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italiaeilmondo

Macerie e retorica

Tanti morti per niente

di Lee Slusher[1]

Traduciamo e pubblichiamo questa eccellente analisi della situazione militare in Ucraina, che comprende una previsione, più che condivisibile, di quali giustificazioni verranno date dalle dirigenze occidentali quando sarà inequivocabilmente chiara “la verità effettuale della cosa”[Roberto Buffagni]

articulos psicologia 860x280La guerra in Ucraina potrebbe prendere due direzioni. La prima l’ho descritta nel mio ultimo articolo, “Armageddon all’ora del dilettante”[2]. In questo caso, l’Occidente continuerebbe l’escalation fino al conflitto diretto con la Russia, che potrebbe sfociare in una guerra nucleare, nel qual caso tutte le scommesse sarebbero annullate. La seconda opzione è che la Russia vinca in modo abbastanza deciso da stabilire le condizioni per il completamento della guerra, sia attraverso una vittoria militare schiacciante sia forzando un accordo che soddisfi le richieste fondamentali di Mosca. Perché non ci sono altre opzioni? Considerate quanto segue, che ho scritto in una spiegazione dettagliata delle origini della guerra, solo pochi giorni dopo l’invasione russa del febbraio 2022[3]:

Per essere chiari, la Russia ha i mezzi per conquistare tutta l’Ucraina, anche usando solo forze convenzionali. La Russia potrebbe scatenare il suo esercito di un tempo e impiegare massicciamente un’artiglieria, seguita da masse di fanteria di massa e da masse di forze corazzate (carri armati). Un approccio di questo tipo aumenterebbe esponenzialmente le vittime militari e civili e distruggerebbe la maggior parte, se non tutte, le infrastrutture dell’Ucraina.

Tutto ciò rimane vero oggi, anche se quando ho scritto il brano, l’Occidente non si era ancora impegnato completamente in una guerra per procura con la Russia. All’epoca, i leader occidentali si aspettavano ancora che Kiev cadesse nel giro di pochi giorni e il governo statunitense aveva da poco offerto al Presidente Zelensky l’assistenza necessaria per lasciare il Paese. La situazione iniziò a cambiare, prima gradualmente e poi improvvisamente.

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effimera

Lotte di classe in Francia

di Maurizio Lazzarato

Pubblichiamo un articolo di Maurizio Lazzarato sulle mobilitazioni scoppiate in Francia a seguito della riforma del governo Macron sulle pensioni. L’analisi condotta da Lazzarato si muove lungo due direzioni: da un lato ci parla delle forme di espressione conflittuale, nel rapporto con il ciclo di lotte dei Gilet Jaunes, delle potenzialità ricompositive e dei limiti del movimento; dall’altro, ricomprende il ciclo di mobilitazioni nello scenario più ampio di ridefinizione degli equilibri tra le superpotenze a livello mondiale

rivoluzionevtghAndiamo subito al cuore del problema: dopo le enormi manifestazioni contro la «riforma» delle pensioni, il presidente Macron decide di «passare con la forza» (passer en force) esautorando il parlamento e imponendo la decisione sovrana di approvare la legge che porta da 62 a 64 l’età pensionabile. Nelle manifestazioni si è immediatamente risposto «anche noi passiamo con la forza». Tra volontà opposte, quella sovrana della macchina Stato-Capitale e quella di classe, decide la forza. Il compromesso capitale-lavoro è saltato dagli anni ‘70, ma la crisi finanziaria e la guerra, hanno ancora radicalizzato le condizioni dello scontro.

Cerchiamo di analizzare successivamente i due poli di questa relazione di potere fondata sulla forza nelle condizioni politiche successive al 2008 e al 2022.

 

Il marzo francese

Il movimento sembra aver colto il cambiamento di fase politica determinato prima dalla crisi finanziaria del 2008 e poi dalla guerra. Ha utilizzato molte delle forme di lotta che il proletariato francese ha sviluppato negli ultimi anni, tenendole insieme, articolando e legittimando di fatto le loro differenze. Alle lotte sindacali, con i loro cortei pacifici che si sono via via modificati, integrando componenti non salariali (il 23 marzo la presenza di giovani, di studenti universitari e liceali è stata massiccia), si sono aggiunte le manifestazioni «selvagge» che per giorni si sono sviluppate al calar della notte nelle strade della capitale e di altre grandi città (dove sono state anche più intense).

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poliscritture

Stretti Perigliosi

di Paolo Di Marco

navigazioni pericolose1- Qualche nota a partire dal dibattito Rovelli-Sofri

L’intervento di Rovelli sulla pagina FB di Sofri (qui) ha un tono molto pacato ed anche accorato, esprime concetti e riflessioni che potremmo dire di grande buonsenso e largamente condivisibili anche da chi ha sensibilità diverse.

D’altro tono la risposta di Sofri (qui), assai elaborata, studiata ad arte direi.

L’importante è quello che non dice: è un attento navigare in acque perigliose che impongono di evitare scogli imponenti ma invisibili, acque vorticose in agguato dietro i promontori.

Subito si scapola dal confronto equiparando il generale Mini a Putin. È più facile ricoprire l’avversario di pece e piume che non confutarlo, anche perché dio non volesse che nella confutazione potrebbero comparire delle finestre aperte su panorami inaspettati e scomodi.

E lo scoglio del ruolo degli USA viene ridotto a sineddoche: ‘anche Biden è stato colto di sorpresa dalla resistenza ucraina’ o si va per la tangente dello scoglio con ‘’io c’ero’: gli orrori del Daesh, le sofferenze dei civili in Siria; e con santa ingenuità si dimentica chi ha invaso l’Iraq e la Siria, la provetta agitata da Powell, i bombardamenti, le migliaia di civili uccisi a distanza dai droni; nessuno ha detto all’Ingenuo che il cuore dei combattenti del Daesh erano quello che restava delle truppe scelte di un esercito distrutto dagli americani (un esercito in fuga nel deserto, abbandonate le armi, asfissiato e bruciato vivo dalle bombe incendiarie buttate a mezza altezza ad aspirare tutto l’ossigeno), colla mezza luna a compiere lo stesso ruolo che per i predoni spagnoli in Messico aveva svolto la croce.

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lafionda

Macro(n)economia, ovvero il “Presidente dei Ricchi”

di Matteo Bortolon

cb5ee2e 18473 pdiak0.zxljp Nelle ultime settimane le proteste in Francia hanno riempito pagine e schermate dei media internazionali: la contestatissima controriforma delle pensioni del governo Borne ha suscitato svariati scioperi e le più partecipate proteste di piazza della recente storia francese, con le otto maggiori sigle sindacali unite come una falange macedone, mentre da parti opposte tanto l’alleanza di sinistra radicale NUPES di J-L. Mélenchon e il partito di Marine Le Pen danno una serrata battaglia parlamentare. I sondaggi indicano che il 74% della popolazione sarebbe favorevole ad una mozione di sfiducia che facesse crollare il governo. La repressione della polizia nelle piazze è violentissima e ricorda la scriteriata gestione dell’ordine pubblico contro i Gilet Gialli del pre-Covid, allarmando il Consiglio d’Europa; se un qualsiasi governo nemico del blocco euroatlantico avesse fatto solo la metà di simili le potenze occidentali avrebbero già chiesto le dimissioni del vertice politico.

A questo si aggiunge la prova di forza voluta da Macron: l’approvazione della riforma in base ad un articolo della Costituzione (art. 49, c. 3) che consente di oltrepassare totalmente il Parlamento nel rifiuto di una minima interlocuzione con i rappresentati sindacali. Una cosi altezzosa indifferenza verso l’opinione pubblica ha suscitato ire selvagge ed è difficile pensare che possa essere riassorbita a breve. Ma non si tratta di una storia nuva.

Questa è solo l’ennesima puntata di un copione che inizia ad andare in scena quasi immediatamente dopo la prima elezione di Macron, che ha messo in cantiere una serie di riforme favorevoli ai ceti abbienti e totalmente funzionali al disegno neoliberale da venir bollato col meritatissimo epiteto di “Presidente dei Ricchi”.

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gasparenevola

Sfiducia e protesta nelle democrazie sotto-sopra

di Gaspare Nevola

13485809 2e04 4c2a aa8f fd098bdad37c1. In Italia la sfiducia deborda. In Francia esplode la protesta. Scontro sociale sotto la cenere?

Ah i sondaggi… Valgono quel che valgono, pochi dubbi. Ma (per quel che valgono, se valgono) valgono tanto nei giorni dispari, quanto in quelli pari: al di là del colore delle lenti con le quali ciascuno guarda il mondo. Un recentissimo sondaggio d’opinione dell’IPSOS-Italia[1] dedicato alla (s)fiducia nelle banche in Italia all’indomani del crack prima della Valley Silicon Bank, poi del Credit Suisse, mostra una forte mancanza di fiducia dei cittadini, sfiducia via via alimentata negli ultimi anni dalla pandemia da Covid e dalla sua gestione, dalla guerra russo-ucraina e dal coinvolgimento dell’Occidente, dell’Europa e dell’Italia, dal caro energetico, dall’aumento dell’inflazione e del costo del denaro, dalla lievitazione dei mutui.

Nel presentare pubblicamente i risultati dell’indagine[2], il direttore scientifico dell’IPSOS-Italia, Enzo Risso[3], ha sottolineato che la forte e galoppante sfiducia colpisce un po’ tutta la classe dirigente: riguarda banche, istituti di credito, Banca Centrale Europea, manager, imprenditori, ceto politico, inclusi “esperti” e operatori dell’informazione e delle comunicazioni di massa. Secondo il 75% delle persone che hanno risposto al sondaggio, coloro che operano all’interno del sistema dirigente “non comprendono la difficoltà della vita reale della gente comune”; per questo 75%, inoltre, che coloro che hanno la responsabilità di regolare il funzionamento della società e di risolvere i problemi collettivi (e in primis quelli delle fasce sociali più deboli) scaricano le inefficienze e l’inefficacia del sistema da essi governato sulle persone comuni, sui consumatori, sulle famiglie.

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resistenze1

Il fascismo non è un fiume carsico, scorre da anni alla luce del sole.

di Enzo Pellegrin

Schermata del 2023 04 08 14 09 54Recentemente, in un efficace articolo, il prof. Angelo D'Orsi ha avuto modo di soffermarsi sulle ultime esternazioni dei governanti italiani sulla strage delle Fosse Ardeatine e sull'atto di guerra messo a segno dai GAP romani in via Rasella. L'articolo può essere letto qui.

Bene fa lo storico a ricordare la polemica tra De Felice e Bobbio. Il primo, impegnato a demolire il contributo della Resistenza alla genesi storica dell'Italia democratica, ha sempre insistentemente insinuato l'idea che fascisti e antifascisti fossero minoranze impegnate a difendere in buona fede una fede politica. Nel mezzo ci sarebbe stata la maggioranza degli italiani, che si "trovarono" dall'una o dall'altra parte, quasi per caso, per necessità o bisogno. Terribile è il bisogno. A questo artefatto, Bobbio semplicemente rispose che, se avessero vinto i primi, una discussione del genere manco si sarebbe potuta tenere, senza finire in guardina.

Non è però possibile negare che l'insinuazione di De Felice non abbia avuto fortuna egemonica. Essa è stata anzi veicolata anche all'interno di certa sinistra "democratica", con sfrontata nonchalance e benedizione istituzionale.

La lista è lunga e D'Orsi ne fa buoni esempi: Giampaolo Pansa e la sua rancorosa campagna antipartigiana, il saluto ai "ragazzi di Salò" del postcomunista Violante, per giungere alle ultime gesta del "Partito Democratico". Quest'ultimo è da anni impegnato nel servire un autoritarismo non così differente da quello del ventennio, nel rapporto con gli altri popoli del globo: lo stivale del Patto Nord Atlantico e dell'Unione Europea, strumenti antisovietici e antieuropei che gli USA imposero per tutelare i propri interessi.

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doppiozero

Parigi: convergenza di rabbie e di lotte

di Andrea Inglese

macronInsurrezione per motivi meschini

Secondo certa sinistra ben addottrinata, una contestazione radicale di un governo in carica, con tanto di scioperi, blocchi stradali, manifestazioni non autorizzate e altre azioni di disubbidienza civile dovrebbe essere motivata da altissimi e umanistici principi, non certo dall’aumento del prezzo del carburante, in conseguenza per altro di una virtuosa carbon tax. Invece è proprio ciò che ha costituito l’innesco di uno dei più ampi, spontanei e determinati movimenti di contestazione politica del XXI secolo almeno in Europa, ossia il movimento francese dei “gilet gialli”. Non si può parlare di quanto accade oggi, senza ricordarsi di quanto accadeva nelle piazze francesi prima che l’epidemia di Covid-19 congelasse non solo le proteste, ma la vita intera di tutti noi europei. Dal novembre 2018 al giugno 2019, i gilet gialli non cessarono, autorizzati o meno, di protestare contro il governo Macron, sia con grandi manifestazioni a Parigi sia con una moltitudine di azioni sulle rotatorie ovunque nel paese. Le loro rivendicazioni apparentemente meschine e anti-ecologiche si rivelarono rapidamente di tutt’altra natura, riportando la questione dell’eguaglianza sociale e della rappresentanza democratica al centro della scena pubblica, senza ignorare il contesto della crisi climatica, ben percepito come orizzonte ormai ineludibile di ogni controversia politica.

È indubbio che tale movimento fosse di difficile decifrazione rispetto alle opzioni politiche circolanti: la loro identità di classe era incerta, le loro rivendicazioni contraddittorie, la loro storia politica inesistente: non volevano partiti, né leader, né sindacati alla testa dei loro cortei.

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lafionda

Tedeschi al fronte

di Wolfgang Streeck

0f48fbf2d5c3fe7a0edc3052db80179a kK6H U3330372689611xwB 656x492Corriere Web SezioniSecondo la Legge di Hofstadter, ovviamente derivante da quella di Murphy, “tutto richiede più tempo di quanto pensi”. L’anno scorso il primo a conoscerla in grande stile è stato il signore della guerra russo, Putin, che ovviamente avrebbe potuto risparmiarsi lo shock seguendo le indicazioni di Trotsky e Mao Zedong e dedicando un po’ di tempo alla lettura di Clausewitz. Non essendo riuscito a conquistare Kiev con la sua Operazione Militare Speciale – programmata per concludersi nel giro di una o due settimane per porre fine una volta per tutte al fascismo endogeno e all’occidentalismo esogeno dell’Ucraina – Putin ha dovuto affrontare la spiacevole prospettiva di un’operazione su vasta scala, una guerra di durata indefinita, non solo con l’Ucraina ma anche, in un modo o nell’altro, con gli Stati Uniti.

Meno di un anno dopo, una simile rivelazione l’ebbe il suo omologo americano, Biden. Nessuna vittoria ucraina all’orizzonte e la raffica di sanzioni economiche contro la Russia e contro gli oligarchi amici di Putin, sorprendentemente, non avevano compromesso la capacità russa di mantenere il Donbass e la penisola di Crimea. Le elezioni di medio termine del novembre 2022, in cui i Democratici hanno perso la maggioranza alla Camera, hanno inequivocabilmente messo in evidenza che la disponibilità dell’elettorato americano a finanziare l’avventura Biden-Blinken-Sullivan-Nuland è tutt’altro che illimitata. In effetti, la guerra di logoramento senza fine che sta prendendo forma ora è sempre più vista come un potenziale problema per le elezioni presidenziali del 2024.

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jacobin

Un paese che si solleva

di Frédéric Lordon

Per fare dell’insurrezione francese un mezzo e non un fine, dice Frédéric Lordon, occorre formulare un desiderio politico positivo in cui la forza del numero possa riconoscersi

francia2 jacobin italia 1536x560Lunedì 20 marzo, le prime pagine della stampa francese sono tutte dedicate all’eccitazione per una mozione di sfiducia, a contare i deputati che potrebbero votarla, a soppesare le possibilità, a prevedere gli assetti futuri, a fare la parte degli informati – che delizia il giornalismo politico: un passaporto per l’inanità politica.

Nel frattempo, insorta con tutta la sua forza, la politica si è impadronita del paese. Uno sciame di iniziative spontanee si dirama da tutte le parti – scioperi senza preavviso, blocchi stradali, tumulti o semplici manifs sauvages, assemblee studentesche ovunque, l’energia dei giovani a Place de la Concorde, per strada. Tutti si sentono sui carboni ardenti, le loro gambe sono impazienti – impazienti, certo, ma non delle sciocchezze che appassionano i ristretti circoli dell’intellighenzia parigina. I circoli, paradossalmente, sono simili ai vertici. Come i giornalisti, che restano incollati a Macron e a Élisabeth Borne, hanno una cosa in comune: gli uni come gli altri ignorano ciò che sta realmente accadendo, vale a dire l’ebollizione del paese.

È bello quello che succede quando l’ordine costituito comincia a deragliare. Piccolezze inaudite, che rompono l’isolamento rassegnato e l’atomizzazione su cui i potenti fondano il loro potere. Ed ecco che i contadini portano ceste di verdure ai ferrovieri in sciopero; un ristoratore libanese distribuisce falafel ai manifestanti sequestrati dalle «nasses» poliziesche [l’accerchiamento dei manifestanti, Ndt]; studenti e studentesse che si uniscono ai picchetti; e presto vedremo anche i cittadini aprire le loro porte per proteggere i manifestanti dalla polizia.

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lantidiplomatico

Litvinenko, Skripal e tutti i buchi nell'acqua nel criminalizzare Putin

di Francesco Santoianni

720x410c50mt5rsdyuUno stinco di santo certamente non è visto che per anni ha diretto l’efferato FSB (ex KGB). Ma da questo ad inventarsi una serie pressoché infinita di fake news contro di lui ce ne corre. Ci riferiamo a Vladimir Putin in questi giorni incriminato come criminale di guerra dopo una “inchiesta” che non si regge in piedi (nonostante il vergognoso articolo de “il manifesto”) ma che, come tante altre contro di lui, servirà a cementare nell’opinione pubblica la leggenda di un mostro del quale sbarazzarsi al più presto.

Come l’essere il mandante dell’omicidio (7 ottobre 2006) di Anna Politkovskaja, una tra i tanti giornalisti uccisi in Russia in quegli anni, autrice di innumerevoli denunce, soprattutto contro gli oligarchi imperanti in Russia, ma che, solo per aver scritto qualche articolo anche sulla guerra in Cecenia, oggi viene universalmente ricordata come una “vittima di Putin.” Ma su cosa si basano le tante accuse contro Putin? Per quanto riguarda la Politkovskaja molte inchieste giornalistiche condotte in questi anni e lo stesso processo contro i suoi presunti killer non sono approdati a nulla. Certo. Le indagini giudiziarie sono state svolte dall’apparato investigativo della Federazione Russa; ma quali prove sarebbero emerse per altri crimini addebitati a Putin verificatisi in Occidente? Limitiamoci ad esaminarne due: il presunto avvelenamento, tramite Polonio, del “dissidente russo” Litvinenko e quello degli Skripal, avvenuto tramite il fantomatico Novichock.

Il 23 novembre 2006 muore in una clinica di Londra Aleksandr Litvinenko, ufficialmente per aver ingerito Polonio 210; la stessa sostanza che sarebbe stata usata per l’omicidio del leader palestinese Yasser Arafat.

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giubberosse

Il "cover-up"

di Seymour Hersh

Seymour Hersh sostiene che l’amministrazione Biden continua a nascondere la sua reale responsabilità nel sabotaggio dei gasdotti Nordstream e che gli articoli del New York Times e Die Zeit (in cui si suggerisce il coinvolgimento di un non meglio identificato gruppo filo-ucraino) è solo un goffo tentativo di depistaggio ispirato dalla CIA. En passant, Hersh aggiunge che il governo Scholz ha contribuito alla copertura dell’operazione americana, anche se per il momento non fornisce ulteriori dettagli.

1d1054b2 52df 4764 8594 b39e950f4291 1322x876Sono passate sei settimane da quando ho pubblicato un articolo, basato su fonti anonime, che definisce il presidente Joe Biden come il funzionario che ha ordinato la misteriosa distruzione lo scorso settembre del Nord Stream 2, un nuovo gasdotto da 11 miliardi di dollari che avrebbe dovuto raddoppiare il volume di gas naturale consegnato dalla Russia alla Germania. La storia ha preso piede in Germania e nell’Europa occidentale, ma è stata soggetta a un quasi blackout dei media negli Stati Uniti. Due settimane fa, dopo una visita del cancelliere tedesco Olaf Scholz a Washington, le agenzie di intelligence statunitensi e tedesche hanno tentato di aggravare il blackout fornendo al New York Times e al settimanale tedesco Die Zeit false storie di copertura per contrastare il rapporto secondo cui Biden e agenti statunitensi sarebbero responsabili della distruzione degli oleodotti.

Gli assistenti stampa della Casa Bianca e della Central Intelligence Agency hanno costantemente negato che l’America fosse responsabile dell’esplosione dei gasdotti e quelle smentite pro forma sono state più che sufficienti per il corpo della stampa della Casa Bianca. Non ci sono prove che un giornalista assegnato lì abbia ancora chiesto all’addetto stampa della Casa Bianca se Biden abbia fatto ciò che qualsiasi leader serio avrebbe fatto al suo posto: “incaricare” formalmente la comunità dell’intelligence americana di condurre un’indagine approfondita, con tutte le sue risorse, e scoprire solo chi aveva compiuto l’atto nel Mar Baltico.

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gasparenevola

Democrazia, parola fatata. In festa tra Presa della Bastiglia e Crollo del Muro

Polittico, con stella e convitato di pietra

di Gaspare Nevola

bastiglia«Non pensate quello che io so che state pensando… Io lo so che state pensando…
Se vi ho adunato qua, c’è una ragione..
Eh… la democrazia… La democrazia…
Questa parola, questa parola fatata…
Questa parola di luce… questa parola alluminta…
Questo lampadario di parola
Che il mondo dice…
Uomini con tanto di barba che parlano di questa democrazia…
Cos’è? Eh… Cos’è questa democrazia?
Questa democrazia, dice…
No… non è vero… Sì… dice…
Eh, io capisco… voi adesso dite, adesso tu perché sei… e noi siamo… sai
Eh no, cari amici»
(Peppino de Filippo, I casi sono due. Scena: “La democrazia”. Autore: Armando Curcio. Portata in teatro da Peppino de Filippo dal 1945. Edizione televisiva del 1959)

PANNELLO I

Il 1989 e il “crollo” del Muro di Berlino sono simboli del nostro tempo. Simboli di una trasformazione del mondo e di una modernità politica incerta e disorientata. Il 1989 e il “crollo del Muro” sono eventi che, invero, si inscrivono in un lungo processo storico e nei suoi effetti, i quali hanno disegnato il mondo in cui viviamo. Sebbene la cultura politica dominante fatichi tutt’ora a coglierne significato e portata politica, con le debite proporzioni il 1989 richiama un’altra data simbolica che solitamente ci viene alla mente quando pensiamo alla politica nelle società moderne-contemporanee: una data giusto di due secoli più vecchia, il 1789 della Rivoluzione francese e della travagliata nascita della “democrazia dei moderni” –-quella rivoluzione alla luce della quale (nel bene e nel male) definiamo le democrazie contemporanee come “liberal-democrazie costituzionali rappresentative di massa”.

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sinistra

La piega interna della democrazia

Il caso Assange*

di Antonio Martone

assangebyhIntroduzione

È del tutto ovvio ribadire che, in democrazia, uno dei diritti principali dei cittadini sia la libertà di espressione. Tale diritto, peraltro, è sancito dalle costituzioni e dunque sembrerebbe inutile discuterne. È altrettanto ovvio che, nella libertà di espressione, rientri a pieno titolo il diritto di pubblicare notizie di interesse comune. Quando accade che, come nel caso delle inchieste e dei processi che si sono accaniti contro il giornalista australiano Julian Assange, tutto ciò è patentemente violato, non c’è dubbio che vada denunciato senza indugio.

La contraddizione espressa dai sistemi politici euro-americani quanto al caso Assange, tuttavia, non si può liquidare facilmente come una violazione, pur clamorosa, delle regole libertarie di cui questi stessi sistemi si fanno sostenitori. In realtà, occorre analizzare a fondo le disavventure capitate ad Assange e ai giornalisti di WikiLeaks, di cui peraltro non abbiamo ancora visto l’epilogo, analizzandole dal punto di vista filosofico-politico. In altre parole, credo sia estremamente importante, ed anche urgente, interrogare questa triste vicenda, chiedendoci anzitutto come mai sia potuto accadere un “caso Assange” nel cuore delle liberal-democrazie contemporanee. Insomma, quali sono i motivi per i quali sistemi di potere che si autodefiniscono “democratici”, e che garantiscono la libertà di espressione a partire già dalle carte costituzionali, si ostinano nel perseguitare un giornalista che ha pubblicato notizie capaci di far luce – con documenti inoppugnabili, verificati e mai smentiti - non sull’attività di privati ma sull’azione di uno Stato o quelle di persone che incarnano le Istituzioni.

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sinistra

La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi

di Vittorio Stano

lista 480x512 consiglio2“Riassumiamo in quattro parole il patto sociale tra i due Stati. Voi avete bisogno di me, perché io sono ricco e voi siete poveri; facciamo dunque un accordo tra noi: io vi permetterò che voi abbiate l’onore di servirmi, a condizione che voi mi diate il poco che vi resta per la pena che io mi prenderò di comandarvi.”

Jean Jaques Rousseau, Discorso sull’economia politica (1755)

Negli ultimi 50anni si è compiuta una gigantesca rivoluzione dei ricchi contro i poveri, dei governanti contro i governati. Dai birrifici del Colorado, ai miliardari del Midwest, alle facoltà di Harvard, ai premi Nobel di Stoccolma, Marco d’Eramo (1) con il suo libro “Dominio” ci guida nei luoghi dove questa sedizione è stata pensata, pianificata, finanziata.

Di una vera e propria guerra si è trattato, anche se è stata combattuta senza che noi ce ne accorgessimo. La rivolta dall’alto contro il basso ha investito tutti i terreni, non solo l’economia e il lavoro, ma anche la giustizia, l’istruzione: ha stravolto l’idea che ci facciamo della società, della famiglia, di noi stessi.

Ha sfruttato ogni crisi, tsunami, attentato, recessione, pandemia. Ha usato qualunque arma, dalla rivoluzione informatica, alla tecnologia del debito. Insorgere contro questo dominio sembra una bizzarria patetica e tale resterà se non impariamo da chi continua a sconfiggerci. Il lavoro da fare è immenso, titanico, da mettere spavento. Ma ricordiamoci: nel 1947 i fautori del neoliberismo dovevano quasi riunirsi in clandestinità, sembravano predicare nel deserto. Proprio come noi ora.

Questa guerra bisogna raccontarla partendo dagli Stati Uniti perché sono l’impero della nostra epoca e gli altri paesi occidentali sono loro sudditi. Uno degli effetti della vittoria che i ricchi hanno conseguito è stato di renderci ignari della nostra sudditanza e di annebbiare la percezione delle relazioni di potere: meno male che è arrivato Trump a ricordarci la sopraffazione, la protervia, la crudezza in ogni dominio imperiale.

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iltascabile

Francesco, l’ultimo papa

Un bilancio dei primi dieci anni di pontificato di Bergoglio, tra riforme e timori di scisma, innovazioni e limiti

di Roberto Paura

97CEA553 CF6F 4BC5 95AE 15423BC65FEA 1440x708Un “pontificato breve”: così papa Francesco se lo immaginava e lo annunciava all’apertura dell’anno giubilare straordinario del 2015, poco meno di due anni dopo l’elezione. E la scelta di proclamare un giubileo straordinario dedicato al tema della “misericordia” tradiva la convinzione di non poter aspettare il 2025, anno giubilare ordinario. Breve era stato del resto il pontificato di Giovanni XXIII, che pure in meno di cinque anni aveva segnato una discontinuità radicale con il passato e inaugurato quel Concilio che avrebbe cambiato per sempre la Chiesa cattolica. Invece, contro molte aspettative, Francesco varca ora i dieci anni di pontificato: un tagliando importante, di bilanci – se ne leggono molti in giro – che cade in un anno particolare, il primo dopo la morte di Benedetto XVI, che mette fine all’ambigua e polarizzante questione dei “due papi”.

La sua elezione fu una sorpresa per tutti. Dopo essere stato per un paio di giorni il riluttante frontman degli anti-ratzingeriani al conclave del 2005, Bergoglio se ne era tornato in Argentina senza mettere in alcun conto una seconda possibilità. Ma le dimissioni sconcertanti di Benedetto XVI avevano rimesso tutto in discussione. Innanzitutto, si erano verificate talmente “a ciel sereno” – come dichiarerà a bruciapelo un istante dopo allo stesso papa il decano Angelo Sodano – che nessuno era preparato a immaginarne la successione. Lo stesso Ratzinger, che sperava di vedergli succedere Angelo Scola, era troppo esausto in quei giorni per provare a imporlo al collegio cardinalizio. Ma in secondo luogo, e soprattutto, le dimissioni di Benedetto XVI sancirono platealmente la sconfitta della sua linea.