Print Friendly, PDF & Email
pandora

Quella “cosa” chiamata libertà

Libertà liberale e libertà socialista

Dario Corallo

GIOVANI-Socialismo-INTTralasciando le varie trasformazioni subite dal concetto di libertà, dall’ἐλευθερία greca di stampo politico e religioso alla libertas e libero arbitrio della tradizione cristiana, quello che intendo prendere in considerazione è il concetto di libertà per come viene inteso oggi, con valore onnicomprensivo: morale, politico, religioso, metafisico ecc. Ma cos’è, precisamente, la libertà?

La posizione del senso comune sostiene che la libertà sia l’assenza di ogni vincolo eccetto uno: la libertà dell’altro. Questa, che sembra essere la concezione più ampia possibile, nasconde in realtà un’enorme serie di limiti. Potremmo dire che si basa, in qualche modo, su un paradosso: per spiegare cos’è la libertà individuale si ricorre al concetto di libertà sociale. I rapporti umani sono, dunque, rapporti necessariamente vincolati e limitati dalla relazionalità stessa.

Questa libertà è, di fatto, quella di soddisfare i propri bisogni: cosa mangiare, bere, come vestirsi, dove abitare. A queste si possono aggiungere una serie di libertà che definirei “passive”, in quanto non richiedono una vera e propria azione sul mondo: libertà di culto, di pensiero ecc.

Queste, che sembrano essere concessioni, mentre rappresentano l’essenza dell’essere umano, sono libertà fasulle. Come si può pretendere la libertà di mangiare, bere, vestirsi quando il sistema economico, e quindi le cause materiali, non forniscono i mezzi per il compimento di questa libertà attraverso l’azione?

Se non vengono forniti i mezzi necessari ad una emancipazione culturale, come si può pretendere che vi sia libertà di pensiero? Per di più, la libertà di pensiero è vincolata in quanto, una sua diffusione, potrebbe nuocere o, comunque, confliggere con la libertà dell’altro1.

Questa libertà negativa (negativa in quanto si limita a negare la presenza di vincoli) solo oggi, nel senso comune, inizia a suscitare, proprio grazie a Marx, qualche perplessità. Si inizia a comprendere che queste libertà negative del liberalismo restano una misera cosa se non sono integrate da diritti di altro tipo, diritti democratici, sociali ed economici, che la cittadinanza è monca se non si arricchisce di tutte queste altre dimensioni. L’idea di libertà negativa è quella espressa nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, presa come modello negli stati liberali degli anni successivi, che consiste in una dimensione individualista di protezione, sicurezza e incentrata sulla proprietà privata: la libertà è intesa come libertà da qualcosa o qualcuno, è libertà dallo Stato, dalle altre persone, libertà come assenza di impedimento; vi è libertà negativa se ognuno può disporre di se stesso e delle sue proprietà con il minimo di interferenze da parte degli altri individui. L’idea di libertà negativa giustifica la tesi dello Stato minimo, secondo cui lo Stato non deve assolutamente interferire sulla regolazione delle proprietà, sulla redistribuzione della ricchezza ecc.

A riguardo, Marx scrive:

La libertà è dunque il diritto di fare ed esercitare tutto ciò che non nuoce ad altri. Il confine entro il quale ciascuno può muoversi senza nocumento altrui, è stabilito per mezzo della legge, come il limite tra due campi è stabilito per mezzo di un cippo. Si tratta della libertà dell’uomo in quanto monade isolata e ripiegata su se stessa. […] Ma il diritto dell’uomo alla libertà si basa non sul legame dell’uomo con l’uomo, ma piuttosto sull’isolamento dell’uomo dall’uomo. Esso è il diritto a tale isolamento, il diritto dell’individuo limitato, limitato a se stesso.2

Per poi aggiungere, più avanti:

[…] è dunque il diritto di godere arbitrariamente, senza riguardo agli altri uomini, indipendentemente dalla società, della propria sostanza e di disporre di essa, il diritto dell’egoismo. Quella libertà individuale, come questa utilizzazione della medesima, costituiscono il fondamento della società civile. Essa lascia che ogni uomo trovi nell’altro uomo non già la realizzazione, ma piuttosto il limite della sua libertà.3

Quella finora descritta è quella che viene comunemente definita libertà liberale.

Vi è un’altra libertà, che potremmo definire positiva o democratica. Questa concezione si rifà, per tradizione, a Jean-Jacques Rousseau e, più precisamente, al suo Contratto Sociale4. In questo celeberrimo testo, Rousseau, dopo aver posto la necessità e la giustezza di un patto sociale5 a fronte un problema di libertà6 nella società, scrive:

Ciò che l’uomo perde attraverso il contratto sociale, è la sua libertà naturale e un diritto illimitato a tutto ciò che lo attira e che può desiderare; ciò che guadagna è la libertà civile e la proprietà di tutto ciò che possiede. […] bisogna distinguere con cura la libertà naturale, che trova un limite solo nelle forze dell’individuo, dalla libertà civile, che è limitata dalla volontà generale, e il possesso che è solo frutto della forza, o il diritto del primo occupante, dalla proprietà che può solo fondarsi su un diritto positivo.

Si potrebbe in base a ciò che precede, aggiungere all’acquisto dello stato civile la libertà morale che sola rende l’uomo padrone di sé; infatti l’impulso del solo appetito è schiavitù, e l’obbedienza alla legge che ci siamo prescritta è libertà.7

La definizione di libertà data da Rousseau sembra, dunque, essere quella dell’obbedienza alla legge che noi stessi ci siamo prescritti, ovvero partecipazione, libertà di partecipare alla gestione dello Stato, all’attività legislativa, all’informazione, alla divulgazione del pensiero, libertà di associarsi in partiti, sindacati ecc. In una parola: democrazia.

Mentre la libertà negativa richiede uguali diritti, la libertà positiva esige uguali poteri, ovvero che tutti partecipino allo stesso modo alla sovranità. La libertà democratica supera, da un punto di vista marxiano, la libertà liberale, ovvero ne include alcuni aspetti, e ne integra di altri.

Anche quest’ultima, però, crea qualche problema. Questa libertà positiva, se non accompagnata da una uguaglianza sostanziale, rischia di essere superflua. L’esercizio dei pari poteri ha, infatti, come suo presupposto necessario la parità di condizione. Brutalizzando: chi ha più possibilità economiche o un vantaggio culturale sull’altro potrebbe inficiare il libero esercizio di quel potere, manipolandolo o comprandolo.
Entrambe queste concezioni, una in maniera negativa, l’altra in maniera positiva, hanno come propria essenza il tema della relazionalità.

In entrambi i concetti di libertà, la discriminante è rappresentata dalla condizione materiale (economica) e, per riflesso, in quanto da questa determinata, dalla coscienza.

La migliore formulazione dei problemi dati da questi tipi di libertà la dobbiamo a Sandro Pertini:

[…] la libertà senza la giustizia sociale non è che una conquista fragile che si risolve per molti nella libertà di morire di fame.8

Con l’evolversi del sistema capitalistico, però, si è assistito ad un mutamento del modo di percepire la libertà da parte degli individui. Essa, infatti, è diventata una “cosa” o, meglio, una serie di “cose”; ma procediamo con ordine. Il sistema capitalistico, come tutti i sistemi tende a preservarsi e, per fare questo ha bisogno che una porzione sempre maggiore del reale rientri all’interno delle leggi di accumulo e scambio. La libertà non è scampata a questo destino: basti pensare alla libertà sessuale o alla libertà di pensiero: tutte sono imposte e si concentrano intorno all’idea dell’accumulo. Le idee e le opinioni vengono vendute attraverso i media a seconda della classe sociale secondo diversi gradi di complessità. Ciò che conta per l’individuo è avere un opinione sul maggior numero possibile di questioni. Il fatto che queste opinioni siano eterodirette e non siano argomentate non conta dato che i mezzi di informazione non permettono uno scambio di tipo dialettico. Ogni dibattito si riduce a uno scontro tra casematte.

La stessa cosa avviene per la libertà sessuale: il sesso è passato dall’essere un elemento relazionale tra persone ad essere una “cosa”.

In altre parole si è eliminato l’elemento relazionale da ogni tipo di libertà, sia essa privata (come per la libertà sessuale) o pubblica (come per la libertà di pensiero9). Questi non sono che due esempi, ma oramai è impossibile riuscire a pemsare ad un forma concreta di libertà che non risponda alle leggi del sistema capitalistico.

Queste imposizioni, però, non dipendono da volontà individuali o da scelte consapevoli. Esse, come sempre nella storia, entrano di soppiatto e serpeggiano non per scelte politiche, ma, piuttosto, per assenza della politica.

Ciò che Marx propone è, quindi, la messa in discussione del fatto che non esista una terza via: l’idea del rapporto intersoggettivo che sorregge questo modo di vedere non è affatto un’idea ovvia e indiscutibile.

Marx comprende che la vera libertà è, soprattutto, libertà dai bisogni e quindi, dal lavoro salariato.

Di fatto, il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si trova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione materiale vera e propria.10

Il fatto che qualcuno possa comprare il lavoro di un altro è, sostanzialmente, la legalizzazione della differenziazione per classi della società. La liberazione da questo meccanismo è possibile solo attraverso l’espropriazione e la direzione collettiva pianificata della produzione. Ciò implica un assetto sociale basato sulla proprietà collettiva e la pianificazione come precondizioni della libertà.

Queste sono le basi del nuovo concetto di libertà introdotto da Marx.

L’emancipazione politica è contemporaneamente la dissoluzione della vecchia società, sulla quale riposa l’essenza dello Stato estraniato dal popolo, la potenza sovrana, la rivoluzione politica è la rivoluzione della società civile. […] La vecchia società civile aveva immediatamente un carattere politico, cioè, gli elementi della vita civile, come ad es. la proprietà o la famiglia, o la maniera del lavoro, nella forma del dominio fondiario, dello stato e della corporazione erano innalzati a elementi della vita dello Stato. In tale forma essi determinavano il rapporto del singolo individuo verso la totalità statale, cioè il suo rapporto politico, cioè il suo rapporto di separazione ed esclusione dalle altre parti costitutive della società. Quell’organizzazione della vita del popolo, infatti, non innalzava ad elementi sociali il possesso o il lavoro, ma piuttosto perfezionava la loro separazione dalla totalità statale e le costituiva in società particolari nella società. Così intanto le funzioni e le condizioni di vita della società civile erano ancor sempre politiche, anche se politiche nel senso della feudalità, cioè esse escludevano l’individuo dalla totalità statale, esse trasformavano il rapporto particolare della sua corporazione verso lo Stato nel suo proprio rapporto universale verso la vita del popolo, così come la sua determinata attività e situazione civile nella sua attività e situazione universale.11

Questa libertà socialista conserva alcune delle libertà liberali (uguaglianza dei diritti) e delle libertà democratiche (uguaglianza dei poteri), integrandoli, però, con i doveri di solidarietà sociale.

Per fare questo bisogna superare le dinamiche individualistiche e concorrenziali tipiche dello stato borghese liberale e promuovere la libertà intesa come controllo sulle condizioni della propria vita; in altre parole: la libertà è il potere sulla realtà. Le implicazioni sono enormi. Cade il mito della solitudine come mezzo per raggiungere una libertà maggiore. Cade il mito della libertà come possibilità. Ciò che si recupera dall’abolizione del sistema di lavoro salariato è la relazionalità tra individui. In uno stato comunista, per come lo concepisce Marx, si arriva al paradosso del dovere della libertà.

 

 

1 Karl Marx, La questione ebraica, in Marx, le opere che hanno cambiato il mondo, Newton Compton, Roma 2011, p. 44: “la libertà di stampa viene completamente annullata, dacché “la liberté de la presse ne doit pas être permise lorqu’elle compromets la liberté publique” (Robespierre jeune, Hist. parlam. de la rev. franç. par Buchez et Roux, T. 28, p. 159), cioè dunque: il diritto dell’uomo alla libertà cessa di essere un diritto non appena entra in conflitto con la vita politica, mentre, secondo la teoria, la vita politica è soltanto la garanzia dei diritti dell’uomo, dei diritti dell’uomo individuale, insomma dev’essere abbandonata non appena contraddice al suo scopo, a questi diritti dell’uomo.”

2 Ivi, pp.42-43

3 Ibid

4 Jean-Jacques Rousseau, Il Contratto Sociale, Laterza, Bari 2006

5 Ivi pp.21-23

6 Ivi p. 5, Rousseau scrive: L’uomo è nato libero e ovunque è in catene. Chi si crede padrone degli altri è nondimeno più schiavo di loro.

7 Jean-Jacques Rousseau, Il Contratto Sociale, cit., p. 29

8 Sandro Pertini, Messaggio di fine anno agli italiani del Presidente della Repubblica, 31 Dicembre 1983

9 Sulla scomparsa della relazionalità nella società moderna risulta interessante la lettura di
Castoriadis – Lasch, La cultura dell’egoismo, Elèuthera, 2014

10 Karl Marx, Il Capitale, Libro III, Utet, Torino 2009, p. 1011

11 Karl Marx, La questione ebraica, cit., p. 44

Add comment

Submit