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Regionali: che nessuno canti vittoria (salvo la Lega)

di Aldo Giannuli

regionali 2014 940Il risultato è così chiaro da non richiedere troppi commenti:

-il Pd: in cifra assoluta, perde nelle due regioni circa mezzo milione di voti sulle precedenti regionali e poco meno di un milione sulle europee di 5 mesi fa (-700.000 nella sola Emilia). In percentuale perde il 12% in Emilia sulle europee, recupera qualcosa rispetto alle regionali, ma solo per effetto del brutale calo dei votanti.

-il M5s: va anche peggio al M5s che perde poco meno di 300.000 voti in Emilia rispetto alle europee, tornando ad assestarsi intorno al 6% delle regionali precedenti (ma, nelle politiche aveva superato il 24%). In Calabria si riduce al 4,82%, dal 24,9% delle politiche e, in cifra assoluta,  perde quasi 9 elettori su 10.

-Forza Italia: letteralmente si polverizza (8,37% in Emilia contro il 24,55% delle regionali precedenti ed 11,8% delle europee; in Calabria 11,91%  contro il 26,91% delle regionali precedenti)

-Lista Tsipras: arretra sulle europee in Emilia e sostanzialmente tiene in Calabria. Rispetto alle regionali precedenti, dove Sel e Rifondazione si presentavano separate, perde complessivamente oltre un terzo dei voti. Dunque, non solo non recupera nulla delle perdite del Pd e del M5s, ma perde di suo.

-Lega: Presente solo in Emilia dove ottiene un clamoroso successo come prima lista della coalizione, superando il 19% che si somma al quasi 2% degli alleati FdI.

Dunque: Il Pd resta il primo partito, ma il 41% delle europee, è lontano anni luce. Fatte le dovute proiezioni, se si votasse per le politiche sarebbe sotto il 35% ed, in cifre assolute, perderebbe quasi il 40% dei suoi elettori. Se percentualmente non è lo stesso tracollo dei risultati in cifra reale è solo perché anche gli altri partiti perdono verso l’astensione. Vero è che in Emilia la flessione è più severa per le ben note vicende giudiziarie, ma la flessione (in voti reali) della Calabria conferma la tendenza al calo generalizzato che va ben al di la delle cause locali.

Non mi pare che Renzi possa consolarsi considerando che la tendenza all’astensione è un “problema di tutti”. Al suo posto sarei molto allarmato, anche perché, per ora lui è quello che perde più di tutti i voti reali. Di fatto, sin qui, Renzi ha goduto di una fortuna sfacciata che ha gonfiato le sue vele, ma è solo una meteora destinata a schiantarsi molto presto. I risultati ancora non del tutto disastrosi si spiegano più con la debolezza delle altre offerte politiche che con la forza del suo consenso.

E qui non hanno da cantar vittoria anche quelli dell’asse Sel-Rifondazione, che non beccano un voto di quelli in uscita da Pd e M5s, prendono i voti dei soliti aficionados (e neanche tutti) e si fermano lì: segno della totale mancanza di vitalità del progetto.

Forza Italia semplicemente scompare, riducendosi ad un partitino sotto il 10% nazionale. Da questo punto di vista, il risultato più significativo è quello calabrese, dove non c’è la Lega ed il partito di Berlusconi perde 3 elettori su 4.

Se consideriamo la sommatoria Fi+Pd (ed il magrissimo risultato del Ncd) si capisce che questo risultato boccia clamorosamente la politica del Nazareno e su tutti due i versanti.

Va malissimo anche al M5s: vero è che alle amministrative il M5s raccoglie sempre meno della metà dei voti delle politiche, però il calo calabrese è catastrofico e quello emiliano è molto pesante. Non si può spiegare solo con il divario fra politiche ed amministrative. Il punto è che il M5s ha raccolto alle politiche molto di più di quanto non fosse il suo reale consenso, perché premiato dal voto di protesta; ma poi non ha saputo dimostrarsi credibile in positivo. L’elettorato giudica in base ai risultati ed, in un anno e mezzo di permanenza in Parlamento i risultati sono davvero pochini. Il punto è che il M5s si è cullato nell’illusione di una vittoria piena, da solo ed in un paio di mosse. L’illusione di passare di vittoria in vittoria sino a balzare oltre il 40% nelle prossime politiche. E per questo ha scelto una linea di assoluto isolamento politico, di denuncia gridata, ha cavalcato l’ondata populista assecondandone anche gli aspetti più ingenui e controproducenti, si è attardato in una visione semplicistica della politica, ha travolto ogni dissenso (anche quello che avrebbe meritato qualche attenzione). Ora arriva il conto.

Questo non vuol dire che sia arrivato il momento di cantare il requiem per il M5s che, anche se seriamente ferito, resta un organo vitale e capace di riprendersi, a patto di saper approfittare della lezione di realismo politico che viene da questi risultati. Il M5s deve ripensare il suo modello organizzativo, la sua prassi politica, la sua proposta complessiva. Ma ne riparleremo in un’occasione specifica.

E veniamo all’unico vincitore di questa tornata: la Lega di Salvini che ormai pone seriamente la sua candidatura alla testa della coalizione di destra. Vero è che al Sud è ancora ben lontana dallo sfondare e che, per ora, il suo sorpasso su Fi è certo solo in Emilia, Lombardia e Veneto (forse Triveneto), mentre lo si può ipotizzare in Piemonte, Liguria e (forse) Toscana, ma da Roma in giù farcela non è semplice. In ogni caso, la partita è aperta, anche perché è prevedibile che le sue fila si ingrosseranno ancora di transfughi in fuga da Forza Italia (quando la nave affonda….)

Magari questo potrebbe essere gradito al Pd, che sogna un ballottaggio di tutto riposo fra se stesso e la Lega: quel che consentirebbe di recuperare voti dall’astensione, dal M5s, da Sel ed anche dal centro, in nome del pericolo “estremista”. Ed anche questo potrebbe essere un calcolo sbagliato: io non giurerei né sul ritorno dei voti dall’astensione né sul fatto che il flusso da M5s, fra astenuti, voto alla Lega e voto al Pd, sia poi così favorevole al Pd. Quanto ai voti della residua Fi…

Ma il rischio maggiore è un altro: quando oltre la metà dell’elettorato non va a votare, vuol dire che si è aperta una crisi di sistema ed ha poco senso fare a gara per il grado di capitano della barca che sta affondando (segnalo un mio pezzo di un po’ di tempo fa dedicato al “punto di confusione“).

In quali forme possiamo pensare ad un collasso del sistema: non mi sembrano probabili le ipotesi estreme di un colpo di stato militare e, meno ancora, di una insurrezione popolare (anche se: “mai dire mai”). Si aprono altre ipotesi meno traumatiche (almeno all’apparenza). In primo luogo, un sostanziale commissariamento del paese da parte della Ue, con procedure più o meno straordinarie. Ad esempio l’ennesimo governo tecnico, magari accompagnato da uno slittamento delle elezioni (qui saremmo in pieno colpo di stato, ma con qualche parvenza di legalità, magari grazie ad un Capo dello Stato disponibile ed una Corte Costituzionale compiacente). Intanto il governo “tecnico” potrebbe arrivare al 2018 grazie al voto di una maggioranza raccogliticcia e basata sul desiderio dei parlamentari di restare in carica il più possibile. Magari una complessa riforma costituzionale potrebbe giustificare uno slittamento delle elezioni per qualche tempo. Poi seguirebbe una rottura costituzionale in forme da individuare. Soluzione probabile sino ad un certo punto, in particolare per quel che attiene alla lesione dei limiti costituzionali, ma da tener presente molto più delle precedenti due.

Altra soluzione è che una delle forze esistenti riesca a prendere la situazione in mano ed a stabilizzarla in qualche modo, magari approfittando anche dell’astensione che mantiene oltre metà dell’elettorato fuori all’area decisionale. “Per ora vinciamo le elezioni e poi si vede”. Ovviamente arrivando anche in questo caso ad una rottura costituzionale. Può essere il Pd? Possibile ma non credo probabilissimo: i margini di consenso di Renzi si eroderanno fatalmente nei prossimi mesi. Questa possibilità esiste solo nella misura in cui si mantenga l’attuale situazione di assenza di sfidanti credibili.

Può essere il M5s? Unica soluzione che non porterebbe ad una rottura costituzionale. Possibile ma non probabilissimo: il M5s ci può riuscire solo a patto di trasformarsi in una credibile forza politica di governo e non ha moltissimo tempo per riuscire a farlo.

La Lega? Forse è l’ipotesi meno improbabile di queste tre e può riuscire se Salvini riuscirà a catalizzare il voto di protesta, assorbendo buona parte dei voti del M5s, prosciugando Fi, catturando anche qualche flusso in uscita del voto Pd (non dimentichiamo il referendum sulla legge Fornero, che ha riscosso anche l’adesione della Cgil). Ma anche qui occorre ritoccare l’immagine barricadiera, solo che, se lo fa, magari conquista voti di centro e destra moderata, ma perde parte di quelli di protesta, se non lo fa, conquista i voti di protesta ma perde quelli moderati. Difficile quadratura del cerchio.

Ma non è detto che la soluzione debba venire dall’interno del quadro esistente. Un 50% di astenuti è un invito ad entrare nell’arena a chi sinora ne è rimasto fuori: c’è lo spazio per una nuova offerta politica. E questa è l’eventualità da cui Renzi deve guardarsi più le spalle. Potrebbe trattarsi di una nuova offerta di centro destra che metta definitivamente da parte l’inservibile Berlusconi e che trovi un leader più giovane e spendibile. O forse di un forte movimento di protesta (da vedere se di sinistra o di destra), o forse di qualcosa di cui ancora non scorgiamo i tratti e rispetto alla quale il M5s, contro le sue intenzioni ed i nostri auspici, potrebbe essere stato il semplice battistrada. Ne riparleremo.

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