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comedonchisciotte

Oh mastro o-lindo vestito di nuovo...

di Rattus

Un assessore PD alla sicurezza di Firenze intervistato l'altra sera da una radio locale alla domanda: "Ma è un problema di sicurezza o di percezione di insicurezza?" risponde: "E' una domanda sbagliata ! Che si tratti di percezione o di un fatto reale per noi non cambia nulla".

La questione merita di essere approfondita. Secondo l'assessore di Firenze, se la gente sente bisogno di sicurezza, lui deve dargli soddisfazione. Indipendentemente da quel che dicono i dati. Benissimo. Quindi, quando la gente chiederà esecuzioni e torture in piazza, lui gliene darà in abbondanza. Già abbiamo visto tornare, nei manuali di criminologia di recente pubblicazione, la funzione "satisfattoria" della pena. Ridotta a vezzo socialistoide l'utilitaristica "neutralizzazione dei cattivi" facciamo teorie su ceppi e catene.

Tra le altre cose, l'assessore sostiene che una delle cose più incredibili che gli è capitata è stata il fatto che alcuni parlamentari verdi abbiano osato lavorare come lavavetri, cioè fingersi dei lavavetri, per sperimentare il trattamento che a Firenze è riservato a questa sfortunata categoria.

L'assessore, di fronte a questo terribile sconcio perde la pazienza ed esclama: «Beh, ma se uno fa una cosa del genere, vuol dire che proprio non ha capito come funziona il mondo!».

Quando l'ho sentito fare questa esclamazione non ho potuto fare a meno di segnarmela sul libro nero. Come funziona il mondo ? Funziona, presumo, con i potenti che si accaniscono contro i deboli; di solito per interesse, qualche volta per puro gusto.

Ma, se è per questo, lo sapevamo già come funziona il mondo, caro assessore.

Ci interessava piuttosto cambiarlo.

Come se non bastasse, l'assessore s'è esibito in un altra perla di saggezza. Ha raccontato per filo e per segno come un barbone che dormiva abbia causato un incidente a una signora non vedente che c'è andata a urtare sopra. E' caduta, dice l'assessore. E s'è fatta male. E se la signora non vedente fosse andata a sbattere su un'auto parcheggiata sul marcipiade si sarebbero presi provvedimenti per la rottamazione di tutte le auto ?

Prendiamone atto: Mastro O-lindo ha vinto le elezioni. Ma a gorgogliare a suo favore non è stata "la pancia del paese" (come scrivono i giornali di sinistra) ma il suo inconscio collettivo, brulicante di morchia come un cesso otturato da mesi. Dicono che si dovrebbe saper ascoltare l'inconscio di massa quando mugugna i suoi spasmi da ventriloquo, quando nel sonno invoca il suo idolo bofonchiando:

"Salvaci, Oh-Lindo ! Salvaci !"

E' questa la cifra dell'inconscio italiota, il codice di accesso alle sue "dark fiber": si rivolge nel sonno a una divinità sturacessi, collocata in bella mostra sugli altari di un ipermercato. Dicevano di annusare il sacro gli antropologi postmoderni quando, a inizio anni Novanta, frugavano nelle vetrinette degli ipermercati nell'attesa vana di qualche virtuosismo del loro penetrante sguardo semiotico. E ci vedevano il sacro. Roland Barthes li avrebbe presi a calci. Fosse stato ancora vivo, avrebbe iniziato da tempo a decifrare il codice delle discariche, alla ricerca del rovescio imbarazzante dell'ipermerce. Lui sì, avrebbe intuito per tempo l'avvento di mastro o-lindo, la divinità accigliata delle periferie, il guardiano monnezzaio del circuito ultimo modello del sistema nervoso collettivo.

Certo, cari assessori alla sicurezza, bisognerebbe ascoltarlo quest'inconscio. E' ben vero. Ma diciamocelo francamente: tra il saperlo ascoltare e l'andarci a patti corre una distanza mostruosa, come quella, per intendersi, che teneva separati e ben distinti due ragazzini che stavano morendo in un pozzo dietro casa da un paio di investigatori che - a spese dello stato - li stavano cercando in Romania.

Almeno relativamente a questo caso Berlusconi ha ragione: chi ha mandato agenti in Romania a cercare i ragazzini di Gravina andrebbe sottoposto a perizia psichiatrica.

Conosco anch'io i limiti dell'interpretazione e proprio per questo che non credo di esagerare nulla. Possiamo certamente gridare al mostro se un ragazzo romeno di vent'anni ammazza una coppia di coniugi nella provincia di Verona. Ma appena superata la griglia dell'apparenza - i carabinieri che hanno preso il ragazzo lo sanno bene - appaiono i risvolti miserevoli. Si disse: manca il movente, la casa è intatta. Eccoci alla triste spiegazione: i tentativi di abusi da parte delle vittime nei confronti del ragazzo. E se il ragazzo non fosse stato un dipendente occasionale, cioè un precario, senza casa, pagato pochi euro per fare piccoli lavori da muratore, forse la cosa sarebbe apparsa meno imbarazzante. Ma a far riflettere è il fatto che la forma cinica dello sfruttamento lavorativo agisce in coppia con l'abuso sessuale. Un episodio che rivela la ruvida articolazione empirica del più noto problema della molestie sul lavoro ai danni dei dipendenti. Siamo cioè allo schiavismo diffuso. Un fenomeno di sfruttamento "molecolare" e di massa, l'interiorizzazione del dominio come regola di convivenza che si spinge fin nei gangli della moltitudine e ne alimenta le forme di pensiero e di azione. Sadismo.

Il sindaco leghista del paese in cui è avvenuto l'omicidio, che te lo dico a fare, ha già invocato la pena di morte. E continua ad invocarla nonostante le ultime notizie sulla dinamica dei fatti.

Ma nessuno si attarda a riflettere sul fatto che dentro la cronaca nera si colgono bene, a saper guardare, le forme dell'oppressione di classe, la longa manu di un'economia che ha ridotto ogni relazione a un rapporto di forza fondato sull'esercizio del dominio e del potere.

Non voglio neanche chiedermi quanti si metteranno a berciare quando, tra cinque o sei anni, un giudice con qualche residuo di coscienza democratica e qualche insistente pressione da parte dell'amministrazione carceraria allo stremo, tirerà fuori il ragazzetto romeno per fargli fare qualche lavoro occasionale in semilibertà.

Niente si dice su quella madre che domenica scorsa a scritto a "Il Manifesto" per denunciare che i responsabili della morte del figlio di ventitrè anni, deceduto in un incidente sul lavoro, hanno avuto otto mesi con la condizionale. Il primo, datore di lavoro, aveva spinto il ritmo della macchina oltre il limite di sicurezza previsto, il secondo, produttore dell'arnese, via aveva apposto un marchio di garanzia CE (Comunità Europea) taroccato.

Si direbbe che, a fronte di un uso strumentale della tendenza diffusa alla semplificazione e alla ricerca del pregiudizio e del capro espiatorio, la cultura cosiddetta di sinistra riesca solo, e raramente, ad attenuare i toni, a smorzare i pruriti forcaioli. Quando non si riduce ad inseguire a destra i propri avversari. Senza avere mai, dico mai, il coraggio (che una volta aveva) di rovesciare del tutto il tavolo. Il vero punto è che i meccanismi del pregiudizio e la conseguenza tendenza naturale a spiegare i fenomeni in forme riduttive e semplificate sono arcinoti. Si tratta solo di scegliere se fare politica con gli occhi rivolti alla pancia del paese o al suo cervello.

Insomma, uno dei problemi che dobbiamo porci seriamente non è il perché questi episodi siano strumentalizzati, quanto piuttosto: "perché la stampa che una volta amava definirsi democratica è diventata del tutto incapace di mostrare i lati in ombra di certi fenomeni? Perché rinuncia a chiavi esplicative più complesse ma fondate su dati ?". E pensare che solo qualche anno fa, qui a Roma, abbiamo avuto gente che non ha esitato a farsi fracassare le ossa in un carcere turco per difendere i diritti civili dei Curdi. Penso, inutile dirlo, a Dino Frisullo. Che esista una distorsione percettiva lo si vede con nitore quando si è alle prese con il trattamento riservato a episodi di abuso. Ad esempio c'è un gap impressionante tra il risalto dato all'evento di Roma (La Storta) e quello che non è stato assegnato al caso Don Gelmini. E' del tutto legittimo pensare che il caso Don Gelmini sia stato "oscurato" a reti unite.

Questa è la tesi, per esempio di una studiosa autrice di un libro sulle molestie operate da preti e figure che gravitano intorno ad essi:

http://politicaesocieta.blogosfere.it/2008/04/pedofilia-e-abusi-ratzi...

Si è convenuto, sembra evidente, che non si dovesse alzare il polverone su Gelmini in periodo elettorale. Visto che i due principali partiti sono in piena sintonia con la chiesa, mentre un terzo ne è emanazione diretta, la cosa si spiega facilmente.

Ma adesso non sono interessato alle elezioni, quanto al fatto che la questione Gelmini solleva interrogativi più seri, più inquietanti, di quella dello stupro di La Storta.

Con Don Gelmini abbiamo a che fare con un fenomeno strisciante, la figura nascosta nel tappeto , l'anamorfosi da leggere all'interno di rapporti ingarbugliati, dove dominano danaro e potere. C'è di mezzo un'organizzazione "Internazionale" con duecento sedi e un business di dimensioni grandissime il cui fondatore è accusato di molestie sessuali ripetute nei confronti di decine persone affidate alla comunità per finalità di recupero sociale.

Si può certo dire che Gelmini è in attesa di giudizio, ma non si può tacere sul fatto che nel frattempo è stato abbandonato sia dal vaticano sia dai suoi difensori. Quanto dovrebbe bastare ad aprire la discussione. E' possibile che i collaboratori stretti di Gelmini fossero all'oscuro di questi episodi?

A dirla tutta, le intercettazioni svolte su alcune figure gravitanti intorno a Gelmini hanno in realtà individuato reiterati tentativi, da parte di questi collaboratori, di spingere gli accusatori al silenzio attraverso offerte di lavoro e di denaro. Questi collaboratori sono infatti imputati di favoreggiamento e subornazione di testimone.

In questione non c'è una vicenda individuale, ma il rischio concreto di doversi interrogare su un sistema di recupero sociale che convince i ragazzi della comunità che per trovare lavoro e farsi una vita bisogna sottostare alle voglie di un vecchio prete.

Una formula illuminante su quel che è diventato questo paese. E se questa la chiamano rieducazione siamo di fronte a un enorme problema culturale e sociale.

E tutto questo - altra nota dolentissima - a spese del contribuente. Eppure, se voi provate ad andare su google news e digitate don Gelmini, vedete che la vicenda non ha scatenato alcun dibattito, nessuno s'è riscaldato. Dopo il giorno del rinvio a giudizio di Gelmini non c'è stato nessun articolo, nessun tentativo di giornalismo investigativo, nulla di nulla. Se non vado errato, "Il Manifesto" ha del tutto bypassato la notizia. D'altra parte, se la libertà di informazione in Italia è stata collocata al di sotto di quella del Benin qualche ragione ci sarà. Ricordare sempre:
http://www.disinformazione.it/libertadistampa.htm

Un altro dato a suo modo illuminante è ad esempio quello appena uscito dal Viminale, secondo il quale in realtà non c'è un reale problema di rapimenti di bambini. Ci sono invece molti casi di bambini dei quali viene denunciata la "sparizione" in seguito a separazioni tra genitori. Detto in altri termini quando un bambino viene "legalmente" assegnato a un genitore, se l'altro se ne appropria, il genitore che detiene i diritti denuncia la "scomparsa" del figlio, pur sapendo che si tratta di un'iniziativa dell'ex coniuge. Così si può affermare che esistono centinaia di presunti scomparsi che in realtà sono solo l'effetto di una dinamica interfamiliare. Un altro punto indubitabilmente a favore del family day....

Consola però che mentre è facile dire che in Italia ci sono migliaia di bambini scomparsi, si dovrebbe anche dire che i fatti realmente preoccupanti si contano sulle dita di una mano.

Davvero grave è invece il dato secondo cui negli obitori italiani ci sono quattrocento persone che non sono state identificate né riconosciute da chicchessia. Questo dovrebbe suscitare qualche domanda su quale sia il destino reale dei "clandestini" in questo paese. E qui c'è materia per ragionare sulla famosa "universalità dei diritti". Sul ruolo di queste questioni "di principio", le stesse che ci fanno rifiutare un CPT per "definizione". Questioni fondamentali, sulle quali però non riusciamo più a farci intendere.

Ma se proviamo a chiederci come ha fatto O-lindo a vincere, con quali strumenti e con quali apparati concettuali è giunto al potere, arriviamo facilmente a concludere che Mastro (o)lindo al ministero degli interni è l'incarnazione di una complessa dinamica di peccato e redenzione. Per riuscire a dare una sbirciata oltre questo siparietto bisogna mettere mano a due dispositivi: quello del mercato dei desideri e quello del bisogno di purificazione.

Come scrive Bifo, ci sono i liberali e ci sono i clerico/fascisti e non sono la stessa cosa. Ma la domanda importante è "come funzionano accoppiati ?" Come agisce a livello dell'inconscio diffuso o - per usare un termine caro ai filosofi - dell'immaginario, l'accoppiamento strutturale tra liberal-capitalismo e clerico-fascismo ?

E' una domanda preziosa per interpretare la melma in cui viviamo. Ma la risposta è piuttosto complicata.

Il dispositivo di peccato e redenzione non vuole santi, vuole peccatori. Bisogna immaginare questo dispositivo che continuamente produce "peccato" alimentando il desiderio di consumo e continuamente redime. Questa è la chiave per capire la meccanica profonda del dispositivo biopolitico contemporaneo. Un esempio può essere Emilio Fede che si copre di debiti al tavolo da gioco e Berlusconi che, come un angelo salvatore, giunge a redimerlo. Bisogna immaginare - lasciatevelo dire da un esemplare di rattus norvegicus albinus - un labirinto che conduce invariabilmente non davanti al minotauro, ma davanti a un confessore che lavora in coppia con uno strozzino.

Partiamo dal confessore.

Un film, bello e terribile, che esemplifica in modo efficace questo funzionamento è "The addiction" di Abel Ferrara (1995). Si tratta di un capolavoro a contenuto religioso ambientato a New York. L'autore, di fede cattolica, lancia il guanto della sfida contro la filosofia. La protagonista è una studentessa di filosofia, vicina alla laurea, che sta seguendo un corso di filosofia morale. Una sera, uscita frastornata da una lezione in cui venivano proiettate le immagini dei campi di concentramento, viene aggredita da una vampira che la spinge in un sottopassaggio e beve il suo sangue. Due sono i nuclei teorici che muovono il dramma che ne segue: il contagio e la dipendenza. La filosofa diventa vampira a sua volta e non resiste al desiderio di bere il sangue altrui e quindi di contagiare altre persone.

E' interessante che Abel Ferrara, per dare forza al contenuto del film, scelga la dipendenza da eroina come "modello" per esemplificare le crisi di astinenza e il contagio dei vampiri. Lo stesso titolo "The addiction" allude al vampirismo come dipendenza in senso forte, come tossicodipendenza. La morale del film è che siamo tutti vampiri, nessuna filosofia può redimerci dalla nostra natura.

Solo la croce e la rinuncia di sé, secondo Abel Ferrara, possono salvarci dal vincolo biologico del cannibalismo sociale e della guerra molecolare. La violenza è nella nostra natura.

Scene memorabili del film, sono quella in cui un vampiro di lungo corso, filosoficamente impegnato, spiega alla giovane donna che: " Nietzsche non ha mai capito che l'umanità è sempre stata al di là del bene e del male"; oppure quella della festa di laurea della ragazza, momento culminante dell'opera, in cui alla richiesta di un breve commento sul lavoro svolto all'università la ragazza risponde azzannando al collo il professore, scatenando in tal modo gli appetiti dei suoi amici vampiri che trasformeranno la festa in un gioioso banchetto di sangue ai danni dei non (ancora) vampiri.

La giovane vampira-filosofa infine morirà scegliendo di ricevere l'eucarestia e i sacramenti.

Può darsi che in questo modo Abel Ferrara pensi di aver fatto la festa alla filosofia. E forse ha ragione. Ma non ha fatto la festa alla psicologia.

Il punto è che già nel proporre la dipendenza da eroina come "metafora" della condizione umana Abel Ferrara effettua una forzatura. E noi dobbiamo partire da questo punto, dalla forzatura. Dal fatto che un'umanità "tossicodipendente" è in realtà la chiave per intendere la simbiosi mortale tra il confessore e lo strozzino.

L'argomento di Ferrara è debole: l'eroina, paradossalmente, è il clone chimico di prodotti biologici naturali del nostro cervello. Per rendere plausibile una tesi come quella di una natura umana biologicamente prevaricatrice e assassina, Abel Ferrara ricorre a una sostanza chimica che genera dipendenza ingannando l'organismo. Ma così facendo smentisce la sua tesi principale secondo cui siamo "naturalmente" dipendenti e vampiri. L'effetto di sceneggiatura è straordinariamente potente, il film è sconvolgente, ma la sua logica fa acqua.

Ma se Abel Ferrara deve ricorrere a questa metafora forzata per legittimare il messaggio moralista, i neoliberisti devono lavorare alacremente sulla stessa forzatura per rendere effettivo il loro dominio. Se la forzatura dell'eroina assume nel film una carica esclusivamente simbolica, nella dinamica di iperproduzione e iperconsumo deve avere invece significato empirico.

La differenza è che i liberisti non sono chiamati a dimostrare teoricamente la bontà di una tesi sulla natura umana, hanno soltanto necessità che la gente si muova come se avesse "disperato bisogno" di ciò che non gli occorre.

Come fanno ?

E' un argomento lungo e complesso, che andrebbe affrontato con pazienza, rigore scientifico e maturità intellettuale. Per ora mi fermo qui.

A pugno chiuso

Rattus

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