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illatocattivo

Teoria radicale, lotta di classe (e terrorismo)

Wolf Woland

anarchiaEccolo, lo scritto più misconosciuto, introvabile e teoricamente rilevante sul «Maggio strisciante» italiano ed europeo. Pubblicato all'inizio degli anni ‘80 del secolo scorso, e apparso come una sorta di lunga postfazione alla ristampa dell'opuscolo Terrorismo o rivoluzione di Raoul Vaneigem, esso non ha goduto delle numerose ristampe più o meno «clandestine» toccate a quest'ultimo e, col senno di poi, si può dire che ben difficilmente poteva essere altrimenti: uscito troppo presto e condito di tesi troppo spigolose, Teoria radicale lotta di classe (e terrorismo) non poteva che risultare indigesto al pubblico al quale era indirizzato, finendo abbastanza presto nel dimenticatoio – non prima di rivelarsi intollerabile anche a colui che ne era stato l'autore.

Cionondimeno, esso resta l'unico testo apparso in Italia da quarant'anni a questa parte, che abbia realmente tentato un bilancio non politico o, peggio, «culturale», ma schiettamente teorico, del periodo 1968-’77. Certo, l'«offerta editoriale» nostrana, al riguardo, trabocca di proposte, ma è curioso constatare sino a che punto la facciano da padrone due particolari sottogeneri letterari (talvolta sconfinanti l'uno nell'altro): da un lato, la copiosa memorialistica partorita dai cosiddetti «protagonisti dell'epoca», che – al di là delle eventuali pregiudiziali in materia di pentitismo e dissociazione – il più delle volte, non fosse per la marca di autenticità (vera o presunta) delle vicende narrate, non si distinguerebbe in nulla dai tanti romanzetti di formazione sul tema: «ah, che simpatiche canaglie eravamo da giovani!»; dall'altro, la vasta schiera di ricercatori universitari o aspiranti tali, artefici di volumi che generalmente non vanno oltre la pur documentata agiografia; quando si limitano a questo, ben raramente aggiungono qualcosa di essenziale a quanto già contenuto ne L'Orda d'Oro di Primo Moroni e Nanni Balestrini; quando cercano di andare oltre, per mezzo di filtri interpretativi più consistenti, è per portare acqua al mulino dell'auto-celebrazione post-operaista («noi, gli unici ad aver capito che...») o, peggio, dell'inflazionata mitologia resistenziale.

Di tutt'altro tenore, questi Appunti per il bilancio di un'epoca (come reca il sottotitolo) furono elaborati a partire dalla traiettoria singolare dell'Autore, dall'iniziale adesione alle tesi dell’ultragauche consiliare degli anni 1960 («Socialisme ou Barbarie» e l’Internazionale Situazionista, fondamentalmente), attraverso la partecipazione alle vicissitudini della «corrente radicale» del post-'68, per giungere infine a una riconsiderazione critica dell'una e delle altre, e cercare di uscire vivi dai terribili anni '70, districandosi tra la Scilla dello sbandamento di fronte alla «perdita dei riferimenti storici» e la Cariddi di un nostalgico aggrapparsi alle «foto di famiglia». Peccato che la traversata del deserto – che non è ancora finita – fosse, a quei tempi, appena agli inizi; non è dunque strano che soltanto in pochissimi le siano sopravvissuti.

Come che sia, questo testo, una buona volta, bisognerà pur leggerlo (o rileggerlo). Tesi ardue, dicevamo, ma che vale la pena riprendere in mano, poiché quella dialettica del facile e del difficile di cui già qualcuno ha parlato, fa sì che le stesse parole, pronunciate dalla stessa persona, possano – a seconda dei corsi e ricorsi della storia – risultare, in momenti diversi, di un'oscurità totale o di un'accecante semplicità. Non priveremo il lettore dell'onere della prova di San Tommaso. Ma attiriamo la sua attenzione sugli assi che sottendono la trattazione – poiché sono questi a rendere Teoria radicale lotta di classe (e terrorismo) paradossalmente più «in fase» con l'oggi. Ci voleva coraggio, nel 1982, per «rilanciare» – come nel gioco d'azzardo – sulla lotta di classe come portatrice di comunismo, e sulla pertinenza dell'analisi marxiana del capitale come base viva e vitale per la comprensione della fase che si era appena aperta, annunciata simultaneamente dalla crisi economica del 1973-'74 e dal processo di decomposizione del movimento operaio (di cui le stesse organizzazioni lottarmatiste, caratteristiche dell'«anomalia italiana», erano espressione). Ce ne voleva altrettanto, per articolare una critica impietosa di tutte le insufficienze dell'area della «critica radicale»: dai fraintendimenti sulle lotte proletarie della fine degli anni '60, all'incomprensione della natura del lottarmatismo, per tacere della preparazione in vitro delle derive marginaliste, illegaliste, esistenzialiste e universaliste (leggi a-classiste) che presero piede nel «riflusso». E ce ne voleva, pure, per arrischiare una lettura dei movimenti tellurici più importanti (ed enigmatici) di quell'istante-cerniera: la rivoluzione iraniana del 1979 e l'esplosione di Solidarność in Polonia. A ben vedere (ma sempre col senno di poi), l'una e l'altro annunciarono, per il tramite di Cristo e di Maometto, un tratto preponderante della fase successiva, ancora così attuale:

«[...] essi evocano con angoscia gli spiriti del passato per prenderli al loro servizio; ne prendono a prestito i nomi, le parole d’ordine per la battaglia, i costumi, per rappresentare sotto questo vecchio e venerabile travestimento e con queste frasi prese a prestito la nuova scena della storia.» (Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte).

Beninteso, non è questione qui di celebrare le presunte «vittorie teoriche» di chicchessia, macabra consolazione della filosofia. Ma, evidentemente, coloro che nell'odierno milieu «anticapitalista» continuano a rimandare il momento in cui mettere le lancette all'ora giusta, si condannano sempre più, giorno dopo giorno, al silenzio o alla chiacchiera da bar. [Il Lato Cattivo]

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