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megachip

Da Nizza alla Turchia. Fatti che attendono parole

di Piotr

'Incanalano' piani pensati in autonomia da altri'? Chiudono strade, ne aprono altre, come a dirigere il traffico. Chi dirige il traffico non conduce le auto

terrorismo 259956Essendo ogni atto di terrorismo, per definizione, una "operazione segreta", dopo una strage come quella di Nizza si può solamente navigare da un'ipotesi all'altra.

Noi Italiani dovremmo saperlo bene. Nel nostro paese fra la strage del 1969 di Piazza Fontana a Milano e quella alla stazione di Bologna del 1980 abbiamo avuto un decennio abbondante di attentati, che misteriosi rimangono sotto molteplici aspetti anche dopo decine d'anni d'inchieste, controinchieste, rivelazioni e processi.

All'epoca la strage di Piazza Fontana fu "svelata" grazie al Movimento Studentesco milanese e poi a Lotta Continua. Il Movimento intuì subito che era una "strage di Stato". Intuizione giustissima anche se capimmo solo una parte delle sue implicazioni.

Qualcuno recentemente per arginare democraticamente il terrorismo ha proposto di riappropriarsi della cultura politica di Longo e Berlinguer. Non voglio intervenire più di tanto in questo dibattito, ma devo ricordare che il termine "strage di Stato" fu sempre considerato una sorta di bestemmia dal PCI. L'avvocato Alberto Malagugini, deputato comunista e difensore di Pietro Valpreda, la "belva umana", l'anarchico che fu subito indicato da Polizia e mass media come l'autore della strage, ragionando sui documenti processuali scrisse nell'aprile 1976 un articolo su "Rinascita", la prestigiosa rivista del PCI, intitolato proprio "Dunque la strage era di Stato". Non lo avesse mai fatto. Fu giubilato dal suo partito, mandato via dal Parlamento e messo in naftalina alla Corte Costituzionale.

Durante le assemblee per mettere in crisi gli oratori del PCI ci bastava una domanda, una domanda trabocchetto che tenevamo in serbo alla fine dei loro interventi: "Ma Valpreda è innocente, sì o no?". L'imbarazzo era assicurato e questo imbarazzo, con le sue opacità, non contribuiva certamente alla difesa partecipata e militante della democrazia.

Il Movimento svelò dunque, letteralmente contro tutto e contro tutti (compresi duri scontri con la polizia a cadenza quasi settimanale) molto di ciò che stava dietro la prima strage italiana del dopoguerra. Tuttavia ne fu svelata solo una parte, quella di "classe", che era il nostro quasi unico orizzonte di riferimento, semplice e adamantino. 

La sera stessa della strage, in Statale fu convocata un'assemblea dove immediatamente si parlò di provocazione padronale e di destra. Bisogna ricordare che nemmeno un mese prima davanti al Teatro Lirico, a pochissima distanza da Piazza Fontana e dalla Statale, la polizia aveva aggredito gli operai che uscivano da un'assembla sindacale. Il Movimento Studentesco era corso in aiuto degli operai e ne erano nati furiosi scontri nei quali morì l'agente Annarumma. Si seppe poi che morì incidentalmente, ma per anni si insistette sulla tesi di un palo lanciato da un manifestante (in realtà i medici legali capirono subito che non era vero, ma parlarono pubblicamente solo anni dopo).

Questo era il clima politico e militante di quegli anni e quella dunque, per molti anni a venire, fu la nostra interpretazione di quell'attentato stragista: un attacco alle lotte popolari e operaie iniziate nel 1968-1969.

Che ci fosse Gladio, non lo sapevamo. Intuivamo ideologicamente che il capitalismo italiano era legato subalternamente a quello imperiale statunitense, che all'epoca conduceva la guerra nel Vietnam, ma non avevamo in realtà una vera idea degli interessi geopolitici in gioco.

Certo, sapevamo, o per lo meno ci immaginavamo, che le lotte avrebbero potuto portare il PCI alla maggioranza e che questo non era ammissibile per gli Usa e per la Nato. Ma consideravamo l'Unione Sovietica "revisionista" se non addirittura "social-imperialista". Il nostro cuore batteva per la Cina della Rivoluzione Culturale, per Ho Chi Minh (che però amava molto più la Russia della Cina) e per i Vietcong. Per una "questione di classe". Che dal punto di vista geostrategico degli Stati Uniti il nostro "tifo ideologico internazionale" fosse del tutto irrilevante e incoerente se non ridicolo, non ci passava per la testa. Pensavamo seriamente che il loro unico obiettivo era come sfruttare meglio i popoli, una semplice estensione del conflitto lavoro-capitale.

Non ci veniva in mente che l'accumulazione capitalistica e i rapporti di classe fossero qualcosa di molto, di immensamente più complesso, e implicavano alleanze, disalleanze, incontri e scontri internazionali, col loro corredo di contraddizioni, di cose poco chiare, di processi opachi. Col senno di poi era però ben strano che si pensasse che Marx ed Engels avessero scritto migliaia e migliaia di pagine, alcune veramente complicate, solo per dire che alla fine l'unica cosa che contava e a cui pensare era il conflitto operaio-padrone.

Ad ogni modo ci pensò Enrico Berlinguer nel 1976 a farci capire che la nostra era solo immaginazione, con la sua famosa apertura alla Nato. Questa apertura avvenne proprio nel bel mezzo del decennio della "strategia della tensione" (e tre anni dopo il golpe in Cile).

Due anni più tardi venne rapito Aldo Moro. Iniziò un nuovo mistero e nuove ipotesi videro la luce: chi erano le Brigate Rosse? Erano genuine? Erano manovrate? O le loro azioni erano semplicemente sfruttate politicamente da altri?

E, di nuovo, nel bel mezzo del sequestro Moro ecco che Giorgio Napolitano è invitato a tenere conferenze in prestigiose università degli Stati Uniti, in quanto responsabile economico del PCI. Oggi si sa che negli States fece anche dell'altro, cioè iniziò a tessere la tela per accreditare il PCI come attendibile ricambio politico in Italia.

Otto anni dopo, il "favourite communist" di Henry Kissinger fece passare nel PCI la linea della "piena fedeltà e lealtà agli Usa e alla Nato". Nel frattempo era scoppiata la guerra civile in Afghanistan con successivo intervento sovietico.

Di tutte queste vicende noi, come si è detto, vedevamo prevalentemente i risvolti e le ricadute "di classe". Le manovre geopolitiche ci importavano poco e solo fino a un certo punto. Oggi sappiamo che sotto c'era invece molto di più. C'erano ad esempio Gladio, i rapporti internazionali, gli scontri geopolitici che la crisi sistemica stava facendo maturare. Tutta una realtà connessa ai processi di accumulazione del capitale da numerosi e intrecciati fili che non credo siano stati nemmeno adesso dipanati. Anche perché per dipanarli occorre tenere metodologicamente distinti il Potere Politico Territoriale e il Potere Economico, i loro obiettivi, i loro strumenti e le loro logiche. Una distinzione che non è mai entrata nella testa della stragrande maggioranza dei marxisti. Curiosamente, perché Marx fa coincidere la nascita del modo di produzione capitalistico, in contrasto con quello feudale, proprio dalla scissione tra Potere del Territorio e Potere Economico (detto incidentalmente, una versione artificiale e opportunistica di quella distinzione, che è scientifica, fu in quegli anni la teoria della "autonomia del politico" che doveva fungere da viatico teorico del Compromesso Storico, che abortì in un battibaleno).

Tornando a Nizza, un effetto di quella strage può sicuramente essere il tentativo di assopire le lotte popolari conto la Loi Travail e aumentare la dose di "stato di sicurezza". Ma non sono per nulla sicuro che questo sia stato l'obiettivo principale dell'attentato, come alcuni sostengono.

Purtroppo non abbiamo mai messo a punto una griglia metodologica che ci permetta di spuntare ciò che è certo, ciò che è probabile e infine ciò che è ipotizzabile e i conflitti tra le ipotesi plausibili.

Ad esempio, occorre distinguere tra "possibilità di sfruttamento politico" di un evento e il suo "accadimento". Chi programma un evento può non coincidere con chi lo sfrutta.

Non solo, le élite non sono compatte, né all'interno di una nazione né rispetto ai loro punti di riferimento internazionali. E può capitare che la forza di un movimento popolare possa ampliare differenze, rancori, gelosie, sospetti.

Si pensi ancora alla sequenza di eventi della fine del 1969 a Milano.

L'allora presidente della Repubblica, il socialdemocratico Giuseppe Saragat, già elemento di spicco della Resistenza e del Partito Socialista assieme a Nenni e Pertini, in combutta con ambienti atlantici voleva sfruttare quella sequenza per proclamare lo Stato di Emergenza. Fu bloccato dal Presidente del Consiglio, Mariano Rumor, un democristiano antifascista di centro (un "doroteo"), che saggiamente temeva che con un partito comunista fortissimo, sindacati riunificati e sul piede di guerra e un movimento studentesco montante, lo Stato di Emergenza avrebbe potuto scatenare una guerra civile.

Non abbiamo nemmeno una metodologia per inquadrare le ipotesi su chi esegue, come esegue e perché esegue.

Ci può essere un rapporto diretto mandante-killer, in cui il mandante può sfruttare leve diverse (soldi, ideologia, ricatti). Ma in alcuni casi credo che sia possibile "incanalare" piani pensati in autonomia da altri. Si chiudono alcune strade, se ne aprono altre, come quando si dirige il traffico. E chi dirige il traffico non è il conducente: quello pensa di andare dove vuole lui, magari in modo arzigogolato.

Siamo in un'epoca in cui regna sovrana l'eterogenesi dei fini, come diceva Giambattista Vico. Dove varie linee di forza si compongono spesso in una risultante che non era né prevista né voluta da nessuno e che però tutti vorranno sfruttare, cavalcare.

Il 30 giugno il Collettivo Pixel aveva scritto su Megachip che dato che il primo ministro francese Valls dopo la Brexit si era messo decisamente di traverso al Ttip, la Francia rischiava attentati "jihadisti".

Il 14 luglio il Collettivo Pixel è stato preso da un doppio shock: per quello che è successo e per quello che aveva scritto solo due settimane prima.

Era andata proprio così, come aveva previsto?

Chi cerca di prevedere cose, spesso (ed è un bene) si spaventa se l'evento previsto si verifica veramente, e nascono molte  domande.

È stata una (orrenda) coincidenza? La previsione in oggetto è stata una manifestazione patologica addirittura di "pre-complottismo"? Oppure il ragionamento era giusto in linea di principio ma la Francia è stata punita per qualcos'altro che non sappiamo e non ci immaginiamo? E chi ha punito chi?

Il 14 dicembre del 2014 Piotr aveva previsto su Megachip la possibilità ravvicinata di attentati "islamisti" in Europa. La motivazione era simile: nervosismi europei e francesi nei confronti della strategia imposta da oltre Atlantico. Poco più di tre settimane dopo ci fu la strage del Charlie-Hebdo.

Il Collettivo Pixel e Piotr non sono assolutamente contenti di avere azzeccato le loro previsioni. Innanzitutto per ciò che è avvenuto. In secondo luogo perché ammesso che abbiano visto giusto non sono riusciti a far nulla per prevenire i massacri. Infine, nonostante tutto, non sanno nemmeno di preciso se hanno veramente azzeccato qualcosa.

Com'è, come non è, sembra comunque che oggi sia facilissimo prevedere tragedie ma difficilissimo prevenirle.

Un ragionamento simile vale anche per il tentato golpe in Turchia.

Anche in questo caso Piotr in un articolo su Megachip del 21 marzo scorso scrisse che la Turchia era sull'orlo di un possibile colpo di Stato. Un'altra previsione "azzeccata"? Sì, sembrerebbe la parola giusta. Ma se se si giocasse a Tresette.

Ma siccome non si tratta di un gioco, tutti i dubbi di sopra riemergono: vero golpe? falso golpe? auto-golpe?

Circolano frammenti di analisi interessanti, anche su giornali mainstream come Il Sole 24 Ore e Corriere della Sera. Io propendo per la teoria dell'incanalamento, nella sua variante "so e lascio fare fino a un certo punto". Una sorta di golpe preventivo monco per evitarne uno vero completo. Ma, lo dico sinceramente, non chiedetemi le motivazioni e meno che meno la meccanica: vado a naso cercando di mettere al posto giusto pezzi di un puzzle complicatissimo dove, tanto per dirne una, si va da un aereo russo abbattuto e l'ipotesi di guerra con la Russia all'andare in ginocchio al Cremlino a chiedere perdono.

Nemmeno quando si vedranno gli effetti più solidi e duraturi di questo evento si potrà, a ritroso, affermare che era andata in un modo o in un altro. Anche gli effetti, o meglio le forze che sfruttano gli eventi, si compongono e a volte gli effetti finiscono per essere inintenzionali.

Noi, tuttavia, capiamo benissimo per lo meno una cosa: che dobbiamo far quadrato attorno ad alcune roccaforti, come la pace, la giustizia sociale, la democrazia e la difesa dell'ambiente in cui viviamo.

Infine, io non vedo altro modo per difenderle che attaccare l'accumulazione infinita di capitale. Il resto mi sembra inutile. Ma questa è una considerazione personale.

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