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ricostruire il pc

La Ricostruzione del Pc e il dibattito economico

di Lorenzo Battisti*

4774La crisi dell’economia capitalistica colpisce i paesi occidentali ormai da molti anni, eppure a leggere i giornali (o ascoltando i dibattiti in televisione o alla radio) sembra che nulla sia cambiato nelle analisi e nelle proposte di politica economica. Oggi, come prima della crisi, il liberismo economico resta l’unica visione dell’economia e sembra che nessuno lo metta in discussione. Se davvero questa crisi è paragonabile a quella del 1929, la resistenza del liberismo rappresenta una differenza significativa.

 

La lotta ideologica in economia

Come osservava Marx

“nel campo dell’economia politica la libera ricerca scientifica non trova solo gli stessi nemici che trova in tutti gli altri campi. La natura propria della materia che tratta richiama a battaglia contro di lei le passioni più forti, più meschine e più brutte del cuore umano, le furie dell’interesse privato.”

Lo studio dell’economia è stato fortemente influenzato dai mutamenti politici che sono avvenuti negli ultimi decenni. Proprio a causa dei forti interessi in gioco, l’economia rappresenta un campo di lotta che oltrepassa i semplici confronti scientifici: in questo campo i normali criteri di selezione delle idee e degli studiosi vengono abbandonati, e a prevalere non è più la semplice contesa accademica, ma una selezione fondata sulla vicinanza o meno agli interessi dominanti.

L’economia che viene presentata oggi sui grandi media così come nelle facoltà è il risultato di questa lotta e della sconfitta degli economisti critici, avvenuta a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, diventata una rovinosa ritirata negli anni ’90. La visione oggi prevalente dell’economia non presenta alternative a sé stessa (è quindi l’unica e giusta) e ha espulso dal suo campo di studio qualsiasi elemento sociale: non esistono le classi o la società, e la base di ricerca è il comportamento di individui egoistici in competizione tra loto per massimizzare il proprio profitto. L’impresa è l’unica creatrice di valore e tutto il resto deve quindi piegarsi ai suoi interessi e bisogni. Il libero mercato è quindi l’unica opzione possibile, oltre ad essere la migliore.

 

Eterodossi e mainstream: dagli anni ‘70 ad oggi

L’influenza degli interessi dominanti può presentarsi in tre distinti momenti.

Il primo è quello della selezione dei dei ricercatori e dei professori, così come nell’assegnazione dei fondi per la ricerca. Tutti gli economisti possono essere suddivisi in due macro gruppi: i mainstream e gli eterodossi. I primi sono quelli che sostengono l’economia capitalistica e la proprietà privata dei mezzi di produzione. Gli eterodossi invece sono quegli economisti che, pur partendo da visioni differenti, sono ostili, avversi o critici (secondo diverse misure) all’attuale assetto economico e propongono radicali cambiamenti. Questo gruppo comprende, tra gli altri, marxisti, keynesiani, sraffiani, studiosi delle problematiche di genere. Ormai da tempo i primi sono quelli che più facilmente prevalgono nelle selezioni per i posti accademici, mentre i secondi trovano con difficoltà una posizione stabile. Il progressivo processo di privatizzazione dell’insegnamento universitario ha facilitato questa selezione ideologica all’entrata. Lo stesso può dirsi nell’assegnazione dei fondi per la ricerca: a meno dei pochi mecenati illuminati o di qualche istituzione di promozione di un dibattito democratico, gli eterodossi trovano difficoltà a reperire i fondi per la ricerca e ciò rende difficile il dibattito e la circolazione delle idee.

Il vero punto dove si esercita l’influenza delle classi dominanti è nelle riviste accademiche. Le riviste più  considerate sono quelle con un orientamento mainstream e al contempo si viene considerati economisti importanti solamente se si pubblica su queste riviste. Il meccanismo chiaramente si autoalimenta. La stessa sopravvivenza delle riviste eterodosse viene messa in discussione, poiché qualsiasi facoltà o biblioteca universitaria privilegerà un abbonamento a una rivista mainstream rispetto a una eterodossa. Inoltre il meccanismo di selezione accademica si basa oggi quasi esclusivamente sulle pubblicazioni: più le pubblicazioni sono su riviste prestigiose, più è facile entrare. Un economista eterodosso troverà quindi più difficile pubblicare (per il minor numero di riviste) e le pubblicazioni avranno un valore minore.

Infine c’è uno sbarramento nella divulgazione sui grandi media. Sebbene dall’inizio della crisi si osservi una maggiore tolleranza da parte dei principali giornali e sia aumentato il numero di pubblicazioni critiche, la sproporzione tra gli spazi offerti ai due gruppi resta enorme. Gli economisti che possono parlare vengono selezionati secondo il loro grado di “criticità”: tanto più mettono in discussione le fondamenta del pensiero dominante e del capitalismo tanto meno spazio avranno. Questa selezione sarà giustificata dalle precedenti: gli incarichi in Italia o all’estero (dati quasi solo ai mainstream) così come l’autorevolezza dell’economista (certificata dall’importanza delle pubblicazioni) giustificheranno la scelta di uno rispetto all’altro.

Questo mostra come la selezione sia tutt’altro che meritocratica e presupponga una selezione ideologica all’accesso. Al massimo la selezione meritocratica si applica all’interno delle diverse scuole di pensiero, ma tra le diverse scuole agisce un semplice meccanismo di potere. Chi può trovare un criterio oggettivo per giudicare quale posizione ideologica sia migliore dell’altra? E’ evidentemente impossibile e a decidere sarà il più ampio scontro politico nella società.

 

Economisti disarmati

Un secondo problema, dopo quello della selezione ideologica, è quello della politica economica.

Gli economisti eterodossi, quei pochi che hanno resistito alla selezione, si trovano difatti  ad essere politicamente inefficaci. Le loro analisi, così come le loro proposte di politica economica non trovano un soggetto che le sostenga e le porti nel dibattito politico e nelle lotte sociali. Gli articoli che appaiono e che sfuggono alla censura mediatica perdono così molta della loro pericolosità e diventano invece un attestato di democraticità dell’editore piuttosto che un’arma ideologica per i lavoratori.

L’impressione per molti economisti è quindi quella di essere disarmati. Grandi sforzi di studio con mezzi risicati producono risultati senza efficacia sociale, per la mancanza di un soggetto politico che li ascolti e che abbia il necessario radicamento sociale e una rappresentanza istituzionale tale da poterli contrapporre agli argomenti dei liberisti e farli diventare quindi un’arma dello scontro politico.

 

La necessità del Partito Comunista per la battaglia in economia

La situazione è comune a tutta l’Europa (seppure con diversi gradi di gravità) e agli Stati Uniti. Ma non è sempre stato così. Se ci limitiamo all’Italia, si può vedere come le passate generazioni di economisti vivessero in un ambiente accademico ben diverso, dove c’era certamente una prevalenza degli economisti mainstream, ma dove vi erano ampi spazi per gli economisti critici. Alcuni dei contributi più interessanti al pensiero critico in economia sono giunti proprio dall’Italia (pensiamo a Sraffa, al circuito monetario di Graziani, così come ai tanti marxisti e keynesiani italiani).

E d’altra parte questo lavoro di ricerca trovava un’ampia presenza nel dibattito pubblico, dove grazie all’azione della Cgil e del Pci aveva voce nelle istituzionale così come nelle lotte dei lavoratori. Questo agiva anche sulle stesse università (dove gli studenti si confrontavano con approcci diversi), come sulla selezione dei ricercatori e dei professori, che traevano forza e autorevolezza accademica dal riscontro sociale e politico delle proprie tesi.

Anche tra gli economisti si sente quindi la mancanza del Partito Comunista. Oggi manca un partito non settario e non massimalista, con un radicamento popolare e tra i lavoratori, presente nel sindacato, che stimoli la ricerca accademica critica e che dia a questa un’effettività politica. Questo è particolarmente urgente per gli economisti marxisti che in Italia sono stati di fatto espulsi dall’accademia e che sono ormai ridotti a piccolissimi numeri.

La ricostruzione del Pc in Italia deve porsi l’obiettivo di fare rientrare con forza Marx nello studio dell’economia, che tutto il patrimonio degli economisti marxisti rientri nel dibattito e che quindi contribuisca alla crescita degli studenti e dei ricercatori. Ma deve anche porre l’ambizioso obiettivo, insieme alle altre correnti critiche, di trasformare l’economia (o come viene oggi asciuttamente chiamata, l’economics) in una scienza sociale, aperta ai contributi delle altre scienze sociali.

Infine è necessario un lavoro di formazione capillare presso i quadri militanti, che contrasti l’insidiosa influenza dei punti di vista dominanti.

 

*Comitato Centrale Pdci

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