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lacausadellecose

Due popoli due stati? Si, due stati d’animo

di Michele Castaldo e Alessio Galluppi

Albert Einstein.jpgEd ecco che di fronte alla carneficina che sta operando lo Stato di Israele a Gaza, pro doma sua e per conto di tutto l’Occidente, proprio dai potentati di questo, in primis gli Usa, si tira fuori dal cilindro la vecchia proposta di due popoli due Stati, ventilata sempre ma realizzata mai. Inutile dire che dietro tale cosiddetta proposta si è sempre nascosta l’ipocrisia tutta occidentale tendente a mascherare le ragioni vere della nascita dello Stato di Israele. Perché se così non fosse stato in 75 anni si sarebbe trovato il modo di dare una parvenza statuale ai palestinesi piuttosto che rinchiuderli in una prigione a cielo aperto ricattandoli e reprimendoli continuamente per tenerli sotto controllo.

Su quello che sarà il “dopo” si vedrà, intanto si sta procedendo a un vero e proprio genocidio del popolo palestinese e la distruzione di gran parte delle abitazioni in terra di Gaza. Contemporaneamente si procede nella colonizzazione della Cisgiordania espellendo i palestinesi. Dunque si sta procedendo in modo da fare terra bruciata di uomini e cose tali da determinare un vero e proprio stato, si, ma uno stato d’animo dei sopravvissuti. Insomma siamo di fronte al tentativo di una soluzione finale di una aspirazione di un popolo ma senza affermarlo, o per meglio ancora dire, in nome della distruzione di Hamas. Questi sono i fatti sui quali si tenta di costruire poi una propaganda tanto falsa quanto infame. Pertanto non basterebbe nessun tipo di propaganda alternativa per smontare quello che è a tutti chiaro, anche perché gli uomini si schierano in base a quello che per necessità sono spinti a credere.

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lantidiplomatico

Gaza. Social media e censura

di Redazione - Alan Macleod

720x410c50sdfr.jpgIl coro dei governi, soprattutto occidentali, rappresentato dai suoi organi di informazione mostrano all’opinione pubblica un mondo che non rispecchia la realtà. La stessa opinione pubblica, ormai, non è più disponibile a sorbirsi le menzogne del mainstream. La guerra a Gaza, la ferocia criminale di Israele sta producendo un’ondata mondiale di solidarietà per la Palestina e la sua lotta di liberazione. La criminalizzazione della Resistenza palestinese non serve.

Allo stesso tempo come ha sottolineato il portale CovertAction, “le proteste in tutto il mondo in solidarietà con la Palestina stanno costruendo un movimento di sostegno alla resistenza e alla causa palestinese, mostrando ai leader che persone dagli Stati Uniti al Regno Unito, allo Yemen e alla Giordania e oltre, stanno dalla parte del popolo palestinese nella sua lotta contro gli israeliani sostenuti dagli Stati Uniti. Queste proteste stanno cambiando la forma della copertura mediatica e influenzando l'opinione popolare e il dibattito sulla questione.”

Proprio per questa ragione “le società di social media come Twitter e Meta hanno tentato di censurare i contenuti filopalestinesi. Un video che elenca gli ospedali bombardati da Israele è stato rimosso da Instagram dopo aver ottenuto 12 milioni di visualizzazioni. L'account Twitter di Palestine Action US non è stato più seguibile per molti giorni. Ma le informazioni continuano a diffondersi rapidamente, mantenendo vivo il movimento di solidarietà.”

La censura senza vergogna è servita.

Le guerre non si sono mai fatte solo con le armi tradizionali, ci sono anche quelle mediatiche.

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contropiano2

Cosa succederà adesso? Una analisi della situazione in Palestina e cosa dobbiamo fare noi

di Potere al Popolo

Palestina Gaza bella con bandiera.jpgLa domanda che ci facciamo tutti, o che ci dovremmo fare, quando smettiamo di farci gli occhi rossi davanti ai video che arrivano dalla Palestina è: che succederà adesso? Se siamo sinceri, possiamo ammettere che non ne abbiamo troppo idea.

D’altronde non sembrano averla nemmeno gli attori in campo, che infatti, com’è evidente, sono sorpresi dagli effetti delle loro azioni, esitano e vanno a tentativi.

Abbiamo la consapevolezza di trovarci nel bel mezzo di una “frattura” storica, causata dalla modifica degli assetti tradizionali dell’imperialismo che abbiamo conosciuto sin’ora, non solo in Medioriente, ma a livello globale.

Ecco perché abbiamo bisogno di capire a fondo cosa sta succedendo, e cosa potrebbe succedere, per provare a intervenire e non assistere passivamente a un genocidio e perché gli effetti di ciò che si muove in queste ore ci riguardano direttamente.

Nelle prossime righe vogliamo provare a restituire un quadro della situazione che non si trova spesso sui media, una lettura delle dinamiche sociali e politiche in Palestina, e qualche indicazione su cosa possiamo fare noi e come bisogna muoversi a livello internazionale per far avanzare la causa dell’umanità in questi tempi di barbarie.

 

1. Capire l’eccezionalità del momento

Siamo davanti a uno di quei momenti in cui la Storia si fa. Questo è il primo punto che dobbiamo fissare. Anche se a molti può sembrare che a scorrere sia sempre lo stesso sangue, questa non è una situazione già vista, qualcosa che può essere gestito con gli strumenti tradizionali.

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perunsocialismodelXXI

Pulizia linguistica o pulizia etnica?

Note a margine di due articoli sulla guerra tra Israele e Palestina

di Carlo Formenti

Libro pegoraro.jpegQuesto non è un articolo sulla questione palestinese, tema che richiederebbe argomentazioni più complesse e approfondite di quelle contenute nelle seguenti righe, ma su un paio di equivoci semantici e mistificazioni ideologiche che governi, forze politiche e media occidentali utilizzano per giustificare in tutto o in parte la politica israeliana e per condannare senza se e senza ma la resistenza palestinese. A tal fine prenderò in esame due articoli apparsi il 20 ottobre, rispettivamente, su “Repubblica” e sul “Fatto quotidiano”. Userò il primo (Edgar Morin, “Respingere l’odio” pagina 41 di “Repubblica”) per ragionare su una mistificazione ideologica che, pur essendo stata a più riprese contestata, sembra assolutamente inscalfibile; userò invece il secondo (Marco Travaglio, “Pulizia linguistica”, articolo di fondo del “Fatto Quotidiano) per mettere in luce un equivoco semantico altrettanto radicato nel senso comune occidentale.

Nel suo scritto Edgar Morin solleva un interrogativo radicale che già molti prima di lui si sono (purtroppo inutilmente) posti: la maledizione di Auschwitz è il privilegio che giustifica ogni repressione israeliana? Per la quasi totalità dei politici e degli intellettuali occidentali la risposta è sì. Da un lato molti intellettuali ebrei, un tempo esponenti di una cultura universalista e progressista, sono progressivamente diventati più sensibili al destino di Israele piuttosto che a quello del resto del mondo, e hanno sostituito la Torah al Manifesto del partito comunista, dall’altro lato la totalità dei loro colleghi occidentali (politici, giornalisti, accademici, ecc.) sembrano portatori di un complesso di colpa collettivo per i genocidi provocati da secoli di antisemitismo, per cui appaiono disposti a giustificare tutte le scelte – anche le più scellerate e criminali – dello stato ebraico.

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comedonchisciotte.org

La cultura israeliana dell’inganno

di Chris Hedges

Israele, che cerca sempre di incolpare i palestinesi per le atrocità che compie, è la fonte meno attendibile per quanto riguarda il bombardamento dell'ospedale di Gaza

Tradimento.jpgIsraele è stato fondato sulla menzogna. La menzogna che il territorio palestinese fosse in gran parte non occupato. La menzogna che 750.000 palestinesi erano fuggiti dalle loro case e dai loro villaggi durante la pulizia etnica fatta dalle milizie sioniste nel 1948 perché così era stato detto loro dai leader arabi. La menzogna che erano stati gli eserciti arabi a scatenare la guerra del 1948 che aveva visto Israele impadronirsi del 78% della Palestina storica. La menzogna che Israele aveva rischiato di essere annientato nel 1967, cosa che lo aveva costretto a invadere e occupare il restante 22% della Palestina, oltre a territori appartenenti a Egitto e Siria.

Israele si sostiene con le bugie. La menzogna che Israele vuole una pace giusta ed equa e che sosterrà uno Stato palestinese. La menzogna che Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente. La menzogna che Israele è un “avamposto della civiltà occidentale in un mare di barbarie”. La menzogna che Israele rispetta le regole internazionali e i diritti umani.

Le atrocità di Israele contro i palestinesi vengono sempre esaltate con le bugie. Le ho sentite. Le ho registrate. Le ho pubblicate nei miei articoli per il New York Times quando ero capo ufficio del Medio Oriente.

Mi sono occupato di guerra per due decenni, compresi sette anni in Medio Oriente. Ho imparato molto sulle dimensioni e sulla letalità degli ordigni esplosivi. Non c’è nulla nell’arsenale di Hamas o della Jihad islamica che potrebbe anche lontanamente avvinarsi all’enorme potenza esplosiva del missile che ha ucciso circa 500 civili nell’ospedale arabo cristiano di al-Ahli a Gaza.

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lafionda

Il ritorno di Gaza al Medioevo, Israele e il sostegno dell’Occidente ai crimini contro l’umanità

di Alberto Bradanini

gazajy8uc.jpgDavanti alle tragedie in corso in Medio Oriente i popoli dovrebbero imporre ai loro governi il rispetto del criterio filosofico, prima ancora che politico, della logica dialettica: la critica – lo affermava anche Mao Zedong – va fatta prima, e non, comodamente, dopo che gli eventi hanno avuto corso[1].

In una sintetica riflessione, Jonathan Cook[2], audace analista britannico[3]  della Palestina, una terra dove ha trascorso vent’anni, getta uno sguardo dissonante su quanto accade. Va subito rilevato, tuttavia, che l’irriflessivo sostegno dell’Occidente alla politica di Israele, e alla distruzione di Gaza e dei suoi abitanti, costituisce il punto di caduta di fattori strutturali che meritano una preliminare attenzione.

Sia chiaro che nell’analisi che segue la religione non vi ha posto alcuno. La tragedia sofferta dal popolo ebraico nel secolo scorso per mano dei nazisti tedeschi (e non solo) resterà scolpita per sempre nella nostra memoria e nei nostri cuori. Tanto meno trova posto la nozione di etnia ebraica, anch’essa turpe manipolazione dei mestatori di un razzismo che si spera consegnato per sempre alla spazzatura della storia. Israeliani e Israele stanno dunque a designare i cittadini e lo stato da essi abitato, che persegue fini politici talvolta condivisibili, altre volte no. Quanto precede è banale, oltre che scontato, ma non si sa mai. Sono molti gli episodi di persone accusate di antisemitismo (che poi dovrebbe essere semmai antigiudaismo), per aver espresso critiche politiche allo stato di Israele.

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sinistra

La questione palestinese tra totem e tabù

di Alessandro Mantovani

questione palestinese origL’attacco palestinese contro il territorio israeliano iniziato il 6 ottobre è stato paragonato alla vittoria dei nativi indiani al Little Big Horn nel 18761. In questa similitudine, le brigate Ezzedin Al-Kassam legate ad Hamas e le altre formazioni militari della resistenza palestinese coinvolte nelle incursioni rappresentano i gloriosi guerrieri di Toro Seduto e di Cavallo Pazzo; Netanyahu e i vertici dell’esercito e dell’intelligence della Stella di David la stupida e razzista sottovalutazione dell’avversario da parte del generale Custer; l’operazione “Tempesta Al-Aqsa" una splendida vittoria incapace però di mutare la realtà di una sconfitta storica. Vediamo.

Si tratta in ogni caso di un episodio destinato a rimanere scolpito negli annali, e come tutti i fatti di tale portata, il colpo scoccato (non solo da Hamas, ma sotto la sua egemonia) pone problemi teorici e politici complessi, che richiedono un’analisi scevra di pregiudizi, e non limitata al presente.

Prevalgono invece, non è cosa nuova, forti emozioni, reazioni contrapposte e ricadute in totem e tabù. Da noi, in Occidente, al vomitevole coro mainstream contro i “terroristi” palestinesi e di solidarietà con lo Stato razzista e colonialista israeliano (e chi obietta è tacciato al minimo di anti semitismo!) si contrappone, nel ben più ristretto ambiente della sinistra “radicale”, il ritornello di appoggio “incondizionato” alla resistenza palestinese; dal quale si dissocia, nell’ambito di una sinistra ancor più minoritaria (e che si pretende più rivoluzionaria) l’altra litania, quella dell’indifferenza, che sdegna la rivendicazione nazionale palestinese perché “le questioni nazionali sono questioni borghesi”, buone tutt’al più, se mai lo furono, nelle rivoluzioni democratiche del passato capitalismo nascente, impossibili e superate ormai nell’epoca dell’imperialismo.

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lantidiplomatico

Nessuna “fine della storia” in Ucraina

di Scott Ritter* – ConsortiumNews

180903 r32687La visione trionfalista della democrazia liberale post-Guerra Fredda di Francis Fukuyama – pubblicata nel 1989 – aveva un grosso punto cieco. Ha omesso la storia.

“Quello a cui stiamo assistendo non è solo la fine della Guerra Fredda, o il superamento di un particolare periodo della storia del dopoguerra, ma la fine della storia in quanto tale: cioè, il punto finale dell’evoluzione ideologica dell’umanità e l’universalizzazione dell’Occidente, la democrazia liberale come forma finale di governo umano”.

Queste parole, sono state scritte dal politologo americano Francis Fukuyama, che nel 1989 pubblicò “The End of History”, un articolo che sconvolse il mondo accademico.

“La democrazia liberale”, scrive Fukuyama, “sostituisce il desiderio irrazionale di essere riconosciuto come maggiore degli altri con il desiderio razionale di essere riconosciuto come uguale”.

“Un mondo composto da democrazie liberali, quindi, dovrebbe avere molti meno incentivi per la guerra, dal momento che tutte le nazioni riconoscerebbero reciprocamente la legittimità delle altre. E in effetti, negli ultimi duecento anni esistono prove empiriche sostanziali del fatto che le democrazie liberali non si comportano in modo imperialistico le une verso le altre, anche se sono perfettamente in grado di entrare in guerra con stati che non sono democrazie e non ne condividono i valori fondamentali.“

Ma c'era un problema. Fukuyama ha continuato notando quanto segue:

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machina

Il rompicapo della ricomposizione dentro le rivolte della banlieue

Intervista ad Atanasio Bugliari Goggia

Schermata del 2023 09 24 17 32 29Frutto di una lunga ricerca sul campo, Atanasio Bugliari Goggia ha scritto, per i tipi di Ombrecorte, due importanti volumi sulle lotte e le organizzazioni politiche di banlieue. Dopo le rivolte di giugno è stato intervistato da diverse riviste e siti italiani, tuttavia abbiamo sentito ugualmente la necessità di interrogarlo per approfondire alcuni temi che ci sono sembrati trascurati e che invece riteniamo di primaria importanza: dal rapporto tra la composizione di classe delle rivolte e le organizzazioni politiche al problema della ricomposizione tra pezzi di proletariato metropolitano, separati da una linea del colore che alimenta le più feroci forme di razzismo. Nessuno possiede ed è in grado di praticare le soluzioni ai problemi discussi nell’intervista, tuttavia il nostro ospite ci offre un’importante indicazione: solo la forza delle lotte riesce a rendere appetibile la pratica della ricomposizione e a spezzare la linea del colore. Al contrario tutte le altre forme liberali di antirazzismo non fanno che confermare, anche se con un segno diverso, quella separazione che rappresenta il nostro principale problema politico. Con questa intervista inauguriamo, insieme alla sezione «vortex», un piccolo dossier sulla Francia in vista del dibattito con Louisa Yousfi, Houria Bouteldja e lo stesso Atanasio Bugliari Goggia, che si terrà a Bologna il 22 Settembre all’interno del «Festival Kritik 00» organizzato da Punto Input, Machina e DeriveApprodi.

* * * *

In altre interviste hai offerto una spiegazione delle rivolte inserendole nel quadro di crisi economica e sociale che ormai attanaglia da diversi lustri tutta l’Europa. È possibile individuare altri elementi che ci aiutino a comprendere il fenomeno? Ad esempio il tema dell’integrazione mi sembra un aspetto centrale, soprattutto in un paese come la Francia dove, tra le altre cose, esiste il diritto di suolo. Cosa ne pensi?

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lafionda

Una storia del conflitto politico

di Joseph Confavreux

Riceviamo e pubblichiamo volentieri la traduzione, a cura di Salvatore Palidda, di un recente articolo di Joseph Confavreux. Si tratta della recensione di «Une histoire du conflit politique», di Julia Cagé e Thomas Piketty, un libro ritenuto da più parti importante perché sfida la politologia con un approccio multidisciplinare assai poco praticato

arton10102.pngNelle librerie venerdì 8 settembre, Une histoire du conflit politique (Le Seuil), a cura di Julia Cagé e Thomas Piketty, è già ai vertici delle vendite di “saggistica”. Perché questa zona arida di geografia elettorale incontra un tale successo, anche se le sue conclusioni sono raramente controintuitive e la parte esigente del mondo della ricerca ne giudica molti degli elementi sintetizzati come già noti? La risposta è dovuta solo in parte alla notorietà dei suoi autori e ai meccanismi ben rodati di una promozione che riserva al gruppo Le Monde e a Radio France il diritto di rompere l’embargo prima della pubblicazione a cui sono chiamati a resistere altri giornalisti. Il successo di pubblico e mediatico del libro è dovuto soprattutto al fatto che sono pochi i ricercatori che sperano niente meno che trovare soluzioni concrete alle disfunzioni della democrazia francese, all’impasse della vita politica del paese e alle disuguaglianze che ne minano i contorni. Il lavoro estende spesso alcune analisi e proposte già sviluppate in Il capitale nel XXI secolo di Thomas Piketty (2018) e Il prezzo della democrazia di Julia Cagé (Baldini & Castoldi, 2020).

Ancora meno numerosi sono i ricercatori che sviluppano database tanto voluminosi quanto nuovi per supportare le loro dimostrazioni – pur disponendo delle risorse finanziarie e umane. Il lavoro di Cagé e Piketty, con il sito eccezionale per accessibilità ed esaustività ad esso allegato (unehistoireduconflitpolitique.fr), costituisce infatti uno strumento che talvolta va oltre quelli della statistica pubblica.

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sinistra

Gomblotto: come le fantasie di complotto alimentano il regime

di Luca Busca

qanonExcusatio non petita, accusatio manifesta

Chiedo venia per l’uso, peraltro occasionale, della prima persona singolare. In un articolo giornalistico questo espediente finisce per svilire la presunta oggettività che l’esposizione di una notizia dovrebbe restituire. Scrivere in prima persona colloca immediatamente l’opera nel mondo immaginario della fantasia o in quello reale dell’espressione di un opinione. Il secondo caso si avvicina molto alla narrazione che segue, racconto che tecnicamente sarebbe stato difficile realizzare in modo impersonale. In secondo luogo, in considerazione della lunghezza quello che segue assomiglia più a un piccolo saggio che a un articolo.

Ciò premesso, questo lavoro costituisce l’epilogo di due articoli da me scritti per Sinistrainrete (divide-et-impera-il-grande-complotto e una-dissidenza-dissennata-dissipa-il-dissenso) in cui esprimevo una forte incredulità in merito a come una larga fetta del dissenso, creato dalla scellerata gestione della pandemia prima e della guerra poi, si perdesse dietro “complottismi” palesemente inesistenti, screditando e indebolendo la diffusione della ribellione. Mi risultava del tutto incomprensibile come si potesse ancora negli anni ’20 del terzo millennio negare l’esistenza di una questione ambientale o, in altri casi, escluderne l’origine antropica per poi imputarla alle scie chimiche chiaramente generate dall’uomo, cadendo nella trappola della reductio ad unum dei cambiamenti climatici. Non ero in grado di decifrare la permanenza del complotto giudaico massonico e del potere occulto del “Deep State” nell’area critica nei confronti del pensiero unico neoliberista. Né come potesse sopravvivere quest’aura destrorsa, conservatrice, tradizionalista e fortemente cattolica in un movimento che si definiva “anticapitalista”.

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lantidiplomatico

“Sistema di credito sociale” cinese: tutte le menzogne e le ipocrisie dell'occidente

di Leonardo Sinigaglia

720x410c50jm9uiycrh.jpgSin dall’inizio del suo primo mandato a Segretario Generale del Partito Comunista Cinese, Xi Jinping diede grande attenzione al tema della legalità, sostenendo l’unità dialettica tra il processo globale di riforma e il rafforzamento dello Stato di diritto, una visione i cui riflessi si possono notare nella lotta alla corruzione, nel rafforzamento della disciplina e nell’impegno per regolamentare il mondo digitale. Pochi mesi dopo essere stato eletto Segretario Generale, parlando ad una sessione di studio dell’Ufficio Politico, affermò come “la costruzione di una società moderatamente prospera in ogni suo aspetto [avesse] reso più forte l’esigenza di un governo secondo la legge”, rendendo necessario ottenere “una legislazione più scientifica, un’applicazione più severa della legge, un potere giudiziario più giusto e una maggiore osservanza della legge da parte di tutti i cittadini” e promuovere “un controllo, un governo e un’amministrazione dello Stato basati sulla legge, [...] uno Stato, un governo e una società fondati sul diritto, al fine di creare una nuova situazione di Stato di diritto[1]. La difesa dei cittadini da arbitrio e abusi dei funzionari, dal potere delle tangenti e dall’incertezza di un diritto non codificato si qualificavano come parti integranti di quella prosperità comune che il Partito Comunista Cinese si prefiggeva di costruire, ma allo stesso tempo lo sviluppo del principio di legalità avrebbe anche sostenuto “il solido sviluppo economico e sociale del nostro paese e [aperto] più ampi spazi di sviluppo per il socialismo con caratteristiche cinesi"[2].

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lantidiplomatico

“Io capitano”, il film di Garrone, è un falso storico

di Michelangelo Severgnini

720x410c50ytjidhkmg.jpg“L'Oscar si vince con la bandiera a stelle e strisce, cambiando la realtà”.

Parafrasando la celebre frase di Mario Monicelli, potremmo dire: “Il Leone d’oro si vince con la bandiera blu stellata, cambiando la realtà”.

E che valga a questo punto di buon auspicio per la vittoria del Leone d’Oro per il film “Io Capitano” diretto da Matteo Garrone, se non altro.

In estrema sintesi questo lavoro è un falso storico, perché, ispirandosi alla realtà, la stravolge e soprattutto ne occulta i significati e i nessi reali che le danno forma e la riformula all’interno di una narrazione fiabesca, per altro ampiamente in voga già da un paio di decenni, che non è nemmeno edulcorazione: è puro depistaggio delle coscienze. A che pro? Al fine di lasciare tutto così com’è, per il compiacimento e la soddisfazione di Mamma Europa. 

Non sono nemmeno in grado di dare un giudizio estetico al film, perché non c’è corrispondenza tra scelte artistiche e significati espressi. Pertanto lo sfoggio estetico tutt’al più è un esercizio pirotecnico. L’arte è un’altra cosa.

Non sono nemmeno in grado di immaginare la reazione che provoca nello spettatore medio. I pochi spettatori presenti in sala del resto non mi hanno aiutato in questo: muti dall’inizio alla fine non mi sembra abbiano lasciato la sala delusi, ma nemmeno entusiasti.

Durante tutto il film appaiono qua e là spaccati realistici (segno che almeno qualcuno tra gli sceneggiatori ha fatto lo sforzo per informarsi), alternati a momenti verosimili per quanto improbabili e a lacune clamorose, personaggi della storia vera che nella storia finta non ci sono, spariti, come per effetto di un gioco di prestigio.

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domenico de simone

Ma che succede in Occidente? Perché sono diventati tutti stupidi?

di Domenico De Simone

Schermata del 2023 09 07 13 47 47.pngIl primo settembre di ogni anno in Russia si celebra la giornata della cultura e dell’istruzione. Con agosto finisce l’estate e ricomincia la scuola, e tornare a studiare è una festa. Deve essere una festa, perché conoscere, cercare, curiosare, imparare per tutta la vita, insomma il sapere, è una parte essenziale dell’umanità. La copertina del libro di Travaglio, “Scemi di guerra“, è emblematica del momento di follia generale che ha preso non solo l’Italia ma tutto l’Occidente. A proposito, consiglio vivamente di leggerlo, così come consiglio di leggere al contrario quello che viene scritto sulla guerra da media italiani, quasi tutti. Le notizie che passano, come di chiaramente Tucker Carlson in questa intervista, tradotta dall’Antidiplomatico, sono veline della disinformazione di matrice statunitense. Lui faceva il giornalista di denuncia con molto successo su Fox News, e alla fine hanno costretto l’emittente, nonostante la sua popolarità e i suoi numeri, a licenziarlo perché dava troppo fastidio al “Potere“. Carlson aggiunge che i poteri forti, quelli che contano davvero, non la marionetta Biden e il coro di minus habens che gli sta intorno, hanno già deciso di andare a fare la guerra alla Russia. E che stanno portando l’America e l’Occidente tutto alla rovina con decisioni ed azioni palesemente sbagliate e rovinose. A partire dal golpe in Ucraina del 2014, dalla decisione di mandare al potere una banda di pazzi violenti, pubblicamente e dichiaratamente nazisti, razzisti e guerrafondai, che stanno portando il popolo ucraino all’estinzione e la loro nazione alla dissoluzione. Scrivevo nel marzo del 2014 chi è stato realmente a fare il colpo di stato in Ucraina e quali fossero i reali interessi in gioco.

All’inizio della guerra facevo considerazioni sulle conseguenze economiche e politiche in palese controtendenza con il quasi unanime entusiasmo con cui era stato accolto l’invio di armi per distruggere i cattivi russi che intendevano impadronirsi del mondo. Raccontavo un’altra storia che si è in gran parte largamente verificata e il resto verrà in breve tempo.

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lantidiplomatico

Venezuela, la destra abbaia ma il popolo non la segue

di Geraldina Colotti

720x410c50moivgb.jpg“Se un cane morde un uomo non fa notizia, ma se un uomo morde un cane, sì”. La frase data del 1882, viene attribuita a John B. Bogart, caporedattore del New York Sun e viene solitamente citata nelle prime lezioni di giornalismo per introdurre i reporter al favoloso mondo dell’informazione modello nordamericano. Da quando, però, la storia, da scontro di interessi fra le classi è stata trasformata in “narrazione”, e l’informazione in una merce al servizio dei grandi oligopoli, che la gestiscono e frammentano nei centri di smistamento globale, il trucco è quello di trasformare i fatti in uno spettacolo da baraccone, occultandone l’origine e le cause, per costruire “matrici d’opinione”.

Il Venezuela, e prima ancora Cuba, esempio di resistenza e prospettiva generale, ne sono una prova: qualunque latrato, emesso ad uso mediatico dai personaggi agiti da Washington viene moltiplicato fino a sembrare, a seconda degli obiettivi – mostrare forza, commuovere o convincere - un ruggito, o il guaito di un animaletto perseguitato, o la canea minacciosa di una muta che attacca.

Lo schema si intensifica, in Venezuela, a ogni appuntamento elettorale. A cinquant’anni dal golpe in Cile dell’11 settembre 1973, l’imperialismo Usa la pensa ancora come Kissinger che così diceva qualche mese prima della vittoria di Allende alle elezioni del 1970: “Non vedo perché dobbiamo aspettare e permettere che un paese diventi comunista solo per l’irresponsabilità del suo popolo”. Un’”irresponsabilità” che il popolo venezuelano si è assunta da 25 anni, votando ripetutamente il socialismo bolivariano, e per questo continua a sopportare un assedio multiforme, tanto feroce quanto inutile, definito con il termine di “sanzioni”, ma che deve intendersi con quello di “misure coercitive unilaterali”.