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manifesto

Un banale “viaggiatore zaino in spalla” risponde a Giulia Innocenzi

Luigi Far­rauto

122Cara Giu­lia Innocenzi.

Che dolore, leg­gere il suo repor­tage. Come essere umano sono dispia­ciuto per le disav­ven­ture che ha vis­suto in Iran, paese che ho visi­tato due volte e in cui ritor­ne­rei altre mille. Paese che ho con­vinto molti miei amici — e ami­che — a visi­tare, ma non è molto impor­tante in que­sta sede rac­con­tarle il loro giu­di­zio, al ritorno. Par­rebbe come un’inutile bat­ta­glia a colpi di “a me ha fatto inna­mo­rare”, come a voler com­pen­sare la sua espe­rienza nega­tiva, che certo non si può cancellare.

Ma sono addo­lo­rato, per­ché la riso­nanza delle sue parole ha un peso molto più forte di quello che potrei direi io sul paese, o le tante per­sone che viag­giano in Per­sia ogni anno (tant’è che il Cor­riere della Sera ha subito pub­bli­cato le sue disav­ven­ture, non le mie, né quelle dei tan­tis­simi viag­gia­tori che rac­con­tano l’Iran con parole magnifiche).

Come si può rispon­dere o com­men­tare a ‘pal­pate al sedere’, ‘inse­gui­menti’, ‘uomini che fanno mostra del pro­prio pene’ o ‘aggres­sioni fisi­che’? Ripor­tando espe­rienze dia­me­tral­mente oppo­ste vis­sute nel mede­simo paese si farebbe il gioco della bilan­cia, e in que­sto caso non è la cosa più importante.

Non scrivo per dare un com­mento sulla società ira­niana (anche per­ché penso che il com­mento di Giu­lia Pre­sbi­tero, stu­den­tessa di rela­zioni inter­na­zio­nali, com­parso in rispo­sta al suo blog abbia già detto tutto, e da un punto di vista molto più auto­re­vole e ben argo­men­tato di quello che potrei dare io), quello su cui vor­rei sof­fer­marmi è però pro­prio l’esperienza del viag­giare in sé. Sulla sua con­se­guente stig­ma­tiz­za­zione di un paese intero, il suo essere riu­scita a trarre infe­renze uni­ver­sali da un caso par­ti­co­lare. Che, sep­pur nella sua sgra­de­vo­lezza, con­dotto da una gior­na­li­sta del suo cali­bro assume un peso media­tico molto forte.

Non voglio con que­sto negare il suo vis­suto, sarebbe sciocco, ma mi domando come mai lo abbia assunto a regola uni­ver­sale per defi­nire un paese, per giu­di­carlo, come se due set­ti­mane di viag­gio (che da viag­gia­trice zaino in spalla come si dichiara saprà bene che siano un lasso di tempo irri­so­rio, viste anche le dimen­sioni dell’Iran, sei volte l’Italia circa) bastas­sero a com­pren­dere appieno un uni­verso dotato di una com­ples­sità mastodontica.

Il suo post esor­di­sce con una pre­messa in cui lei mette le mani avanti come a volerci gua­da­gnare in cre­di­bi­lità, “abbiamo viag­giato molto tutte e due, quasi sem­pre zaino in spalla”. Eppure, cara Inno­cenzi, suv­via, se come dice ha viag­giato molto non può com­men­tare così ama­ra­mente di aver pagato “il pane per dieci volte il suo prezzo”.. Viag­giando si impara pre­sto a misu­rare le spese, all’inizio sono sem­pre “sole”, si sa, e anzi, la con­trat­ta­zione sta nelle regole del gioco, no? Ma il discorso è un altro, ovviamente.

Lei aggiunge “e una di noi ha visi­tato diversi paesi in Medio Oriente”. Una di noi, avendo voi viag­giato in due, non è lei ma la sua amica. Ergo deduco che lei il Medio­riente non lo cono­sca così pro­fon­da­mente. Ma anche que­sto non è obbli­ga­to­rio, anche se aiu­te­rebbe, sapere qual­cosa in più sul pezzo di mondo in cui si sta viag­giando. Poi pro­se­gue con un “così saprete che cosa potrebbe suc­ce­dere, e deci­dere con coscienza se par­tire o no” Ecco qui ini­ziano i colpi bassi nei con­fronti di un paese che a quanto pare non si è sfor­zata molto di ana­liz­zare, se non elen­cando fatti spiacevoli.

Lei rim­pro­vera anche alla Lonely Pla­net il non citare espe­rienze come quelle da lei vis­sute in Iran (“è stra­na­mente molto carente su que­sto punto”), quasi auto-confutandosi scri­vendo che “nean­che su inter­net abbiamo tro­vato molto”. Mi chiedo, ma non si è posta la domanda: ma non è che sono stata io incre­di­bil­mente sfor­tu­nata? Anche solo come dub­bio, eh! Trat­tan­dosi di un viag­gio in Iran, ha rite­nuto molto più facile caval­care l’onda dello sde­gno, in fondo ha viag­giato nel paese delle libertà negate.

Badiamo bene. Non voglio né fare apo­lo­gia dell’Iran, né negare che sia un paese dove “i gay rischiano l’impiccagione” (vero) e dove le donne sono obbli­gate a por­tare l’hijab (vero). Sono dati di fatto. Ma que­sto imma­gino lo sapesse anche prima di par­tire. Il bello di viag­giare è però anche l’approfondire quello che lei defi­ni­sce “le due facce della stessa medaglia”.

Anch’io, come lei, ho fatto molti viaggi “zaino in spalla”, mol­tis­simi in Medio­riente, certo sono un uomo e non ho lo stesso vis­suto di una donna sola in viag­gio, ma nella mia lunga espe­rienza in giro per il mondo ne ho viste (e vis­sute) parec­chie, di disav­ven­ture. Ho visto donne e uomini subire diverse vio­lenze, furti, scippi, ovun­que. Sono stato pal­pato anch’io da un uomo eh! A Ban­g­kok. E in tutto il mondo sono stato deru­bato una volta sola, minac­ciato con un col­tello. Pensi che l’aggressore era un ragazzo ita­liano, io ero in Olanda. Non suc­cede solo “anche a Roma o a Napoli”, ma anche a Milano o a Lon­dra. Suc­cede in Iran (non voglio né posso negarlo, né è mia inten­zione mini­miz­zare) come in India, negli Stati Uniti come in Mes­sico, in Viet­nam come in Suda­frica, in Cina, in Mon­go­lia. A donne e uomini. La vio­lenza e la stu­pi­dità sono dap­per­tutto. Se usas­simo il suo stesso metro di giu­di­zio, non esi­ste­rebbe paese a sal­varsi dalla “deci­sione con coscienza se par­tire o no”. Certo da viag­gia­tore zaino in spalla so che la prima cosa da fare in que­sti casi è andare dalla poli­zia: spe­cie nei paesi dove i turi­sti sono una risorsa eco­no­mica ho impa­rato quanto ven­gano pro­tetti e quanto sia sag­gio pre­ci­pi­tarsi da un agente dopo situa­zioni sgra­de­voli. Invece lei ha deciso di non rivol­gerci mai alla poli­zia per­ché non vole­vamo avere ulte­riori pro­blemi”, e mi è parso un po’ offen­sivo o quan­to­meno super­fi­ciale. Che cosa ha temuto?

Viag­giando e descri­vendo l’Iran però entra in gioco la com­po­nente emo­zio­nale. E nel suo blog  diviene quello della donna occi­den­tale libera, obbli­gata a met­tere il velo, e che guarda le donne ira­niane come vit­time di una società malata. Soprat­tutto è la con­sa­pe­vo­lezza che tu sei stata lì solo per due set­ti­mane, in vacanza, men­tre ci sono donne costrette a vivere così la loro intera esi­stenza”, lei scrive, tira una linea dritta senza badare a tutto ciò che c’è die­tro al velo, alla sua com­ples­sità, al suo con­te­sto; lo erge a sim­bolo di oppres­sione come se fosse sola­mente il velo, il pro­blema unico delle donne ira­niane (oltre a fare con­fu­sione tra cha­dor e burqa, “con un cha­dor che però non copriva com­ple­ta­mente la sua fac­cia sor­ri­dente”, visto che il cha­dor non copre mai il volto, nes­suna donna ira­niana ha il volto coperto; lo copre il burqa afghano, ma come lei stessa sostiene, è “stata lì solo due set­ti­mane”, forse non avrà avuto tempo di capirne la differenza).

Insomma, lei saprà bene che la rivo­lu­zione isla­mica ira­niana è stato un momento molto par­ti­co­lare della sto­ria dell’Iran, in cui una serie di cam­bia­menti sono stati inne­stati nella popo­la­zione e che le con­se­guenze sono di una com­ples­sità dif­fi­cil­mente ricon­du­ci­bile a uno schema così lineare. Non voglio usare la reto­rica dell’“alcune donne ira­niane sono per­sino fiere, di por­tare l’hijab”, per­ché par­rebbe un’apologia o un inu­tile fascino dell’esotico, del diverso. Però mi sarei aspet­tato, da lei che è una gior­na­li­sta, un’analisi un po’ diversa da quella di una donna occi­den­tale costretta a “met­tersi nei loro panni” e che dice “poverine”.

Poi lei afferma, nel suo acco­rato reso­conto del dia­logo con una guida, “La guida ci ha con­fes­sato così la nor­ma­lità della vio­lenza e delle mole­stie verso le donne, quasi come fosse natu­rale”. È incre­di­bile come in due set­ti­mane lei sia riu­scita a sco­prire ogni tipo di verità sull’Iran, è un vero record, il suo. Che guida era, la sua? La guida suprema? A mio mode­sto parere affer­mare che in una società le mole­stie sono natu­rali è un atti­mino azzar­dato, se non a suo modo vio­lento, anche se le è stato “con­fes­sato” da un’autorevole guida.

Pro­viamo a pen­sare a che effetto ci fareb­bero le mede­sime parole rivolte a noi ita­liani, se un gior­na­li­sta stra­niero vit­tima di uno scippo, di una ‘pal­pata al sedere’ (o dieci che siano), dichia­rasse in pompa magna le stesse cose sul popolo ita­liano. E non voglio pen­sare alle con­se­guenze dei reso­conti degli stu­pri che ulti­ma­mente stanno fla­gel­lando l’Italia, o la piaga del fem­mi­ni­ci­dio, che in paesi liberi come il nostro secondo i suoi schemi non potreb­bero acca­dere per defi­ni­zione. Mica indos­sano l’hijab, le donne ita­liane! Sono tutte libere di stu­diare quello che vogliono e sfon­dare in ogni ambito pro­fes­sio­nale, altro che psi­co­lo­gia o scienze politiche!

Lei con­fronta lo stile di vita degli abi­tanti delle grandi città ira­niane (“tra­sfor­mano il viso con un trucco pesan­tis­simo e una chi­rur­gia este­tica ai limiti del pac­chiano”) con quello dei “vil­laggi” senza mini­ma­mente chie­dersi (o rac­con­tarci nel suo blog, se anche se lo fosse chie­sto) che tipo di popo­la­zione li vive (in Iran ci sono paesi di influenza Kurda, Araba, Armena, Afghana, Turk­mena, ognuno con le pro­prie tra­di­zioni e usanze, cia­scuno coi pro­pri schemi, le pro­prie norme com­por­ta­men­tali), quale siano le loro abi­tu­dini, le ritua­lità, i gesti, traendo con­clu­sioni imba­raz­zanti, per­ché si fer­mano lì, a una descri­zione super­fi­ciale che non vuole appro­fon­dire nulla (“Con noi c’erano due turi­sti maschi, quindi lei non poteva sedere nella stessa stanza. Per restare intatta, pre­ser­vata per il suo futuro matri­mo­nio”). Crede dav­vero che quei due turi­sti maschi stra­nieri avreb­bero potuto minac­ciare la vita matri­mo­niale di quella ragazza? 

Lei con­clude poi, in un cli­max emo­tivo da pala­dina dei diritti civili, appiat­tendo tutta la com­ples­sità della società ira­niana con una reto­rica da quat­tro soldi, “Abbiamo comin­ciato a pen­sare a quante cose avrebbe potuto fare nella vita una donna bril­lante e curiosa come lei. Se solo fosse stata libera. Se solo avesse avuto il diritto di essere se stessa”. Stan­ding ova­tion. Voi, forti della vostra libe­ra­zione dall’hijab sull’aereo a stig­ma­tiz­zare una società intera. Come se poi le donne ita­liane fos­sero tutte libere di essere loro stesse e di bril­lare professionalmente.

“L’Iran ha ancora molta strada da fare” mi è parsa l’unica “ana­lisi” che ha fatto su un paese che più ci si sforza a com­pren­dere, meno lo si capi­sce — sen­sa­zio­na­li­smi a parte. Le dida­sca­lie alle sue foto­gra­fie non fanno che ali­men­tare que­sta mia convinzione.

Che dire, cara Inno­cenzi. Mi spiace dav­vero delle sue disav­ven­ture, forse se non fos­sero acca­dute avremmo letto tutt’altre parole su quel paese. E mi spiace se per colpa del suo post qual­che viag­gia­tore deci­derà di non andarci mai, in Iran.

Io l’Iran ho pro­vato a capirlo, ma in due mesi non ce l’ho fatta, certo mi ha affa­sci­nato molto. Non sono il tipo che idea­lizza i paesi, o che diventa miope dinanzi alle pro­ble­ma­ti­che che li carat­te­riz­zano. Sono con­sa­pe­vole delle con­trad­di­zioni interne all’Iran. Ma il viag­gio in que­sti paesi è in sé una con­trad­di­zione — per­ché mai dovremmo andarci? Negano i diritti civili.

Ma l’unica cosa di cui sono certo è che la popo­la­zione ira­niana è quasi l’opposto di come i media ce la descri­vono, e in que­sto caso anche lei ha rap­pre­sen­tato i media. Tutto torna. L’opposto dell’immagine sen­sa­zio­na­li­sta che i film come Argo cer­cano di farci pas­sare. Non nego le sue con­trad­di­zioni, le vio­la­zioni dei diritti civili, ma non me la sen­ti­rei mai di espri­mere un giu­di­zio così tran­chant su una popo­la­zione di ottanta milioni di per­sone già vit­tima dei pre­giu­dizi di mezzo mondo, se fossi un per­so­nag­gio pub­blico come lei.

Ma sono un banale viag­gia­tore. E so che viag­giare è bello per que­sto, per­ché inse­gna a non gene­ra­liz­zare, a non sen­tirci i soli e ad avere meno paura del diverso; è bello per­ché smonta le cer­tezze o quan­to­meno ce le fa vedere da un’altra pro­spet­tiva, ci apre fine­stre su un ‘altro’ che è per forza di cose diverso da noi. Viag­giare non è ripro­porre o cer­care le dina­mi­che che già carat­te­riz­zano il nostro pre­sente e il nostro vis­suto. La curio­sità è un dono, viag­giare la ali­menta. Aiuta a fare leva anche sulle brutte espe­rienze, basta cer­care sem­pre nuove domande da porsi e non affret­tarsi a tro­vare le risposte.

Luigi Far­rauto, un “viag­gia­tore zaino in spalla” come tanti.

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