudo-riformiste. Ma il dato principale è la crisi definitiva del sistema politico, di una sedicente “democrazia rappresentativa” che, morta la “sinistra” storica, non rappresenta più le classi popolari che l’aveva espressa. Il ricambio dei gruppi dirigenti sarebbe oggi affidato, sotto la garanzia del gesuita Rasputin della finanza e dell’atlantismo statunitense, alla destra neofascista erede del fascismo storico e delle pratiche stragiste dagli anni sessanta in poi, con tutte le sue articolazioni “patriottiche” e internazionali. Il tutto in presenza di una crisi internazionale del capitalismo occidentale che reagisce con i tradizionali strumenti della guerra in difesa di un mondo unipolare a guida statunitense reso insostenibile dal rafforzamento di una tendenza multipolare che unisce sempre più una parte maggioritaria del pianeta, e sullo sfondo il panico di una catastrofe climatica in atto a cui si pensa di reagire con la corsa alle materie prime come se fossero le ultime di cui impadronirsi, con la corsa alla guerra in tutte le sue forme anche come investimento produttivo. Ma il quadro è molto più complesso delle semplificatorie narrazioni della “propaganda fide” occidentale.