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moneta e credito

Victoria Chick (1936-2023)

di Maria Cristina Marcuzzo*

Abstract: Questo articolo ripercorre il tentativo di Chick, durato tutta la vita, di smascherare ciò che è stato ed è tuttora distorto nell’interpretazione e nell’applicazione della Teoria Generale. Per semplicità, ho elencato alcune delle distorsioni su cui Chick, insieme ad altri, ha richiamato l’attenzione nel corso degli anni. L’elenco non vuole essere esaustivo e alcune distorsioni sono correlate tra loro, ma spero che il mio catalogo catturi la maggior parte delle questioni che sono state al centro del dibattito e del confronto con la Teoria Generale che ha impegnato Chick per tutta la sua vita.

FmlWdj8WQAAzoVfLa scomparsa di Victoria (Vicky per tutti noi) Chick a Londra il 15 gennaio 2023, è un grave lutto per la comunità dei post-Keynesiani e degli economisti eterodossi di diverse scuole. Perdiamo una delle più intelligenti interpreti di Keynes che con tenacia lo ha difeso da tante riletture spurie e a volte fuorvianti, e una economista autrice di penetranti analisi della teoria e politica monetaria contemporanee.

Chick era nata a Berkeley, in California, nel 1936. Dopo la laurea e il master a all’Università di California, Berkeley, dove ha avuto come insegnante Hyman Minsky, si laurea di nuovo alla London School of Economics (LSE), nel 1960, a cui segue, tre anni dopo, il primo incarico accademico presso l’University College di Londra (UCL), dove rimarrà in vari ruoli, fino all’ultimo, quello di Professore Emerito.

I suoi corsi di macroeconomia, teoria monetaria e bancaria hanno ispirato innumerevoli studenti, di varie nazionalità, molti dei quali hanno ottenuto il Ph.D con la sua supervisione. Alcuni di noi, studenti italiani alla LSE, a metà degli anni Settanta andavamo a UCL a sentire le sue lezioni, come antidoto alla versione IS-LM del pensiero keynesiano che ci veniva somministrata nel corso di Macroeconomia.

Quest’opera è distribuita con licenza internazionale Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0. Copia della licenza è disponibile alla URL http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/

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moneta e credito

Luigi Lodovico Pasinetti

Zanica, 12 settembre 1930 - Varese, 31 gennaio 2023

di Joseph Halevi1

71x2sGKAASLAbstract: L’articolo commemora la vita intellettuale di Luigi Pasinetti, purtroppo scomparso alla fine del mese di gennaio di quest’anno. Vengono presentate e discusse le fasi salienti dei suoi studi e dei suoi contributi scientifici culminati nell’opera Structural Change and Economic Growth pubblicata nel 1981. Nell’articolo si mostra come Pasinetti avesse sviluppato le idee principali che guideranno la sua ricerca già tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta del secolo scorso. In questo contesto viene evidenziata l’importanza dirompente della sua teoria concernente i processi produttivi verticalmente integrati e come questa rappresenti uno sviluppo positivo rispetto ai dibattiti riguardo alla teoria neoclassica del capitale e della distribuzione. Si conclude sottolineando la coerenza tra l’approccio teorico di Pasinetti e la sua filosofia morale incentrata sulla priorità del lavoro sul capitale.

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Luigi Pasinetti nacque il 12 settembre 1930 a Zanica, un piccolo paese nella provincia di Bergamo. Secondo la biografia scritta da Mauro Baranzini e Amalia Mirante (2018), la perdita prematura nel 1949 della madre, che lavorava come ostetrica ufficiale del paese e che costituiva un’importante fonte di reddito dal momento che l’impresa edile del padre incontrò difficoltà economiche a causa della guerra, costrinse il giovane Luigi a cercare lavoro appena terminate le scuole secondarie. Si iscrisse dunque ai corsi serali della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università Cattolica di Milano, da cui si laureò nel 1955 con una tesi intitolata Modelli econometrici e loro applicazione all’analisi del ciclo commerciale.

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eticaeconomia

Riscoprire Richard Kahn. Pensiero e attualità di un economista keynesiano di Cambridge

di Paolo Paesani

Paolo Paesani ricorda Richard F. Kahn, esponente di punta della scuola keynesiana di Cambridge, traendo spunto da un volume di recente pubblicazione. Paesani richiama alcuni aspetti importanti del contributo di Kahn, sul piano analitico e metodologico, e ne illustra l’attualità anche rispetto alla possibilità d’inquadrarli nell’ambito della costruzione di un nuovo approccio classico-keynesiano allo studio dei problemi economici

kahn richard 1905Richard Ferdinand Kahn, nato a Londra nel 1905, morto a Cambridge nel 1989, è stato un importante economista britannico, un protagonista del pensiero economico del Novecento, meno noto di altri ma non per questo meno interessante. La recente pubblicazione di una raccolta dei suoi scritti (R.F. Kahn, Collected Economic Essays, a cura di M.C. Marcuzzo e P. Paesani, Palgrave Mcmillan, 2022) offre l’occasione per riaccendere l’attenzione su Kahn e sull’originalità dei suoi contributi. 

Richard Kahn è stato prima di tutto un discepolo di Keynes, come recita il titolo della lunga, bella intervista concessa a Cristina Marcuzzo nel 1987 (R.F. Kahn, Un discepolo di Keynes, 1988, Garzanti) e tradotta di recente in inglese. Il sodalizio, intellettuale e personale, tra Keynes e Kahn inizia nel 1927 quando Keynes segue Kahn come tutor a Cambridge (l’altro tutor è Gerald Shove, economista marshalliano di Cambridge) e prosegue ininterrottamente per i diciannove anni successivi, fino alla morte di Keynes. Sono gli anni della elezione di Kahn a Fellow del King’s College nel 1929 (con una tesi sull’Economia del breve periodo), dell’articolo del 1931 sul moltiplicatore, dell’esordio come insegnante all’Università di Cambridge, del Cambridge Circus, il gruppo di giovani economisti che seguono e incoraggiano Keynes nella gestazione della Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta

Venuto a mancare il suo mentore, Kahn acquisisce progressivamente una sua propria autorità intellettuale nel solco del Keynesismo della scuola di Cambridge. Come ha ricordato Luigi Pasinetti, in un saggio in memoria di Kahn, c’è stato un momento, fra gli anni Cinquanta e i Sessanta, in cui “come Chairman della Facoltà di Economia, Professorial Fellow e Fellow Elector del King’s college, organizzatore del cosiddetto ‘Seminario segreto’, sembrava che tutto il processo di formazione del pensiero economico di Cambridge ruotasse intorno a lui”.

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antiper

Il dibattito sulla caduta tendenziale del saggio di profitto. La teoria del profit squeeze

di Xepel

correttoiuhtQuesto brano è tratto da un testo più lungo che si intitola Su alcuni aspetti della teoria delle crisi. Lo pubblichiamo in quanto introduttivo di una teoria – il cosiddetto “profit squeeze” – che si può riassumere nell’idea che alle origini delle crisi capitalistiche vi sia la capacità dei lavoratori di imporre significative conquiste salariali ai capitalisti riducendone così i profitti. Questo contributo è interessante soprattutto in quanto ribadisce l’importanza sia delle dinamiche economiche globali, sia delle dinamiche della lotta di classe locali [Antiper].

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Il dibattito sulla legge della caduta tendenziale [*] si intreccia al problema della teoria delle crisi. Negli anni ’70, alcuni economisti inglesi (soprattutto Glynn e Sutcliffe) avanzarono una teoria nota come “profit squeeze”, secondo la quale la caduta del saggio di profitto non era attribuibile alla crescita della composizione organica del capitale, che la svalorizzazione del capitale costante può contrastare indefinitamente, ma alle difficoltà nel contenere la crescita del capitale variabile (i salari) come conseguenza della piena occupazione e della forza del movimento operaio. A dimostrazione che il clima esplosivo di quegli anni aveva contagiato gli intellettuali, uno di questi economisti, professore a Oxford, aderì alla tendenza marxista del partito laburista, il Militant, e vi portò il dibattito sulla sua teoria del profit squeeze.

I partecipanti al dibattito erano d’accordo sul fatto che ci fosse stata una caduta della profittabilità come conseguenza dell’accumulazione di capitale. Non concordavano sul fatto che ciò dipendesse dall’operare della legge.

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eticaeconomia

Pasinetti e l'approccio classico-keynesiano

di Paolo Paesani

Paolo Paesani, ricordando Luigi Pasinetti, si misura con la sua proposta di sviluppare un nuovo approccio alla teoria e alla politica economica, fondato sulla sintesi tra l’economia classica e l’economia keynesiana. Paesani richiama i 9 elementi che lo stesso Pasinetti aveva indicato come base per costruire quella sintesi e, attingendo anche a un recente volume curato da Bellino e Nerozzi, illustra l’importanza ma anche la difficoltà di approfondire e integrare tra loro quei 9 elementi

1juytd0Luigi Pasinetti, scomparso di recente, è stato uno dei più importanti economisti teorici italiani del secondo dopoguerra. Uno degli assi portanti del suo programma di ricerca, come sottolinea Sebastiano Nerozzi nel suo ricordo in questo del numero del Menabò, è il tentativo di costruire un nuovo approccio alla teoria e alla politica economica, fondato sulla sintesi tra economia classica ed economia keynesiana, in alternativa al marginalismo e all’individualismo metodologico tuttora dominanti.

Dall’economia politica classica, Pasinetti trae l’idea che il sistema economico debba essere concepito come un insieme di settori produttivi interconnessi che si possono analizzare indipendentemente dallo studio delle scelte degli agenti individuali che si muovono al loro interno. Queste connessioni costituiscono la struttura dell’economia, una struttura che cambia nel tempo per effetto del progresso tecnologico e del mutamento dei consumi secondo una dinamica ciclica. Da Keynes e i keynesiani, Pasinetti trae il principio della domanda effettiva, l’ipotesi, empiricamente fondata, che la propensione al risparmio dei percettori di profitti sia maggiore di quella dei salariati, l’idea che gli investimenti hanno un ruolo centrale nel determinare la dinamica dell’economia e la convinzione che disoccupazione e disuguaglianza siano i mali principali del capitalismo.

In un libro del 2007, Keynes and the Cambridge Keynesians, Pasinetti affronta il problema di definire le basi dell’approccio classico-keynesiano, nell’ambito di una riflessione più ampia sulla rivoluzione incompiuta di Keynes, sui contributi principali di alcuni esponenti della Cambridge School of Economics (Kahn, Robinson, Kaldor, Sraffa, Goodwin) e sui legami tra quei contributi e gli schemi analitici da lui stesso elaborati.

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economiaepolitica

Ricordo di Luigi Pasinetti

di Nadia Garbellini

Si ringraziano sentitamente Louis-Philippe Rochon e la rivista Review of Political Economy per aver consentito la traduzione in lingua italiana di questo articolo di prossima uscita su Review of Political Economy – April, 2023 – 35 (2)

Luigi L. PasinettiScrivere queste righe è straordinariamente difficile. Luigi Pasinetti è il mio maestro, ma soprattutto ero legata a lui da un affetto profondo. Sentirò immensamente la sua mancanza.

L’ho incontrato per la prima volta alla fine del 2006. All’epoca, stavo scrivendo la mia tesi magistrale in Economia Politica, a Pavia. Avevo detestato praticamente ogni cosa studiata in quei cinque anni; avevo fretta di laurearmi e trovare un lavoro, e ho chiesto di essere mio relatore all’unico professore il cui corso alla magistrale avevo seguito con interesse: Gianni Vaggi. Che cambiò ogni cosa.

Mi diede da leggere il libro del 1981, e mi assegnò il compito di confrontarne lo schema teorico con quello (neoclassico) dei modelli di crescita endogena. Io non sapevo nulla di questa contrapposizione – avevo seguito il corso introduttivo di Giorgio Lunghini al primo anno della triennale, ma allora non avevo gli strumenti per cogliere certi aspetti.

Ho scoperto un intero approccio alternativo molto più convincente di quello che ero stata costretta a studiare per cinque anni. C’erano però tante cose che faticavo a capire; avendo scoperto che Pasinetti era Professore Emerito alla Cattolica decisi di provare a scrivergli per porgli alcune domande.

Mi rispose quello stesso giorno. La settimana seguente eravamo a pranzo insieme alla mensa di Via Necchi. Pochi mesi dopo, appena laureata, ho iniziato ad aiutarlo con la correzione delle bozze di ‘Keynes and the Cambridge Keynesians’ (2007) e con il libro sulla teoria del valore che è stato la sua ultima fatica.

Ricorderò sempre quegli anni con grande tenerezza e riconoscenza.

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maggiofil

Il prestito al tulipano: ancora a lezione da Dgiangoz. Cronache marXZiane n. 10

di Giorgio Gattei

Tulipani11. Allorquando si presenta un sovrappiù di produzione, ossia un surplus rispetto a ciò che serve per riprodurre l’attività economica sulla stessa scala precedente, si aprono due questioni assai differenti. La prima riguarda la spartizione di quel sovrappiù tra i partecipanti alla sua produzione, che in prima battuta sono i lavoratori con il salario ed i capitalisti con il profitto, ed è per questo che l’astronomo “classico” David Ricardo aveva posto a prefazione dei suoi Principi di economia celeste «la determinazione delle leggi che regolano questa distribuzione (come) il problema fondamentale nell’economia politica». Tuttavia esso non è l’unico (sul quale peraltro si è speso fin troppo inchiostro), perchè ce ne è pure un secondo problema relativo alla destinazione di quel sovrappiù: che farsene, servirsene per accrescere la base produttiva già in essere (accumulazione) oppure consumarlo improduttivamente ossia, per dirla con Piero Sraffa, non utilizzarlo «né come strumento di produzione né come mezzo di sussistenza per la produzione di altre merci»? Come al solito questo secondo problema era già stato ottimamente colto da Karl Marx, il massimo geografo di quel nuovo pianeta comparso nel cielo dell’economia che da lui ha preso il nome, che così ne aveva discusso nel Capitale. Critica dell’economia celeste a proposito della “Trasformazione del plusvalore in capitale”: «la produzione annua deve fornire in primo luogo tutti quegli oggetti (valori d’uso) coi quali si debbono reintegrare le parti materiali del capitale consumate nel corso dell’anno. Detratti questi, rimane il prodotto netto o plusprodotto, nel quale ha sede il plusvalore.

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economiaepolitica

Keynes e i Keynesiani di Cambridge

Prefazione all’edizione giapponese del 2017

di Luigi Pasinetti

PASINETTI56Abbiamo appreso con immenso dispiacere della scomparsa di Luigi Pasinetti, uno dei grandi maestri del pensiero economico italiano. Pasinetti è stato uno straordinario interprete del pensiero di Ricardo e dei Classici ed uno dei protagonisti del dibattito tra le due Cambridge sulla teoria del capitale e della distribuzione. Tra i suoi scritti non possiamo non ricordare il paper “The myth (or folly) of the 3% deficit-GDP Maastricht parameter”, pubblicato nel 1998 dal “Cambridge Journal of Economics” in cui dimostrò – senza mai avere smentita – l’idiozia dei parametri di Maastricht relativi al deficit e al debito. Pasinetti era uomo pacato e anche raffinato, tanto nei modi quanto nel pensiero. E con raffinatezza e pacata determinazione lottò con tutte le sue forze per evitare che la valutazione della ricerca nel nostro Paese divenisse uno strumento di orientamento della ricerca scientifica volto a screditare le tradizioni di ricerca eterodosse [Si veda a tal riguardo La Nota di dissenso del 2006 che abbiamo ripubblicato alcuni anni fa su questa rivista https://www.economiaepolitica.it/editoriale/la-qualita-della-ricerca-scientifica-vqr-e-la-nota-di-dissenso-di-pasinetti/]. La sua è una grande perdita. Pubblichiamo qui di seguito uno dei suoi ultimi scritti, la prefazione alla edizione giapponese del libro Keynes e i Keynesiani di Cambridge, apparsa originariamente nel 2017 e mai tradotta in italiano.

La redazione di Economia e Politica

La bozza (originale) del mio libro Keynes and the Cambridge Keynesians. A Revolution in Economics to be Accomplished è stata consegnata alla Cambridge University Press per la pubblicazione nel maggio 2006. Ciò significa che il libro è stato scritto prima dello scoppio della catastrofica crisi economica che ancora oggi attanaglia le economie di tutto il mondo.

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machina

L’eccesso di capacità e il velo di Maya sugli occhi degli economisti

di Andrea Pannone

0e99dc 05f4abf70524439984ed7b4cd22a91d5mv2Pubblichiamo un articolo di Andrea Pannone, economista già intervenuto nella sezione Transuenze negli scorsi mesi (https://www.machina-deriveapprodi.com/post/capitalismo-delle-piattaforme-capital-gain-e-revolving-doors). In questo contributo, Pannone si sofferma su una tendenza «strutturale» e poco discussa degli ultimi decenni, il persistente sottoutilizzo della capacità produttiva, che nella sua analisi contraddice la visione neoclassica della capacità autoregolativa dell’economia capitalistica, attraverso appunto la periodica rimozione del capitale in eccesso (in altre parole, le crisi congiunturali). Il sottoutilizzo di capacità produttiva, in questa lettura, è uno dei sottostanti che alimentano la duplice tendenza alla concentrazione dei capitali e alla centralizzazione proprietaria, ma anche il lungo ciclo di espansione finanziaria che ha segnato gli ultimi decenni. E non certo per ultimo, l’acuirsi delle tensioni geopolitiche in corso.

Il contenuto dell'articolo è esclusiva responsabilità dell'autore e non coincide necessariamente con la posizione dell'Ente in cui lavora.

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Introduzione

Già nelle prime pagine del Capitale Karl Marx individua chiaramente la contraddizione intrinseca alla dinamica dell’economia capitalista: la competizione tra capitalisti per incrementare la produttività richiede un incessante investimento nella crescita dei mezzi di produzione che conduce a una condizione generalizzata di sovraccumulazione del capitale costante (e della composizione organica del capitale, ossia del rapporto tra capitale costante e capitale variabile), caratterizzata da un eccesso di capacità produttiva, un’elevata disoccupazione e da un declino del tasso di profitto.

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poliscritture

Verso le conclusioni

di Franco Romanò

charlot 349x218 cL’articolo si collega ai precedenti già pubblicati qui, qui e qui.[E. A.]

Così riprende il testo:

Ora che abbiamo esaminato le diverse idee di costo elaborate da diverse generazioni di economisti, e le difficoltà che abbiamo incontrato, passeremo a discutere quali sono le relazioni fra il valore delle merci e il loro costo di produzione; e in particolare in che senso si può dire che il costo di produzione determina il valore e in che misura deve condividere il suo potere di determinazione con la domanda. Naturalmente la prossima parte della nostra inchiesta sarebbe stata più facile qualora avessimo trovato una chiara e definita concezione di costo di produzione, sulla quale fossero d’accordo gli economisti. In prima istanza abbiamo fallito, ma vedremo pure che nella dettagliata applicazione della nozione di costo alla teoria del valore saremo in grado di portare avanti la nostra analisi per un pezzo un po’ più lungo di strada prima di essere costretti di nuovo rinunciare a fronte di nuove difficoltà che possono finalmente spingere la nostra mente a considerare cosa intendiamo realmente quando parliamo di costo. La difficoltà è dovuta al fatto che. nella determinazione del prezzo di ogni particolare merce, la nozione di spese di produzione sarà sufficiente per molti propositi, senza che sia necessario decidere se 1) ci sia o meno l’ombra di “costi reali” oppure sacrifici dietro di esso; 2) un altro nome per utilità del prodotto (costo  di opportunità), esso stesso costo reale in ultima analisi (non in quanto somma di denaro ma somma di cose consumate nella produzione) e se tale concetto abbia o meno un solido fondamento. Per alcuni qualsiasi definizione di costo funzionerà bene. Tutte tranne una e cioè il costo di opportunità nella sua estrema e più consistente interpretazione … che non ha alcunché a vedere con la determinazione del prezzo delle merci.

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poliscritture

Sraffa, Marx e la primavera

di Paolo Di Marco

SraMP1- il quadrato magico

Il testo di Sraffa che oggi compare, l’ultimo delle Lezioni, completa il quadro della critica dei fondamenti della teoria economica: quadro in tutti i sensi, dato che abbiamo l’articolo di Sraffa del 26, queste Lezioni, Keynes visto attraverso gli occhi di Anna Carabelli nella edizione completa delle opere, e infine Graeber col suo ‘Debito, gli ultimi 5000 anni’.

Da Sraffa vengono tre elementi di analisi della teoria marginalista: il primo (nell’articolo del 26) è che non necessariamente c’è un solo punto d’incontro tra la curve di domanda ed offerta, quindi un punto di equilibrio non è determinato con certezza, e con esso un saggio del profitto; il secondo che in generale tutte le curve che formano la parte analitica della teoria sono arbitrarie e provengono da sistemi di equazioni indeterminati; il terzo che l’ambito in cui possono avere applicazione pratica è ristretto a pochi casi marginali. Il tutto accompagnato dall’osservazione che la riscoperta della ‘economia volgare’ da parte dei marginalisti e la loro fortuna appare dovuta più alla voglia di abbandonare la teoria classica e con essa l’imbarazzante fardello del valore-lavoro, nonché lo spettro socialista che ad esso si era accompagnato, che non a meriti intrinseci.

Conviene aggiungere una nota matematica che non è sempre palese: quando si dice che in una teoria economica un sistema è sovradeterminato (come nel caso di Marx che aggiunge con l’uguaglianza somma-prezzi=somma-valori una condizione di troppo) o è indeterminato (come nel caso di Marshall- e con lui tutti i marginalisti per l’insieme delle curve di produzione) diciamo una cosa molto precisa: il sistema è sbagliato. Non è una soluzione. Se fosse uno studente che si presenta col compitino fatto gli diremmo: torna a casa e rifai da capo.

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lafionda

Federico Caffè e la ri-politicizzazione dell’economico

di Emanuele Dell'Atti

federico caffe bigÈ oggi ampiamente diffusa un’immagine stereotipata dell’economia presentata come una “scienza naturale”: un sapere a-storico, a-valutativo e indipendente dalle intenzioni umane. Ma l’economia, anche quando si traveste con gli abiti della neutralità tecnica, è sempre “economiapolitica”: esito, cioè, di precise intenzionalità e di specifiche progettazioni umane.

Lo sapeva bene Federico Caffè, tra i più importanti economisti italiani della seconda metà del Novecento, che si è sempre battuto, attraverso pubblicazioni scientifiche, interventi giornalistici e dibattiti pubblici, per costruire una civiltà più giusta di quella prodotta dall’economia capitalistica: Una civiltà possibile. La lezione dimenticata di Federico Caffè (Meltemi, Milano 2022, pp. 215) è infatti il titolo dell’inedito lavoro sul pensiero dell’economista pescarese scritto dal giornalista e saggista economico Thomas Fazi.

Il volume, a detta dello stesso autore, nasce “per caso”: l’intenzione originaria era quella di scrivere un libro sulla figura di Mario Draghi, utilizzando gli scritti di Caffè – suo maestro – come contrappunto al percorso professionale dell’ex presidente della BCE. Infatti, al netto dei “ridicoli parallelismi” (p. 19) tra Caffè e Draghi messi in risalto dalla stampa dopo l’incarico di governo ricevuto da quest’ultimo a inizio 2021, “del pensiero e della ‘filosofia’ di Caffè non vi era traccia nell’operato decennale di Mario Draghi” (ivi: 20), il quale aveva da tempo abbandonato l’originaria adesione al keynesismo per abbracciare le dottrine monetariste e il dogma del “vincolo esterno”.

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eticaeconomia

Da Roma a New York: Il keynesisimo eclettico del giovane Modigliani

di Paolo Paesani

WCCOR1 0HLSDTIA kt6 U43500149687096zKF 1224x916Corriere Web Sezioni 593x443Franco Modigliani (Roma 1908, Cambridge Massachusetts 2003) rimane un esempio di come sia possibile coniugare ricerca economica di alto livello, attenzione per i fatti concreti dell’economia, impegno nelle istituzioni, passione civile. Particolarmente significativo, in questo senso, l’interesse di Modigliani per l’Italia, il suo impegno nel formare generazioni di economisti italiani, la sua lunga collaborazione con la Banca d’Italia. La bibliografia su Modigliani si è arricchita, di recente, grazie al nuovo libro di Antonella Rancan (Franco Modigliani and Keynesian economics, 2020, Taylor and Francis). Combinando materiale d’archivio, scritti inediti e contributi importanti alla letteratura primaria e secondaria, Rancan ripercorre il percorso intellettuale del giovane Modigliani, dai suoi primi scritti fino ai contributi degli anni ’50 e 60, collocandoli nel quadro della sintesi neoclassica del pensiero keynesiano.

Fra i contributi principali in questa direzione, Modigliani sviluppa l’idea che la disoccupazione persistente sia dovuta a uno squilibrio di fondo tra offerta di moneta e salari nominali (rigidi verso il basso) (Modigliani, Liquidity preference and the theory of interest and money, Econometrica, 1944) e che in assenza di tale rigidità il sistema economico convergerebbe, almeno teoricamente, alla piena occupazione. La rigidità però è un fatto indiscutibile ed è per questo che spetta ad una politica economica giudiziosa, e in particolare alla politica monetaria, intervenire a sostegno dell’occupazione e in generale agire per stabilizzare l’economia, a fronte di shock dalla portata e dagli effetti inattesi.

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moneta e credito 

Alcune note sul contributo di Garegnani all’analisi economica

di Antonella Stirati*

Abstract: Garegnani è stato una figura di primo piano nel contesto italiano e internazionale, e la sua attività di ricerca sempre connotata da un forte impegno intellettuale e civile. Nel saggio vengono enucleate le sue principali linee di ricerca concernenti la critica alla teoria marginalista, la ripresa dell’impostazione classica del sovrappiù, e il ruolo della domanda effettiva, i contributi sia metodologici che teorici, i punti di convergenza e di tensione con la scuola postkeynesiana in senso lato

enzo benedetto ciclista. opera futurista origDesidero iniziare queste note su Garegnani con alcuni ricordi personali, e con alcune considerazioni su quanto Garegnani ha trasmesso sia con l’insegnamento che attraverso i suoi contributi riguardo a come esercitare il ‘mestiere’ di economista. In seguito, ripercorro alcune caratteristiche metodologiche molto generali relative al suo approccio all’analisi economica. Cercherò poi di enucleare, sia pure in modo descrittivo e sintetico, le sue principali linee di ricerca e contributi, e quali aspetti di questi ultimi appaiono ancora controversi tra gli economisti postkeynesiani ed eterodossi.

Il mio primo incontro con il nome di Garegnani in relazione al suo contributo alla critica alla teoria neoclassica del capitale è avvenuto al secondo anno del mio percorso universitario. Il corso trattava di microeconomia ed equilibrio economico generale, e il libro di testo era di Augusto Graziani. Il testo riportava alla fine di ogni capitolo una breve bibliografia commentata, e tra i riferimenti vi era anche quello alla controversia sulla teoria del capitale. La cosa già allora mi colpì molto: avevo studiato microeconomia durante il primo anno di corso su un testo del tutto tradizionale, e l’avevo trovato poco convincente – in particolare l’importanza attribuita alle scelte del consumatore mi sembrava aver scarsa attinenza con la realtà economica, che percepivo come terreno di scontri di interesse e di potere piuttosto che fondamentalmente dominata da quelle scelte. Tuttavia, avevo la percezione che quella era una teoria del funzionamento del mercato, e in quanto tale non poteva essere respinta senza motivo. Scoprire che un motivo poteva in realtà esserci, che erano stati denunciati errori di fondo di quella impostazione fu dunque causa di sollievo e anche di ravvivato interesse per la disciplina.

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cumpanis

Michal Kalecki e la piena occupazione

di Federico Fioranelli*

220px Michal KaleckiMichal Kalecki nasce a Lodz, in Polonia, il 22 giugno 1899, in una famiglia di origine ebraica. Nel 1917 inizia a studiare ingegneria al Politecnico di Varsavia ma interrompe gli studi prima della laurea. Si avvicina invece allo studio dell’economia leggendo Mikhail Tugan-Baranovsky e Rosa Luxemburg.

Dal 1929 al 1936 lavora presso un Istituto di ricerca economica a Varsavia e scrive dei testi raccolti in Studi sulla teoria dei cicli economici (1972).

Dopo essersi recato a Stoccolma, Londra e Cambridge grazie ad una borsa di studio, dal 1940 al 1945 lavora all’Istituto di statistica di Oxford: in questo periodo pubblica il saggio Aspetti politici del pieno impiego (1943).

Dal 1946 al 1955 è membro della Commissione economico-sociale dell’ONU.

Nel 1954 scrive Teoria della dinamica economica.

Nel 1955, Kalecki torna in Polonia per dedicarsi all’insegnamento e alla ricerca all’Università di Varsavia. I lavori di questo periodo fanno parte della raccolta Sulla dinamica dell’economia capitalistica (1975).

 

La dinamica dell’economia capitalistica

In Teoria della dinamica economica, Kalecki costruisce inizialmente un modello semplificato ipotizzando che l’economia sia chiusa e dividendo il sistema economico in due classi: i lavoratori e i capitalisti.

Il reddito dei lavoratori è costituito dai salari (W) mentre quello dei capitalisti dai profitti (P). Il reddito nazionale è così la somma di salari e profitti: Y = W + P.

Le imprese, in un’economia in cui hanno potere di mercato, adottano il principio del costo pieno, cioè un criterio che consiste nel fissare il prezzo del prodotto in relazione ai costi variabili, accrescendoli di un margine proporzionale destinato a coprire costi fissi e spese generali e a garantire un margine di profitto. I capitalisti determinano in questo modo il saggio di profitto e il saggio di salario.

Il profitto totale e il livello totale dei salari dipendono invece dalla spesa effettuata dagli stessi capitalisti in investimenti e consumi.