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Francia: 4 ipotesi sulla macchina tempo del 37 marzo

di Marco Assennato

france retire 231. Uno squarcio, un evento.

È passato ormai più di un anno da quando scrivemmo che dopo i primi attentati terroristici a Parigi, si stava producendo un evento nei corpi sociali francesi: una finestra che mostrava un collettivo eccedente le sue determinazioni e che era in qualche misura urgente da tradurre in termini politici per evitarne unrecupero identitario e reazionario. Lo dicemmo in quello strano isolamento che accade quando ci si trova in mezzo a 4miloni di persone eppure inascoltati tra i commenti. Proliferavano allora analisi sulla componente bianca, non periferica, eurocentrica – per non dire degli esercizi di semiotica su chi era chi e chi non era Charlie. Insomma da una parte si mostrava uno spazio politico irriducibile alla spirale neoliberismo armato-terrorismo e dall’altra un doppio discorso declinato in storpiati vocabolari post-colonial e nell’oscena rappresentazione dei potenti del mondo. Si annunciarono così, lo Stato d’Emergenza e la stretta securitaria del governo. Eccoci: fino ad oggi quelle voci tacciono, o balbettano. Perché, diciamolo subito, in questa nuova esplosione democratica che attraversa la Francia, la composizione è stata, dall’origine, abbastanza classica. Operai e studenti uniti nella lotta che resistono ad una proposta di ristrutturazione del codice del lavorosalariato. Se non trovassi osceno e stupido il metodo direi: anche i Licei e le Università, sono “bianchi” e senza banlieues. Ma dov’è la whitenessin Francia? Erano forse bianchi i 4 milioni dell’11 gennaio 2015? E come funziona il rapporto metropoli-banlieue, oggi, in Europa? Come allora, anche oggi, si parla di andare in banlieue e strapparne all’inferno della radicalizzazione religiosa la collera sociale: se non fossero completamente accecati dall’ideologia, persino i rappresentanti delle istituzioni capirebbero che questo movimento – e il conflitto che innesca – è l’unica possibilità di salvare quella parte di società che non si riconosce più, e giustamente, nella narrazione nazionale. Perchéin questo lunghissimo marzo si sta riaprendo uno spazio di parola che traduce la rabbia in rivendicazione di nuovi diritti. La prima ipotesi dunque è questa: in Francia assistiamo a uno squarcio della narrazione pubblica che raccoglie e convoglia energie mai sopite. AprèsMarx, Avril ha scritto un writersulla parete di una scuola.

 

2.Pare ci sia una barricata sul Boulevard Saint Germain”.

Dunque ripetiamo: una composizione classica, e tuttavia capovolta. Sono gli studenti, soprattutto i più giovani, a dare inizio alla mobilitazione. I sindacati seguono a fatica, quando non con imbarazzate e vergognose ambiguità. Questa prima inversione – che ha fatto considerare alla ministra socialista patronima della legge,”assurdolo stato di agitazione dei liceali e delle università“ – è significativa e potenzialmente importante. Perché libera da subito il discorso dall’impianto lavorista. Certo è vero: il movimento ha messo insieme lotte che nei mesi scorsi si erano diffuse sui luoghi di lavoro, dalle ferrovie alla GoodYear, ad Air France etc. Merci Patron! - il film di François Ruffin è una delle sue divise. Ma è nelle fabbriche della conoscenza che esso ha preso consistenza. Non saremo riserva flessibile del capitalismo finanziario. Come dire che il tempo della vita è nostro: la notte serve a scopare, non a lavorare si legge negli striscioni dei licei. C’è questa rivendicazione di una vita attraversata dal desiderio e dal piacere, il rifiuto di esser piegati alla vampirizzazione finanziaria, prima di altro. La risposta del governo – CRS nelle scuole e nelle università, centinaia di arresti, assemblee sfollate con i manganelli e con la compiaciuta e orgogliosa partecipazione di alcuni presidi – non ha fatto paura: piuttosto ha mostrato il terrore del governo; ha prodotto una prima connessione tra una mobilitazione che nasceva su un terreno parziale con le politiche legate allo Stato d’Emergenza; ha allargato la prima, originaria platea ad un discorso più complessivo. La cronaca dei cortei e delle assemblee è nota e facilmente reperibile. Quanto conta credo sia altro. C’è in questa storia un tempo antico che si ripresenta in scena e tuttavia si rinnova. In Francia è cambiato il calendario. Vecchia tradizione comunarda e giacobina quella di aggredire la misura del tempo. Marzo non finisce, si allarga e si espande, come il corpo del movimento: 32 marzo, 33 marzo, 34 marzo, 35 marzo, 36 marzo, 37 marzo. Nella notte:“pare ci sia una barricata al Boulevard Saint Germain”. Ancora studenti, che chiedono la liberazione dei compagni messi in stato di fermo dalla polizia. Non è il 1968, ci assomiglia, ma è un anno nuovo, del quale bisognerà inventare la cifra. Che sia il modo, tutto francese, di produrre forme di democrazia radicale e conflittuale per il nostro futuro? La seconda ipotesi che muoviamo è questa. Su una composizione originariamente classica, sul ritornello della storia dei conflitti di classe in terra Francese, suona una musica nuova: che funziona per dispositivi di allargamento, agencements e incontri che allargano e trasformano, come il tempo, la struttura delle lotte.

 

3. Una notte in piedi.

Il primo di questi dispositivi investe lo spazio urbano parigino. Non un luogo qualsiasi. Place de la République. Lì si eracercato Charlie, dopo i primi attentati. Da lì erano partite le prime marce contro il terrorismo. Su quella piazza poi, aveva insistito il diagramma nazionalista del presidente Hollande, che ne aveva ingabbiato il discorso riducendo l’esplanadea un ceppo funebre dove commemorare, in silenzio,la nazione ferita. Chi non aveva voluto vedere il potenziale simbolico di quelle giornate, assumendo e subendo l’ideologia segregazionista dei capi di stato vergognosamente schierati per proclamare la guerra interna, oggi può riprendere le proprie analisi semiologiche. È quella stessa piazza il luogo in cui il discorso originario di questo nuovo movimento viene riarticolato e costruito. Di nuovo, a République, si prende la parola. Le notti passano gonfiando le assemblee e i gruppi di intervento. Si discute di tutto. Di rifugiati e Banlieues, di sicurezza e lavoro, di futuro e democrazia. Tre passi a destra e due indietro: così il tramonto vergognoso della sinistra franceseviene plasticamente rimodulato, mentre al senato, complici alcuni tatticismi parlamentari, l’orrenda riforma costituzionale proposta dal presidente frana e viene definitivamente ritirata. Se il governo fosse costretto a ritirare anche la legge ElKhomri – Macron, sarebbe la crisi per Manuel Valls e compagni. Ai manganelli si affianca dunque la proposta di incontrare e discutere con alcuni sindacati studenteschi per trovare una mediazione e dividere il movimento. Chi discute con il governo rientra nei ranghi della buona politica repubblicana, sugli altri si abbatta la violenza dello Stato di Emergenza, perché ci sono studenti che hanno il solo obiettivo di distruggere il PS! Che pietà questo lamento: il piagnisteo diun élite incapace di vedere che il PS si è già distrutto da solo, senza l’aiuto di nessuno. Primo obiettivo è il ritiro puro e semplice della legge. Un obiettivo che nessuna divisione sindacale pare capace di cambiare. Ma a Républiquel’ordine del discorso si è fatto già molto più ampio. La notte del 36 marzo le piazze investite dalle acampadasin Francia erano più di venti. Dove i CRS hanno impedito l’accesso, come a Lione, la notte si è organizzata sotto un ponte. Studenti, lavoratori salariati, collettivi, associazioni, precari, immigrati: questo spazio è di tutti. Certo, l’impianto nazionale è ancora forte, ma il suo allargamento progressivo allude ad altro. Il sito de La nuitdebutannuncia la costruzione di esperienze simili a Bruxelles, in Spagna, in Germania, in Guadalupe, in Canada. Il movimento spezza le frontiere. Dallo spazio urbano si propaga un flusso transnazionale. La terza ipotesi è questa: urge una convergenza europea delle lotte, il movimento francese inizia a sentirlo, lo dichiara. Cerca di espandersi nello spazio. Che si tratti dell’ennesima occasione da cogliere?

4. Un’inchiesta da cattivi maestri.

Sul sito della CIP, la confederazione degli intermittenti e dei precari, viene pubblicato come contributo al dibattito sulla lotta in corso, un estratto di un vecchio caro libro sovversivo. Sono le pagine trontiane sul Doppelcharakterdel lavoro, che danno il tono al discorso con cui gli intermittenti, anch’essi investiti dal tentativo socialista di distruggerne le tutele e i diritti, prendono la parola nel movimento. Qui davvero l’impianto lavorista è esplicitamente e definitivamente superato: Odio il lavoro, odio la legge, figuratevi una Legge del Lavoro. La CIP propone di organizzare un’inchiesta sulla base dell’assunto che essere studenti significa già essere lavoratori precari. Poi di articolare le forme di lotta, di alternare ai cortei e alle assemblee azioni mirate che colpiscano il patronato, di praticare forme di sciopero che possano assicurare il massimo di tutela per i lavoratori precari, sull’esempio del movimento dei lavoratori dello spettacolo, che bloccavano le rappresentazioni teatralial posto dei colleghi che non potevano mettersi in sciopero. Tutta la vita è messa al lavoro. Tutte le forme di vita possono dunque ribellarsi e riconoscersi, soggettivarsi e allargare il movimento. D’altra parte a Paris-VIII e in altre università, in assemblea, nei seminari autogestiti e nei dibattiti si raccolgono studenti a centinaia, liberi di analizzare, discutere e imparare ciò che sentono più urgente: “Abbiamo organizzato dei corsi alternativi, delle proiezioni, varie occasioni nella quali si discute, ad esempio dei differenti tipi di razzismo o delle oppressioni legate al genere” – racconta uno studente a Libè. Nella struttura tradizionalmente abbastanza rigida delle università francesi irrompe dunque un’energia nuova, una forma orizzontale di produzione e condivisione del sapere, che squaderna argomenti e problemi, nodi teorici e possibilità di ricerca, domande e conoscenza critica. Dove disperderemo le ceneri del vecchio mondo? Si leggeva su una parete di Tolbiac. Ed è una delle poche che l’amministrazione dell’università ha deciso di far subito cancellare. Di nuovo ci viene in mente quel piccolo e prezioso post-scriptum deleuziano del 1990. I nuovi lavoratori del regime di impresa neoliberista devono essere motivati, formati, valorizzati, «sta a loro scoprire per che cosa servono, come i loro antenati hanno scoperto, non senza pena, la finalità delle discipline. Le spire di un serpente sono ancora più complicate dei buchi di una talpa». La quarta ipotesi dunque è questa: i giovani francesi sanno a cosa servono. Il movimento riconosce il carattere singolare, cognitivo e diffuso del lavoro e inizia a declinarne la grammatica. Fa convergere le lotte e le compone. Più che messaggi sinistri, qui il discorso si sporge in avanti.

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