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carmilla

Prosperare sul disastro

Cronache dall’emergenza sociale permanente

di Alexik

kuczynski-pawelL’ultimo mese dell’anno ci ha riservato, all’ora del TG, un lungo telepanettone noir pieno di personaggi coloriti: er Cecato, er Ciccione, lo Spezzapollici ….

Un gradevole entertainment, che come ogni fiction che si rispetti ci propone un finale e una lettura degli eventi in definitiva rassicurante: il disastro della capitale, il collasso delle sue funzioni vitali sono frutto dell’attività criminale di un gruppo – sia pur nutrito – di biechi delinquenti, corrotti e corruttori ormai resi innocui dalla giustizia trionfante.

Disastro e collasso non derivano dunque da quelle scelte politiche che per decenni hanno nutrito deliberatamente la speculazione privata  con tonnellate di denaro pubblico, a prescindere dall’esistenza o meno di mazzette e dal ricorso del potere economico a pratiche formalmente illegali.

La retorica della legalità è la narrazione necessaria affinché, una volta eliminate le “mele marce”, tutto ritorni come prima, o meglio, perché la speculazione si dia forme più moderne, più efficaci, meno grossolane. È una retorica che non entra nel merito del fatto che la devastazione sociale e quella dei territori possano avvenire anche a norma di legge.

Tutta questa enfasi sulle tangenti è riduttiva e fuorviante, perché c’è qualcosa di ancora più grave dell’aspetto corruttivo: un prezzo molto più alto da pagare ai detentori del potere economico. Lo pagano i territori in termini ambientali, lo paga il lavoro in termini di diritti, lo pagano le fasce più deboli di questo paese in termini di emarginazione sociale.

E proprio sul business dell’emarginazione sociale, oggi al centro dell’inchiesta romana, che sarebbe ora di soffermarsi, facendo un bilancio di quelle politiche di sussidiarietà che nell’ultimo quarto di secolo hanno trasformato l’assistenza pubblica in un mercato, rendendola un settore vulnerabile alle scorrerie dei predoni.

Dalla fine degli anni ’80, il privato sociale ci è stato spacciato come l’alternativa vincente alla gestione pubblica del welfare, in nome di una presunta superiorità etica, economica e qualitativa del terzo settore. In realtà l’espansione della cooperazione sociale rappresentava un attacco frontale alle condizioni di lavoro nei servizi, in quanto le tutele dei soci lavoratori erano molto più basse della media del settore in termini di salario, diritti, stabilità occupazionale.

Rappresentava inoltre un modalità per costruire interesse privato anche sulla miseria, un interesse che, a differenza di quello pubblico, non trae convenienza dalla soluzione dei problemi sociali, perché è proprio il loro perdurare che gli reca vantaggio. Questa dinamica si è resa più evidente con lo sviluppo dei processi di concentrazione di impresa, con l’affermarsi cioè delle grandi centrali cooperative, organizzate in consorzi ed alleate in cartelli, ai danni delle piccole strutture di idealisti. Una trasformazione “industriale”  che necessita di grandi numeri di assistiti. Non è un caso che questa tipologia del così detto no-profit abbia prosperato, e continui a prosperare, grazie a logiche di tipo emergenziale: l’emergenza immigrazione, l’emergenza nomadi, l’emergenza casa… l’emergenza infinita. L’emergenza è infatti il contesto che permette l’assegnazione diretta degli appalti e lo stanziamento di fiumi di denaro senza tante discussioni. Permette di operare su grandi numeri e non deve MAI risolversi o concludersi, perché altrimenti finisce il gioco.

Nell’ambito dell’emergenza sociale permanente, il business della sussidiarietà si è dimostrato nel tempo non solo pienamente compatibile, ma anche intimamente interrelato con le politiche securitarie, le derive xenofobe, la trasformazione dei bisogni umani in problemi di ordine pubblico. Non risulta dunque strano che, nella specificità romana, esso abbia raggiunto il suo punto di massimo sviluppo sotto la giunta Alemanno, che proprio della “lotta al degrado” e della “zero tolerance” aveva fatto la sua bandiera.

L’emergenza infatti, è benvenuta qualunque ne sia l’origine. A volte capita per eventi esogeni, come l’arrivo di migliaia di profughi in fuga dalle molteplici guerre che, in concorso con i nostri tradizionali alleati, ci dilettiamo a fomentare in giro per il mondo.

A volte è l’effetto collaterale di lungo periodo di leggi antisociali, come quella che ha abolito l’equo canone (un regalo del governo D’Alema), lasciando milioni di inquilini alla mercé della rendita immobiliare, e migliaia di loro nell’impossibilità di pagare un affitto a prezzi di mercato.

A volte invece è il prodotto immediato dell’attività repressiva, come gli sgomberi di grandi occupazioni abitative, che creano folle di senza casa da un momento all’altro. Oppure delle “politiche della razza” (scusate se uso di proposito la terminologia fascista, so bene che le razze non esistono), come la deportazione di rom e sinti dentro fetidi recinti nelle estreme periferie.

In tutti questi casi la cooperazione sociale c’è, pronta a correre verso l’aggiudicazione degli appalti e a chiamarla solidarietà. Vano sostenere che la vera solidarietà sarebbe opporsi agli sfratti, agli sgomberi e alle deportazioni … ma non sottilizziamo !

E piuttosto entriamo nel merito, perché più che queste valutazioni di ordine generale, sono eloquenti le storie concrete. Come punto di osservazione privilegiato prenderemo la situazione romana, perché è lì che le contraddizioni sono esplose in maniera più emblematica, e lo faremo a partire dalle storie dei due grandi contraenti di quel cartello che fino ad ora ha gestito gli appalti dei welfare della capitale in regime di sostanziale oligopolio. L’operazione è tanto più interessante perché, mentre uno dei due è alla gogna per illegalità manifesta, l’altro è invece rimasto nel regno dell’economia rispettabile. Eppure, tranne qualche particolare, hanno fatto più o meno le stesse cose.

Per cominciare, partiamo dall’antica Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e di San Trifone.  E si, perché è proprio l’Arciconfraternita, con le sue cooperative di pertinenza, uno dei soci del trust. O forse pensavate che a due passi dal soglio di Pietro l’accoppiata Buzzi/Carminati potesse avventarsi sugli appalti di servizi senza previa santissima benedizione e – soprattutto – senza condividere cristianamente la torta ?

I termini del sodalizio sono noti: “Va be’, a Salvato’, noi l’accordo… l’accordo è quello al cinquanta, no?eh, bravo, l’accordo è al cinquanta per cento, dividiamo da buoni fratelli, ok?”. Così come è noto il siluramento congiunto di una dirigente del Comune di Roma poco disponibile alle loro pressioni: “ ma no, ma questa è una cretina, ma non è possibile, no? Che non te riceve, non te parla, non parla con nessuno, ma è una deficiente vera, ma ‘ndo cazzo vive? Cioè, ma… ma veramente tocca mandarla a sbatte, eh!”. Queste le conversazioni che coinvolgono Tiziano Zuccolo, ai tempi camerlengo dell’Arciconfraternita, Francesco Ferrara, che ne era presidente, e Salvatore Buzzi, presidente del Consorzio Eriches/Coop 29 giugno nonché braccio economico di Carminati.

Ma qual è la novità ? Che le cooperative di Comunione e Liberazione e quelle di Legacoop si spartiscono gli appalti? Che insieme determinano la nomina dei funzionari comunali? Se è per quello determinano pure la nomina dei ministri della Repubblica, non solo Poletti in quota Lega, ma anche Lupi, come mandatario della Compagnia delle Opere.

Quello stesso Lupi che con il Piano Casa dichiara guerra alle occupazione abitative e prelude alla vendita massiva degli alloggi popolari.  Vale a dire: nuove folle senza dimora, nuova benzina sul fuoco dell’emergenza casa, nuovi introiti per le cooperative chiamate a gestirla e per i palazzinari loro alleati. In nome, ovviamente, della legalità.

Promuovere e organizzare il disastro abitativo su larga scala non è un’impresa per dilettanti. Nell’esperienza storica italiana ci sono voluti vari decenni di politiche mirate e una notevole determinazione per arrivare al risultato.

C’è voluto il saccheggio dei fondi Gescal, quelli detratti per decenni dalle buste paga dei dipendenti per costruire alloggi destinati ai lavoratori, e deviati dalle loro finalità per tamponare il buco del deficit pubblico o per altre voci varie ed eventuali (il disavanzo della RAI, il sostegno a San Patrignano, l’arredo urbano per il G7 di Napoli, ecc. ecc.). Una stima del ’96 valutava che su £ 200.000 miliardi di fondi Gescal, di 50.000 non si trovasse più traccia né si capisse dove fossero finiti. Un mare di soldi sottratti anno dopo anno alla costruzione di case popolari, e quelli che ancora non sono spariti risultano tuttora inutilizzati per un miliardo di euro1.

Tanta coerenza nella pratica dell’obiettivo a lungo andare ha pagato: l’Italia è riuscita a collocarsi agli ultimi posti in Europa per quantità di abitazioni sociali in % sul patrimonio abitativo,  una quantità decurtata ultimamente dalla messa a mercato di migliaia  di alloggi di proprietà degli enti previdenziali.

Edilizia-socialeRispetto alla tendenza nazionale Roma non fa eccezione, dato che la percentuale di case a canone sociale o agevolato raggiunge nella capitale il 4,3 %, contro il 26 % di Londra, il 16,8 % di Parigi e il 12,7 % di Berlino2. Un ottimo risultato per i beneficiari di rendite immobiliari, visto che l’edilizia pubblica popolare ha il pessimo difetto di esercitare sugli affitti privati un effetto calmiere.

Il beneficio però non sarebbe stato colto appieno se negli anni ‘90 non fossero intervenuti prima il governo Amato (1992) e poi quello D’Alema (1998) per distruggere definitivamente la legge sull’equo canone. Nei cinque anni successivi alla sua abrogazione gli affitti romani salirono del 85,2 %, innescando oltretutto una reazione a catena. Visto che ormai la pigione eguagliava la rata del mutuo, chi se lo poteva permettere si orientò verso l’acquisto dei quattro muri, e l’aumento della domanda delle famiglie contribuì a spingere al rialzo anche il prezzo del metro quadro.

Ma non ne fu l’unica responsabile. La distruzione dell’equo canone aveva dato infatti la stura alle speculazioni, accellerando un processo di finanziarizzazione che poneva i patrimoni immobiliari in mano a società emettitrici di titoli, la cui redditività poteva essere ottenuta solo spingendo sempre più sulla crescita dei canoni e dei prezzi delle case. Il risultato su Roma fu di un aumento del 83,9 %3, dal 1999 al 2004, del costo del mq.

Roma-sfratti-eseguitiOvviamente chi non poteva più permettersi né l’affitto né il mutuo era fuori, con un ritmo medio degli sfratti eseguiti nella capitale di oltre 2500 famiglie l’anno4. Decine di migliaia di persone che sono andate – e vanno tuttora – ad aggiungersi ad altre migliaia che al mercato degli affitti non hanno mai avuto nemmeno accesso.

Non erano per loro, infatti, le decine di milioni di metri cubi di nuove edificazioni piovute sulla città sotto le giunte Rutelli, Veltroni e Alemanno, che trasformarono Roma in un’immensa fiera dell’edilizia ad uso e consumo di quelli che, in definitiva sono i suoi veri padroni: Caltagirone, Toti, Parnasi, Scarpellini, Bonifaci, Rebecchini, Mezzaroma, Pulcini e tutti gli altri allegri colleghi dell’Acer (Associazione dei costruttori edili di Roma e provincia).

Milioni di metri cubi (70 nel PRG di Veltroni del 2008, senza contare le deroghe) che hanno assaltato l’agro romano coprendolo con nuovi quartieri dormitorio grandi come città, o “densificato” zone di Roma rendendone la vivibilità un delirio. Una devastazione del tutto legale, ovviamente … ché ai palazzinari la legalità è stata ritagliata addosso come un abito di sartoria, tramite i condoni o attraverso una serie di artifici creativi (compensazioni, accordi di programma, ambiti di riserva) tali da consentire deroghe massive ai piani regolatori.

Tralasciando le numerose lottizzazioni minori, si è trattato, ai tempi di Rutelli di due milioni e settecentomila mc a Bufalotta a favore di Toti, Caltagirone e Parnasi; un milione e 900 mila mc a Tor Marancia (sul parco dell’Appia Antica) per la gioia di Mezzaroma; un milione e centomila mc a Ponte di Nona e un altro milione e duecentomila a Tor Pagnotta, entrambi a beneficio di Caltagirone. Con Veltroni  si sbloccarono per Scarpellini un milione e centotrentamila mc alla Romanina, mentre con Alemanno arrivarono centosettantamila mc per Rebecchini a Palmarola e duecentodiecimila mc di diritti edificatori per l’Amministrazione del patrimonio della sede Apostolica5.

Milioni di metri cubi che rappresentano per gli abitanti della città un’immensa rapina di spazio, aria, verde, suolo, tempi di vita. Una nuova spinta centrifuga verso e oltre (molto oltre) il raccordo anulare, l’ultimo capitolo di un processo di espulsione ai margini della città non solo dei lavoratori e del sottoproletariato urbano ma anche di strati sempre più consistenti del ceto medio. Al centro, la Grande bellezza è un monopolio per ricchi, una cartolina per turisti, un teatro per speculazioni di lusso.

Le nuove cubature fruttano ai re del cemento centinaia di milioni di euro di guadagni netti, con volumi di affari tali da far sembrare i business di Carminati & C briciole per poveracci. Hanno una funzione “sociale” decisamente diversa rispetto alla soluzione dell’emergenza abitativa, visto che sono off limit per migliaia di persone che non se le possono permettere.

Chi vive in emergenza abitativa può tutt’al più aspirare a pochi metri quadri in un residence di un’estrema periferia, di proprietà di qualche palazzinaro, gestito da una cooperativa e pagato con cifre esorbitanti dal Comune.

Per chi ha già vissuto la violenza dello sfratto o dello sgombero, il residence è l’ultimo approdo, l’ultimo insulto. Dovrebbe essere un semplice luogo di transito verso la casa popolare, ma visto che non ci sono nuove case popolari la sistemazione provvisoria diventa definitiva.

Eppure la politica dei residence avrebbe dovuto concludersi già con Rutelli, dopo che la città ne aveva sperimentato per anni gli esiti fallimentari. Con la delibera n. 163/98 sembrava avviata all’estinzione, e tale indirizzo pareva confermato dalla giunta Veltroni, che nel suo “Piano Regolatore Sociale” del 2004 affermava:

I residence avrebbero dovuto garantire una permanenza di emergenza, per un massimo di tre mesi. Date le gravi carenze alloggiative, invece, più generazioni si sono trovate a vivere in quelli che sono diventati veri e propri ghetti, a causa della composizione sociale omogenea e di un assistenzialismo passivo e deresponsabilizzante”.

La giunta Veltroni riuscì a smentire se stessa l’anno dopo, con la pubblicazione di un primo bando di gara per l’apertura di 10 nuovi centri di assistenza abitativa temporanea (CAAT) e 3 strutture per richiedenti asilo. In residence, ovviamente, o in strutture riaccatastate come tali in seguito a fantasiosi cambi di destinazione d’uso (dopo essere state classificate come negozi, opifici, magazzini, discoteca, casa di cura). Il tutto, compreso di portierato, pulizia e manutenzioni, al modico prezzo (complessivo) di circa 24 milioni di euro di affitto annui. Un affarone per le proprietà degli stabili, felici di piazzare monolocali a ridosso del raccordo anulare allo stesso prezzo di un appartamento ai Parioli.

Fra gli aggiudicatari di tanta manna troviamo tutta gente degna.  Alcuni sono vecchi nomi dell’edilizia romana, come gli Armellini, memorabili per l’erezione di un palazzo di nove piani completamento abusivo a Tor Marancia, oltre che per la costruzione delle traballanti “case di ricotta” di Ostia, e per aver recentemente omesso al fisco la proprietà di 1243 appartamenti6.

Ci sono poi i Pulcini, imprenditori vicini a Carminati, artefici di 283.000 metri cubi di abitazioni di lusso abusive ad Acilia, poi sanate dall’interpretazione “estensiva” del concetto di condono da parte degli uffici tecnici della giunta Veltroni7. Due Pulcini sono finiti ultimamente agli arresti a causa di una maximazzetta al deputato Pd Marco Di Stefano per l’affitto di due palazzi alla Regione Lazio8.

E c’è l’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e di San Trifone, forte di una notevole esperienza in tema di appalti pubblici, dato che già alla fine degli anni ’90 il suo consorzio di cooperative La Cascina (attivo anche nella ristorazione) si era distinto per aver somministrato a scuole ed ospedali baresi “cibi scaduti, putrefatti o con alta carica batterica”, per essersi aggiudicato appalti con la frode9, e per l’infezione da salmonella di 182 bambini nelle mense scolastiche romane (scuole Besso e Bertolotti)10. Chissà, forse Veltroni sperava che gli risolvesse il problema dei profughi e dei senza casa sterminandoli col catering. O forse non gli era indifferente il fatto che l’Arciconfraternita fosse diretta emanazione di Ruini, all’epoca ancora presidente della CEI. (Continua)

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  1. Giovanni Laccabò, Incostituzionali i fondi Gescal, L’Unità, 28 aprile 1994. Giulio Cesare Filippi, Fondi Gescal. Una variabile dipendente, La Repubblica, 19 febbraio 1996. Fondi Gescal: Cobas inquilini, non rintracciabili 50.000 mld, AdnKronos, 27 maggio 1998. Fondi ex-Gescal, tutte le risorse ancora in cassa, Regione per Regione, Il Sole 24 Ore, Edilizia e Territorio, 17 maggio 2013. 
  2. P. Bendini, D. Nalbone, Le mani sulla città, Alegre, 2011. 
  3. Elaborazione dati Istat: aumento degli affitti e dei prezzi delle case negli anni 1999-2004
  4. Fonti: Unione Inquilini e Ministero dell’Interno. Consultabili qui
  5. Per ulteriori dettagli: Paolo Mondani, I re di Roma, Report, 4 maggio 2008. Claudio Cerasa, La presa di Roma, Rizzoli, 2009. P. Bendini, D. Nalbone, Le mani sulla città, Alegre, 2011. Ylenia Sina, Chi comanda Roma? , Castelvecchi, 2013. 
  6. Dal palazzo abusivo all’Eur alle case di ricotta di Ostia. Storia dell’impero Armellini, Roma Today, 21 gennaio 2014. 
  7. Paolo Mondani, I re di Roma, Report, 4 maggio 2008. 
  8. Mauro Favale, Giuseppe Scarpa, Carminati: Affari e crac del mio amico Pulcini, La Repubblica, 5 dicembre 2014 
  9. Paolo Berizzi, Cibi scaduti a bimbi malati. Arrestati dirigenti di cooperativa, La Repubblica, 9 aprile 2003. 
  10. Associazione Lucchina e Ottavia, Intossicazione nelle scuole di Ottavia. 182 bambini aspettano giustizia, 19 marzo 2012. 

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