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autaut

Appunti storico-psicologici per una “nuova” genealogia delle odierne schiavitù

di Andrea Muni

EgV3AKmXYAAJacuNella cultura occidentale lo schiavo è qualcosa come un rimosso. Il riemergere della figura dello schiavo nel lavoratore moderno si presenta quindi, secondo lo schema freudiano, come un ritorno del rimosso. 
G. Agamben, L’uso dei corpi

Una pratica millenaria, un istituto giuridico, una tecnica seduttiva. Le molte facce della schiavitù non cessano di affascinarci, indignarci, intrigarci. Forse perché “schiavitù” è una parola che si trova all’incrocio, all’articolazione di tutta una serie di questioni estremamente attuali e, troppo spesso, rimosse. Una nozione-ragno, un concetto viscoso – vertiginosamente oscillante tra il giuridico/politico e l’erotico/psicologico –, che rifiuta definizioni di sorvolo e racchiude in sé un prezioso segreto “strategico” (individuale e politico).

Questo pretestuoso tentativo di nobilitare moralmente lo schiavo è quanto di più fuorviante possiamo incontrare nelle nostre ricerche sulla schiavitù

 

1) Il primo problema metodologico di una “nuova” genealogia delle odierne schiavitù consiste nell’aggirare la pesantissima deformazione storica prodotta dall’autocommiserante immagine cristiana del fedele come servo/schiavo (di dio e del suo Prossimo). Questa auto-rappresentazione, e questo pretestuoso tentativo di nobilitare moralmente lo schiavo – peraltro magistralmente smascherato dal Nietzsche della Genealogiaè quanto di più fuorviante possiamo incontrare nelle nostre ricerche sulla schiavitù. È infatti una via che conduce alla radice storico-ideologica di quello che oggi viene denunciato come “buonismo”: una narrazione tanto potente quanto irrealistica, un boomerang ideologico a tutto vantaggio di chi gli schiavi li sfrutta.

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minimamoralia

Note in margine a un testo esplicito, ovvero Come si preparano gli insegnanti italiani alla scuola che verrà?

di Giada Ceri

arton95247 640x420La prolissità non è un eccesso di parole, annotò Nicolás Gómez Dávila fra i suoi Escolios a un texto implícito (1977), ma una carenza di idee.

L’aforisma trova conferma nell’inesausto discorso sulla scuola italiana, riassunto – si fa per dire: son quattrocento pagine e passa – in uno dei tanti manuali per aspiranti insegnanti su cui io e altre decine di migliaia aspiranti insegnanti ci prepariamo al concorso previsto per l’autunno. Nel frattempo aspettiamo di conoscere il punteggio che verrà assegnato nelle diaboliche gps, le graduatorie provinciali dalle quali saranno scelti i supplenti nei prossimi due anni. (Le province, a proposito: vero emblema di resilienza nell’architettura costituzionale italiana.) Oltre settecentocinquantamila domande pervenute sulla piattaforma digitale del Miur: non il milione che era atteso, ma accontentiamoci.

Nel frattempo, a poche settimane dall’inizio del nuovo anno scolastico, si continua a dare i numeri – quanti alunni per classe? quante immissioni in ruolo? quante aule da predisporre? … – ma la voce degli studenti non si sente più. Le loro bocche (anzi: rime buccali, copyright Comitato tecnico-scientifico istituito per l’emergenza coronavirus) non si sono più aperte dopo aver rivendicato il diritto alla notte prima degli esami – la maturità essendo uno dei riti collettivi nel calendario annuale di questo Paese, tra il festival di Sanremo e la classifica delle estati più calde dell’ultimo secolo. Non hanno niente da dire su come immaginano e vorrebbero la “loro” scuola? O invece parlano ma non sono ascoltate?

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tlaxcala

Coronavirus: una mutazione antropologica

di Jean-Claude Paye e Tülay Umay

gal 23088Conosciamo bene il concetto di stato di emergenza. Fa parte della nostra vita da una ventina d'anni, sia che lo stato d'emergenza sia stato dichiarato, come in Francia, sia che sia semplicemente il risultato di una costante trasformazione del diritto penale che distrugge, in nome della "lotta al terrorismo", l'essenziale delle libertà collettive e individuali. Questo processo, il cui scopo è la soppressione dello Stato di diritto, è stato definito "stato di emergenza permanente".

A questa trasformazione, a livello giuridico, si è ora aggiunta la nozione di "stato di emergenza sanitaria". Qui, in uno stato di emergenza sanitaria, la legge non è sospesa o addirittura abolita, non ha più motivo di esserlo. Il potere non è più diretto ai cittadini, ma solo ai malati o ai potenziali portatori di virus.

Quando il diritto è sospeso in stato di emergenza o soppresso in una dittatura, il suo posto rimane, anche se non è occupato. Nello "stato di emergenza sanitaria", è proprio il suo posto che scompare. Il diritto non è più semplicemente sospeso o soppresso, ma espulso. Chiuso, è semplicemente posto al di fuori del discorso, come se non fosse mai esistito.

 

Rinunciare alle nostre libertà...

La "lotta al terrorismo" ha permesso di sopprimere la maggior parte delle libertà pubbliche e private, attaccando atti concreti, ma soprattutto intenzioni attribuite alla persona perseguita, se queste sono "destinate a fare pressione su un governo o un'organizzazione internazionale". La lotta al terrorismo segna la fine della politica (1).

Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, la nozione di guerra è stata introdotta nel diritto penale attraverso la lotta al terrorismo e permette al potere esecutivo di designare, come nemici, i propri cittadini e gli avversari politici.

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paroleecose

Nominativi fritti e mappamondi: didattica della ‘ripartenza’ e dichiarazioni d’agosto tra dire e fare

di Orsetta Innocenti

AulaLa cosiddetta ‘ripartenza’ della scuola ha scandito i mesi estivi, tra una serie infinita di comunicati, note, smentite, da parte del Ministero dell’Istruzione, mentre, pedalando la loro autonomia, i presidi cercavano di far quadrare i metri, chiedendo più o meno disperatamente ai loro interlocutori provinciali, regionali e nazionali spazi, aule a norma, insegnanti in più (e dunque classi più piccole), che non sono arrivati.

Invece, molto si è parlato di banchi (più o meno rotelle) e di «rime buccali», di «didattica digitale integrata» (il nuovo nome della didattica a distanza) e di test sierologici; di capienza a scadenza (entro i 15 minuti non c’è assembramento) sui mezzi di trasporto. Molto ci sarebbe da eccepire, per ciascuno di questi punti, ognuno dei quali conferma l’impressione di provvisorietà con la quale si è guardato alla scuola nel suo complesso (e non è solo questione di emergenza sanitaria). Perché, è ovvio, gli spazi sono importanti, così come lo dovrebbe essere l’adozione di misure di prevenzione reali, conformi alla presente situazione epidemiologica e coerenti con quelle prese per ogni altro comparto: ma la verità è che, da giugno a fine agosto, per parlare di scuola, si è parlato di tutto, tranne che di scuola reale.

Abbiamo passato quasi quattro mesi in emergenza, facendo didattica di prossimità in una situazione inaudita prima ancora che anomala. Tutto questo ha lasciato – oltre che segni tangibili in ogni membro della comunità scolastica – tantissimi buchi neri, ha acuito distanze sociali e culturali, sottolineato differenze, per una serie di ragioni che iniziano a essere indagate in molti interventi da parte della comunità sociale e culturale[1].

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ilpedante

La società distanziale: agorafobia e smaterialità

di Il Pedante

Attacchi di panico 300x224Se il clima culturale di un momento, se la visione di una frazione maggioritaria o egemone fossero un terreno fertile, assisteremmo a un prodigio botanico: che tutti i semi che vi si gettano partorirebbero la stessa pianta. Se fossero uno spartito, gli eventi ne eseguirebbero il tema con ogni timbro, ma sempre fedeli alla parte. C'è una simmetria perfetta tra l'illusione che i fatti plasmino le civiltà e la realtà, che siano invece le civiltà a produrre i fatti e che li digeriscano e li raccontino, li invochino e persino li fabbrichino per vestire le proprie visioni. Che, in breve, gli avvenimenti siano «epocali» se esaudiscono le aspettative di un'epoca.

Ho scritto qui, qui e più in generale anche qui che l'oggetto di questi mesi, una malattia che starebbe cambiando il mondo, è diventata essa stessa il cambiamento, la metafora a cui il mondo si affida per raccontarsi la direzione intrapresa, fingerne la necessità ed evitarsi così lo spavento di smascherarne i pericoli. Con le parole della medicina scrive il proprio mito rifondativo e lo fa in tempo reale, senza cioè darsi il tempo di distinguere l’allegoria dalla cosa.

Il «distanziamento sociale» è insieme uno dei precetti più radicali, apparentemente inediti e rivelatori di questa trasfigurazione sanitaria. L'espressione è in sé già curiosa nel suo proporsi come esempio raro di sineddoche inversa, dove cioè il tutto indica una parte. Se all'atto pratico vi si intende infatti prescrivere una piccola distanza fisica tra le persone per evitare la trasmissione di un un microbo, non è chiaro in che modo debbano perciò risultarne distanziati i rapporti di una società i cui membri già normalmente agiscono tra di loro da luoghi lontani e solo in casi particolari de visu.

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Odio della conoscenza e suggestioni totalitarie nella scuola dell'autonomia

di Paolo Di Remigio

imagesmj39s2La scuola nuova, e nondimeno da innovare, rifiuta lo studio delle discipline, rifiuta la didattica severa che le trasmette iniziando dalle lezioni frontali; il desiderio di liberarsi da questi residui la possiede con tale forza da soffocarle la coscienza di abbandonare gli alunni all’ignoranza. Senza saperlo, essa si colloca così nella lunga tradizione di atteggiamenti che, con tanta più energia quanto più ne ignorano il senso, svalutano la conoscenza rispetto ad altri interessi – pratici, religiosi, estetici o genericamente vitali. Il disprezzo della ragione teoretica è il segreto della popolarità filosofica. Conoscere comporta infatti il disagio di esporre il proprio io all’oggetto nella sua estraneità. Eppure solo chi si è prima rassegnato all’umile lavoro di familiarizzare con l’estraneo può poi scoprire la concordanza tra sé e l’oggetto, che definisce la verità, e procurarsi il terreno comune a tutti, che definisce la libertà. La conoscenza è dunque la costruzione progressiva dell’accordo del soggetto con l’oggetto e tra i soggetti. Qualora volesse farne a meno e ignorasse il diritto dell’oggetto, l’io rifluirebbe nel gioco con sé stessa dell’individualità privata. – Proprio l’apprendimento come un mero gioco della spontaneità dell’individuo, senza il contatto severo con l’estraneo, è l’eterna illusione della cattiva pedagogia. Essa scorge l’estraneo propriamente nell’astratto, da cui l’esposizione della conoscenza, in quanto è teorica, deve iniziare; indispettita dall’imperativo di separarsi dal mondo colorato delle immagini sensibili, cerca di eluderlo con espedienti a cui dà il nome pretenzioso di metodo; non comprendendo che l’astratto è l’universale da cui segue la stessa possibilità applicativa, lo diffama come arida nozione. Il rifiuto del nozionismo non esprime quasi mai l’esigenza che l’insegnamento superi le informazioni sconnesse e offra conoscenze integrate in un sistema scientifico e in grado di illuminare l’esperienza – per lo più esso è solo rifiuto della severità, quindi rifiuto del conoscere.

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lafionda

Il ruolo del settore pubblico nella lotta della Cina contro il COVID-19

di Thomas Fazi

chinaCovid scaledA prescindere dalle opinioni che uno abbia sulla Cina, l’efficacia mostrata dal gigante asiatico nel risolvere prontamente la crisi sanitaria causata dal COVID-19, e nel minimizzarne l’impatto economico, soprattutto a confronto con le esperienze dei paesi occidentali, è universalmente riconosciuta (o quasi). Ma a cosa è da imputare questo successo? Secondo l’economista Francesco Macheda dell’università Bifrost, in Islanda, autore di un recente paper sull’argomento, le ragioni sono da rintracciarsi soprattutto nelle caratteristiche strutturali del modello di sviluppo cinese, e più specificatamente nell’estensione del settore pubblico dell’economia cinese e nel ruolo fondamentale delle imprese a conduzione statale (state-owned enterprises, SOE), nonché nella forte presenza pubblica all’interno del settore bancario oltre che industriale. La tesi di Macheda è che la massiccia presenza dello Stato nell’economia «abbia dotato il governo del paese delle risorse necessarie a ridurre sensibilmente i tempi di risoluzione della crisi sanitaria, riattivare prontamente la filiera produttiva domestica, e massimizzare l’efficacia degli stimoli fiscali e monetari tendentia stabilizzare l’output».

Nonostante la crescente rilevanza delle imprese private nel paese, infatti, le imprese a conduzione statale continuano a giocare un ruolo fondamentale nello sviluppo industriale cinese. Macheda ricorda come nel 2017 le imprese pubbliche detenessero il 48.1 percento dello stock di capitale impiegato nell’industria – in particolare in settore strategici “pesanti” quale quello estrattivo ed energetico, siderurgico, metallurgico e meccanico, ma anche in settori ad alto valore aggiunto quali quello automobilistico e informatico –, nonché il 90 per cento degli asset in mano alle 500 maggiori imprese operanti all’interno dei confini nazionali. A titolo di confronto, nei paesi europei più avanzati la quota “pubblica” sul totale dello stock di capitale risulta essere dalle due alle tre volte inferiore rispetto a quella della Cina.

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commonware

Note sulla crisi: pandemia e trasformazioni capitalistiche

Intervista a Giovanni Semi

A cura di Città Senza Centro e Commonware

unnamed89648eblCSC: Nella “città del contagio” secondo te quali sono le tendenze di trasformazione del capitalismo delle piattaforme? Pensiamo da un lato ai processi di gentrification e turistificazione dei centri storici e dall'altro a quelli di produzione, consumo e distribuzione di beni e servizi culturali. Con la pandemia il consumo culturale comporterà una ristrutturazione delle gerarchie? Quali saranno i dispositivi di esclusione da certe esperienze di consumo culturale?

Una cosa che sostengono quelli che si occupano di consumi culturali da quarant’anni a questa parte è che esiste una tendenza massiccia e diffusa verso quello che chiamano “onnivorismo culturale”, ovvero il fatto che una quota sempre maggiore di popolazione consuma sempre più prodotti culturali simili indipendentemente dalle diverse appartenenze di classe. Questa è stata una rivoluzione del Novecento. Fino agli anni Cinquanta e Sessanta le classi sociali avevano consumi completamente diversi tra loro e molto segmentati. Dagli anni Sessanta in poi si è sviluppata la tendenza a mescolare i codici e a consumare merci simili. È ovvio che non sono mai prodotti identici. Prendiamo l'esempio dell'automobile che – anche se non è un consumo culturale – funziona bene in questo senso. Tu puoi accedere a un'automobile che ha buona parte degli optionals che ha anche l'automobile di un consumatore più ricco. Tu accedi a quel bene con la finanziarizzazione, sei obbligato a comprare l'auto attraverso l'indebitamento, che ti consente quindi di accedere non al modello di classe superiore ma ad uno con caratteristiche abbastanza simili, mentre il consumatore con più disponibilità economica la compra con la carta di credito o con un bonifico ed ha il top della gamma.

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percorsidiriequilibrio

Test, tamponi e vaccino. Risposte alle 8 domande più ricorrenti

Valentina Bennati interroga Marco Mamone Capria

thisisengineering raeng qI7USKbZY A unsplash 900x600Visto che i nostri governanti, nazionali e regionali, stanno preannunciando obblighi per la prossima stagione, è bene poter usufruire di maggiori informazioni documentate che permettano di farsi un’idea più chiara su alcuni importanti questioni.

Ho selezionato otto domande, con le relative risposte, dall’ampia e interessante analisi dell’attuale epidemia da parte del Prof. Marco Mamone Capria, Matematico ed Epistemologo presso l’Università di Perugia.

L’analisi è stata pubblicata ieri, 4 luglio, da AURET (Associazione Autismo Ricerca e Terapie). Ho reso il pdf linkabile a fine post così, chi è interessato ad approfondire ulteriormente, può leggerla per intero completa dei necessari riferimenti.

 

1. È vero che se si è positivi al test per il cov-2, allora si è stati infettati da questo virus?

Risultare positivi a un test per una certa infezione non è lo stesso che essere infetti. Tutto dipende da quanto discriminante sia il test. Un test ha certi parametri che ne definiscono la qualità conoscitiva:

– la proporzione dei positivi tra gli infetti (si dice sensibilità),

– la proporzione di negativi tra i sani (si dice specificità),

– e i valori predittivi, quello positivo, che dice quanto probabile è che se sei positivo tu sia infetto, e quello negativo, che dice quanto probabile è che se sei negativo allora tu sia sano.

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quadernidaltritempi

Pensare l'antropocene per evitare la catastrofe

di Roberto Paura

90991 Mostra BolognaFino a qualche anno fa, il termine “Antropocene” era noto solo tra i circoli degli addetti ai lavori: geologi, climatologi, ambientalisti e pochi altri. Oggi, questa parola complicata che si basa su due termini greci (anthropos e kainos) è entrata nel linguaggio comune con molta più facilita e velocità di quanto chiunque avrebbe osato sperare. Google sforna 730.000 risultati correlati ad Antropocene (in italiano), ci sono almeno diciassette volumi in italiano che usano questo termine nel titolo, un album della band Il rumore bianco e il docufilm Antropocene. L’epoca umana, girato da Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier con l’abbagliante fotografia di Edward Burtynsky e, per l’Italia (disponibile in Dvd, Blu Ray e Digitale grazie a CG Entertainment), l’ipnotica voce narrante di Alba Rohrwacher, nell’originale affidata ad Alicia Vikander, nota soprattutto per la sua apparizione in The Danish Girl di Tom Hopper, che le valse nel 2016 l’Oscar come miglior attrice non protagonista. Il documentario ci porta in diverse parti del mondo per mostrarci la realtà del concetto di Antropocene, secondo cui, a partire da un certo momento storico (sulla cui datazione gli studiosi si interrogano ancora, ma probabilmente dall’inizio della rivoluzione industriale) l’umanità è diventata la principale forza di cambiamento su scala geologica nel pianeta, superiore a tutti gli altri fenomeni naturali.

La fortuna di questo termine sta nel fatto che offre una visione nuova del problema da tempo noto dei cambiamenti climatici e dei danni ambientali. Anziché considerare tutti questi problemi – l’aumento delle temperature, i fenomeni meteorologici estremi, l’estinzione di specie viventi, la deforestazione, la distruzione della barriera corallina, i danni dell’estrazione di minerali, il buco nell’ozono, l’acidificazione degli oceani, e potremmo allungare questo elenco ancora per parecchie righe – come elementi a sé stanti, l’Antropocene ci offre una cornice epistemologica per tenerli tutti insieme.

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archeologiafil

Bill Gates e la nemesi tecno-medica

di Bianca Bonavita

bill.001“L’Homo sapiens, che si destò al mito in una tribù e crebbe alla politica come cittadino, viene ora addestrato a essere un detenuto a vita di un mondo industriale. La medicalizzazione porta all’estremo il carattere imperialista della società industriale.”[1]

“Nessuna assistenza dovrà essere imposta a un individuo contro la sua volontà: nessuna persona, senza il suo consenso, potrà essere presa, rinchiusa, ricoverata, curata o comunque molestata in nome della salute.”[2]

Ivan Illich, Nemesi Medica

“Potere vuol dire infliggere dolore e umiliazione.
Potere vuole dire ridurre la mente altrui in pezzi che poi rimetteremo insieme 
nella forma che più ci parrà opportuna.
Cominci a intravedere adesso il mondo che stiamo costruendo?”[3]

George Orwell, 1984

Premessa

Denunciare la mistificazione costruita attorno al grande evento spettacolare Covid-19 (che distingueremo nel testo dal virus Sars-CoV-2) e alla forma di governo e di controllo della popolazione che si sta globalmente ridefinendo, non significa difendere la devastante normalità del prima, non significa porsi in una posizione di conservazione di un prima desiderabile da preservare. Così come non significa negare la morte delle persone.

Il virus non ci sembra, come molta della critica radicale vorrebbe, una speciale conseguenza della distruzione prodotta dal capitalismo e dai suoi allevamenti industriali umani e animali. Il nuovo coronavirus non ci sembra affatto un “demone della distruzione totale”, né “la produzione più devastante della devastazione della produzione”.

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sinistra

La droga e la storia

di Afshin Kaveh

unnamedj975gep“Non è morto ciò che può attendere in eterno, e col volgere di strani eoni anche la morte può morire”
Howard P. Lovecraft

Premessa

La droga è sempre esistita, in quanto intrinsecamente intessuta nella storia spirituale dell'umanità. Il consumo di sostanze oggi medicalmente definite come psicoattive (siano esse sedattivo-euforizzanti, psicostimolanti oppure allucinogene), già da millenni addietro, si è incastrato nelle lunghe trame magico-religiose di intere popolazioni, almeno per quel di cui si ha notizia, ritualizzandone l'uso e mitizzandone il ruolo. Tale constatazione, la quale non si è mai posta come atto di giustificazione all'uso e al ruolo che invece riveste modernamente la droga, si muove attorno a quel dato di fatto per cui l'oggetto dell'analisi, ovvero il suo consumo e l'immaginario attorno allo stesso e non la sostanza o la sua origine materiale in sé, non può essere né sovratemporale (dunque eternamente astorico e in quanto tale onnipresente nelle stesse vesti) né, appunto, un fondamento formalmente e strutturalmente preciso e puntuale della vita sociale di ogni epoca e neanche una invariabile antropologica. Certo, alcune logiche rispetto al consumo di sostanze negli ultimi due secoli, pur mutando innegabilmente vesti, si sono spesso ripetute in maniera piuttosto similare, o quasi. Ma più che di ripetizione, similare o identica che fosse, e quindi di copione recitato piuttosto fedelmente, si può parlare di linearità, intesa come continuità storica dettata semplicemente dal fatto per cui certi modelli economico-sociali (riferendosi agli ultimi due secoli si fa quindi riferimento a quelli capitalistici), tendenzialmente, non sono mai stati superati o rovesciati e, fino a che sarà così le vesti di una cosa al suo interno, in questo caso la droga in quanto merce e il suo ruolo sociale, difficilmente cambieranno.

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sbilanciamoci

Neoliberismo, tecnoscienza e democrazia nell’era Covid

di Riccardo Emilio Chesta

Al contrario di quanto fa intendere il senso comune neoliberista, scienza e tecnologia non sono autonome dai rapporti di potere che informano la società. Per evitare derive tecnocratiche o populiste nella gestione della crisi Covid, occorre democratizzare entrambe

corto wenders hopper“La fede nel valore della verità scientifica è il prodotto di determinate civiltà, non già qualcosa di dato per natura”[1]. Questa frase di Max Weber, pensatore di cui ricorre quest’anno il centenario dalla morte, offre spunti di riflessione che dovrebbero aiutare il dibattito pubblico italiano a superare concezioni monolitiche del modo di operare della scienza. Negli sconvolgimenti che attraversano società, politica ed economia investite dal Covid-19, queste parole di Weber possono aiutare a superare i cortocircuiti cognitivi che caratterizzano scienza e politica così come vengono concepite in un senso comune definito dall’egemonia neoliberista e da forme di populismo che a quest’ultima dicono di opporsi.

Nell’odierno dibattito pubblico italiano, professionisti della politica e del giornalismo sembrano rivolgersi agli esperti con quell’approccio tipico che in psicologia cognitiva si definisce come “realismo ingenuo”. Si può dire che questo senso comune con cui si guarda agli esperti poggi sinteticamente su due presupposti fondamentali. Il primo è che esista una modalità immediata di vedere la realtà – sia essa riferita alla natura o alla società – ovvero che ci siano modelli e metodi di conoscenza scientifica che prescindono dalle scelte cognitive dell’attore scientifico o politico. Questo aspetto fa del realismo ingenuo nel senso comune la vera epistemologia sui cui poggia il celeberrimo motto neoliberale del “There is no alternative” nella vita politica ed economica.

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pierluigifaganfacebook

Forse non la stiamo prendendo per il verso giusto

di Pierluigi Fagan

safe image89L’altro ieri, la missione di analisti dell’IMF, di ritorno dal suo soggiorno americano, ha pubblicato questo rapporto su stato e prospettive dell’economia americana che da sola vale un quarto di quella planetaria.

Nel secondo trimestre (A-M-G), il Pil USA ha fatto -37% (lo ripeto per i distratti e coloro che saltano i dati di quantità a priori perché preferiscono le parole: “meno trentasette per cento”). Si prevede che l’economia USA tornerà ai livelli di Pil fine 2019, solo a metà 2022, forse. IMF segnala che gli USA erano già un sistema con una forte componente di povertà interna, la crisi è destinata ad allargare e sprofondare questa parte addensata nelle etnie afro-americana ed ispanica. Al momento sono 15 milioni i disoccupati ed è appena iniziata la catena di fallimenti di esercizi commerciali ed imprese che accompagnerà la lenta ma costante caduta. Ed aggiunge: “il rischio che ci attende è che una grande parte della popolazione americana dovrà affrontare un importante deterioramento degli standard di vita e significative difficoltà economiche per molti anni a venire.”.

“Molti anni a venire” , come riportato in post precedenti, viene da Nouriel Roubini e dai "miliardari invocanti tasse", quotato sulla prospettiva del decennio, magari non saranno proprio dieci anni, ma al momento le prospettive sono di crisi profonda e lunga. “Larga parte della popolazione” significa più che la maggioranza.

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effettocassandra

Covid-19: Cosa Rischiano i Bambini e i Ragazzi a Scuola?

di Alessandra Basso (TINT, Università di Helsinki), Valentina Flamini (Biologa molecolare), Eleonora Franchini (docente di scuola secondaria di secondo grado), Sara Gandini (IEO, SEMM)

PilloleDiOttimosmoVi passo qui di seguito un testo scritto da un gruppo di ricercatrici italiane che è veramente una boccata di ossigeno nello tsunami di fesserie e di bugie che ci sta sommergendo. Non un testo facile, non un testo annacquato. Un esame approfondito della letteratura scientifica. Non è un testo di opinioni, è un testo di dati e di fatti. E che arriva alla conclusione che il rischio di un ritorno a scuola per i nostri bambini è minimo o inesistente, e che -- soprattutto -- è trascurabile rispetto ai danni psicologici che i bambini ricevono standosene isolati a casa.

La cosa più bella è il successo che questo testo ha avuto. Pubblicato sul sito Facebook "Pillole di Ottimismo" è stato condiviso oltre 2500 volte in 24 ore. E' un risultato eccellente considerato il marasma che è Facebook al momento attuale. Dei circa 500 commenti, praticamente tutti sono favorevoli, molti ringraziano per la spiegazione. Soprattutto, sono genitori e mamme preoccupate per i loro bambini costretti in una situazione innaturale di isolamento e segregazione.

Come sappiamo, l'informazione pubblica in Italia è dominata da sorgenti di informazione completamente inaffidabili e di solito impegnate nel raccontarci bugie. Ma quest storia ci fa vedere come c'è ancora spazio per raccontare le cose come stanno. C'è ancora gente in grado di recepire un messaggio anche complesso quando capiscono che gli autori (le autrici, in questo caso) hanno lavorato seriamente per fare un servizio di informazione pubblica. (UB)

* * * *

I bambini non sono i più colpiti da questa pandemia, ma rischiano di essere le sue più grandi vittime”. Così apre il report delle nazioni unite dedicato all’impatto del Covid-19 sui bambini (1).

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gliasini

Pedagogia hacker trasgredire la norma tecnocratica

Intervista al Collettivo Ippolita

15 Travestimento 1975 1980 MarialbaRusso scaled e1592574339349 1320x1074Questi mesi di distanziamento sociale hanno reso evidenti e aggravato molte delle contraddizioni relative alle grandi corporation del web e all’uso e agli effetti delle tecnologie digitali nelle nostre esistenze quotidiane, su cui voi avete scritto in maniera molto lucida negli ultimi anni. Un primo tema su cui vi chiediamo un commento riguarda il ruolo politico, economico, sociale, che hanno giocato e stanno giocando corporation come Amazon, Google, Microsoft, Facebook, Apple, nel periodo del distanziamento sociale e nella gestione sanitaria e sociale della pandemia.

Mentre scriviamo i quotidiani ci dicono che circa 500mila persone hanno scaricato la app Immuni. Interessante notare che a distribuire questa app non sia un sito del Governo che ha finanziato l’operazione, ma gli store di Apple e Google, che sono società private con un fatturato che supera il Pil di molti stati nazione e che hanno delle regole interne spesso in conflitto con quelle delle democrazie occidentali presso le quali nella maggior parte dei casi non pagano le tasse.

Apple e Google, due Big tech, collaborano per la prima volta imponendo delle scelte di decentralizzazione privata sulla distribuzione di un software di Stato dedicato alla salute pubblica. Cosa diranno di ciò i fedayn della decentralizzazione? Per noi questa è la dimostrazione che la decentralizzazione di per sé non è un valore, cioè non è una garanzia di orizzontalità democratica e si sposa benissimo con il liberismo senza regole delle corporation tecnologiche.

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mateblog

Il virus dell'occidente

di Stefano G. Azzarà

Stefano G. Azzarà: Il virus dell'Occidente. Universalismo astratto e sovranismo particolarista di fronte allo stato d'eccezione, mimesis, 2020

IMG 5916 1024x724La pandemia ha fatto emergere le contraddizioni delle società capitalistiche - stremate da decenni di politiche neoliberali all’insegna della guerra ai salari e ai diritti delle classi subalterne, delle privatizzazioni, della deregulation e dello smantellamento del Welfare - che le hanno rese sempre più disuguali. Incapace di immaginare un modello di società diverso e certo della propria eternità, l’Occidente ha creduto che il “virus cinese” colpisse solo i paesi arretrati o ritenuti autoritari e che mai potesse diffondersi nelle efficienti e trasparenti società liberali. Invece di prendere sul serio l’esperienza di altre realtà che hanno gestito meglio l’emergenza grazie alla capacità dello Stato e della politica di guidare l’economia e la produzione subordinando gli interessi privati a quelli della maggioranza, ha negato loro ogni riconoscimento, fino a procurarsi da solo un rischio estremo per eccesso di hybris. A questa incapacità suicida di aprirsi all’altro non è sfuggito il dibattito filosofico: sia le posizioni dirittumaniste astratte ispirate al liberalismo universalista, sia il sovranismo particolarista e populista – che del liberalismo rappresenta non l’alternativa ma una scissione conservatrice – condividono infatti di fronte allo stato d’eccezione il suprematismo occidentale, con il rifiuto di elaborare un universalismo concreto e di pensare una diversa configurazione del rapporto tra individuo, società civile e Stato ma anche dei rapporti tra le nazioni.

“Proprio il mancato riconoscimento dell’altro… ha impedito il riconoscimento della realtà stessa; impedendo al contempo di prendere le necessarie precauzioni ed esponendo l’Occidente a un rischio autoprocurato per eccesso di sicurezza e per presunzione di civiltà: in una parola, per hybris”.

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Coordinamenta2

“La salute e un par de scarpe nove”

di Elisabetta Teghil

scarpe nuove… Quanno c’è ‘a salute c’è tutto
Basta ‘a salute e un par de scarpe nove
Poi girà tutto er monno
E m’accompagno da me

Tanto pe’ cantà- (E.Petrolini 1932) Nino Manfredi 1970

La lucidità di pensiero è stata destabilizzata da un virus, il Covid-19. Improvvisamente (quasi) tutti e tutte tre mesi fa, sinistra di classe compresa, sono stati colti/e dalla paura della malattia e del contagio. Il <qui si muore> è stata la risposta secca e anche violenta a qualsiasi tentativo di analisi e di riflessione sulla propaganda terroristica e sul controllo asfissiante messo in atto dal sistema di potere a cui non si è mai accompagnata, guarda caso, nessuna indagine degna di questo nome sulle cause reali e sulle ragioni della propagazione del virus soprattutto in Lombardia. C’è in ballo la salute, la salute è la cosa più importante è stato il refrain di questi mesi.

Ma che cos’è la salute? Cosa significa essere in salute, mantenersi in salute? La salute fisica e mentale, poi, sono inscindibili e sono il risultato dell’equilibrio del nostro essere. Non stiamo qui ad indagare posizionamenti e teorie, ci perderemmo nei meandri di una discussione senza fine ma sicuramente la salute non è legata ad una specifica malattia piuttosto dipende dalla qualità della vita e anche della morte in quella che sembra una contraddizione ma non lo è. E la qualità della vita proprio perché non dipende dalla presenza o dall’assenza della malattia non è altro che il rapporto intercorrente tra i nostri desideri e la possibilità di realizzarli, tra il nostro senso della vita e la rispondenza reale che a questo senso viene data.

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ospite ingrato

Note su una falsa fine del mondo

di Andrea Cavazzini

apocalypse 2570868 340Un’epidemia è un processo naturale relativamente banale: se ne può morire, certo, ma non più che di mille altre cause. Questo fatto non basta perciò a farne un evento, la cui portata dipende dal modo in cui è percepito, dalle risposte cui dà luogo, dalle ragioni o sragioni che le motivano. La crisi sanitaria mondiale del 2020 rappresenta meno una nemesi della Natura contro società inconsapevoli, che non la rivelazione, e l’intensificazione, di loro aspetti e tendenze. È peraltro il caso di tutte le Grandi Paure note attraverso i secoli: l’Anno mille, la jacquerie nel 1789, la guerra atomica negli anni Cinquanta… Ogni volta, vi sono certo dei fatti reali alla base di tali accessi di angoscia e di panico, ma questi ultimi e i loro effetti obbediscono a logiche proprie, spesso senza comune misura con i dati oggettivi. È così che in siffatte crisi ci troviamo confrontati principalmente a noi stessi, cioè alle società in cui viviamo e che le nostre azioni riproducono, ai loro rapporti di proprietà e di potere, alle loro ideologie e credenze: tutto ciò che costituisce, secondo la tradizione dialettica, la seconda natura, la quale nella specie umana sostituisce la prima, proiettando su questa i propri fantasmi e temendone il ritorno nella penombra dell’orrore mitico.

Si può così supporre che il vero evento sia meno l’epidemia che non il consenso di autorità politiche e sanitarie, di istituzioni statali e sovrastatali, di esperti e comunicatori, verso un lockdown mondiale che Marco D’Eramo definisce sulla «New Left Review» un «esperimento di disciplinamento sociale senza precedenti».1 Attuato con entusiasmo dai decisori e approvato o subito passivamente dalle popolazioni, è forse questo esperimento l’aspetto veramente inaudito di questa crisi, il fatto destinato ad avere delle implicazioni durevoli e profonde.

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carmilla

I don’t live today: scene dalla guerra di classe in America (e non solo)

di Sandro Moiso

military policeWill I live tomorrow?
Well I just can’t say
But I know for sure
I don’t live today

(I don’t live today – Jimi Hendrix, 1967)

“Certo che c’è la guerra di classe, ma è la mia classe, la classe dei ricchi, che la sta facendo e la stiamo vincendo.” (Warren Buffett, 2006)

Gli eventi delle ultime settimane negli Stati Uniti hanno sicuramente costituito un severo monito, soprattutto per chi, come il finanziere Warren Buffett, uno dei tre uomini più ricchi del mondo, poteva crogiolarsi in un illusoria vittoria definitiva della propria classe su quella degli oppressi.

Le notizie di tali eventi hanno fatto rapidamente il giro del mondo e, esattamente come le lotte contro la guerra in Vietnam degli anni Sessanta, hanno infiammato le piazze dei paesi occidentali e di altri continenti.

La forza delle manifestazioni, il timore suscitato dal loro rapido diffondersi, la capacità di risposta politica dimostrata dai manifestanti (in grado di utilizzare tanto la violenza quanto l’abilità di influenzare mediaticamente e politicamente l’opinione pubblica nazionale e internazionale), la strategia messa in atto collettivamente nelle strade e nelle piazze hanno costituito una brutta sorpresa per un potere politico e finanziario che da anni si pensava ormai vincitore nel confronto con i subordinati di ogni colore e credo.

La richiesta improvvisa e radicale dello scioglimento delle forze di polizia o almeno di un loro radicale ridimensionamento e di una sostanziale revisione dell’uso della forza ad esse consentito è stato un passo di portata storica, non soltanto per i movimenti americani ma anche per quelli che in ogni angolo del mondo si oppongono ormai da anni alle violenze poliziesche e, più in generale, dello Stato nei confronti di chi difende, sul fronte opposto, gli interessi di classe, ambientali, di genere e appartenenza culturale e etnica.

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antiper

Tra mercati antichi e rotte globali

Commento a “Sulla situazione epidemica” di Alain Badiou

di Antiper

comis comisIl filosofo francese Alain Badiou ha scritto qualche tempo fa un intervento sulle conseguenze della pandemia SARS-2 in cui formula una serie di interessanti osservazioni con cui può essere interessante confrontarsi.

Dice Badiou

Non ho trovato dunque nient’altro da fare che provare, come tutti, a sequestrarmi in casa mia, e nient’altro da dire se non esortare tutti a fare altrettanto. Rispettare, su questo punto, una rigida disciplina è tanto più necessario in quanto è un sostegno e una protezione fondamentale per tutti coloro che sono più esposti: certo, tutto il personale medico curante, che è direttamente sul fronte, e che deve poter contare su una ferma disciplina, ivi comprese le persone infette; ma anche i più deboli, come le persone anziane, in particolare quelle in EPAD (European Prevention of Alzheimer’s Dementia) o immunodepresse; e inoltre tutti coloro che vanno al lavoro e corrono così il rischio di un contagio.

Si tratta di una domanda che tutti si sono posta: è giusto sequestrarsi in casa durante la pandemia, ovviamente, avendone la possibilità? Si noti che qui il filosofo francese dice “mi sono sequestrato” e non “sono stato sequestrato” (come forse avrebbe detto uno come Agamben) ponendo così il sequestro nei termini di una scelta, sia pure obbligata, e non di un obbligo subìto.

Come è noto le cose non stanno esattamente come le pone Badiou perché, a dire il vero, non si poteva far diversamente che “sequestrarsi in casa”, dal momento che le misure varate dai governi prevedevano multe salatissime ai contravventori e pattugliamenti delle città (fino al ridicolo degli elicotteri in azione su tetti di casa e spiagge deserte). Quello che Badiou intende dire, evidentemente, è che quella del lockdown è stata una scelta condivisibile.

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znet italy

I gilet gialli e l'invenzione del futuro

di Pierre Dardot e Christian Laval

GiletGialli6La rivolta dei Gilets Jaunes è stata interpretata e analizzata molte volte in molti modi, a volte del tutto contrastanti. E’ stata largamente considerata, dalla destra specialmente e dalla maggior parte dei media dominanti, come un movimento quasi fascista, un forma di delinquenza collettiva incontrollabile, in una parola una minaccia alla democrazia e alle istituzioni esistenti.

Ma anche tra i generalmente simpatizzanti con i movimenti sociali, tra cui molti attivisti della sinistra, sono rimaste molto forti riserve nei confronti di nuove forme di azione politica e diffidenza riguardo a persone che quadrano politicamente, a volte inducendo anche a rifiutare sostegno a quelle che considerano lotte “impure”, “confuse” o “inaffidabili”. Che i Gilets Jaunes ispirino tali reazioni mostra la misura in cui il movimento ha sorpreso, imbarazzato, disorientato e persino preoccupato le persone. I Gilets Jaunes, in altre parole, sono un movimento che ha scosso gli schemi prestabiliti e i criteri di una “sociologia politica” ben consolidata.

Il principale fattore che ha scatenato le proteste, l’”imposta sul carbonio” sui carburanti, ha indotto alcuni a pensare che i Gilets Jaunes siano virulenti antiambientalisti che difendono il diritto degli automobilisti di inquinare il pianeta. Una cosa è certa: questa rivolta popolare è un evento politico che è significativo, considerando quanto a lungo è durato, quanto diffusamente è stato appoggiato dalla popolazione, quanto ha provocato e continua a provocare effetti sia politici sia sociali.

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lafionda

“La disinformazione felice”

di Carlo Magnani

Una interpretazione culturale delle fake news a proposito di un libro di Fabio Paglieri

la disinformazione felice cosa ci insegnano le bufale fabio paglieri copertina“Cercava la verità e quando la trovò ci rimase male, era orribile, deserta, ci faceva freddo”. (E. Flaiano)

1. Fake news e voti poco graditi

Il dibattito pubblico ha da tempo individuato nelle fake news circolanti sulla Rete un facile bersaglio attorno al quale consolidare un pensiero conformistico e sostanzialmente ricco di banalità. Il mainstream giornalistico e politico è mobilitato più o meno dal 2016 contro la disinformazione che caratterizzerebbe la comunicazione online. L’Unione europea, tramite la Commissione, ha istituito una task force di esperti che di concerto con le grandi piattaforme digitali, mediante l’adozione di protocolli che assegnano rilevanti funzioni proprio ai grandi operatori del web, mira ad azioni di monitoraggio e di controllo dei contenuti che vengono diffusi dagli utenti. Francia e Germania hanno approvato leggi che disciplinano, rispettivamente, la comunicazione politica online durante le campagne elettorali e la rimozione immediata di contenuti dalla Rete qualora siano valutati illeciti. Attualmente nel Parlamento italiano riposano quattro disegni di legge di iniziativa parlamentare che mirano ad istituire, con varie articolazioni, una Commissione parlamentare sulla informazione tramite Internet. E si potrebbe continuare.

A volere leggere in chiave squisitamente politica l’allarme generale sulle fake news, si potrebbe notare che nel 2016 si verificano tre eventi elettorali che rovesciano tanto le previsioni quanto le aspettative delle élite economico-politico dominanti: il referendum Brexit, l’elezione di Trump e infine il referendum costituzionale italiano. Lo sconcerto planetario degli sconfitti è tale che subito parte la caccia alle streghe: i terribili hacker russi in primo luogo, poi i vari untorelli del web che avrebbero traviato intere popolazioni, le quali solo due anni prima erano invece un esempio specchiato di saggezza (come ad esempio il corpo elettorale nostrano delle europee del 2014).

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lafionda

Alle radici dell’aumento della brutalità razzista delle polizie

di Salvatore Palidda

Floyd protests usa 7 scaledDa oltre due decenni si assiste a una continua riproduzione di violenze razziste e persino assassinii da parte di agenti delle polizie[i]. Non è casuale che questi fatti siano particolarmente frequenti negli Stati Uniti ma anche nelle banlieues francesi, in Inghilterra e sebbene con meno frequenza anche in Italia, Spagna, Belgio e laddove la presenza di neri, ispanici, nordafricani e immigrati di diverse origini si configura come oggetto di violenza del dominio liberista neocoloniale.

Questa escalation delle violenze poliziesche è la conseguenza di un processo di militarizzazione della polizia statunitense che comincia come reazione ai movimenti per i diritti civili, poi, ancora di più nella strategia di counterinsurgency sviluppata negli anni 60 e 70 perneutralizzare il Black Power movement e continua con la Revolution in Military Affairs (RMA) lanciata nel periodo di Reagan[ii]. Questa “rivoluzione” è la traduzione di quella liberista che ha instaurato la conversione militare del poliziesco e quella poliziesca del militare, il continuum fra le guerre permanenti su scala mondiale e la guerra sicuritaria all’interno di ogni paese. Da allora c’è stata una gigantesca recrudescenza dell’azione repressiva delle polizie con modalità da guerra contro immigrati, marginali, manifestanti e in generale oppositori al trionfo liberista (da Seattle al G8 di Genova e poi ancora sino alle mobilitazioni contro i summit del G7 o G20 così come contro le grandi opere vedi in Italia casi TAV, TAP ecc.).

Alcuni osservatori e ricercatori hanno provato a spiegare la recrudescenza di violenze razziste negli Stati Uniti con la deriva che ha caratterizzato la cosiddetta guerra allo spaccio di droghe (tesi in parte alimentata anche da alcune serie tv fra le quali The Wire[iii]).

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maggiofil

Un “capro espiatorio” per il Covid-19

di Uber Serra, con Giorgio Gattei

5950122xQuando una comunità viene minacciata nella sua stessa sopravvivenza fisica da lotte intestine, ma anche da guerre o da calamità naturali, ha tre modalità possibili di tenuta:

1) sottomettersi alla volontà di un Tiranno (il “Leviatano”) – e questo è Hobbes;

2) aderire di comune accordo ad un Contratto (la “Volontà generale”) – e questo è Rousseau;

3) scatenare la violenza contro una Vittima (il “Capro espiatorio”) – e questo è Girard.

* * * *

Uber Serra

Insegna René Girard (qui si rinvia a Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo del 1978, ma c’è anche La violenza e il sacro del 1972 e Il capro espiatorio del 1982) che tutto ciò che chiamiamo “cultura” trae origine, e quindi può essere spiegato, dal concetto di desiderio mimetico, nel senso che tutti gli uomini per loro natura tendono a desiderare le medesime cose. Si tratta di una vera e propria legge universale del comportamento umano, una invariante culturale in base alla quale, siccome viviamo in un ambiente di penuria, ciascuno di noi desidera egoisticamente e realisticamente ciò che l’altro possiede, così da imitarci l’un l’altro nel medesimo desiderio di appropriazione (“appropriazione mimetica”): «se un individuo vede uno dei suoi congeneri tendere la mano verso un oggetto, è subito tentato di imitarne il gesto».