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micromega

Il modello-panopticon. Dalla Nsa al Jobs Act

di Lelio Demichelis

panopticon 2 510Controllo, sempre e comunque. Al crescere della complessità dei sistemi – siano essi sociali, industriali o virtuali – cresce in parallelo la necessità del controllo. E più i mezzi tecnici lo permettono, più cresce il controllo, la sua facilità, la sua inevitabilità, la sua accettazione sociale.

 

Anche gli uomini sono ‘impianti produttivi’

Prima notizia. Nei decreti attuativi del Jobs Act il governo ha allargato le maglie dello spionaggio aziendale, permettendo di controllare tutte le informazioni raccolte tramite cellulari, smartphone, tablet e portatili in dotazione ai dipendenti. Superando (modernizzando?) quello Statuto dei lavoratori che risale alla preistoria tecnologica (era il 1970) – quando il controllo era più difficile e soprattutto era più visibile – mentre oggi l’innovazione (innovazione?) tecnologica permette di fare ciò che allora era impensabile (e vietato).

Dati raccolti via rete che potranno essere utilizzati ‘per ogni fine connesso al rapporto di lavoro’, anche se la foglia di fico è: ‘purché sia data al lavoratore adeguata informazione circa le modalità d’uso degli strumenti e l’effettuazione dei controlli sia sempre nel rispetto del codice della privacy’. Ovvero, informazione al singolo ma non al gruppo o al sindacato (dove la difesa degli interessi e della privacy sarebbe più forte), nella ulteriore individualizzazione dei rapporti non solo di lavoro ma anche di sorveglianza.

Il governo ha dunque allargato quanto contenuto nella delega ottenuta sul Jobs Act, che parlava di ‘controllo sugli impianti’ e non sulle persone ed evidentemente, per un governo tutto sbilanciato sull’impresa e sugli imprenditori (i nuovi eroi) anche i lavoratori sono ‘impianti’ produttivi o ‘miniere’ di dati da sfruttare in ogni senso possibile, via marketing, conoscenza, sorveglianza, profilazione, eccetera: meccanismo facile da credere e da realizzare se le retoriche dominanti e la pedagogia politica e tecnica (ancora: dal Jobs Act alla ‘Buona scuola’) dicono che ciascuno ha/è solo capitale umano – ovvero è mero oggetto economico – e non più persona, soggetto di diritti, individuo; o che ciascuno di noi è appunto miniera da cui estrarre fino all’esaurimento della vena.

Certo, resta sempre la normativa sulla privacy. Ma in rete tutto è aggirabile, anche la legge e con una sconcertante facilità.

Il Garante della privacy ha infatti sollevato dubbi sui decreti attuativi: “Un profondo monitoraggio di impianti e strumenti non deve tradursi in una indebita profilazione delle persone che lavorano”. Giusto, come giusta è stata la reazione dei sindacati. Ma è anche vero che oggi siamo noi stessi a profilarci e a lasciarci profilare con ogni atto che compiamo in rete e non protestiamo ma accettiamo. Perché vietare a Marchionne (è solo un esempio) ciò che permettiamo – per di più in modalità social – a Mark Zuckerberg?

 

Henry Ford e la Sezione sociologica

Anche Henry Ford faceva più o meno la stessa cosa, anche se con altri mezzi e in altre forme. Nel 1913 aveva introdotto la catena di montaggio. Nel 1914 aveva raddoppiato la paga dei suoi dipendenti (più per cercare di contenere il turn-over – altissimo per le pesantissime condizioni di lavoro – che per favorire l’acquisto delle sue auto da parte dei suoi dipendenti), ma l’aumento era subordinato ad una permanenza in fabbrica di almeno sei mesi e a due altre condizioni: sapere l’inglese (molti erano gli immigrati) e ottenere un buon punteggio da parte degli ispettori della Sezione sociologica dell’azienda (creata appunto nel 1914), incaricati di monitorare (e quindi profilare) non le capacità di lavoro ma la vita privata dei dipendenti fuori dalla fabbrica e persino in camera da letto - e se andavano a messa la domenica o mandavano i figli dai Boy Scout il punteggio era alto, se invece spedivano i soldi alle famiglie in Europa questo era negativo e toglieva punti (mettendo a rischio l’aumento di salario).

 

Tecnica e/è controllo

Controllo, dunque: perché ogni organizzazione moderna (industriale, post-industriale, oggi in rete) vive solo se esiste controllo ed etero-direzione, il controllo è implicito nello stesso sistema tecnico, per cui è impensabile liberarsi dal controllo se non ci si libera prima da questa modalità tecnica di organizzazione e non si prova a democratizzare non solo il capitalismo (obiettivo quasi impossibile), ma soprattutto la tecnica (ancora più difficile). Controllo. Per disciplinare (Foucault, Sorvegliare e punire) – e poi esaminare, verificare, confrontare, archiviare dati e informazioni, premiare, sanzionare ciascuno, sia esso recluso in carcere o operaio in fabbrica – ma anche per far accettare quella che ‘usando’ Foucault abbiamo altrove definito come biopolitica dell’impresa, cioè il governo della vita della popolazione di fabbrica (popolazione da stabilizzare, ieri, ai tempi di Ford e del fordismo; oggi gestibile in modalità sia stabile che precaria ma comunque flessibile e la flessibilità del lavoro richiede ovviamente una flessibilità crescente anche del controllo, oggi possibile appunto da remoto, flessibile sempre e ovunque) da parte dell’impresa: quell’impresa oggi diventata virtuosamente comunità di lavoro da cui deve essere espunto il conflitto– ma il prototipo era già nel modello toyotista della fabbrica a sei zeri, dove uno degli zeri da raggiungere era appunto l’annullamento del conflitto sindacale.

Ieri la Sezione sociologica, poi i sorveglianti e la fabbrica-caserma del ‘900; oggi da remoto, con la profilazione, il controllo delle mail e delle telefonate e altro ancora: che è un altro modo per creare una forma panottica o post-panottica (da pochi che controllano molti a molti che controllano molti) di organizzazione. Impresa da vivere sì in modo competitivo ma – e non è una contraddizione - anche olistico, armonico, organicistico (o meccanicistico: i due modelli ormai sono equivalenti e la rete è appunto pensata come un ecosistema), ma soprattutto autopoietico. Dove il controllo deve essere da ciascuno accettato, unico modo per impedire che qualcuno violi e perturbi questa comunità virtuosa e fraterna di lavoro e di condivisione.

 

Controllare e spiare i nemici. Ma soprattutto gli amici

Seconda notizia. La Nsa statunitense spiava i presidenti francesi (e non solo). Hollande si è molto arrabbiato, Obama si è scusato (lo facevamo, ora non più), ma presto il silenzio e l’opportunismo di tutti e di ciascuno (tutti spiano e sono spiati) coprirà l’ultima rivelazione di Wikileaks. Dove si dimostra (anche questa è pratica antica, ma che non deve essere rottamata) che ad essere spiati non sono (solo) i nemici ma anche quelli che dovrebbero essere gli amici, ribaltando la vecchia distinzione schmittiana di amico/nemico.

E dimostrando che in questa società panottica o post-panottica – ma dove tutto dovrebbe essere virtuosamente e meravigliosamente condiviso (ancora le retoriche della rete e le sue parole magiche e insieme la sua favola che tutti amiamo ascoltare e insieme recitare ogni sera prima di addormentarci, analoga all’altra favola della mano invisibile del mercato) – in realtà la fiducia è zero perché la competizione deve essere massima, la retorica della condivisione serve a lasciarci spiare, la rete non è un mezzo di comunicazione ma di connessione/integrazione/controllo.

E se la vita di ciascuno deve essere una vita economica fatta solo di competizione incessante, è evidente che il vantaggio competitivo (che spesso si confonde con la concorrenza sleale – ieri sanzionata come scorretta, oggi invocata e apprezzata, vedasi caso Uber) è appunto nella quantità di informazioni che si riescono ad estrarre dai o più dei concorrenti.

 

Dal panopticon al Big Data

La pedagogia del Grande Fratello (quello televisivo) ha funzionato bene, oggi il controllo è diventato norma, normalità, nuova banalità del male. In fondo, ieri ci piaceva spiare i vicini dalle persiane. E oggi ci piace essere spiati, altrimenti non cederemmo tutti i nostri dati con tanta facilità e voluttà. La privacy – quella privatezza di sé che permetteva all’individuo di essere tale – è stata rottamata (questa sì) perché così serviva al sistema tecnico ed economico, per il quale la privacy (come la democrazia) è un fastidio e una lentezza intollerabile perché inefficiente. Ha resistito fino a quando i diari si conservavano gelosamente in un cassetto segreto. Poi è arrivata la rete, ed è diventato social e cool spiare e lasciarsi spiare e mettersi in vetrina, diventando in molti modi liberi servi (riprendendo lo splendido titolo dell’ultimo splendido saggio di Gustavo Zagrebelsky).

Di più: se la democrazia era quel sistema in cui tutto doveva essere reso pubblico e trasparente ma in cui doveva essere preservata la libertà inviolabile dell’individuo/cittadino/soggetto di diritti civili, politici e sociali (salvo casi eccezionali e motivati), oggi siamo alla assoluta opacità del potere (anche quando si chiama democrazia), ma alla assoluta trasparenza di ciascuno. E siamo alla privatizzazione anche del panopticon/post-panopticon (Big Data), insieme modificandoci da soggetti a oggetti, da individui a merci/nodi, da persone a capitale umano.

E felici di esserlo.

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