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liberazione

Quei discreti pirati del commercio globale

Come ti frego (per sempre) i Paesi poveri

di Sabina Morandi

wtoprotestC'era una volta il Wto. Ricordate? Ogni volta che si è riunito per imporre al mondo i diktat dell'ultra-liberismo c'è stata una sollevazione. E' successo a Seattle, a Cancun e a Hong Kong dove, alla fine del 2005, attivisti provenienti da tutto il mondo hanno bloccato la città per un'intera settimana. Cosa è successo da allora? Quasi niente, secondo i media ufficiali. Eppure, mentre in Occidente si fa il mea culpa su certi eccessi della globalizzazione liberista, la sua marcia è continuata indisturbata nel resto del mondo, lontano dall'occhio indiscreto delle telecamere e dei contestatori. Nessuno infatti si è preso la briga si riportare le conclusioni di un rapporto stilato nel marzo scorso da Oxfam, intitolato Signing Away the Future (letteralmente: firmando via il futuro), da dove si evince che Stati Uniti e Unione Europea, sempre più protezionisti in casa propria, continuano a perseguire una strategia ultraliberista fatta di accordi sempre più distruttivi per le economie meno sviluppate.

La firma di tali accordi comporta infatti una quantità enorme di concessioni irreversibili da parte dei paesi poveri, ai quali praticamente non viene offerto niente in cambio.

Nei famigerati Fta (Free Trade Agreement) degli Stati Uniti o negli Epa (Economic Partnership Agreement) che l'Unione europea impone alle ex-colonie, si chiedono riduzioni senza precedenti delle tariffe doganali dei paesi in via di sviluppo così da consentire l'accesso dei prodotti (supersovvenzionati) del Nord che rovinano gli agricoltori locali. Nel frattempo Usa e Ue si premurano di alzare le proprie tariffe e di fissare quote stringenti alle importazioni per proteggere le proprie produzioni. Ma quando il controllo dell'economia viene sottratto ai governi legittimamente eletti e consegnato alle multinazionali, che non devono rendere conto a nessuno, i risultati sono sempre gli stessi: fame, migrazioni forzate e una diffusione senza precedenti dello schiavismo, insieme all'inevitabile degrado del rispetto dei diritti umani e dell'ambiente.

Il fallimento dei negoziati Wto durante il summit di Hong Kong non solo non ha portato a più miti consigli, ma ha provocato una sorta di frenesia: solo nel 2006 più di cento paesi in via di sviluppo sono stati coinvolti nella negoziazione per nuovi accordi di libero commercio (gli Fta), accordi di partnership economica (gli Epa) o nuovi trattati bilaterali di investimento. Con una media di due trattati firmati a settimana si può dire che nessun paese sia stato lasciato fuori, nemmeno i più poveri. Le critiche rivolte a questo tipo di negoziati non riguardano soltanto la pratica del doppio standard - apri il tuo mercato che io tengo chiuso il mio - ma anche il fatto che vengono utilizzati dai paesi ricchi per imporre pratiche distorsive che mettono in pericolo la sicurezza alimentare e liquidano qualunque possibilità di sviluppo. Va sottolineato che questa nuova generazione di accordi va molto al di là della tradizionale area d'intervento della politica commerciale perché impone una vasta gamma di regole vincolanti sui diritti di proprietà intellettuale, sui servizi e sugli investimenti, con conseguenze molto più devastanti sulla vita dei più poveri.

Il doppio standard che viene applicato nel capitolo relativo alla proprietà intellettuale è illuminante: mentre i nuovi accordi limitano l'accesso dei paesi in via di sviluppo alle tecnologie e alle medicine occidentali, non proteggono affatto le conoscenze tradizionali né tengono in alcun conto la situazione sanitaria preesistente, con conseguenze terribili sulla salute pubblica. L'accordo appena sottoscritto dalla Colombia con gli Stati Uniti, ad esempio, potrebbe portare secondo gli esperti a una perdita della possibilità di accesso alle medicine dell'ordine del 40 %. Ci si aspetta che un analogo accordo firmato da Washington con il Perù lasci fra i 700 e i 900 mila peruviani senza medicine, perché non potranno più permettersele.

Ma le clausole sui brevetti che Usa e Ue impongono ai propri "partner" commerciali non riguardano soltanto i farmaci: ai contadini sarà infatti vietato lo scambio dei semi, quella pratica millenaria che rischia di rosicchiare gli immensi profitti dell'agrobusiness. Se lo scambio diventa illegale gli agricoltori dovranno ricomprare i semi ogni anno, almeno quelli che possono permetterselo. Gli Stati Uniti spingono per estendere la copertura brevettuale anche alle piante per evitare non solo lo scambio, ma anche il riutilizzo dei propri semi, quelli tramandati di generazione in generazione che i ricercatori delle multinazionali raccolgono in giro per il mondo. Per la biopirateria, così si chiama questa pratica, è un vero e proprio trionfo: nei trattati firmati dal Perù, dalla Colombia e da alcuni paesi caraibici con gli Usa, non c'è più alcuna traccia di quei deboli strumenti di controllo che ancora restavano ai governi locali. Chi ha firmato non potrà più disconoscere un brevetto perché la compagnia non è in grado di indicare l'origine della pianta o di dimostrare che la comunità locale ha acconsentito al suo uso, e i contadini locali potrebbero ritrovarsi a dover pagare per utilizzare varietà che sono state rubate dalle loro terre, o selezionate dai loro progenitori.

Non è tutto. I nuovi accordi di liberalizzazione si spingono in territori che nemmeno il Wto aveva osato toccare, come ad esempio il sistema sanitario, quello educativo, la gestione dell'acqua e di altri servizi pubblici essenziali. Una volta firmato il trattato, un governo non può più fare obiezioni o porre condizioni - per esempio stabilire criteri d'insegnamento o tariffe per le classi meno abbienti - e rinuncia di fatto alla gestione di questi importantissimi settori.

Anche il capitolo investimenti contiene parecchie clausole capestro. Gli investitori stranieri, per esempio, possono perseguire legalmente un paese per "mancati profitti futuri" nel caso il governo decida di cambiare la normativa magari per una grave emergenza come, ad esempio, un'epidemia. Queste regole minano di fatto la sovranità dei paesi in via di sviluppo, trasferendo potere dai governi eletti alle multinazionali che non devono rendere conto a nessuno salvo, in teoria, ai propri azionisti - ma l'esperienza insegna che non è affatto detto. Un crescente numero di clausole e postille vengono introdotte per prevenire qualunque possibilità di regolare o anche solo di monitorare gli investimenti esteri: viene bandito perfino l'impiego delle "clausole di performance" che i governi erano autorizzati a porre prima di cedere miniere, fabbriche e servizi a un investitore straniero. Più di 170 paesi hanno sottoscritto accordi che concedono agli investitori il diritto di rivolgersi all'arbitrato internazionale in caso di controversie senza nemmeno passare per i tribunali nazionali che, magari, potrebbero tenere conto anche dell'interesse pubblico. L'erosione della sovranità nazionale, anche in termini meramente giuridici, è evidente.

Va detto che le sessioni di arbitraggio internazionale sono segrete. E' praticamente impossibile anche solo sapere di quale caso di sta discutendo, figuriamoci ottenere qualche informazione sulle motivazioni della decisione finale. Questo significa che non c'è alcuna casistica a cui riferirsi e che quindi i governi non possono esaminare i casi precedenti prima di sottoscrivere un accordo. Ha accesso alla documentazione solo un ristrettissimo gruppo di studi legali le cui tariffe, inutile dirlo, sono completamente fuori dalla portata dei governi dei paesi poveri. Sono invece alla portata degli investitori internazionali ai quali vendono la loro esclusiva conoscenza e ai quali consigliano le migliori opportunità di ottenere compensazioni negli arbitraggi internazionali. Di fatto a una multinazionale non serve nemmeno avviarla, un'attività: se il suo governo è riuscito a imbrigliare un paese povero in uno di questi accordi, basta trovare l'avvocato giusto e il gioco è fatto.

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