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cumpanis

Unità contro la guerra imperialista e contro la Nato

di Coordinamento Nazionale Comunista contro la guerra e contro l'imperialismo

In controtendenza alla continua divisione del movimento comunista italiano si è costituito, sulla base del Documento politico che presentiamo, il "Coordinamento Nazionale Comunista contro la guerra e contro l'imperialismo"

60895a3685600a64b42ba40e 1024x689La spinta imperialista alla guerra segna totalmente di sé questa fase storica. Da questa spinta assume verosimiglianza anche la tragica possibilità di una terza guerra mondiale, che addirittura potrebbe essere già iniziata, anche se non si combatte su tutti i fronti.

Tre fattori, tra gli altri, concorrono a determinare quel “combinato disposto” che si offre come base materiale all’estensione, sul piano planetario, del “sistema” di guerra imperialista:

– Primo, dopo l’89 e il crollo dell’Unione Sovietica e del blocco dei Paesi del socialismo reale la storia non è finita, come al contrario aveva teorizzato il politologo statunitense Francis Fukuyama. Si è rivelata totalmente illusoria e priva di basi storiche concrete l’idea secondo cui il processo di evoluzione sociale, economica e politica dell’umanità avrebbe raggiunto il suo apice alla fine del XX secolo, snodo epocale a partire dal quale si sarebbe aperta una fase finale di conclusione della storia in quanto tale.

Fin dagli inizi degli anni ’90 del XX secolo, i fatti si sono incaricati di smentire clamorosamente quella, idealistica, teoria.

In America Latina una potente pulsione assolutamente contraria, avversa alla prepotenza imperialista inizia a segnare di sé l’intero continente: non solo Cuba resiste e rilancia il proprio progetto socialista rivoluzionario, ma in molti Paesi prende forma, a partire dal Brasile di Lula e dall’avanzato progetto socialista della Bolivia, un progetto di liberazione dal dominio nordamericano che giunge sino alla proclamazione di un inizio di percorso volto al socialismo, come nel Venezuela di Hugo Chávez.

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lacausadellecose

Ventinove tesi

di Michele Castaldo

Da La crisi di una teoria rivoluzionaria

188BjUMqoJhM2MiwNUz3j3wA dicembre del 2018 pubblicai La crisi di una teoria rivoluzionaria, un libretto breve e conciso, dove cercavo di spiegare le ragioni della crisi di una teoria che si richiama al marxismo. In appendice declinavo 29 tesi che qui pubblico nel tentativo di smuovere un dibattito ormai impantanato in schemi e ideologismi nel quale si dimenano gran parte dei militanti di sinistra, anche i migliori, cioè i più onesti, quelli che non rincorrono arrivismi nel sottobosco del potere politico, oppure quelli dediti a carrierismi e leaderismi in sette chiesastiche. Non mi nascondo: è un sasso nello stagno. La fase è complicata e una riflessione si impone.

  1. Il moto-modo di produzione capitalistico è un insieme di rapporti degli uomini con i mezzi di produzione e di leggi oggettive che hanno come epicentro il mercato e la concorrenza a cui gli uomini sono incapaci di sottrarsi.

  2. Il soggetto è il movimento storico divenuto modo di produzione capitalistico, con classi e interessi fra le classi che sono complementari e contrastanti al contempo.

  3. Questo movimento generale cui gli uomini sono arrivati dopo secoli di sviluppo è la conseguenza di rapporti di produzione precedenti superati da nuove forze produttive.

  4. Detto movimento sta entrando in una crisi generale non per l’opposizione di una classe al suo interno, ma perché ha saturato il processo di produzione e riproduzione semplice e allargato, con una sovrapproduzione sia di merci che di mezzi di produzione privi di sbocchi.

  5. In virtù di tale meccanismo il moto-modo di produzione capitalistico è destinato ad avviarsi verso il caos generale senza alcuna possibilità di correggere le leggi che lo regolano.

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ospite ingrato

La mia militanza

Massimo Cappitti intervista Sergio Fontegher Bologna

2022.6.6. CAPPITTISergio Fontegher Bologna*: Io non ho imparato a leggere e scrivere a scuola perché c’era la guerra. Non so se fu per una scelta dei miei genitori o perché la scuola che avrei dovuto frequentare era stata trasformata in caserma. Ho fatto i primi tre anni delle elementari da privatista, con un’insegnante che era nostra vicina di casa, abitava sul nostro stesso pianerottolo. Il marito era un vecchio colonnello di artiglieria e lei un’ex maestra di scuola, per questo la chiamavamo “la colonnella”. Ho imparato a leggere e scrivere a casa di questa signora, in cucina, mentre lei preparava la jota o il gulasch. Alla fine di ogni anno mi presentavano a fare l’esame da privatista e ho cominciato ad andare a scuola in quarta elementare, quando la guerra è finita. Ho trovato nel diario di mia madre, ad esempio, che l’esame d’ammissione alla terza l’ho fatto dieci giorni dopo che c’era stato il peggiore bombardamento che ha avuto Trieste, in cui il nostro quartiere, l’epicentro, ha avuto 463 morti, quasi 1.000 feriti e 5.000 senzatetto.

Un’altra cosa da dire è che nella nostra casa non c’erano libri. Io non avevo una biblioteca perché i miei genitori avevano avuto un’infanzia e un’adolescenza durissime, mia madre aveva fatto la terza media, mio padre era riuscito a diplomarsi e a diventare un tecnico progettista. Ha tentato di fare l’università per corrispondenza senza riuscirci.

So ancora a memoria quali erano i titoli dei libri che avevo a casa, tipica letteratura popolare: Victor Hugo, Jack London, La vita delle api di Maeterlinck, La cena delle beffe di Sem Benelli, che non so cosa c’entrasse… però i miei genitori erano delle persone molto sensibili e aperte alla cultura.

* * * *

Massimo Cappitti: Quali sono stati i tuoi maestri e quali le letture che più ti hanno formato?

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nicomaccentelli

Antagonisti… filoimperialisti

di Nico Maccentelli

280659087 1378590865899012 2571867105411284380 nÈ di queste settimane l’attacco politico “da sinistra” a quelle compagne e compagni che da anni sostengono l’autodeterminazione della popolazione russofona del Donbass e dell’Ucraina in generale e che denunciano l’operazione che l’imperialismo USA-NATO sta conducendo contro la Russia e sulla pelle dell’Ucraina.

All’accusa di “putinismo” che i media di regime portano avanti nella loro propaganda contro chiunque osi tematizzare il conflitto in Ucraina e rompere la coltre di luoghi comuni eterodiretti che girano attorno al concetto “aggressore-aggredito”, si aggiunge così quella di “rossobrunismo” sia verso i sovranisti di sinistra, sia verso quelle forze comuniste “nostalgiche” e “vetero soviettiste”, che non fanno di tutta un’erba un fascio, pardon un nazi, ma analizzano le cause e gli sviluppi di questa guerra, individuando le vere responsabilità in campo. Un j’accuse che va da La Repubblica e arriva agli anarchici “duri e puri”, passando per i “disobba” e per vari nodi e tribù di un certo antagonismo che ragiona per principi.

Ma andiamo con ordine. La polemica è saltata fuori nella sua virulenza, guarda caso, in concomitanza con due fatti: l’avvio di un’attività di delinquenza politica da parte degli ucronazi in Italia e la necessità di sostenere la politica delle armi all’Ucraina e della cobelligeranza italiana da parte del governo Draghi e di ambienti euroimperialisti come quelli del PD. Due aspetti collegati tra loro: la politica guerrafondaia di regime il secondo aspetto e il suo braccio armato informale il primo.

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cumpanis

L’inchiesta sociale militante

Il compito da rilanciare dei comunisti

di Raffaele Gorpìa

fr4Sono decenni che si è rinunciato alla capacità di analizzare seriamente la struttura del corpo sociale mentre ci si è persi invece dietro a tatticismi politici, a suggestivi “immaginari e a “nuove narrazioni”, quando al contrario si ha sempre più la necessità di sapere precisamente come sono fatte le classi subalterne e come sono fatti i nostri nemici che, invece, hanno convenienza a far sparire le classi sociali poiché senza di esse rimangono solo gli individui o tutt’al più i gruppi di interesse.

Se vi è un elemento sintomatico della crisi del movimento operaio e delle organizzazioni che un tempo ad esso facevano riferimento, certamente questo risiede nella scarsa presenza se non nella totale assenza di produzione di inchieste sociali sulla composizione di classe in epoca contemporanea. L’inchiesta non può essere solo concepita come lo strumento che l’organizzazione politica di sinistra deve utilizzare per non perdere il contatto con la realtà, quanto come un vero asse strategico attorno al quale costruire, appunto, la strategia politica; l’inchiesta diviene strumento fondamentale per cogliere da un lato la struttura di classe nelle sue diverse articolazioni e nella sua componente soggettiva e di coscienza, per un altro verso è il modo per raccogliere, secondo l’impostazione maoista, le “idee giuste” delle masse rielaborandole come linea politica.

Tale assenza dal campo politico rimanda sicuramente all’assenza dell’intellettuale organico prefigurato da Gramsci, una figura politica immaginata come interna alla classe e allo stesso tempo avanguardia della stessa capace di guardare al complesso della società senza perdere l’orientamento del punto di vista di classe e ispiratore del proletariato affinché lo stesso possa liberarsi dalle idee delle classi dominanti per sviluppare una propria coscienza di classe e così cambiare lo stato di cose presenti.

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perunsocialismodelXXI

Per rileggere Federico Caffè da una prospettiva rivoluzionaria

di Carlo Formenti

copertinadfgthNella collana Meltemi “Visioni eretiche” è appena uscito il nuovo libro (1) di Thomas Fazi, che quattro anni fa aveva inaugurato la serie con Sovranità o barbarie (2), dedicato al grande eretico della scienza economica, quel Federico Caffè che, dopo la sua misteriosa scomparsa (in data 15 aprile 1987), si è sollecitamente provveduto a rimuovere dai programmi di studio della disciplina perché la lucidità con cui aveva denunciato i rischi della svolta neoliberista – e previsto i disastri che ne sarebbero derivati – è imbarazzante per gli economisti e i politici (in particolare se di sinistra) che di quella svolta si fecero promotori e apologeti. Senza entrare nei dettagli dell’accuratissima ricostruzione che Fazi fa del pensiero e dell’impegno politico e sociale di Caffè, le pagine che seguono si propongono di: 1) ricordare quale fosse il senso comune condiviso dalla maggioranza degli economisti occidentali fino agli anni Settanta del secolo scorso; 2) riassumere i fondamenti teorici su cui si fondava, cioè la teoria keynesiana (e la lettura che ne diede Caffè, il primo a diffondere il pensiero di Keynes nel nostro Paese); 3) ricostruire a grandi linee della svolta neoliberista degli anni Ottanta, legittimata dalle “innovazioni” teoriche della sintesi “neokeynesiana” e della scuola neomonetarista; 4) rievocare la tenace quanto disperata opposizione di Caffè nei confronti del nuovo corso, con particolare attenzione alla sua irritazione nei confronti della conversione del PCI e del sindacato ai paradigmi del pensiero liberal/liberista.

Come ricorda Fazi (3) quando venne avanzata per la prima volta la proposta di istituire una moneta unica europea - con il cosiddetto piano Werner - fu bocciata come una bizzarria se non come una vera e propria follia.

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lacausadellecose

Sui valori della resistenza

di Michele Castaldo

d6d6e807c06d01e23cf62eee3ba92aLa giornata del 25 aprile 2022 ha posto sul tappeto il quesito dei quesiti politici: perché era giusto essere resistenti in Italia unitamente alle truppe angloamericane nella lotta contro il nazifascismo dopo il 1943, mentre c’è più di una remora a sostenere la resistenza armata dell’Ucraina di Zelensky contro la Russia di Putin che ha invaso e in parte occupa il paese limitrofo. Inutile girarci intorno: è una questione storica molto complicata e si cammina sempre sul filo del rasoio. E se la sinistra è frammentata da posizioni diverse sullo stesso fatto vuol dire che c’è da riflettere. E per riflettere è necessario spogliarsi delle vesti ideologiche, analizzare i fatti nudi e crudi del passato e fare la stessa operazione con i fatti di oggi senza l’uso di comodi meccanicismi ideologici, ma con lealtà. Solo a quel punto si è realmente credibili oltre le strumentalizzazioni della propaganda di parte. Chiediamo troppo? Pazienza, chi ci sta ci sta e chi no, amen.

C’è qualche analogia tra i fatti della resistenza in Italia contro il nazifascismo dal 1943 al 1945 con la resistenza ucraina contro la Russia? Analizziamo i fatti.

Prima questione: La NATO nasce il 4 aprile 1949, dunque a guerra finita e come “difesa” contro l’Urss temuta come insieme di popolazioni e etnie che cercavano una propria via per sottrarsi al dominio euro-atlantico, quella potenza economica, politica e militare che aveva fino a quel momento dominato il mondo. Altrimenti detto: la NATO perciò nasce come difesa contro la rivoluzione dei paesi poveri capeggiati dall’Urss contro i paesi ricchi capeggiati dagli Usa.

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machina

Intervista a Valerio Evangelisti

0e99dc 6d77945896644c9186fa9b5c63e0a8dfmv2Ci ha lasciati Valerio Evangelisti, storico e scrittore militante bolognese, animatore di diversi progetti, tra cui «Carmilla». Ha contribuito a creare un immaginario attraverso i suoi numerosi romanzi, da quelli legati alla famosa figura dell’inquisitore Eymerich al ciclo del Pantera, nel clima della guerra civile americana, dai pirati di Tortuga agli intrecci dei percorsi biografici de Il sole dell’avvenire, dagli Iww alla rivoluzione messicana, fino ai volumi dedicati a raccontare un’altra storia del Risorgimento italiano. Lo ricordiamo con un estratto dell’intervista del 18 marzo 2000, per il volume Futuro anteriore. Dai «Quaderni rossi» ai movimenti globali: ricchezze e limiti dell’operaismo italiano (DeriveApprodi, 2002).

* * *

Qual è stato il tuo percorso di formazione politica e culturale e l’inizio della tua attività militante?

La mia storia è abbastanza lunga perché io cominciai ad accostarmi al movimento nel 1969, quando ero uno studente medio. Sulle prime chi interveniva nella mia scuola erano i maoisti e quello fu il primo contatto, anche un po’ traumatico, con la sinistra, come allora si diceva, extra-parlamentare; ma quasi subito passai a Lotta continua. A dire la verità a spingermi non era tanto un calcolo ideologico: Lotta continua era il gruppo ritenuto il più duro e cattivo di tutti, vidi una loro manifestazione che mi impressionò, e quindi alla fine del 1969 vi entrai, tra i primi studenti bolognesi a farne parte (allora era appena nata anche in Italia). Rimasi con loro diversi anni: va detto che era un gruppo molto affiatato dal punto di vista umano, interno, però con quasi nessuna forma di organizzazione, cosa che lasciava spazio a un amplissimo leaderismo; poi c’era la venerazione di Sofri come una sorta di divinità.

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contropiano2

Il 22 aprile la “variante operaia” incontra quella studentesca

Contropiano intervista Roberto Montanari

Usb logistica bellaIntervista a Roberto Montanari sindacalista della Usb nel settore della logistica. Nel nostro viaggio verso lo sciopero operaio e studentesco del 22 aprile, abbiamo chiesto alcune valutazioni a chi agisce in un settore strategico della catena del valore capitalistica come la logistica.

* * * *

Il 22 aprile ci sarà uno sciopero “operaio” convocato da Usb e una manifestazione nazionalea Roma. Avete declinato questa giornata di conflitto come la rimessa al centro della “variante operaia” nell’agenda politica del paese. Che cosa significa?

Nel passaggio a questo terzo millennio il capitale ha avuto la capacità di riarticolarsi, nella crisi, mutando anche “tecnicamente” la forma di chi coopera alla produzione della sua ricchezza.

La classe operaia di tipo fordista, così densamente compatta, così fortemente relazionata al tessuto sociale e addirittura territoriale, è stata segmentata, divisa addirittura sul piano globale, dando corpo a quelle che Luciano Vasapollo (tra i primi e più rigorosi studiosi/militanti) ha definito le catene globali del valore.

Utilizzo come esempio l’immagine del vecchio quartiere operaio Mirafiori di Torino. Era un mondo che conteneva altri mondi: c’era il fabbricone, c’era un territorio circostante nel quale lavorava l’indotto, vivevano gli operai, studiavano i loro figli, si muovevano, si divertivano, organizzavano la resistenza operaia allo sfruttamento. Ora è un “non luogo”, vuoto, con reperti di archeologia industriale, un quartiere senza servizi, abbandonato a se stesso.

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lantidiplomatico

Riflessioni sul programma minimo e su un movimento politico organizzato[1]

di Enzo Gamba e Francesco Schettino

Riceviamo e volentieri pubblichiamo come spunto di dibattito alcune importanti riflessioni sulla necessità di trasformare l'enorme dissenso sociale presente in Italia in un movimento politico organizzato che sappia rappresentarlo degnamente

720x410cnyfSarebbe ingeneroso nei confronti di tutte le compagne e i compagni non tener conto del grande impatto pratico ed emotivo che hanno avuto gli eventi collegati alla lunghissima pandemia nell’ultimo biennio abbondante, così come le vicende belliche contemporanee. È vero, e facciamo bene a riconoscerlo, che ne siamo usciti tutti con le ossa più frantumate di quanto non lo fossero prima. Per quanto le nostre conoscenze ci abbiano tenuto al riparo da danni ancora maggiori – rinvenibili in tutto mondo – due anni abbondanti di stato emergenziale ci hanno resi probabilmente più deboli. Le nostre iniziative vedono sempre meno adesioni, il coinvolgimento di larghi settori delle classi più povere e subalterne è ancora più arduo e il clima di angoscia e sfiducia di certo non rende più semplice il nostro lavoro.

Tuttavia, queste considerazioni non possono agire da pretesto per limitare la nostra azione o addirittura per decidere che non c’è più nulla da fare. Al contrario questi fenomeni, diffusissimi in ogni angolo della nostra società, sono assai utili per comprendere la misura di quanto, in una fase di crisi perdurante come quella che viviamo, il nostro ruolo sia ancora più centrale, nonostante la sostanziale invisibilità che ci viene ormai concessa.

Sono tanti i presunti tentativi di riunificazione alla sinistra del PD, come ce ne sono stati tanti nel passato e probabilmente altrettanti ce ne saranno nel futuro. Nonostante le buone intenzioni si tratta troppo spesso di fusioni “alle proprie condizioni” che determina rapidamente un deteriorarsi dei rapporti interni e dunque la pressoché immediata interruzione di percorsi, di fatto, mai iniziati. Tuttavia, non possiamo che cogliere con favore le aggregazioni di vasti settori popolari attorno alle iniziative degli operai Gkn (Insorgiamo tour) il cui lavoro è al contempo originale ed encomiabile e della nuova formazione istituzionale che ha visto la nascita di un nuovo soggetto, ManifestA, che unisce PRC e Potere al Popolo!, nella Camera dei deputati.

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lacausadellecose

Camionisti e soggetto

di Michele Castaldo

14997136 small 1 690x362Carissimi compagni,

capisco che in una fase molto complicata, come più volte l’ho definita, si possa essere attratti da qualsiasi cosa si muova contro lo stagno della lotta di classe secondo almeno certi canoni, ma occorre lucidità proprio in certi frangenti per evitare di prendere abbagli.

Mi riferisco alla posizione dei compagni di Assemblea militante sulla lotta dei camionisti canadesi che, attratti da una mobilitazione contro le misure restrittive dell’agibilità sociale più che politica, si schierano con essa, la esaltano e si augurano « Che l’atto di forza in corso sul teatro canadese dia fuoco alle polveri, in una serie di pronunciamenti di massa e di piazza a catena in grado di far crollare il castello di menzogne e la realtà da incubo nella quale siamo piombati ».

Visti i tempi, sono costretto a parlare in prima persona, che non è buona cosa, ma quando è necessario esporsi è giusto farlo. Il mio approccio alla questione - ripeto molto complicata e chi la semplifica sbaglia e i fatti si incaricheranno di dimostrarlo – si rifà al metodo che usò Rosa Luxemburg rispetto alla mobilitazione dei contadini in Russia nel novembre del 1917, che pur appoggiando le ragioni del sostegno dei bolscevichi alla causa rivoluzionaria dei contadini, mise in guardia Lenin dicendo: « questi saranno i tuoi aguzzini».

L’aquila reale Rosa prese anche qualche abbaglio quando criticò lo scioglimento dell’Assemblea costituente, e molti comunisti di scuola trockista e democratici occidentali usano proprio la critica di Rosa contro Lenin, per denigrare la Rivoluzione russa e il comunismo.

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nicomaccentelli

Convoy… o senza di voy!

di Nico Maccentelli

Schermata 2022 02 02 alle 14.58.00 1L’ultimo episodio di un vasto movimento di massa mondiale contro le restrizioni pandemiche: la rivolta dei camionisti canadesi, mi ha indotto a proseguire le mie riflessioni a ruota libera, auspicando che possano essere utili nel confronto politico a sinistra. Oggi, anche in una situazione in cui il movimento italiano sta subendo una flessione dovuta in parte all’attacco fortemente aggressivo da parte del regime draghista (obbligo vaccinale per gli over 50, misure draconiane mediante il green pass e super green pass), preso allo stremo, vediamo entrare sulla scena conflittuale, segmenti politici e sindacali della sinistra di classe, vediamo una politicizzazione in senso marxista degli Studenti contro il green pass. Anche se in ritardo l’antagonismo anticapitalista fa la sua apparizione. Si tratta di recidere i cordone ombelicale di una sinistra gruppettara e autoreferenziale: per “convoy … o senza di voy” è più che altro un’affermazione pleonastica. Infime chiedo venia per il carattere di questo intervento che ha più la forma di un insieme di note sparse. Buona lettura.

Quando si affronta il tema della lotta di classe e quindi di una rivoluzione sociale – ma vale anche per una battaglia sociale riformatrice – c’è l’antico vizio di schematizzare le divisioni sociali e in particolare la divisione sociale del lavoro.

Non c’è solo in ballo il sistema di relazioni di classe, per esempio quali alleanze, dato che la questione è un po’ più complessa e riguarda in realtà l’ontologia stessa delle classi sociali, cosa sono in una data società, partendo dall’enunciato di Marx, che la loro definizione è basata sul posto che occupano nella produzione sociale.

Tra i marxisti si è già fatto sin troppo schematismo partendo con vecchie configurazioni sociali da operaio massa nel taylorismo e arrivando a definizioni sociologiche, nel puro campo dell’ideologia. Ce ne è per tutti gusti.

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circolointernazionalista

Classe per sè o classe per altri?

di Circolo Internazionalista “Coalizione Operaia”

copÈ passato esattamente un anno dalla pubblicazione del nostro opuscolo su “Il marxismo e la questione fiscale”, terreno di lotta politica del proletariato sul quale, nel corso dell’ultimo anno, più di qualche sedicente “rivoluzionario” ha goffamente sdrucciolato. Non abbiamo la pretesa di ritenere che la graduale sordina calata su quella che sembrava dover diventare la madre di tutte le rivendicazioni politiche di classe – la “million tax” – sia merito nostro. Una rivendicazione che risponde ad interessi di strati sociali storicamente a rimorchio, che non ha nessun aggancio con la dinamica delle lotte reali del proletariato, che non risponde alle esigenze di questa lotta, ma soprattutto che non è in cima all’agenda politica borghese, non ha gambe proprie sulle quali camminare, e viene via via lasciata cadere dagli stessi che se ne fanno promotori, per essere magari sostituita da altre parole d’ordine “asso pigliatutto”. Altrettanto irreali, altrettanto sterili. Non è affatto escluso che la “patrimoniale di classe” ritorni alla carica, una volta che “l’aria che tira” alimentata dai mantici della classe dominante la riporti anche solo marginalmente nel dibattito. Per ora, nel bilancio da stilare ad un anno dalla battaglia contro le pretese di “marxificare” la “million tax”, possiamo solo riscontrare con moderata soddisfazione che quel tentativo è stato prontamente e severamente rintuzzato. Di seguito pubblichiamo il testo della relazione di presentazione al nostro opuscolo.

* * * *

Nonostante la chiarezza cristallina della nostra posizione in merito alla questione fiscale, siamo stati “bollati” dai propugnatori di una politica fiscale massimalista (leggi: Tendenza internazionalista rivoluzionaria, sic!) di “indifferentismo”, una banale etichetta di comodo, falsa fino all’inverosimile, che prova miseramente a distogliere l’attenzione dall’intrinseca inconsistenza di qualsiasi proposta di “million tax classista”.

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carmilla

La rivoluzione oltre il comunismo novecentesco

di Fabio Ciabatti

Enzo Traverso, Rivoluzione. 1789-1989: un’altra storia, Feltrinelli, Milano 2021, edizione Kindle, pp. 585, € 19,90; edizione cartacea p. 464, € 39,00.

variant med 1200x630 obj26296550I militanti dei partiti comunisti del secolo scorso erano convinti di marciare nel senso della storia e per questo di appartenere a un movimento che trascendeva il loro destino individuale. Convinzione che li aiutava a combattere anche nei momenti più tragici e a riprendere la lotta dopo ogni sconfitta. L’esperienza di questo tipo di soggettività, legata alla costellazione pratico-teorica del comunismo novecentesco, si è esaurita, sostiene Enzo Traverso nel suo ultimo libro Rivoluzione. 1789-1989: un’altra storia. I movimenti anticapitalisti emersi negli ultimi anni, infatti, non appartengono a nessuna delle tradizioni della sinistra del passato, fatte salve alcune affinità con l’anarchismo. Generalmente disinteressati ai grandi dibattiti strategici della tradizione rivoluzionaria e indifferenti ad una dimensione teleologica della storia, hanno inventato nuove forme di organizzazione e sperimentato nuove forme di vita basate sull’autogestione, sulla riappropriazione dello spazio pubblico, sulla partecipazione, sulla deliberazione collettiva, sull’inventario dei bisogni e sulla critica della mercificazione dei rapporti sociali. “In quanto orfani, devono inventare la propria identità. Questa è a un tempo la loro forza, perché non sono prigionieri di modelli ereditati dal passato, e la loro debolezza, perché mancano di memoria”.1 Per questo “se le rivoluzioni del nostro tempo devono inventare i propri modelli, non possono farlo su una tabula rasa, senza incarnare una memoria delle lotte passate, sia le conquiste, sia le assai più frequenti sconfitte”.2 Non si tratta di conservare feticisticamente un retaggio inviolato di prassi e teorie, ma di fare una duplice operazione attraverso l’elaborazione critica della storia: superare il passato e, al contempo, salvare il significato di quell’esperienza storica chiamata rivoluzione.

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carmilla

Gli altri volti della Rivoluzione: considerazioni di un antimarxista

di Sandro Moiso

Diego Gabutti, Mangia ananas, mastica fagiani. Vol.I – Dal Manifesto del partito comunista alla Rivoluzione d’Ottobre, WriteUp Books, Roma 2021, pp. 484, 28,00 euro

mangia anans mastica fagiani

Lasciate oltrepassare al vostro pensiero i limiti di questo mondo, perché vada a contemplarne un altro completamente nuovo, che farò nascere in sua presenza negli spazi immaginari. (Descartes, Le Monde de M. Descartes ou le Traité de la lumière)

 Per chi, come il sottoscritto, crede che il politico costituisca principalmente null’altro che uno dei tanti territori dell’immaginario, non è difficile condividere l’idea di Diego Gabutti che anche la Storia non sia altro che un aspetto, forse il più antico e meglio conservato, della narrazione letteraria e che come tale vada trattata.

I due aspetti, il politico come una delle tante espressioni dell’ immaginario e la Storia come uno dei generi letterari possibili, si intrecciano profondamente infatti nella monumentale opera in due volumi, di cui si recensisce qui il primo, dedicata alla ricostruzione dei percorsi del marxismo e delle sue rivoluzioni attraverso aforismi letterari e filosofici, recensioni di saggi e di romanzi, divertite e divertenti analisi di testi che da sempre dovrebbero costituire il “canone” marxista, che si accavallano nelle sue pagine, non concedendo al lettore un attimo di tregua (ma in compenso regalandogli numerosi motivi per sorridere oppure riflettere su “verità” date troppo spesso per scontate).

Un’opera che se, nei suoi tratti essenziali, potrà infastidire più di un lettore, da un altro lato potrebbe rivelarsi davvero necessaria e stimolante in ambienti sinistresi in cui, ancora e forse soprattutto oggi, il dibattito sul fallimento delle rivoluzioni novecentesche rifiuta troppo spesso il peso avuto nello stesso dall’autentica controrivoluzione staliniana e dagli eccessi ideologici, che ebbero però risvolti drammatici nelle scelte politiche, sociali e culturali che ne derivarono, di coloro che dissero di ispirarsi a Marx e ancor più al marxismo-leninismo (non importa qui se di stampo bolscevico o maoista). Una sinistra che, fingendo si averlo digerito e superato, così come aveva già fatto il PCI nei confronti dello stesso retaggio storico, ogni qualvolta si approccia allo stalinismo afferma che ormai qualsiasi diatriba che lo riguardi è un fatto meramente ideologico. Appartenente ad un passato ormai morto e sepolto.