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perunsocialismodelXXI

Cinque buone ragioni per essere comunisti (e non di sinistra)

di Carlo Formenti

In coda a un dibattito sulle "Prospettive del comunismo oggi" al quale ho partecipato ieri sera (trovate qui il video: https://fb.watch/5BfY9aMSQW/ ) Marco Rizzo ha annunciato la mia candidatura come capolista del Partito Comunista alle prossime elezioni municipali di Milano. I motivi che mi hanno convinto a compiere questa scelta erano già impliciti nel post "Riflessioni autobiografiche di un comunista (finora) senza partito", che avevo pubblicato non molti giorni fa su questo blog. Ma ho ritenuto che fosse il caso di ribadirle e sintetizzarle qui di di seguito

komintern 5Perché il comunismo è un’ideologia più giovane e vitale del liberalismo

Chiarisco che il termine ideologia è qui inteso nel senso forte, positivo che Gramsci e Lukacs gli attribuivano: non falsa coscienza bensì l’insieme dei valori, principi, visioni del mondo, conoscenze, memorie collettive, ecc. che costituisce l’identità sociale e antropologica di una determinata classe (anche quando essa perde consapevolezza di sé dopo avere subito una dura sconfitta da parte degli avversari). Ciò posto, va ricordato che l’ideologia comunista è giovane: se ne fissiamo la nascita alla pubblicazione del Manifesto di Marx ed Engels (1848) non ha ancora due secoli di vita (mentre il liberalismo ne ha almeno sei). I suoi fondatori furono troppo ottimisti nel prevederne il trionfo in tempi brevi. Oggi sappiamo che la via è lunga e difficile, costellata di avanzate e ritirate, vittorie (come quelle del 1917 in Russia e del 1949 in Cina) e sconfitte (come quella del 1989 che ha visto il crollo dell’Urss). Ma sappiano anche che, malgrado i cinque monopoli (Samir Amin) sui quali può contare il nemico di classe (sui mezzi di produzione, sulla finanza, sulle tecnologie, sulle conoscenze scientifiche, sui media), e malgrado il disastro dell’89, la via socialista ha dimostrato una poderosa capacità di resilienza, soprattutto nell’Oriente e nel Meridione del mondo, al punto che oggi, grazie ai trionfi dello stato/partito cinese, è di nuovo in grado di contendere al capitalismo occidentale il dominio mondiale, come dimostrano

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cumpanis

Sinistra, disciplina e libertà

di Alessandro Pascale

Dialogo Magris-Rizzo, "Corriere della Sera", 28 marzo u.s.: alcune considerazioni

Foto per articolo PascalePerchè ancora  un partito comunista?

Magris fa notare come il Partito Comunista guidato da Rizzo sia «un partito nel senso classico del termine anziché una fluida formazione come molti altri attuali raggruppamenti politici, numericamente più forti»; «il suo Pc è piccolo, ma non è un gruppuscolo; è immune dalla superbia ideologica, culturale e vagamente esoterico che caratterizza spesso le cerchie dei pochi fieri di essere pochi, una supponente aristocrazia d’accatto». Più avanti caratterizza l’azione del partito così: «l’elemento più originale del suo discorso è la critica a chi si proclama di sinistra mentre ne ignora o ne viola, a suo avviso, alcuni valori fondamentali».

La sorpresa di Magris riguardo alla tenuta “solida” del PC merita una riflessione. Il sociologo Zygmunt Bauman ha descritto la società occidentale con la formula della “modernità liquida”, caratterizzata dal dissolvimento di ogni legame stabile e duraturo. L’egemonia ideologica in questa società è la cosiddetta “condizione postmoderna”, ossia la morte delle “ideologie”, o dei “pensieri forti” (Vattimo) che dir si voglia. La caduta della modernità in questo pastiche che propugna politeismo dei valori, relativismo estremo, fino addirittura all’aperto scetticismo moderno è un processo che si è accompagnato cronologicamente all’offensiva neoliberista. Il testo fondamentale del postmodernismo, firmato Lyotard, data 1979, esattamente lo stesso anno in cui la Thatcher e Reagan annunciavano il ritorno in grande stile della pratica mercantile spinta a livelli fondamentalisti. 

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operaviva

Lotte di classe nel capitalismo avanzato

Avventure della dialettica nel lavoro di Hans-Jürgen Krahl

di Andrea Cavazzini 

l portavoce dellUnione degli Studenti Socialisti SDS Hans Jurgen Krahl r al leggio. Il 28 maggio 1968 nella Grand Broadcasting Hall dellHessisc 940x704Un teorico critico e la sua congiuntura

Questa rapida esposizione dedicata a Hans-Jürgen Krahl (1943-1970) è strettamente connessa ad altre riflessioni sviluppate in altri testi dedicati alla Germania e al movimento studentesco in generale1. In effetti, Krahl riflette sull’aporia connessa alla relazione esistente tra il proletariato e la sua coscienza (che possiamo formulare come relazione tra classe e coscienza di classe, o perfino tra strutture sociali e determinazioni politiche). Una riflessione che si incontra anche pensando alla congiuntura dell’Europa centrale e del marxismo tedesco nel periodo immediatamente precedente e immediatamente successivo alla Rivoluzione d’ottobre, alla I guerra mondiale, e al fallimento della Rivoluzione tedesca. Prima della I guerra mondiale, queste aporie riguardavano in prima battuta la contraddizione tra, da una parte il peso sociale e politico del movimento operaio tedesco, la forza e il prestigio delle sue organizzazioni, dall’altra la sua drammatica impotenza politica, la sua posizione subalterna nei confronti dello Stato imperialista, la sua acquiescenza alle ideologie conformiste, la sua impreparazione tattica e strategica al tempo della caduta del Reich. Dopo la guerra, questa contraddizione prese la forma di una distanza tra la radicalizzazione politica degli strati intellettuali verso destra e verso sinistra (che sublimò la crisi della civiltà borghese, l’espansione di una accesa, perfino apocalittica atmosfera ideologica, la formazione di uno strato di militanti preparati per l’azione rivoluzionaria professionale – diffusione di discorsi e pratiche bolsceviche, la fondazione della Terza Internazionale); e una offensiva delle masse che sembrava definitivamente bloccata a Ovest, e destinata a una stabilizzazione di lungo termine nella Russia sovietica.

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osservatorioglobalizzazione

Raniero Panzieri, i “Quaderni Rossi” e la nascita del neomarxismo italiano

di Lorenzo Villani

panzieriLa figura di Raniero Panzieri ci conduce a mettere in luce le radici del neomarxismo italiano. Personaggio controverso, è stato uno dei principali esponenti di una delle maggiori esperienze teoriche del nostro Paese. Fondatore dei Quaderni Rossi e principale esponente dell’operaismo italiano, nasce nel 1921 a Roma e muore nel 1964 a Torino.

Occorre soffermarsi brevemente sulla sua vita. Laureatosi, ottiene una cattedra presso l’Università di Messina, ove intraprende un’impegnata attività militante fra le fila del Partito Socialista Italiano, divenendone dirigente locale. Sono infatti molteplici i settori di lotta che lo vedono protagonista: dalle occupazioni delle terre agli scioperi presso le miniere di zolfo. Attività militante che, però, lo porterà ben presto a terminare la sua carriera accademica[i]. L’università infatti lo escluderà dall’insegnamento alla luce del suo impegno politico. Conclusa tale fase, Panzieri si trasferirà a Roma. Nella capitale continuerà il suo lavoro da dirigente del partito, divenendo poi co-direttore della rivista Mondoperaio, organo ufficiale del Psi il cui direttore era Nenni. Tutto cambierà in occasione del congresso del ’57. È in tale momento che Panzieri evidenzierà le contraddizioni e le criticità di quest’ultimo.

Si giunge così alla fondazione dei Quaderni Rossi, i quali daranno vita ad una fase inedita nella quale occorre evidenziare l’ampia portata rivoluzionaria sia in termini teorici che pratici.

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machina

Panzieri a Francoforte. E poi subito a Torino

di Marco Cerotto

Schermata del 2021 04 03 13 58 45Riprendendo alcuni spunti e suggestioni di un articolo di Patrick Cuninghame pubblicato in questa sezione lo scorso dicembre (Negri a Francoforte. La polemica tra la Teoria critica e il marxismo autonomo), Marco Cerotto approfondisce una parte della diversificata genealogia che porta allo sviluppo del cosiddetto «neomarxismo» italiano. Lo fa in particolare attraverso la figura di Panzieri – a cui lo stesso autore ha dedicato un prezioso volume uscito di recente nella collana Input di DeriveApprodi (Raniero Panzieri e i «Quaderni rossi») – in relazione con le analisi della teoria critica francofortese, a cominciare da quelle di Friedrich Pollock. Per questa strada l’autore individua la specificità dell’operaismo italiano, nelle sue differenti espressioni, rispetto agli intellettuali francofortesi e alle loro tesi sull’alienazione consumistica e sull’integrazione della classe operaia. Il contributo si conclude aprendo un’altra riflessione importante, sulla rilettura marxiana condotta dalla «Neue Marx-Lektüre» e da Hans-Jürgen Krahl. Per approfondire i temi dell’articolo, oltre al testo e al volume già indicati, consigliamo la lettura del contributo di Diego Giachetti Panzieri e le minoranze comuniste del suo tempo e lo «Scavi» dedicato a Panzieri, a cura di Sergio Bianchi e Alessandro Marucci.

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Influenze culturali del marxismo occidentale

Recentemente è stato pubblicato un articolo piuttosto interessante e che ha proposto un’indagine molto accurata sulle influenze degli intellettuali francofortesi sull’operaismo italiano, in particolare su Negri.

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ilpungolorosso

Prima ferma risposta all'aggressione padronale-statale al SI Cobas

Ora bisogna continuare, e allargare il fronte di resistenza e di lotta

di Tendenza internazionalista rivoluzionaria

piacenza 3L’azione repressiva scattata a Piacenza contro decine di proletari e di attivisti del SI Cobas ad opera della questura e della procura della repubblica, ha avuto nei giorni scorsi una forte risposta: con la proclamazione immediata di scioperi di protesta in una serie di magazzini della logistica, a iniziare da quelli Tnt-FedEx, e con la partecipata, vibrante manifestazione di sabato 13, che ha portato nella città migliaia di lavoratori e di solidali ad esprimere la ferma determinazione a battersi senza paura contro questa aggressione padronale-statale.

Gli slogan “Siamo tutti Arafat, siamo tutti Carlo”, “chi tocca uno, tocca tutti”, “la repressione non ferma le lotte”, “SI Cobas, SI Cobas”, hanno espresso la realtà viva e sempre più ramificata di un organismo sindacale combattivo che ha alle proprie spalle un decennio di prove difficili, superate solo in virtù dei suoi fermi principi classisti, della sua pratica di reale auto-organizzazione, dell’energia indomita di migliaia di proletari immigrati. Queste sue caratteristiche, uniche nel contesto del sindacalismo di base, gli hanno consentito di fronteggiare più di un attacco padronal-mafioso e istituzionale uscendo dalle difficoltà, quasi sempre, più forte e autorevole di prima, grazie anche al fiancheggiamento di gruppi di veri solidali (non parolai). La risposta di lotta di questi giorni e l’orgoglio di molti dei suoi aderenti di appartenere in qualità di protagonisti a tale storia di lotte, sono le migliori premesse per riuscire a ricacciare indietro una volta di più la pretesa degli apparati repressivi dello stato di piegare questa organizzazione, criminalizzandola e criminalizzando con essa la lotta di classe in quanto tale.

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tempofertile

La discussione entro Nuova Direzione

Osservazioni sulle note di Riccardo Bernini

di Alessandro Visalli

pesciNell’ultimo mese, in vista della seconda assemblea di Nuova Direzione, è stato avviato un dibattito che per ora ha visto un primo intervento di Carlo Formenti[1] e di Alessandro Visalli[2], ed una replica nel merito e molto articolata di Riccardo Bernini[3].

Il pezzo di Formenti, che apre la discussione, ricostruisce sinteticamente il contesto nel quale aveva preso forma il progetto organizzativo di Nuova Direzione, il cui scopo era di tentare di addensare le varie forze che nel quinquennio dal 2014 al 2019 avevano via via sviluppato una critica alla arrendevole posizione delle sinistre italiane ed internazionali verso la mondializzazione e i progetti di governance sovranazionale (sopra tutti l’Unione Europea). Ovvero di proporre una piattaforma che muovesse dalla sovranità costituzionale, superando anche le esitazioni e compromessi della piattaforma di “Patria e Costituzione” che, pure, alcuni dei protagonisti, come i due primi scriventi, avevano contribuito attivamente a promuovere[4]. Nuova Direzione era, insomma, solo l’ultimo anello di una catena di tentativi, variamente prodotti entro diverse associazioni, per ricostituire nel paese un punto di vista socialista, orientato alle ‘periferie’ (ovvero al mondo del lavoro debole, agli ambienti sociali periferici e alle relative soggettività), e potenzialmente egemonico[5].

Il principale elemento diagnostico che mosse quella serie di tentativi era che si era aperto, con la crisi del 2008-13, in tutto il mondo occidentale, un “momento Polanyi” nel quale lo scollamento tra i luoghi più dinamici dell’economia e i relativi ceti internazionali privilegiati e la grande maggioranza si era reso manifesto e provocava ormai una divaricazione non contenibile.

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senzatregua

La questione comunista oggi, 30 anni dopo Rifondazione

di Paolo Spena*

addio ad armando cossutta 4ckvLa tesi principale di questo articolo, scritto a pochi giorni dalla ricorrenza dei 30 anni dalla nascita del Movimento per la Rifondazione Comunista, è che i limiti che hanno caratterizzato quell’esperienza hanno continuato nel tempo a viziare i tentativi di tenere aperta un’ipotesi comunista in Italia, e soprattutto continuano a farlo ancora oggi. L’assenza di una vera rottura con l’opportunismo, che non è una attitudine umana ma una precisa concezione politica, ideologica e organizzativa, ha impedito il bilancio critico che sarebbe davvero necessario per avanzare. È al contempo una critica e un’autocritica e contiene dei giudizi che, specie a chi è stato parte di questa storia, possono apparire aspri. Il dibattito politico tra i comunisti in Italia lo è, quando è reale e non ammantato dai formalismi. L’intento è stimolare il dibattito e la riflessione collettiva, individuare i problemi che chiunque cerchi costruire una prospettiva comunista nell’Italia del 21° secolo dovrebbe porsi. In questo, la franchezza vale più dei formalismi e anche delle invettive. E credo sia questo lo spirito che dobbiamo avere nel confronto.

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Era il 3 febbraio 1991 quando circa 90 delegati su 1259, al congresso della “Bolognina” in cui Achille Occhetto tramutò il PCI nel PDS, annunciarono in conferenza stampa a Rimini che non avrebbero aderito al nuovo partito. Una settimana dopo, il 10 febbraio, si tenne al Teatro Brancaccio di Roma la prima assemblea del “Movimento per la Rifondazione Comunista”, con un esecutivo provvisorio che avrebbe portato, nel dicembre dello stesso anno, al primo congresso del Partito della Rifondazione Comunista.

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marxismoggi

Traiettorie operaiste nel lungo ’68 italiano

di Marco Cerotto

copertina Agustoni 1080x675Il libro «Traiettorie operaiste nel lungo ’68 italiano», dedicato per l’espressione della volontà unanime agli operai della Whirlpool di Napoli, è anzitutto il risultato di un lavoro teorico collettivo, nato dalle molteplici assonanze che uniscono il gruppo di ricerca napoletano e il Groupe de recherches matérialistes parigino, rispecchiante l’esito fruttuoso di un incontro seminaraiale svoltosi tra il 20 e il 21 dicembre 2018 presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Napoli “Federico II”.

Questo testo si propone di rintracciare le influenze delle potenze assiologiche del neomarxismo italiano nella particolare soggettività di classe emergente nel cosiddetto «lungo decennio», orientandosi ad analizzare la complessità della produzione critica dell’operaismo italiano elaborata sin dai primi anni Sessanta, la quale approda alla lucida constatazione dell’affermazione di una figura potenzialmente rivoluzionaria negli sviluppi neocapitalistici, come l’operaio-massa, confrontandosi con il rapido susseguirsi dei differenti cicli di lotte operaie e con la formazione delle prime organizzazioni classiste dopo il biennio rosso del 1968-69.

Nella prima parte del testo «All’origine della Nuova Sinistra», e in particolare nel saggio che apre il libro «Il dibattito sull’autonomia nel Partito socialista italiano», Mariamargherita Scotti mette in evidenza come i germi della «Nuova Sinistra» siano presenti principalmente nel Psi, probabilmente per la peculiare tradizione politico-culturale di questo partito, che nei meriti e nei limiti lo differenziava notevolmente dal Partito comunista. «Autonomia» è il concetto che viene recuperato per spiegare l’esistenza di questo filone «critico» collocato preminentemente nel Psi, all’interno del quale figure politiche come Gianni Bosio e Raniero Panzieri vengono elevate a precursori teorici del marxismo critico.

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nuovadirezione

Su di noi e sugli interventi di Formenti e Visalli

di Riccardo Bernini

team spirit 2447163 640La prima questione posta a dibattito pare essere se reputare chiusa o ancora aperta la “fase politica” sulla quale ND è stata poggiata. Con quel che ne consegue.

In cosa consisteva questa “fase politica”?

A connotarla non credo fosse solo il manifestarsi in Italia di populismo e sovranismo, attraverso M5S e Lega, quali “contenitori dell’ira” dei variegati “ceti medi”.

In ballo era la crisi della rappresentazione politico-istituzionale della seconda Repubblica, una gabbia che chiudeva e chiude nel dominio totalitario neo-liberale l’alternarsi al governo di destra e sinistra. O, ancora più radicalmente, una crisi che segnava lo scollamento tra questa rappresentazione e la società, nel più complessivo divergere dalla democrazia del liberalismo.

Prima di officiare pubbliche esequie al M5S, visti i sommovimenti interni, attenderei un attimo. Almeno il tempo dell’autopsia a corpo freddo.

Trovo altresì che le manovre che hanno portato al governo Draghi abbiano confermato la tendenza allo scollamento dalla società delle “alternanze prive di alternativa”, proprio nel momento in cui da destra a sinistra gli viene garantita una maggioranza parlamentare ben superiore al credito concesso dall’opinione pubblica.

La procurata impotenza della democrazia istituzionale italiana della seconda Repubblica, subalterna e de-sovranizzata dalla globalizzazione nell’ordine euro-occidentale, vero motivo del distacco dalla società, ritorna a motivo della sua esautorazione, coprendone l’origine e le responsabilità.

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machina

Panzieri e le minoranze comuniste del suo tempo

di Diego Giachetti

0e99dc 8705067c78e04018957a17e44cde3b45mv2A cent’anni dalla sua nascita, Raniero Panzieri rimane una delle figure più importanti nella storia dell’intellettualità militante e del movimento operaio del secondo dopoguerra. Il recente libro di Marco Cerotto pubblicato da DeriveApprodi (Raniero Panzieri e i «Quaderni rossi». Alle origini del neomarxismo italiano) dedicato alla sua biografia teorica e politica e altre iniziative, tra cui lo «Scavi» sulla nostra rivista, permettono di approfondire i diversi aspetti di una figura ancora in buona misura da riscoprire. L’articolo di Diego Giachetti è un ulteriore prezioso contributo in questa direzione. In particolare, l’autore si concentra su un tema di ricerca inesplorato, ovvero i rapporti che Panzieri ha avuto con le minoranze comuniste presenti alla sinistra del Partito comunista negli anni Cinquanta e Sessanta. Con bordighisti e trotskisti mantenne infatti una relazione di contatto diretto e una dialettica critica e rispettosa, individuandone i limiti ma anche il peso nella rottura della cappa staliniana del Pci, che dopo gli eventi del 1956 era percepita sempre più intollerabile da molti militanti. Analizzando elementi di convergenza e di divergenza, utilizzando materiali rari o dimenticati, Giachetti ricostruisce con precisione storica e interesse politico un pezzo significativo di quello snodo fondamentale del Novecento.

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Tra le tante questioni emerse nel corso delle ricerche sulla figura esemplare di Raniero Panzieri (1921-1964), alcune meritano di essere poste come ipotesi per un lavoro di approfondimento ancora da farsi. Mi riferisco nello specifico ai suoi rapporti con le minoranze comuniste presenti alla sinistra del Partito comunista negli anni Cinquanta e Sessanta.

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machina

Anni Settanta e violenza politica

di Marco Grispigni

0e99dc febf3b322d3448e3a1cfc382920257cemv2Nel solco aperto dall’intervista a Paolo Persichetti, ospitiamo un contributo di Marco Grispigni sul tema della violenza politica nel lungo Sessantotto italiano. Un tema che non può essere eluso nel dibattito storiografico sul periodo, ma che vede ancora oggi gli storici e le storiche arrancare, in linea generale, di fronte alla voluminosa preponderanza delle interpretazioni politico-giornalistiche e, in tono minore di quelle memorialistiche. Prendendo a pretesto il volume di Gentiloni Silveri sulla storia dell’Italia repubblicana, Grispigni evidenzia i limiti di buona parte delle ricostruzioni storiografiche sul tema della violenza politica.

Dalla definizione dell’oggetto stesso degli studi (cos’è esattamente la violenza politica?) alla periodizzazione del fenomeno (con le polemiche intorno al ruolo periodizzante dei due «grandi eventi» rappresentati dalla Strage di Piazza Fontana e del rapimento e uccisione di Aldo Moro, fino alla (in)capacità di leggere la varietà fenomenologica del fenomeno armato sul piano non solo dei repertori d’azione, ma anche della progettualità e della capacità di comunicare ed interagire coi movimenti di massa.

Se conoscere ciò che eravamo ci permette di capire meglio ciò che siamo oggi, l’importanza del tema della violenza politica negli anni Settanta del secolo scorso non risiede solo, quindi, nella necessità di comprendere il fenomeno in sé, ma anche e soprattutto in quella di saperlo collocare in modo corretto nella storia recente d’Italia, sottraendolo dal ruolo di «alibi» per qualsiasi ricostruzione storica ad uso politico che assolva dalle proprie responsabilità una classe imprenditoriale e politica che, in modo bipartisan, ci ha portato esattamente alla situazione in cui siamo. [A. P.]

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lavoroesalute

Il partito dalle pareti di vetro

di Alba Vastano

I comunisti oggi sono messi con le spalle al muro e con la prospettiva di un futuro che li vede fuori dai giochi della rappresentanza politica… Un’accurata analisi sul che fare, sulle basi teoriche su cui si fonda e vive un partito comunista, può essere favorita dalla lettura del saggio ‘Il partito dalle pareti di vetro’ di Alvaro Cunhal, segretario generale del Pcp

4f424d273207076187fcaaac234fe4fd XLNell’anno domini 2021 la politica è morta, insieme con le ideologie già defunte. Sebbene questo in corso sia un anno importante per chi di un’ideologia in particolare ne fa il senso della propria vita. Ricorre quest’anno, infatti, il centenario della Fondazione del Partito comunista italiano, che modificò all’epoca e nei decenni a venire la visione del mondo, tentando di annullare il binomio dominante/dominato, re/suddito, padrone/schiavo e rendendo centrale la questione del lavoro e l’organizzazione della società. L’obiettivo a cui tendere per Antonio Gramsci, fra i fondatori del partito, e secondo Marx, il filosofo di Treviri, si basava sul rovesciamento di ogni forma di capitalismo, tramite la rivoluzione del proletariato. Cosa vuol dire oggi essere comunisti e praticare il comunismo sembra non essere più percettibile nella visione comune della società odierna globlizzata e nel linguaggio politico attuale. Anche perché la classe di appartenenza, il proletariato, ha cambiato forma e nome: da operaio/ lavoratore a consumatore in balìa dei mercati.

Tanto più complesso risulta agire in una realtà in cui il bene comune, i diritti sociali, la parità fra le persone e il principio di uguaglianza, uno di capisaldi della nostra Costituzione espresso nell’articolo 3 , sono valori scomparsi che hanno ceduto il posto alle privatizzazioni, alle riforme a danno del lavoratore, alla scomparsa del diritto per tutti ad una vita degna e dignitosa. Le politiche liberiste in atto hanno smantellato lo Stato di diritto per lasciare il posto allo Stato delle banche e degli speculatori finanziari, i grandi tycoon capitalisti.

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ospite ingrato

Raniero Panzieri: per un socialismo della democrazia diretta

di Pino Ferraris

Il 14 febbraio 1921 nasceva a Roma Raniero Panzieri, intellettuale marxista, militante e dirigente del Partito socialista italiano, poi fondatore e animatore, fino alla morte prematura (9 ottobre 1964), del gruppo e della rivista «Quaderni rossi». Lo ricordiamo con il saggio che Pino Ferraris gli dedicò nell’opera L’altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico, a cura di Pier Paolo Poggio, vol. II, Il sistema e i movimenti (Europa: 1945-1989), Jaca Book, Milano 2011, pp. 381-401

2021.2.15. FERRARISLa figura di Raniero Panzieri ha avuto, nel corso degli anni e dei decenni successivi alla sua morte, un destino paradossale. Tra rimozioni e mitizzazioni, tra dispute patrimoniali e sommarie stroncature è accaduto che la sua biografia politico-culturale, che ha una robusta coerenza di fondo, sia stata spezzata, smembrata: il “meridionalista” di Palermo è stato assolutamente oscurato dall’“operaista” di Torino, il suo ruolo di dirigente politico viene scisso dalla sua attività di produttore di cultura, colui che «per tutta la vita si è dedicato al partito e che viene spinto da una sorta di disperazione a formare gruppi di altro genere»1 viene proposto come “il Battista” dei gruppi minoritari degli anni ’70.

Panzieri dedicò gran parte del suo impegno culturale a smontare “sistemi” cristallizzati di pensiero nel movimento operaio. Persino il suo approccio a Marx, punto di riferimento costante e sicuro della sua elaborazione culturale, era così libero e creativo da renderlo completamente disponibile «all’operazione chirurgica di separare il Marx vivo e ancor oggi utilizzabile da ciò che nella sua opera rappresenta gli incunaboli del riformismo e del diamat».2 La prima edizione postuma di una parte dei suoi scritti apparve inchiodata sotto l’incredibile titolo La ripresa del marxismo-leninismo in Italia.3

Il protagonista del disgelo culturale, l’anticonformista innovatore del pensiero di una sinistra che faticava a uscire dalle rigidità dogmatiche dello stalinismo e della guerra fredda, per un non breve periodo subì le deformazioni indotte da quel «recupero anacronistico di culture politiche da immediato dopoguerra»4 che coinvolse buona parte della sinistra degli anni ’70.

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tempofertile

Note e commenti ad “Appunti per una discussione sui nostri compiti” di Carlo Formenti

di Alessandro Visalli

paesaggio 2Questo breve testo è il commento dell'intervento di Carlo Formenti "Appunti per una discussione sui nostri compiti", pubblicato sul sito di Nuova Direzione.

Il punto cruciale del lungo testo mi pare la definizione del progetto originario che ha dato vita a Nuova Direzione, consigliando peraltro la accelerazione finale, non da tutti condivisa[1], verso la costituzione in soggetto politico a gennaio 2020.

Questo è stato descritto da Carlo in una duplice prospettiva:

1- Nel breve termine, cercare di intercettare una significativa diaspora in uscita dal M5S[2] perché scontenta della formazione del governo “bianco-giallo” Conte II. La possibilità che ciò si verificasse scaturiva direttamente dalla manifesta incapacità di tradurre il “contenitore dell’ira” di grande successo del movimento degli anni 2008-18 in un “contenitore di potere”[3] che fosse in grado di fare la differenza, traducendo il paese fuori delle secche neoliberali nelle quali è da decenni[4],

2- Nel medio termine, fornire un centro di aggregazione politico-culturale e, insieme, il nucleo organizzativo per addensare forze antisistemiche giocabili in senso neo-socialista.

Come sintetizzavo nella mia relazione in assemblea, “Passare tra Scilla e Cariddi”[5], la ristrutturazione del decennio 2008-18 è l’estenuazione delle dinamiche di spoliticizzazione e divaricazione gerarchizzante dell’intero trentennio neoliberale.