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paroleecose2

Marcuse nell’Antropocene. Alcune note su guerra, ecologia e rivoluzione

di Luca Mandara

Marcuse 1.jpgse non ci lavorate fin da ora, non avrà luogo fra 75 anni, non avrà luogo tra 100 anni, non avrà luogo affatto 

(Marcuse, Lezioni parigine del 1974)

1. Padre dell’Eco-Marxismo

Sfatato da qualche anno il “mito” di un capitalismo green capace di conciliare la crescita del PIL con la sostenibilità ambientale, il movimento ecologico sembra orientarsi sui temi della “giustizia climatica”, legando questione ambientale e questione sociale e scontrandosi con quei governi che fino a pochi anni fa non disdegnavano di cooptarne i leader alle famigerate Conferences of Parties sul clima (COP)[i].

Mi sembra lecito ipotizzare che buona parte dell’incredibile successo riscosso dall’eco-marxista Kohei Saito sia dovuto anche allo sviluppo di una maggiore coscienza socialista nel mainstream ecologista, così come, a sua volta, la maggiore coscienza ecologica sta contribuendo a sdoganare la proposta di un Degrowth Communism, impensabile fino a qualche anno fa.

Si è creata un’atmosfera positiva, insomma, anche per ritornare su autori del passato che, precorrendo i tempi, nel bel mezzo del consenso bipartisan verso il «modernismo tecnologico» osavano criticarlo. È il caso di Herbert Marcuse, a cui viene attribuita una delle prime «critiche ecologiche del capitalismo» per le sue radicali prese di posizione contro il produttivismo di entrambi i blocchi e per il concetto di natura come una «non-identità»[ii], limite ultimo ai fini di appropriazione.

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blackblog

Comunismo di guerra: ne vuoi un altro po'?

di Sandrine Aumercier 

image 1488848 20230925 ob f90e9b 38xpnlls86031.jpgNegli ultimi anni - per aggirare i crescenti rischi planetari, primo fra tutti la catastrofe ecologica - una parte della sinistra si è convertita alla difesa di uno stato di eccezione permanente. Nel corso delle loro cene, in nome dell'emergenza climatica, i grandi "democratici" non hanno più alcuno scrupolo nel sostenere la dittatura ecologica, e sono arrivati persino a prendere la Cina come esempio. Infatti, la Cina è il primo produttore mondiale di energie rinnovabili (e per inciso, anche il più grande produttore mondiale di carbone, ma in questo caso ciò non conta). Ora, questa tendenza sembra essere del tutto compatibile con quello che è il posizionamento dei nuovi rivoluzionari climatici. Nel 2017, Andreas Malm, riprendendo la formula da Alysa Battistioni, ha detto: «D'ora in poi, ogni problema è un problema climatico» [*1]. In effetti, questa sintesi lapidaria dei problemi del presente, sembra che stia imponendo una ben precisa direzione alla lotta. e vediamo quale. Dire che «ogni problema è un problema climatico», consente di individuare un nemico chiaramente identificabile nella sfera delle infrastrutture "fossili" e nella persona di coloro che queste industrie le posseggono. Per Malm - così come egli lo sviluppa nel suo libro "Fossil Capital: The Rise of Steam Power and the Roots of Global Warming" (Verso Books) - il capitale è intrinsecamente fossile. Pertanto, Malm definisce il capitale a partire da quello che è il tipo di energia che è stata privilegiata ai fini della sua espansione storica, e non a partire da quelle che, per il capitale, sono le sue categorie operative. Non è forse semplice, quasi fosse una passeggiata? Prendendo di mira le infrastrutture fossili e i loro detentori, stiamo perciò prendendo di mira il capitale stesso.

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pierluigifagan

Giù la testa

di Pierluigi Fagan

7fdd90afa3d9d5faef1c4c917eeda361.jpgPiù l’Occidente perde potere demografico, economico, geopolitico in favore del resto del mondo, più questo “resto” reclama e reclamerà una gestione più democratica delle istituzioni del mondo comune.

Più il resto del mondo reclama e reclamerà una condivisione maggiore dei poteri che decidono le cose del mondo, più l’oligarchia del sistema occidentale dissolverà ogni residuo di democrazia interna al proprio sistema.

Più il mondo si avvia a nuovi ordini multipolari, meno democrazia ci sarà in Occidente. Questo perché la “ricchezza delle nazioni” che ordina le nostre società, dipende spesso direttamente, altre volte indirettamente, da quanta porzione di mondo controlliamo come “sistema occidentale”. Meno controllo, meno ricchezza distribuibile, più problemi sociali, più problemi di governabilità -quindi- meno democrazia.

L’adattamento a questo potente movimento storico richiederebbe qui da noi una revisione molto profonda dei nostri modi di essere, dagli individuali ai sociali, dalle istituzioni sociali e giuridiche alle forme politiche, ma soprattutto, le forme mentali, le immagini di mondo. Stiamo passando a una nuova epoca storica, ma senza una democrazia ogni cambiamento strutturale sarà impossibile.

La democrazia non è un sistema a interruttore che c’è o non c’è. Nelle società complesse dovrebbe essere un “tendere a…” con vari gradi di intensità, il continuo rischio di regressione, una lunga scala ascensionale di espansione e intensione da sperimentare, correggere e riproporre con passi indietro e qualcuno avanti, lungo decenni e decenni.

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tempofertile

Crisi e teoria critica. Qualche modesto appunto

di Alessandro Visalli

scacchi.jpgAbbiamo assolutamente bisogno di una nuova teoria critica, che non dimentichi le lezioni dei nuclei più alti della storia delle lotte per l’emancipazione (e per quanto mi riguarda di quelle della vasta e multiforme tradizione marxista, ma si potrebbe aggiungere altro come la lezione della psicoanalisi e le teorie del potere e del conflitto, le migliori riflessioni sulla liberazione, le esperienze anticoloniali, e via dicendo), ma che sia anche all’altezza delle sfide presenti (in primo luogo all’altezza della sfida della rottura di queste tradizioni e del fallimento dei tentativi di ‘mobilitazione liberale’[1]).

Ne abbiamo bisogno perché il mondo è in un agghiacciante labirinto e nessuno riesce a capire in che modo uscirne. Dalla fucina della storia è giunto al presente un groviglio inestricabile di problemi rinviati nel continuo equilibrio dinamico di un sistema sociale che non ha mai cessato di trasformarsi, in modo via via accelerato dalla rottura dell’Antico Regime, ma in realtà sin dall’allargamento commerciale del XV secolo. Nel continuo turbinio della lotta per l’affermazione di gruppi sempre diversi, e dello sviluppo materiale e tecnologico che ha tenuto in tensione costante le élite nazionali e i vari outsider, più o meno locali. Facendo un notevole salto temporale si può dire che, guardandolo con senno di poi, avevamo avuto un trentennio di “quasi calma” nell’immediato dopoguerra. Il compromesso sociale, scaturito dal ricordo delle mobilitazioni operaie e sociali del secolo precedente, e dai milioni di morti ed immani distruzioni delle due guerre, è però alfine crollato sotto la spinta di un mondo che cambiava troppo velocemente. Ancora non abbiamo compreso bene perché.

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coku

IA. Frammenti del dialogo tra Sam Altman e Lex Fridman

di Eugenio Donnici

Hans am Tretbrett 1220x600.jpgPrologo (1)

Lex Fridman apre il dialogo con Sam Altman sull’IA e afferma che ci troviamo nel punto più alto di una profonda trasformazione sociale, di cui nessuno, incluso lui stesso, conosce gli esiti a priori. In molti percepiscono che il cambiamento si propaghi all’interno delle nostre vite.

Il passaggio cruciale avviene, quando nel novembre 2022, un’azienda californiana chiamata OpenAI, il cui CEO è Altman, ha lanciato ChatGPT, una chat capace di conversare con i suoi utenti con la stessa naturalezza di un essere umano.

La macchina simula il ragionamento umano e genera un testo scritto, connesso con le nostre richieste.

Che cos’è ChatGPT? Che cosa la rende appetibile?

Tale chatbot fa parte dei modelli GPT (Generative Pre-trained Transformer), tecnicamente chiamati LLM (Large Language Model) e basati sul machine learning. I LLM sono algoritmi di deep learning addestrati generalmente su milioni di testi provenienti da varie fonti: libri, articoli di giornale e siti web. La tecnica del deep learning consiste nell’utilizzare una rete neurale artificiale, cioè un modello matematico che si ispira al funzionamento delle reti neuronali biologiche, per comprendere il significato di un testo e generare un output, in base al modo in cui formuliamo le domande.

In che modo s’addestra la macchina ad apprendere?

Il processo prende corpo dal RL-HF, ossia Renforcement Learning whith Human Feedback, cioè le macchine imparano attraverso i riscontri umani che funzionano come rinforzi.

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Il capitale nella crisi: una riflessione su “Ecologia-mondo e crisi del capitalismo. La fine della natura a buon mercato” di Jason W. Moore

di Alice Dal Gobbo

ghiacci.jpgEsce quest’anno per Ombre Corte la riedizione di quello che è ormai diventato un classico dell’ecologia politica: Ecologia-mondo e crisi del capitalismo. La fine della natura a buon mercato di Jason W. Moore (a cura di Gennaro Avallone). Va innanzitutto sottolineato che questo libro, così importante per evidenziare il taglio politico e geopolitico dell’ecologia-mondo di Moore, non esisterebbe senza la dedizione e l’impegno di Gennaro Avallone, che ha selezionato e tradotto dei saggi altrimenti “sparsi”, legandoli assieme attraverso un lavoro di riflessione, tessitura e sintesi. Uscito per la prima volta nel 2015, questo libro ha accompagnato pratiche e dibattiti attorno alla crisi ecologica in relazione al capitalismo, proprio nel momento in cui i movimenti per la giustizia climatica cominciavano a strutturarsi e guadagnare spazi di protagonismo. Quando la crisi ecologica è stata definitivamente individuata dal dibattito e dai movimenti come fallimento del capitalismo: non soltanto come effetto collaterale ma come implicazione profonda delle sue logiche di dominio, sfruttamento e appropriazione.

Questo volume ha anche attraversato due crisi profondissime che si innestano sulla più ampia destabilizzazione climatica, e che le sono intrecciate in modo complesso: la pandemia Covid-19 e la guerra cosiddetta Russo-Ucraina (forse la Terza Guerra Mondiale). Da un lato, questi avvenimenti hanno segnato una parziale battuta d’arresto nella potenza che i movimenti per la giustizia climatica erano riusciti a esprimere nel 2019, e ancor di più nell’interesse verso questo tema da parte delle istituzioni.

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lariscossa

Sull'ascensione in alte montagne

di Pietro Terzan

sull ascensione in alte montagneIn un articolo incompiuto e pubblicato postumo su Pravda il 16 aprile 1924, Lenin spiega la situazione concreta della prima rivoluzione proletaria della storia paragonando la rivoluzione comunista a «un’ascensione di una montagna altissima, dirupata e ancora inesplorata». Nel primo paragrafo di Note di un pubblicista, che merita di essere letto integralmente, Lenin scrive:

«Immaginiamo un uomo che effettui l’ascensione di una montagna altissima, dirupata e ancora inesplorata. Supponiamo che dopo aver trionfato di difficoltà e di pericoli inauditi, egli sia riuscito a salire molto più in alto dei suoi predecessori, senza tuttavia aver raggiunto la sommità. Egli si trova in una situazione in cui non è soltanto difficile e pericoloso, ma addirittura impossibile avanzare oltre nella direzione e nel cammino che egli ha scelto. Egli è costretto a tornare indietro, a ridiscendere, a cercare altri cammini, sia pure più lunghi, i quali gli permettano di salire fino alla cima. La discesa, da questa altezza mai ancora raggiunta su cui si trova il nostro viaggiatore immaginario, offre delle difficoltà e dei pericoli ancora maggiori, forse, dell’ascensione: è più facile inciampare; si vede male dove si mettono i piedi; manca quello stato d’animo particolare di entusiasmo che dava impulso al cammino verso l’alto, dritto allo scopo, ecc. Bisogna legarsi con una corda, perdere delle ore intere per tagliare la roccia con la piccozza allo scopo di creare dei punti di appoggio per legarvi saldamente la corda; egli è costretto a muoversi con la lentezza di una tartaruga, e per giunta a muoversi indietro, verso il basso, allontanandosi dalla cima; e non vede ancora se questa discesa terribilmente pericolosa e faticosa terminerà, se si troverà un’altra via alquanto sicura, che permetta nuovamente di muovere avanti con maggior coraggio, con maggior rapidità e seguendo una linea più retta, verso l’alto, verso la cima.

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doppiozero

Robert Kaplan: pensare tragicamente

di Lelio Demichelis

9788829718863 92 1000 0 75.jpegSenza ordine non vi è società e l’ordine è l’essenza della civiltà. E senza tradizione non vi è ordine né gerarchia. E la gerarchia è la base per l’ordine sociale e politico. Altrimenti si cade nell’anarchia. Ma è davvero così o questi sono solamente luoghi comuni di cui ci nutre il conformismo e la propaganda del potere?

Non dovremmo dire invece che senza un disordine positivo e performativo – non il caos per il caos, ma un pensiero critico che dis-ordina appunto l’ordine ingiusto – non vi è vera civiltà e civilizzazione? Ma poi: quale ordine? Quello meravigliosamente imperfetto della democrazia? Quello apparentemente perfetto dei totalitarismi, delle teocrazie o dell’Intelligenza Artificiale? Quello costruito dalle discipline e dalla biopolitica secondo Michel Foucault o dallo human engineering oggi digitale? Quello fondato socraticamente su ragione, pensiero critico e dialogo?

Su tutto – e ormai dentro tutti noi – c’è in realtà il potere e l’ordine moderno e postmoderno o ipermoderno della rivoluzione industriale e del tecno-capitale, ben rappresentato da Charlie Chaplin nell’incipit di Tempi moderni (film del 1936), con le masse di lavoratori che escono dalla metropolitana, tutti andando ordinatamente al lavoro, muovendosi come un gregge assoggettato all’ordine im-posto da un orologio, cioè dalla forma e norma matematica e calcolante del pastore-capitale; e dove l’unica differenza tra allora e oggi è che oggi abbiamo lo smartphone, ma sempre il nostro lavoro e la nostra vita sono organizzati, comandati e sorvegliati dal tecno-capitale mediante un dispositivo tecnologico e insieme normativo e conformante che ci detta tempi e modi del nostro dover vivere, un dispositivo fatto credere smart quando è invece alienante come forse mai nella storia umana.

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blackblog

La teoria critica come teoria radicale della crisi: Kurz, Krisis e Exit!

Sulla teoria del valore, la crisi e il fallimento del capitalismo

di Mikkel Bolt Rasmussen e Dominique Routhier

drtjd.jpgQuesto saggio introduce il lavoro di Robert Kurz e quella sorta di critica del valore un po' emarginata a cui esso viene associato: la Wertkritik. A partire da un resoconto storiografico critico svolto dalla "Nuova lettura di Marx", Robert Kurz sostiene che le differenze teoriche e politiche tra la Wertkritik e le altre correnti critiche del valore, non possono essere guardate con sufficienza o liquidate come se fossero delle mere lotte territoriali, ma vanno intese come l'espressione di quello che è un fondamentale disaccordo sulla natura del capitalismo e sul ruolo della "critica", il cui tratto distintivo è, naturalmente, l'insistenza su una vera e propria teoria della crisi Qui viene esposta la particolare versione di Robert Kurz della Wertkritik, ma, nel farlo, si argomenta contro il suo abbandono della nozione di lotta di classe, proponendo di integrare l'analisi di Kurz con l'analisi svolta da Théorie Communiste sull'attuale periodo del capitale, pretendendo che essa sia più "storicamente fondata".

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La sostituzione del movimento Nuit Debout con il movimento dei Gilets Jaunes, in Francia, così come il recente movimento del Rif nel nord del Marocco sembrano confermare la tesi di Alain Badiou secondo cui attualmente staremmo vivendo in «un'epoca di rivolte». La crisi finanziaria scoppiata nel 2007 costituisce in maniera immediata quello sfondo del nuovo ciclo di proteste che si è spostato, in modo disomogeneo, dall'Europa meridionale al Nord Africa, poi di nuovo all'Europa meridionale e poi agli Stati Uniti e al Canada, per riemergere in Nord Africa, Medio Oriente, Sud America, e così via.

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lanatra di vaucan

Ecologisti o iperconnessi?

di Anselm Jappe

IMG 20230820 1925421.jpgPubblichiamo questo stimolante contributo di Anselm Jappe, una riflessione su Internet, sulla iper-invasiva tecnologia cellulare e sul loro utilizzo da parte dei movimenti e comunque di coloro che vorrebbero opporsi al sistema. La digitalizzazione del mondo apre nuovi orizzonti e nuove possibilità, come recita anche il mantra neoliberale, oppure al contrario rappresenta solo l’ennesima stretta alle nostre catene, la tracciabilità permanente e il controllo ossessivo sulle nostre azioni e finanche sui nostri pensieri – senza considerare gli innumerevoli danni per l’ambiente? Questioni che non sono di lana caprina, e che meriterebbero un dibattito più approfondito rispetto a quello esistente. La provocazione di Jappe ci aiuta a fare qualche passo in questa direzione.

Ps: originariamente questo articolo è stato scritto in francese (titolo originale: Ecologistes ou hyperconnectés?). Inizialmente proposto al sito Reporterre, che lo ha rifiutato con pretesti formali, uscirà a breve sulla rivista La Decroissance. La versione italiana, che qui presentiamo, è stata leggermente ritoccata d’accordo con l’autore.

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Ecologisti o iperconnessi?

Nei raduni ecologisti piccoli e grandi del mondo intero si può spesso assistere a questo strano rituale: quando si tratta di parlare di questioni organizzative, dove si possono anche trattare temi che richiedono discrezione, si è invitati a lasciare il proprio cellulare su un tavolo, a qualche metro di distanza dalla riunione. Dopodiché, i militanti si avvicinano gli uni agli altri il più possibile per scambiarsi informazioni quasi sottovoce. Si sa che gli smartphone possono funzionare in due direzioni e, all’insaputa dei loro proprietari, trasmettere informazioni verso orecchie indiscrete.

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machina

La pausa della storia

di Vittorio Ray

Recensione de «La fine della fine della storia. Lo strano ritorno della politica nel XXI secolo»

0e99dc 41ada9e42e3a486d8a8504f9178cd23cmv2Come anticipato, a Settembre Machina intraprenderà un lavoro sugli anni Novanta, a lungo considerati l’epoca della fine della storia e delle ideologie. Forse, però, sarebbe più corretto interpretarli come gli anni dell’affermazione dell’ideologia del progresso liberal-democratico nella variante neoliberale. Possiamo dire che quell’epoca è terminata e che più che alla fine della storia abbiamo assistito ad una sua pausa? Vittorio Ray ragiona attorno a questo tema recensendo La fine della fine della storia. Lo strano ritorno della politica nel XXI secolo (Tlon,2022) di Alex Hochuli, George Hoare e Philip Cunliffe.

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Nel 2021, in piena pandemia, esce La fine della fine della storia. lo strano ritorno della politica nel XXI secolo (tradotto in Italia da Tlon nel 2022), un testo che nel linguaggio internettiano contemporaneo potremmo chiamare «basato di sinistra» o alt-left: da una prospettiva più o meno dichiaratamente militante i tre autori, uno brasiliano (Alex Hochuli) e due inglesi (George Hoare e Philip Cunliffe), cercano di inquadrare la crisi trentennale della sinistra fino all’ultima delusione della sinistra populista (2020 circa), non prima di aver lungamente indugiato sulla disfatta della sinistra liberale nelle campali battaglie di Trump e Brexit. Parla di fenomeni abbastanza recenti, di cui tuttavia si è discusso già molto, magari in modo frammentato, soprattutto su internet. Il libro ha il merito di raccogliere e organizzare quelle riflessioni in un sistema coerente, il cui raggio d’analisi è nientemeno che un’intera epoca – la nostra. Ma che cosa è un’epoca? Un'epoca è un periodo di tempo relativamente lungo, caratterizzato da tratti distintivi e rilevanti nello sviluppo della storia, della cultura, della scienza, dell'arte o di altri aspetti della società umana. Un’epoca è di solito più lunga di una singola generazione e può durare da decenni a secoli, se non addirittura più a lungo.

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effimera

Per Mario Tronti: il pensiero rimane

di AA. VV.

TrontiuyhggfNon è facile reggere la sequenza di perdite che il presente ci impone. Tanto più se ad andarsene è un gigante come Mario Tronti. Comunque la si veda, Mario Tronti è stato un maestro per noi tutti. Ricordarlo è terribilmente complesso e così abbiamo pensato di mettere insieme una pagina di Effimera che si articola su più piani.

Per primo: due estratti di Operai e Capitale, un testo basilare, la Genesi dell’Operaismo italiano, un’opera pubblicata nel 1966 da cui tutto ha avuto origine. Chiunque voglia capire fino in fondo il rapporto tra capitale e lavoro, chiunque voglia vedere la potenza del lavoro – nonostante tutto – deve passare da qui. Tanti sono i brani che potrebbero essere ripresi. Il primo che abbiamo scelto riguarda il concetto centrale di “autonomia” dell’operaio massa. È ciò che abbiamo imparato da Tronti: il lavoro è autonomo rispetto al capitale, nel senso che può farne a meno. Mentre il capitale non può fare a meno del lavoro. Come già notato dallo stesso Marx, il rapporto lavoro-capitale si presenta come rapporto tra due soggetti, di cui il primo (il lavoro) è quello più forte.

Per questo il capitale ha bisogno di sussumere il lavoro, per renderlo a lui dipendente: è il passaggio che il capitalismo disegna tramite il processo di salarizzazione e ricattabilità che ha trasformato il lavoro in “desarmata manu”: “il proprietario (della forza-lavoro, ndr.) non è solo libero di venderla, ma si trova anche e soprattutto nell’obbligo di farlo” (K. Marx, Il Capitale, Cap. XVII, Editori Riuniti Roma 1972). Oppure: “Il capitalista compera agli stessi operai, a quanto sembra, il loro lavoro con del denaro. Per denaro essi gli vendono il loro lavoro.

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cumpanis

Non allontanare dalla “classe” il dibattito politico-teorico

Anche a proposito dei compiti del Centro Studi “Domenico Losurdo”

di Raffaele Gorpìa*

IMMAGINE PER HOME ARTICOLO GORPIALa prassi (praxis) per Marx è ogni forma di attività umana, teorica o pratica; è un’attività produttiva concreta che modifica l’oggetto del suo stesso produrre. Nella prassi si decide inoltre la verità: per Marx – come sostiene nella seconda tesi – infatti il dibattito tra realismo e relativismo non è una questione solo teoretica, ma soprattutto pratica. Verità, realtà e potere infatti secondo lui sono decidibili solo nella prassi, poiché ogni teoria deve essere corroborata dalle pratiche.

Ho già affrontato, se pur sommariamente, il tema dell’inchiesta come pezzo fondamentale della costruzione di una analisi unitaria che un centro studi voglia proporsi di realizzare, tuttavia non si può prescindere, nella costruzione anche solo di gruppi di studio e di ricerca, da quadri operai e da quadri di vari pezzi del panorama produttivo (logistica ad esempio) derivanti presumibilmente anche dal mondo sindacale, come elemento di metodo per la costruzione di nuclei operativi sia sul terreno della teoria che su quello della prassi, così da scongiurare il rischio dell’appiattimento solo sull’una o solo sull’altra con l’inevitabile scollamento tra i due poli. Ciò perché il rischio di creare un dibattito anche avanzato ma sostanzialmente ancora slegato dalla classe di riferimento è sempre alto, ovvero la circostanza andrebbe a creare nella migliore delle ipotesi una posizione politico-teorica avanzata su alcuni ambiti ma arretrata ad esempio sul terreno dell’analisi di fase del modo di produzione con specifico riferimento all’Italia e con specifico riferimento alla mancata produzione di un sapere scaturente dalla classe subalterna e quindi da un suo livello di coscienza determinato. Tradotto, se resta la nostra una produzione di sapere legata al nostro essere sociale collocato in una determinata posizione sociale senza la partecipazione attiva di almeno qualche pezzo di classe subalterna, allora si ritornerà sempre al punto di partenza.

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operaviva

Dopo il Novecento. Verso le istituzioni del comune

Peppe Allegri intervista Toni Negri

AngelsWithDirtyFacesA chent’annos!

È impossibile in poche righe riuscire a sintetizzare l’importanza di un lavoro teorico-politco che ha attraversato tutta la seconda metà del XX secolo e i primi due decenni del nuovo millennio, facendo di Antonio Negri – oltre che un protagonista della storia italiana contemporanea ‒, uno dei pensatori più influenti nel mondo e uno dei nomi della filosofia italiana che rimarranno nel tempo. Negri è un dispositivo, una macchina del pensiero che ha attraversato le rivolte della classe operaia italiana e internazionale, senza mai arrendersi e senza acquietarsi nelle comodità delle cattedre accademiche pur avendole occupate fin dalla più giovane età. Un «cattivo» maestro, senz’altro – come solo possono essere i maestri (Socrate docet) – che ha insistito sempre su una idea del sapere come arma e pratica collettiva di liberazione, lontanissimo da qualsiasi idea di conoscenza come esercizio del potere e forma di oppressione, o come sterile esercizio accademico (c’è grande differenza?), e che proprio per questo ha conosciuto la galera e l’esilio (titolo del secondo volume della trilogia «Storia di un comunista» che racconta la sua biografia intellettuale e politica). Maestro che dalla teoria del diritto e dello Stato alla filosofia politica, dalla storia del pensiero politico all’ontologia, dall’estetica all’arte contemporanea, dalla letteratura al giornalismo culturale (Negri è anche, forse pochi lo sanno, uno straordinario critico letterario, basterebbe qui ricordare i suoi interventi su Bachtin, Dostoevskij, Barthes e Balestrini, per non citarne che alcuni), dalle fabbriche alla società globale, ha sovvertito le logiche del potere insegnando a tutti noi a leggere Machiavelli, Spinoza, Marx (ma anche Cartesio e Leopardi, passando per la nascita e la fine della modernità e le sue alternative) e a pensare e lottare collettivamente per un mondo concretamente più ricco e più libero.

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ospite ingrato

Tre lezioni sulla storia

recensione di Luca Lenzini

Sergio Fontegher Bologna, Tre lezioni sulla storia (Milano, Casa della cultura, 9, 6, 13 febbraio 2022), presentazione di V. Morfino, Milano-Udine, Mimesis, 2023

Tre lezioni sulla storia Sergio Fontegher Bologna“the shop floor”: the area in a factory where the goods are made by the workers
The Oxford Learner’s Dictionary

Sembrerà bizzarro e forse fuor di luogo parlare di un libro così ricco di spunti e di contenuti come Tre lezioni sulla storia di Sergio Fontegher Bologna partendo dalla sua forma, cioè dal modo dell’esposizione e dell’organizzazione della materia trattata; ma è un aspetto, questo, che balza agli occhi del lettore e non può essere messo tra parentesi o maneggiato come secondario, in primo luogo e precisamente in relazione ai contenuti stessi, si potrebbe dire alla loro natura. L’orizzonte temporale del libro va dai primi anni ’60 all’oggi, quello culturale e interpretativo ha le sue radici nella costellazione additata in esordio in Tre croci. Un ergastolo, un suicidio, una fucilazione (pp. 24-25), cioè nella triade Gramsci (Quaderni dal carcere), Benjamin (Über den Begriff der Geschichte), Marc Bloch (Apologie pour l’histoire ou Métier d’Historien); ed è proprio dalla sua maniera di mobilitare e rinnovare questa nobilissima lignée di “resistenti” che originalità e taglio del testo traggono una singolare legittimazione e, insieme, una forza altrettanto tangibile, una spinta o choc conoscitivo quali derivano da una alterità nativa, irriducibile alle forme “istituzionali”. Tanto avvince la lettura, così, che si è tentati di impiegare, per il libro, un termine come page-turner, di solito applicato alla narrativa: c’è in queste Lezioni non solo un discorso fluido e diretto, ma un solido ancoraggio narrativo, legato al vissuto ovvero al percorso biografico ed intellettuale di chi parla, un percorso in cui le due componenti (biografia e cultura) fanno tutt’uno, inscindibilmente; di qui, anche, la totale assenza di aura accademica e di cerimoniali.