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Turbolences en France: danger mortel pour l’euró!

Federico Dezzani

Le foto del dirigente di Air France che sfugge seminudo al linciaggio dei dipendenti ha girato il mondo: è l’icona del malessere che affligge l’Esagono. Il “motore franco-tedesco” è infatti grippato a causa del guasto al cilindro francese: è l’effetto del logorio prodotto dall’euro, moneta insostenibile per l’economia francese nel lungo periodo. Dall’industria alle finanze pubbliche, la Francia è in condizioni simili all’Italia, con l’aggravante che l’alto livello di sindacalizzazione e l’orgoglio nazionale, rendono inattuabile qualsiasi cura “Monti-Renzi” di svalutazione interna. Non è un caso che il terrorismo targato ISIS si concentri principalmente in Francia, bomba a orologeria che ticchetta inesorabile sotto l’euro

279720 thumb full 640Air France, specchio di un Paese “en panne”

Lunedì mattina, 5 ottobre, riunione del comitato centrale di Air France. L’aria è tesa, fuori e dentro dal quartiere generale della compagnia aerea: i lavoratori sono in agitazione dopo la notizia trapelata il venerdì precedente che il vettore procederà con un ulteriore taglio di posti. Le indiscrezioni parlano di di cifre a tre zeri. Il direttore delle risorse umane (mestiere infame di questi tempi), Xavier Broseta, conferma: a essere soppressi saranno 2.900 posti, essenzialmente tra il personale di terra. La sala dove è riunita la dirigenza esplode: alcuni salgono sui tavoli, poi altri scavalcano e tra le urla premono sempre più i dirigenti verso le pareti di fondo. Cul de sac. Con le giacche lacere e scortati dagli addetti alla sicurezza, Boseta ed il vicepresidente dello scalo di Orly riescono a guadagnare l’uscita, ma all’esterno il clima è ancora più infuocato: premuti dalla calca in escandescenza, i due avanzano a fatica. Nelle riprese successive si vede Xavier Broseta, ormai a torso nudo, che incespica e ruzzola a terra, si rialza e riprende a correre verso le cancellate: la sicurezza lo issa a peso oltre recinzione e gli ultimi fotogrammi lo ritraggono allontanarsi semi-nudo e sotto choc.

È questo il video1 che ha fatto il giro del mondo e sarà ricordato come un momento saliente non solo della crisi di Air France ma anche della, sottaciuta ma acuta, crisi dell’economia francese. Se le compagnie di bandiera riflettono il prestigio e la ricchezza del Paese, allora le loro condizioni di salute sono indicatori importanti per il sistema socio-economico nel suo complesso. La parabola di Air France ricalca infatti perfettamente le fortune di Parigi, rispecchiandone le ambizioni frustrate, il progressivo declino ed i mali che affliggono l’intera economia, per certi versi più gravi di quelli italiani.

La storia di Air France e di Alitalia è emblematica anche per capire i rapporti di forza tra i due Paesi ed il progressivo scivolare di Parigi, durante l’interminabile eurocrisi, verso la periferia dell’eurozona, sempre più vicina alla sbeffeggiata Italia e lontana dall’invidiata Germania.

Siamo infatti nel marzo del 2008 (mancano 6 mesi al fallimento di Lehman Brothers) quando Air France-KLM avanza un’offerta d’acquisto per la compagnia italiana che naviga in pessime acque.

Il piano (che prevede la chiusura del settore cargo, il ridimensionamento di Malpensa ed il dirottamento della ricca clientela del Nord Italia verso lo scalo Parigi2), rientra nella strategia di espansione francese in l’Italia, finalizzata ad inglobare ampie fette dell’industria e della finanza, così da costruire una massa economica tale da controbilanciare Berlino. È in quest’ottica che vanno letti gli acquisti di Fendi (Lvhm, 1999), Gucci (Kering,1999), Fiat Ferroviaria (Alstom, 2000), BNL (Gruppo BNP Paribas, 2006). L’eurozona, fino almeno al 2013, è un condominio franco-tedesco e l’Italia rientra nel territorio di caccia di Parigi: qualsiasi velleità italiana di entrare nel mercato francese è, al contrario, frustrata, come testimonia il tentativo di ENEL di comprare nel 2006 l’operatore transalpino Suez, prontamente sventato dall’Eliseo con la fusione GDF-Suez.

L’ostilità dai sindacati alla proposta francese e soprattutto il parere contrario di Silvio Berlusconi, dato per vincente alle legislative del 2008, fanno naufragare il progetto: in Alitalia prima subentrano i “capitani coraggiosi” riuniti nella compagnia CAI, poi, nel 2014, è la volta di Etihad Airways.

I francesi però non si danno per vinti e, sfruttando l’emergenza spread e la carenza di liquidità che affligge il sistema economico italiano continuano, la loro campagna di acquisti: Brioni (Kering, 2011), Parmalat (Lactalis, 2011), Bulgari (Lvhm, 2012), Edison (EDF, 2012), Loro Piana (Lvhm,2013). Qualcosa però nel frattempo si inceppa: benché il differenziale tra gli OAT ed i bund tedeschi rimanga sempre in una forchetta ristretta, grazie alla certezza che Berlino si farà garante di ultima istanza dei vicini d’oltre Reno, le prestazione dell’economia francese peggiorano, divergendo sempre più da quelle del cuore germanico (Germania, Austria, Olanda e Finlandia) e avvicinandosi a quelle della periferia mediterranea.

La compagnia Air-France segue la traiettoria della madre patria perché, in fondo, riproduce fedelmente i vizi ed i limiti che impediscono a Parigi di reggere, all’interno di un sistema a cambi fissi (l’euro), la concorrenza dei super-produttivi tedeschi.

Nel 2010 Air France-KLM registra unaperdita record da 1,5 €mld, che si restringono a 800 €mln nel 2011 e si riallarga nuovamente a 1,2 €mld nel 2012: è annunciata una prima drastica riduzione del personale, 7.500 posti in meno entro il 2013. Ciononostante, il bilancio 2013 chiude con una nuova voragine(-1,8 €mld) che obbliga la direzione a procedere con un ulteriore taglio di 2.400 posti di lavoro.

Siamo ora nell’autunno del 2014, il “settembre nero” di Air France: il braccio di ferro con il potente e compatto sindacato dei piloti, contrario al potenziamento della compagnia low-cost Transavia (che ha costi inferiori del 25% rispetto alla controllante) sfocia in uno sciopero record di due settimane che paralizza il vettore transalpino e provoca danni per 500 €mln3. La compagnia getta la spugna, rinunciando allo sviluppo di Transavia, e chiude l’anno con l’ennesima perdita (-200 €mln). Neppure i primi sei mesi del 2015 arrecano sollievo alle casse della compagnia ed i vertici optano per un ulteriore taglio dei costi, annunciano i tagli al personale di cui sopra. Anche perché, nel frattempo, la lunga crisi ha minato la stabilità finanziaria dell’azienda, causando un indebitamento da livello d’allerta (4,5 €mld).

Mentre le altre due principali compagnie europee godono di un momento di relativa floridezza (British Airways chiude il 2014 con utile da 1 €mld e Lufthansa con profitti per 55 €mln) Air France-Klm affonda: il colosso dei cieli controllato dallo Stato francese che nel 2008 ambiva a comprare la compagnia di bandiera italiana, ora lotta per la sopravvivenza.

La dice lunga sulla salute del sistema-Paese dei nostri vicini.

Quali sono i mali che affliggono Air France? Bé, proprio come i lavoratori francesi nel suo complesso, i lavoratori della compagnia aerea godono di un’ampia gamma di vantaggi non più sostenibili in regime d’euro: il personale è tra i più abbondanti d’Europa (64.000 addetti), i piloti sono pagati il 25% in più in rispetto alla concorrenza 4 e godono di ferie e riposi tra i più generosi della categoria.

La ricetta proposta dai vertici della compagnia aerea è semplice: un taglio draconiano dei costi ed un parallelo aumento della produttività che, in sostanza, significa per il lavoratore svolgere la stessa mansione con un minore stipendio o lavorare di più a parità di retribuzione. Suona famigliare? Ma sì, è la classica ricetta della svalutazione interna, imposta dalla Troika a Spagna, Portogallo, Italia e Grecia: se è impossibile per i Paesi svalutare la moneta, si svaluta il lavoro, riacquistando così competitività sui mercati internazionali a costo deflazione e disoccupazione.

A dire il vero, non solo l’Air France, ma l’intero Esagono dovrebbe essere sottoposto ad una robusta dose di austerità, forte o persino più massiccia di quella imposta all’Italia: il problema è che i sindacati ed i lavoratori francesi (e lo sfiorato linciaggio dei dirigenti di Air France lo dimostra) non sembrano disposti ad ingoiare l’amara pillola della Troika. Al contrario si atteggiano più da sanculotti.

Fino a quando sarà possibile per i francesi evitare la cura dell’austerità, considerato il ritmo incalzante con cui scivolano dal centro (sempre che ci siano mai stati) alla periferia dell’eurozona?

 

Dal centro alla periferia dell’euro: la rapida involuzione francese

La Francia dei primi anni ’90 è un Paese in affanno: non solo le due Germanie sono ad uno passo dalla riunificazione ma anche l’economia arranca, tanto che qualche economista teme persino l’imbarazzante sorpasso dell’Italia, allora ad un passo dall’essere la seconda economia d’Europa e la quarta al mondo. È infatti del 1991 il libro dell’economista francese Alain Cotta (oggi anti-euro) dall’emblematico titolo “la France en panne”. Si legge nella quarta copertina:

“La France est en panne. Le chômage a cessé de régresser pour reprendre une ascension qui laisse planer la menace de compter trois millions de chômeurs sous peu. La croissance ne cesse, quant à elle, de se ralentir non seulement dans l’absolu mais aussi par comparaison avec l’Allemagne et l’Italie. Si cette situation se poursuit jusqu’à la fin de la décennie, la France ne sera plus que la troisième puissance économique de l’Europe, dépassée par sa soeur latine”.

Fortunatamente per Parigi, a pagare il conto dell’unificazione dell’Europa è principalmente l’Italia, prima costretta a smantellare la vincente economia mista e poi a dissanguarsi con una lunga serie di manovra fiscali per agganciarsi alla moneta unica. Le aspirazione italiane di seconda economia del Continente si dissolvono con l’avvio di Mani Pulite (febbraio 1992) e l’omicidio di Giovanni Falcone (maggio 1992), cui vanno legati altri due avvenimenti: la firma del Trattato di Maastricht (febbraio 1992) che pone le basi dell’euro e l’arrivo a Civitavecchia del Britannia di Sua Maestà (giugno 1992), su cui si imbarca il direttore generale del Tesoro, Mario Draghi5. L’industria di Stato è, nell’arco di cinque mesi, gettata in pasto ai pescecani della finanza anglofona nel silenzio della classe politica, ammutolita da manette e stragi “mafiose”.

Nel giugno del 1992 la Danimarca indice un referendum per la ratifica del Trattato di Maastricht e dallo spoglio delle schede emerge la vittoria di misura del “no”. Immediati si scatenano gli assalti speculativi (il fondo Quantum di George Soros) che, come nel biennio dello spread rosso 2011-2012, hanno due obbiettivi: il saccheggio dei beni dello Stato e l’instaurazione di un clima di emergenza e paura che faciliti il proseguo dell’integrazione europea.

Mentre l’Italia (con Giulio Amato a Palazzo Chigi e Carlo Azeglio Ciampi a Palazzo Koch) vara inutilmente manovre lacrime e sangue e dilapida le riserve di Bankitalia, per poi abbandonare comunque lo SME nel settembre del 1992 (svalutando la lira del 20%), la Francia è soccorsa dalla Germania appena riunificata.

Quando infatti nell’ultima decade di settembre i francesi sono anch’essi chiamati alle urne per esprimersi sul Trattato di Maastricht, la speculazione si concentra sul franco così da allarmare l’opinione pubblica e incentivare la vittoria dei sì (che prevalgono per un soffio): è l’azione coordinata6 tra la Banca di Francia e la Bundesbank che impedisce l’uscita del franco dello SME, il sistema monetario europeo propedeutico all’euro.

La Francia, in sostanza, non ha il fisico per reggere un cambio fisso con il marco tedesco, sebbene alleviato da un banda d’oscillazione del +/-2,5%. Men che mai, quindi, ha il fisico per reggere unregime a cambi fissi senza bande d’oscillazione, ovvero l’euro, che entra ufficialmente in circolazione il primo gennaio del 2002.

Quando un’economia più produttiva è agganciata ad un’altra economia meno competitiva con un cambio fisso, la prima “svuota” inesorabilmente la seconda, instaurando un rapporto centro-periferia: il Paese più forte aumenta le proprie quote di mercato, l’occupazione, le esportazioni e le riserve valutarie, mentre il secondo registra una peggioramento della bilancia commerciale, un aumento della disoccupazione ed il progressivo prosciugamento delle riserve.

Di fronte a questa situazione i governi delle economie più deboli hanno due strade: la prima è accettare il calo del tenore di vita dei cittadini (strada imboccata dall’Italia che tocca l’apice con l’austerità dei governi Monti-Letta-Renzi), la seconda è sostenere il tenore di vita dei cittadini a spese dello Stato.

Mentre il debito pubblico italiano tra il 2002 ed il 2011 passa dal 105% del PIL al 120% (+15%), il debito pubblico francese schizza dal 60% (l’obbiettivo del Trattato di Maastricht) all’86% del PIL (+45%).

L’imposizione dell’austerità (a causa della distruzione del reddito e del parallelo aumento della spesa per gli ammortizzatori) incrementa il rapporto debito/PIL dell’Italia all’attuale livello del 140%, ma la Francia non è da meglio: con un debito vicino ai 2.100 €mld registrerà a fine anno un rapporto pari al 96% (+60% rispetto all’introduzione dell’euro e +140% rispetto alla firma del Trattato di Maastricht).

La traiettoria fa tremare i polsi.

Perché lo Stato francese si sta indebitando a passo così sostenuto? Come abbiamo anticipato, il generoso stato sociale francese consente ai cittadini di vivere sopra alle proprie possibilità, ossia di consumare beni che non producono: il saldo commerciale passa infatti da un attivo pari al 1,5% del PIL nel 2002 ad un cronico disavanzo vicino al 2%7 (nel maggio del 2015 Parigi registra un deficit commerciale record da 4 €mld8). In un regime a cambi fissi come l’euro, questa situazione non è sostenibile a lungo. Presto o tardi (ma più presto che tardi) gli investitori si faranno la domanda: ma è capace Parigi di rimborsare i titoli di Stato in euro-marchi o li rimborserà in franchi?

C’è un motivo se il differenziale tra OAT e Bund non supera mai i 200 punti base neppure nei momenti più caldi dell’eurocrisi (novembre 2011): nelle piazze finanziarie è granitica la certezza che la Bundesbank, come nel 1992, difenda i vicini d’oltre Reno dagli assalti speculativi. I siparietti Merkel-Sarkozy, seguiti da quelli Merkel-Hollande, hanno lo scopo di spacciare il motore franco-tedesco per funzionante: una coppia inseparabile anche nelle avversità.

In realtà, il motore è ormai del tutto ingrippato.

Nel momento in cui Berlino e Parigi rifiutano un governo federale, con un Tesoro unico ed i conseguenti trasferimenti fiscali dal centro alla periferia (cioè dalla Germania verso tutta l’eurozona), l’euro è spacciato, a causa dell’incapacità della Francia di reggere un cambio fisso con la Germania.

Parigi non è più una potenza equiparabile al vicino gigante economico, bensì “una Grecia” in divenire.

Qualsiasi dato economico lo conferma: 3,5 milioni di disoccupati (il 10% della forza lavoro), i continui declassamenti del rating, crescita asfittica (nonostante gli ampi deficit di bilancio), campioni nazionali in vendita (la cessione di Alstom a General Electric), altri in profonda crisi (Air France ed il gruppo Areva, ferito a morte da Fukushima e soprattutto dai problemi riscontrati nei reattori EPR), altri oggetto di una dolorosa ristrutturazione (il gruppo automobilistico PSA, nel cui capitale entrano nel 2014 lo Stato francese ed i cinesi della Dongfeng).

Certo, sfumata l’ipotesi degli Stati Uniti d’Europa, si potrebbe allungare l’agonia dell’euro se Parigi si piegasse ai dettami della Troika: lotta al deficit, tagli allo stato sociale, scardinamento dei sindacati e riduzione dei salari. Così facendo la Francia riacquisterebbe parte della competitività perduta rispetto alla Germania ed otterrebbe un miglioramento della bilancia commerciale, ma il debito pubblico continuerebbe comunque a crescere (Grecia, Spagna e Italia lo dimostrano) e, soprattutto, il Paese esploderebbe.

A differenza dell’Italia, dove l’emigrazione e l’economia sommersa sono la tradizionale valvola di sfogo nei momenti di crisi, la Francia ha una lunga tradizione rivoluzionaria. Inoltre la classe dirigente francese, un po’ per l’esplosività della situazione sociale un po’ per orgoglio, non vaglia neppure la possibilità di piegarsi all’austerità tedesca: si ricordi il recente ammonimento del ministro delle finanze Michel Sapin, secondo cui in materia di deficit e bilancio decide solo il parlamento francese e non la Commissione europea9.

Come ha reagito l’establishment francese alla progressiva subalternità alla Germania ed al rapido deterioramento dell’economia, all’origine dei successi del Fronte Nazionale ?

 

La reazione: appiattimento agli USA e strategia della tensione

L’esplosione (attesa) dell’eurocrisi in tutta la sua virulenza (2011-2012) non sortisce l’esito atteso negli ambienti euro-atlantici: nessuna condivisione del debito, nessuno Tesoro federale, nessuno esecutivo sovranazionale. Al contrario, la Germania chiarisce che è disposta a proseguire con l’esperimento euro purché si segua la sua ricetta, ossia l’austerità: in questo modo gli aggiustamenti (svalutazione interna e riequilibrio delle bilance commerciali) cadono sulle spalle della periferia.

La Francia esce fortemente ridimensionata: benché Sarkozy ed Hollande fingano di attuare una strategia studiata di comune accordo con Berlino, l’Eliseo subisce le linea tedesca. Come compensare lo strapotere tedesco?

La Francia, riporta nel 2009 da Nicolas Sarkozy nel comando integrato della NATO, avvalla il progetto angloamericano di ridisegnare il Medio Oriente, cercando di riacquistare il peso perduto sul Continente.

Vecchi amici (il presidente tunisino ZinBen Ali e l’egiziano Hosni Mubarack) e buone conoscenze (il colonnello Muammur Gheddafi ed il presidente Bashar Assad) sono scaricati dai francesi dopo lunghi anni di convivenza ed affari: protetto dall’ombrello angloamericano, Nicolas Sarkozy avvia il cambio di regime in Libia nel marzo del 2011, coll’ingenua speranza di accaparrarsi il mercato libico a spese degli italiani. Lo stesso avviene in Siria (l’ex-ministro degli affari esteri Roland Dumas ammette di essere stato avvicinato dagli inglesi già nel 2009 per organizzare un cambio di regime a Damasco10), dove i servizi d’informazione francesi tramano sin dal 2011 per la caduta di Assad, organizzando la defezione di alcuni pezzi da novanta del regime11.

Sfortunatamente per i francesi, l’attivismo mediorientale, finalizzato a puntellare il ruolo internazionale della Francia, è travolto dalle macerie della strategia angloamericana: François Hollande rimane col cerino in mano nell’agosto del 2013, quando i tentativi di Barack Obama di bombardare la Siria si liquefano davanti alla fermezza di Mosca, ed il bluff dei bombardamenti francesi contro l’ISIS è scoperto in questi giorni: ai russi sono sufficienti pochi giorni per mettere in rotta il Califfato, quando i primi interventi della coalizione a guida americana risalgono all’estate del 201412.

Non solo l’influenza francese esce demolita, ma l’attivismo mediorientale scava ulteriormente il fossato con la Germania: nel 2011 Berlino si esprime contro l‘intervento in Libia ed oggi sostiene il coinvolgimento del presidente Assad nei negoziati (specialmente alla luce del risolutivo intervento di Mosca), al contrario di Parigi che, come Londra e Washington, insiste per la sua cacciata.

L’appiattimento dell’Eliseo su posizioni angloamericane ed il divario ormai incolmabile con i tedeschi sono acclarati anche dall’ultimo capitolo della crisi greca: nei sei mesi di braccio di ferro tra Alexis Tsipras ed i creditori internazionali, il capo di Syriza è spalleggiato da Parigi, coadiuvata da Washington e Londra, coll’intento di impiegarlo come grimaldello per scardinare l’austerità ed indurre la Germania ad accettare la ristrutturazione dei debiti dell’euro-periferia. Una ferrea opposizione al governo greco è invece esercitata da Berlino, timorosa che qualsiasi concessione strappata dai greci sarà a breve invocata dagli altri membri dell’eurozona.

L’establishment francese è in balia degli eventi e, senza nessuna strategia su come uscire dall’empasse dell’eurocrisi, non ha oltre opzioni che adagiarsi alla politica angloamericana. In questa ottica deve essere letto il rifiuto francese di consegnare a Mosca le due navi da guerra Mistral, danno enorme in termini monetari (2 €mld) ma soprattutto di immagine. Ingenti sono anche i danni che le sanzioni imposte alla Russia hanno inferto allo strategico settore agricolo francese, stimati attorno al miliardo di euro per ogni anno di embargo.

Niente però dimostra la sudditanza di Parigi agli angloamericani e la drammaticità del momento che vive l’establishment francese meglio della strategia della tensione adottata in Francia: mai Charles De Gaulle o Jacques Chirac avrebbero accettato che l’Esagono diventasse terreno per la guerra psicologica della NATO.

Ci stiamo ovviamente riferendo alla lunga serie di attentati di matrice islamista che insanguina la Francia nel 2015, “abbassando” così Parigi allo stesso livello dell’Italia o della Germania durante gli anni di piombo. Di fronte ad una situazione socio-economica critica, ad un rapido deterioramento delle finanze pubbliche, al record di impopolarità riscosso dal presidente François Hollande (l’indice di gradimento si attesta al 20%13) ed ai successi elettorali del Front National (ostile all’euro ed alla NATO), è sfoderato lo stesso armamentario usato in Italia negli ’70: un crescendo di attentati e violenza, così da creare insicurezza tra l’elettorato e spingerlo vero i partiti d’establishment.

Il 2015 si apre con la strage a Charlie Hebdo: uno dei due terroristi, noti ai servizi, commette l’incredibile leggerezza di portare con sé la carta d’identità sul luogo del delitto e la dimentica nell’auto usata per la fuga. Quindi si barricano in una piccola tipografia ed attendono l’arrivo delle teste di cuoio che, ça va sans rien dire, non li prende vivi. Nel frattempo, ancora a Parigi, un loro complice si asserraglia in un negozio kosher, rivendicando l’affiliazione all’ISIS: a blitz avvenuto, si scoprono quattro vittime che portano così a 17 il numero dei morti in tre giorni di follia. Peccato che i servizi algerini avessero pochi giorni prima gli omologhi francesi di un imminente attacco.

Poi è la volta dell’attentato a Saint-Quentin-Favallier: un autotrasportatore, islamista già noto ai servizi, decapita il datore di lavoro e cerca invano di far saltare un impianto di stoccaggio del gas. L’attentatore, fermato dalla polizia, “si qualifica come uomo dell’ISIS” mostrando drappi islamisti14. L’evento cade il 26 giugno, il “venerdì nero del Ramadan” ricordato per la sfilza di attentati che insanguinano anche il Kuwait (27 morti per la bomba ad una moschea sciita), la Tunisia (38 morti per la strage al resort Riu Imperial Marhaba). Le possibilità che “un’organizzazione” come l’ISIS possa coordinare dal deserto siriano tre attentati, sue tre continenti diversi, sono vicine allo zero. Come la strage al Bardo, è plausibile invece la supervisione dei servizi, che circuiscono qualche sbandato o esaltato.

Dulcis in fundo, è storia recente, l’attacco al treno ad alta velocità Amsterdam-Parigi del 21 agosto. L’attentatore marocchino, noto ai servizi, sale sul treno con una sacca contenente un kalashnikov, nove caricatori, una pistola ed un taglierino: quando decide di passare all’azione, l’AK-47 si inceppa improvvisamente15 (strano che il terrorista non abbia controllato l’efficienza dell’arma prima dell’operazione). A questo punto intervengono provvidenzialmente due soldati americani ed un loro terzo amico che immobilizzano il terrorista: nella colluttazione uno dei militari riporta una grave ferita da taglio che, però, non impedisce allo stesso di farsi coinvolgere due mesi dopo in una rissa in California, dove è più volte accoltellato al petto (le sue condizioni sono al momento stabili). I tre ad ogni modo, sono celebrati come eroi dopo lo sventato attentato ed il presidente François Hollande li insignisce della legione d’onore, asserendo che “ils incarnent le bien face au mal du terrorisme“.

Riuscirà la strategia della tensione a sbollentare un Paese sempre più in crisi? E fino a quando l’Eliseo, forte del sostegno americano, potrà rifiutare gli aggiustamenti di bilancio che la Germania (via Bruxelles) chiede con sempre maggiore insistenza?

Alle fondamenta dell’euro ticchetta una bomba, e si chiama Francia.

francia

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Note
1 https://www.youtube.com/watch?v=jFLJ2QUP8mQ

2 http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/economia/alitalia-12/dettagli-offerta/dettagli-offerta.html

3 http://www.repubblica.it/economia/finanza/2014/10/08/news/air_france_il_conto_dello_sciopero_record_arriva_a_mezzo_miliardo_di_euro-97612222/

4 http://www.lefigaro.fr/economie/le-scan-eco/decryptage/2015/10/06/29002-20151006ARTFIG00129-salaires-et-temps-de-travail-les-vrais-chiffres-sur-les-pilotes-d-air-france.php

5 http://archiviostorico.corriere.it/2009/giugno/16/CROCIERA_DEL_BRITANNIA_FRA_AFFARI_co_9_090616045.shtml

6 http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/09/19/la-bundesbank-salva-il-franco.html

7 http://perspective.usherbrooke.ca/bilan/tend/FRA/fr/NE.RSB.GNFS.ZS.html

8 http://www.kairospartners.com/it/media-center/live/francia-deficit-bilancia-commerciale-tocca-record-4-mld-maggio?it=it

9 http://www.repubblica.it/economia/2014/10/15/news/francia_sapin_ue-98157566/

10 https://www.youtube.com/watch?v=BH9SHxetO1I

11 http://www.bbc.com/news/world-europe-19549304

12 http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/19/isis-primi-raid-francesi-in-iraq-eliseo-bombardato-deposito-logistico/1126224/

13 http://www.lepoint.fr/politique/la-cote-de-popularite-de-hollande-reste-stable-06-08-2015-1955115_20.php

14 http://www.agi.it/estero/notizie/francia_filo_isis_fa_esplodere_impianto_gas_uomo_decapitato-201506261118-est-rt10049

15 http://www.theguardian.com/world/2015/aug/21/amsterdam-paris-train-gunman-france

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