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Il sonno della ragione che genera mostri

Militant

Ieri è apparso un articolo sul Corriere della sera che supera di molto la follia collettiva quotidiana alla quale dobbiamo sottostare. Per la verità, sono diversi giorni che su Corriere e Repubblica appaiono “strani” articoli, tutti orientati in senso radicalmente neoliberista come non se ne vedevano da anni. Passati di moda agli inizi della crisi, i pensatori neoliberisti sono rispuntati fuori come funghi dalle fogne (miliardarie) dalle quali provenivano. Per la verità, in effetti, non se ne erano mai andati; qualche giornale e qualche trasmissione “liberale” però li aveva messi momentaneamente in minoranza, dato che tutte le ricette da questi proposte avevano portato direttamente alla crisi culturale, economica, finanziaria ed etica che sta attraversando l’occidente. L’inconsistenza però delle alternative (diciamo più evidentemente l’assenza), la fragilità e la mancanza di creatività e di efficacia dei movimenti globali nel proporre un nuovo e diverso sistema di sviluppo, hanno però fatto tornare alla ribalta concetti e idee che credevamo veramente tramontati, quantomeno nella loro versione più intransigente e immediata (nel senso di *non mediata* da discorsi fumosi e apparentemente progressisti).

Ma veniamo a noi e al nostro articolo. Antonio Polito, già ex-comunista (maoista!) e fondatore del giornale “Il Riformista”, ex-margherita, e dunque appartenente di diritto all’area politica del centrosinistra, ha oggi sintetizzato al meglio le idee sue, del giornale per il quale lavora, e dell’area politica che egregiamente rappresenta, con un pezzo intitolato: “Perché proteggiamo (troppo) i nostri figli”.

Bisognerebbe leggerlo tutto, ma riporteremo qui i pezzi significativi (praticamente tutto l’articolo), cercando di non vomitare nel frattempo.

L’articolo inizia con una serie di frasi retoriche atte a far crescere l’indignazione del lettore, frasi presentate in senso ironico e che esprimono efficacemente l’antitesi del pensiero del “giornalista”. Questo l’eccellente incipit: 

 Eh già, sembra strano, ma uno che a 29 anni diventa professore ordinario (ma stiamo scherzando!) con concorso truccato – o quantomeno sospetto –  non può definire bamboccione o sfigato nessuno, tantomeno uno studente che si paga gli studi e dunque deve alternare studio e lavoro, e magari altri cazzi nella vita. Non ci interessa come è giunto ai vertici questo Martone, ma quantomeno non ci faccia la predica. Questo però deve sembrare normale al “giornalista”, che infatti prosegue nel suo impazzimento. Per Polito, infatti, avere diritto ad un posto di lavoro dignitoso è una richiesta effettivamente assurda nell’Italia di oggi. Se poi a questo aggiungiamo che questo posto di lavoro dovrebbe essere anche tutelato dalle garanzie previste dalla legge, questo è davvero inammissibile. Roba da gente in ritardo coi tempi. Ma proseguiamo oltre, nel crescendo inarrestabile di presunti privilegi che agli occhi del giornalista appaiono davvero insensati, vera responsabilità del declino italiano nel mondo:  

 Nella mente malata di questo giornalaio, in Italia dovrebbero esistere forse 3 o 4 grandi campus universitari, ovviamente privati, a rappresentanza dell’elite del paese. Università a numero chiuso e con difficilissimi test d’ingresso, tali da scoraggiare la grande massa di analfabeti che vorrebbero addirittura laurearsi senza essere Einstein e senza avere in dote grandi patrimoni familiari. Se poi sei davvero Einstein, ci penserà la retta milionaria a scoraggiarti. Dovrebbero poi tutti trovarsi un lavoretto extra, ovviamente precario o se possibile al nero, perché così fanno i loro colleghi americani.

Le tasse, infatti, sono molto basse: per uno “sfigato” qualunque, ad esempio chi scrive, pur non avendo nulla intestato, abitando in una occupazione e avendo come reddito circa 9.000 euro l’anno, l’università pubblica della Sapienza chiede quasi mille euro ogni anno. Oltre, ovviamente, all’acquisto dei libri, altri circa 500 euro l’anno. Oltre a tutta un’altra serie di spese accessorie di cui neanche vogliamo tenere conto. Se invece si fa affidamento sulla famiglia, e soprattutto si rientra nel famigerato ISEE familiare, le tasse aumentano vertiginosamente, arrivando a sfiorare, quando non superare, i 2.000 euro l’anno. Per una media di 5 anni di corso, fa una retta di 10.000 euro per pagarsi gli studi. Bruscolini, inezie, piccole mance, da chi è abituato a rubare lo stipendio scrivendo sotto dettatura. Ma la soluzione immaginata non è lottare per un’università davvero pubblica e aperta a tutti, gratuita come quella cubana, efficiente e stimolante; no, la soluzione è alzare le tasse agli studenti, cioè alle famiglie degli studenti, facendole arrivare magari ai 7.000 euro l’anno. Con tanti saluti rispetto alla necessità di alzare il livello medio di laureati, di garantire veramente a tutti l’accesso allo studio, e tante altre belle cose. Si sta teorizzando il ritorno all’università di classe, d’altronde mai veramente scomparsa in Italia.

Il bello però è il riferimento alla fiscalità generale. Le Università, inutili orpelli della cultura nazionale, dovrebbero essere finanziate solo da chi le frequenta. Magari anche da qualche sponsor privato, che non guasta mai. Perché rompere le palle a chi non ha figli da mandare a studiare, o li manda alle università private, d’altronde? Secondo questo ragionamento, se utilizzassi la macchina per andare a lavoro potrei chiedere di non pagare i mezzi pubblici con le mie tasse; e non vedo perché dovremmo pagare tutti gli altri servizi dello Stato di cui non abbiamo mai usufruito. Ognuno si paghi da solo ciò che gli necessita, anzi aboliamo direttamente le tasse, residuo di socialismo reale da cui prima o poi dovremmo pur liberarci.

 Dunque, emigrare non solo è un diritto, ma va anche incoraggiato. Chi emigra è bravo, fa del bene al paese, è più intelligente: in parole povere, non è uno sfigato. E’ uno che ha capito come funzionano le cose, e piuttosto che marcire in Italia va a farsi l’università a Boston, o a Berlino, a Tokio o a Dubai. E il fatto che poi questi rampolli dell’alta borghesia alla fin fine ricevano un pezzo di carte uguale a quello dello sfigato italiano, che magari ha frequentato l’università pubblica, questo è véritablement intolérable.

 Questo articolo è bello perché coerente, non cerca di infinocchiarcela con sottili sotterfugi degni del peggior riformista. Polito dice le cose come stanno: se vuoi fare carriera devi andare all’estero, e se non ci vai sei uno sfigato. In Italia ci rimangono i poveri e gli sfigati nullafacenti in attesa del posto al ministero, non chi dotato di spirito selvaggio e decide di farsi da solo e andare a cercar fortuna all’estero. Chissà perché questo fatto funziona sempre e solo quando siamo noi ad emigrare, e mai quando invece viene qualcuno a lavorare qui in Italia, che invece dev’essere respinto al mittente come indesiderato, rubalavoro e tendenzialmente criminale. Misteri del liberismo. Sul valore delle lauree ci siamo già spiegati: è intollerabile che chi vada all’università privata, pagandola decine di migliaia di euro l’anno, rampollo borghese futuro boiardo di stato o manager alla Marchionne, abbia alla fine del ciclo di studi un titolo equivalente a quello dello sfigato laureato “di Stato”. E’ pure invidia di classe: io la laurea me la pago e pretendo che valga di più. Tutto qua.

 Siamo alla sintesi finale, che vi risparmiamo per senso del pudore e per rispetto nei vostri confronti. Quelli che, sbeffeggiandoli, il giornalaio chiama “diritti” (in senso spregiativo) non sono altro che doveri di un normale Stato liberista. Ma qui ormai siamo oltre. Siamo fuori da ogni logica politica conosciuta, siamo nel pieno post-moderno. Siamo all’immaginazione al potere. Questo è il pensiero comune della politica italiana, e non è un caso che a esporlo sia stato chiamato un esponente del centrosinistra, su uno dei quotidiani più critici del berlusconismo e più vicino al governo tecnico e al PD veltroniano. L’avesse fatta un qualche esponente vicino al centrodestra, il messaggio sarebbe stato di parte e polemico; così invece la visione del mondo appare condivisa e comune, inattaccabile proprio perché espressione tecnica di ciò che si deve fare per portare l’Italia fuori dalla crisi. Senza destre e senza sinistre possibili.

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