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manifesto

Prove d'opposizione

Rossana Rossanda

costituzione2kkFinalmente un segnale inequivocabile di opposizione: è venuto dalle diverse fondazioni, che hanno raccolto lunedì scorso a Roma una folla di giuristi e costituzionalisti per dieci fitte ore di lavoro. Tenessero al centro, raccomandava Giuliano Amato ai politici che conludevano la giornata, il tema bruciante della deriva presidenzialista più che la legge elettorale. E se non tutti ne hanno seguito il suggerimento, il risultato è stato chiaro: non un pezzo del Parlamento ma un pezzo del paese ha messo alle verità berlusconiane dei paletti assai fermi.

I primi, e non solo a partire dal 14 aprile. Per esempio, anche ammesso che si diano più poteri al premier, devono essere bilanciati da più poteri delle Camere, oggi quasi esautorate; fra le conseguenze, via i premi di maggioranza. Oppure, si ciancia di variare la Costituzione? Va alzata la barriera posta dall'art. 138. E poi, più che parlare contro la politica, vanno date regole interne precise e verificabili ai partiti e al loro finanziamento, art. 49. E poi ancora, bisogna riflettere su sistemi elettivi troppo diversi (da comuni a regioni a camere), dare minore manovrabilità ai referendum. Infine è uscita la proposta di una legge elettorale «alla tedesca» che, più o meno d'obbligo per le europee del 2009, implichi uno sbarramento non superiore al 3%. E non solo. Quale legittimità ha la decretazione d'urgenza oggi in voga? Quale senso ha il corpaccio della finanziaria?

Insomma, ne è uscito un assieme di ragionamenti che faranno pensare qualsiasi cittadino vi dedichi una mezz'ora, e che non sarà facile da eludere per i governi. Sono stati più comodi, sia per la politica sia per l'antipolitica, sia per la destra sia per la sinistra, diversi anni di silenzio.

Non è cosa da poco, e speriamo che continui. Si capisce meglio perché di recente siano state così contestate le «fondazioni». Si chiamino come si vuole, non sono un pezzo di ceto politico con i condizionamenti relativi, e neanche frammenti di «società civile» indifferenziata. Sono livelli di paese parlante, né puramente politici né semplicemente corporativi, che interpellano istituzioni, partiti e movimenti. Ne può venire una rivificazione degli uni e degli altri.

Ma in pratica funzionerà? Riuscirà a invertire la rotta di governo? L'esperimento di lunedì è stato interessante: le posizioni non erano identiche, ma sono riuscite a lavorare assieme. Qual è stata la reazione conclusiva della politica? Adesione o rifiuto sono stati trasversali. Nella tavola rotonda finale, al «no» di Fabrizio Cicchitto che echeggiava il «Noi le riforme le facciamo da soli» di Berlusconi, si è affiancato un «ni» di Calderoli, il quale fuori dalla tv appare fin riflessivo, e sa di dover far fronte a questi scogli se vuol portare a casa un qualche federalismo fiscale.

I più imbarazzati, fin evasivi sono stati Veltroni, Rutelli, Franceschini, Letta, Pezzotta, insomma veltroniani e margheriti (eccezionale Piero Fassino, secondo il quale alla «gente» delle istituzioni non importa nulla, una camera che discute fa venire l'orticaria e l'accelerazione della storia impone al governo una estrema rapidità di decisione). I più impegnati nel mettere i paletti sono stati D'Alema, Casini, Tabacci, Giordano (in difficoltà ma efficace) e - non parlanti ma registi - Giuliano Amato e Franco Bassanini. Nonché molta sinistra in sala, che aveva preso la parola nelle prime sessioni.

Curioso, no? E' apparso che gli ex ds fossero culturalmente divisi fra i folgorati dal 1989, che pongono anche la Costituzione fra le variabili del presente, e quelli che dalla folgorazione hanno salvato un punto fermo repubblicano - prudenti, inutile dirlo, e attenti a non graffiarsi, gli uni e gli altri. In ogni modo, lunedì e in campo neutro, la partita ex ds si è conclusa 2 a 0 per i «repubblicani». Più curioso ancora il campo cattolico: se l'efficace intervento di Casini sulla qualità della democrazia può essere stato condizionato dalla tattica, nell'intervento di Tabacci parlava l'anima della Dc degasperiana e dossettiana. Parlava perfino, oh cielo, in Francesco d'Onofrio. Da chiedersi che diavolo stavano o stanno a fare con Fini e il Cavaliere. Assai più vaga e volatile è ormai quest'anima nei cattolici più giovani. In verità c'è in mezzo un contenzioso che lunedì non è stato affrontato, il terreno dei rapporti economico-sociali. Quelli che Mario Tronti, il cui Centro per la riforma dello stato era fra i promotori, chiama il Convitato di pietra. Non so se queste stesse fondazioni lo affronteranno: tra esse mancava, se pur vivono ancora, la Di Vittorio e la Fondazione Gramsci. Certo adesioni e contrasti non si sarebbero formati né sulla stessa trincea né fra gli stessi alleati.

Intanto è da chiedersi perché una sinistra radicale questi momenti di riflessione non se li sia dati. Né sul problema della rappresentanza né su quello della democrazia, né sul modo di produzione, né sui diritti sociali. Eppure oggi è messa in scacco su tutti e quattro i terreni, che non vanno affatto né da sé né fra sé. Farebbe meglio a darsi una mossa.

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