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Le parole e le cose

di Marino Badiale

avantipopolo-620x385Di questi tempi appare abbastanza evidente come la sinistra sia la parte politica maggiormente responsabile del disastro verso cui si avvia il nostro paese, e come il suo “popolo” sia totalmente incapace di capire questo semplice dato di fatto. Occorre naturalmente distinguere fra le tendenze di fondo del nostro tempo e il modo in cui esse si concretizzano nei diversi contesti. Non c'è dubbio che, rispetto al tema di cui stiamo discutendo, la tendenza generale è quella della trasformazione, da tempo compiuta, della sinistra europea da forza di emancipazione e difesa dei ceti subalterni (il che ovviamente non vuol dire: forza rivoluzionaria) a forza totalmente asservita agli interessi dei ceti dominanti, e funzionale alla distruzione dei diritti degli stessi ceti subalterni. Questa trasformazione richiede ovviamente un certo tasso di inganno e autoinganno, perché i ceti dirigenti della sinistra devono distruggere diritti e redditi dei ceti subalterni continuando a richiamarsi ad una tradizione dove si faceva il contrario, e i loro elettori devono in qualche modo credergli. La mia impressione è che questo gioco sia particolarmente evidente e “spudorato” nel nostro Paese, cioè che in esso appaia in maniera particolarmente evidente, rispetto ad altri paesi, l'inganno perpetrato dai ceti dirigenti della sinistra, e la radicata volontà del “popolo di sinistra” di non prendere coscienza dell'inganno. Nella sinistra del nostro paese vi è una scissione, particolarmente evidente, fra le parole e le cose, fra quello che si dice e quello che si fa. Ripeto, questo è un dato generale, ma mi sembra più accentuato in Italia. Se è davvero così, sarebbe il caso di chiedersi perché.

Prima di provare a fornire una risposta, possiamo fare un paio di esempi. Il primo, sul quale ritorno di tanto in tanto perché, lo confesso, a suo tempo ne fui particolarmente colpito, è quello del Partito dei Comunisti Italiani, che nel '99 fa parte (con 4 ministri, se non ricordo male) del governo D'Alema, e quindi si assume la responsabilità dell'aggressione alla Jugoslavia, cui il governo D'Alema partecipa assieme ad altri paesi NATO. Il punto è che il PdCI partecipa a questa guerra di aggressione imperialistica protestando e manifestando contro di essa e contro la NATO, senza che questo atteggiamento assurdo appaia, ai suoi elettori e in generale alle persone di sinistra, per quello che è, una intollerabile ipocrisia sufficiente a seppellire all'istante una forza politica.

L'altro esempio è quello di Walter Veltroni, che dopo aver fatto un'intera carriera politica nel PCI, arrivando nel 1987 ad essere eletto deputato al Parlamento nazionale, può tranquillamente dichiarare, dopo la fine del socialismo reale e dello stesso PCI, di non essere mai stato comunista. Anche in questo caso, senza che nessuno sembri rendersi conto, nel mondo della sinistra, che una simile dichiarazione dovrebbe essere sufficiente a classificare il suo autore come un mentitore privo di qualsiasi affidabilità e indegno di fiducia, e a troncarne di conseguenza ogni ambizione politica.

Il punto, in questi due esempi, non sta tanto nel fatto che il PdCI abbia fatto scelte politiche sbagliate, o che Veltroni possa essere definito oppure no un ex-comunista: la storia è piena di errori politici dei comunisti, ed è piena di ex-comunisti. Il punto è il carattere particolarmente “sfacciato”, impudente, sprezzante di logica, intelligenza e buon gusto, di queste scelte e dichiarazioni. Evidentemente i loro autori sapevano di poter contare su una indulgenza a priori, da parte del “popolo di sinistra”, nei confronti di simili macroscopiche contraddizioni.

Si tratta, lo ripeto, di una particolare declinazione nazionale di un dato epocale. Provo ad ipotizzare una possibile spiegazione. Mi sembra che una tale possibile spiegazione, o almeno un suo ingrediente, stia nel fatto che nel nostro Paese il partito che ha egemonizzato la sinistra, per tutto il secondo dopoguerra, è stato il Partito Comunista Italiano. Questo è in effetti un dato specifico del nostro paese, fra tutti i paesi occidentali. Altrove, i partiti comunisti erano o piccole formazione estremiste, del tutto ininfluenti, oppure erano (come in Grecia, Portogallo e in sostanza anche in Francia) parti significative della sinistra, ben radicate nel paese, ma minoritarie e non egemoniche nella sinistra stessa. In Italia, invece, “essere di sinistra” ha sempre voluto dire avere a che fare con la presenza egemonica del PCI.

Ora, a me sembra che il più elementare buon senso dovrebbe suggerire che un Partito si dichiara “comunista” perché intende realizzare il comunismo, e, di conseguenza, che un tale partito ha il dovere di spiegare cosa intenda per “comunismo” e come intenda arrivarci. Naturalmente, poiché stiamo parlando di un partito politico, cioè di una organizzazione nata per l'azione politica, la risposta alla domanda “cosa si intende per comunismo” non può essere una bella frase vuota del tipo “il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”, non può essere una enunciazione di principi generali del tipo “ da ciascuno secondo le sue capacità a ciascuno secondo i suoi bisogni”, non può essere una dotta discussione filosofica sulla natura comunitaria dell'essere umano. Deve essere un progetto politico di una società alternativa all'attuale che, senza essere delineato nei dettagli, ci faccia però capire alcune delle strutture fondamentali di tale società alternativa. Correlato a questo, e anche più importante per un partito politico, è l'indicazione di un ragionevole percorso storico-politico che  mostri la possibilità concreta di arrivare, in tempi non lontanissimi, alla configurazione sociale desiderata.

Ora, è evidente che nessuno si è mai sognato, nel vasto mondo del PCI e della sinistra italiana da esso egemonizzata, di chiedere questo tipo di chiarimenti e nessuno si è mai sognato di fornirli. Questo non vuol dire, ovviamente, che non si sapesse cosa intendeva fare il PCI. Le sue scelte politiche erano piuttosto chiare, sia in politica interna sia in politica internazionale. Il punto è che tali scelte politiche non avevano nulla di “comunista”. Il PCI era un partito comunista di nome, ma di fatto era un partito socialdemocratico nella politica interna e filosovietico in quella internazionale. Tutto questo non è necessariamente un male. Con queste caratteristiche, il PCI ha secondo me avuto una funzione essenzialmente positiva nel dopoguerra italiano, fino agli anni Settanta. Il punto è che questa strana natura del PCI aveva in sé i germi dei fenomeni degenerativi dei quali abbiamo discusso all'inizio.  Nel mondo della sinistra italiana egemonizzato dal PCI era considerato normale aderire a un “partito comunista”, o votarlo, o avere rapporti politici con esso, senza che per lunghi decenni nessuno si ponesse il problema di cosa mai volesse dire, per un partito politico di massa in un paese occidentale, “essere comunista”, e soprattutto cosa c'entrasse il “comunismo”, qualsiasi cosa esso sia, con la concreta prassi politica del PCI. La sinistra italiana è stata cioè abituata, dalla massiccia presenza del PCI, ad una radicale scissione fra parole e fatti, fra slogan e realtà. È stata abituata a trovare del tutto normale definirsi in un modo e comportarsi in modo diverso. E proprio qui, a mio avviso, sta una delle radici dei fenomeni degenerativi di cui si diceva.

C'è una conseguenza: se tutto questo è sensato, è chiaro che occorre essere molto diffidenti verso i tentativi, riproposti ogni tanto, di ricostruire un partito comunista in Italia: alle difficoltà oggettive si aggiungono infatti i dubbi, mai affrontati seriamente, su cosa possa voler dire, per un partito politico, essere “comunista”, in un paese occidentale. L'impressione è che con questi tentativi si cerchi in sostanza di ripetere l'esperienza del PCI, in una situazione nella quale non vi sono evidentemente più le condizioni che l'hanno resa possibile, e oltretutto perpetuando le ambiguità e le ipocrisie che hanno segnato quella storia. Non è davvero di questo che abbiamo bisogno. Nel bene e nel male, il PCI ha segnato una parte della storia di questo paese. Quella storia è finita, occorre costruirne un'altra.

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