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Una geologia per il divenire dell'individuo sociale

Enrico Livraghi

Un denso saggio dedicato a Gilbert Simondon, l'epistemiologo francese che ha ispirato l'opera filosofica di Gilles Deleuze. E che ha sviluppato un innovativo concetto di «natura umana» e un «principio di individuazione» aperto a stimolanti approdi politici

In Italia il pensiero di Gilbert Simondon era poco più che sconosciuto prima che Gilles Deleuze lo indicasse come un referente cruciale, o meglio, come una delle fonti del concetto di singolarità e individualità da lui messo a punto (con Felix Guattari) negli anni Settanta. In ogni caso, Du mode d'existence des objets tèchniques, apparso nel 1958 e mai tradotto in italiano, era forse noto a pochi sparuti francofoni, mentre nessuno, almeno pubblicamente, sembrava sapesse nulla di L'individuation psychique et collective, pubblicato nel 1964 (e poi nel 1989). Come si sa, quest'ultima opera, che è poi la tesi principale di dottorato presentata da Simondon (mentre Du mode d'existence è invece la tesi secondaria), è stata invece editata anche in Italia nel 2001 da DeriveApprodi.


Sintesi di forma e materia


A qualche anno di distanza, tuttavia, gli studi su Simondon si può dire siano rimasti al palo, a parte i riferimenti di Paolo Virno nel suo Grammatica della moltitudine, la voce «Singolarità/singolarizzazione» scritta da Massimiliano Guareschi per Lessico postfordista (Feltrinelli) e poco altro. Si presenta quindi di notevole importanza la pubblicazione per l'editore Manni di Lecce di questo Gilbert Simondon: per un'assiomatica dei poteri (Euro 18), scritto dal giovane Giovanni Carrozzini (oggi ventiseienne). Si tratta del primo e finora unico tentativo di sondare in profondità l'opera del filosofo-epistemologo francese, tanto esigua sul piano quantitativo quanto complessa sul piano concettuale.

Come osserva il filosofo Fabio Minazzi (che firma una densa prefazione), il pensiero di Simondon si colloca in un «complesso quadro teorico in cui la razionalità e l'operatività delle tecno-scienze vengono illustrate in tutto il loro plastico valore critico, giacchè il loro incremento implica una conseguente dilatazione della stessa libertà, delineando la possibilità di un nuovo umanesimo scientifico».

Come si vede, siamo nel solco della stanca dicotomia tra «scienze della natura» e «scienze umane» (per usare un'espressione tradizionale) che proprio la serie di mosse scientifico-filosofiche operate da Simondon tende a superare. Come scrive Carrozzini, Simondon mette a fuoco un proprio «ideale di filosofia organica ed enciclopedica» che «diviene, innanzitutto, la precondizione genetica del suo articolato sistema filosofico».

È però il concetto di «individuazione» - riformulato integralmente rispetto alla tradizione - che rappresenta il cardine della ricerca simondoniana. Simondon rimette radicalmente in discussione il principium individuationis della tradizione, che considera l'individuo come un'essenza data, ovvero come termine di un processo che reca in sé la propria giustificazione, sia che essa venga fondata sul principio aristotelico dell'individuo come «sintesi» di forma e materia, sia che venga intesa come costituita nell'automovimento di un'entità sostanzialmente «in-generata» e immobile.

Detto in modo succinto, secondo Simondon non solo lo stadio dell'indeterminatezza precede l'individuazione, cioè il processo che rende un individuo unico e irripetibile, ma l'individuo stesso è tale, nella sua singolarità, solo nella dimensione della molteplicità. Il processo di individuazione non è mai definitivo, ma continuamente ripropone tratti preindividuali, cioè quel sostrato di natura e di indeterminatezza della specie che perennemente riconduce l'individuo in quanto tale alla dimensione collettiva. In altre parole, per Simondon né l'essere viene prima dell'individuo, né l'individuo prima dell'essere. È il gioco tra essere e divenire che viene riconsiderato, ripensato e ribaltato contro la tradizione metafisica. Nel processo di individuazione essere e divenire si tengono: l'uno non si muove se non mediante l'altro. Simondon chiama fase quel passaggio in cui le entità si trovano in un equilibrio instabile, o meglio, metastabile, tra uno stadio e l'altro del processo.


L'infinito di Anassimandro


Si comprende come il passo essenziale compiuto da Simondon per svincolarsi dal concetto tradizionale di individuazione consista in una rilettura dei filosofi presocratici, in parallelo con un attraversamento della fisica del Novecento (in particolare la fisica quantistica). Non è dato a caso, infatti, quel lemma presocratico - l'àpeiron di Anassimandro, cioè l'infinito-illimitato - cui Simondon ricorre per indicare il pre-individuale, il fondo comune, appunto, la natura indeterminata della specie che continuamente rimette in gioco il processo di individuazione.

Nel libro di Carrozzini le proposte teoriche di Simondon vengono indagate, esplorate, e ricondotte alla loro genesi filosofico-scientifica, magari con qualche ingenuità di scrittura, e tuttavia con prontezza intuitiva e con fresca passione interpretativa. L'autore scandaglia, infatti, con minuzia e perfino con una certa acribìa, le fonti del pensiero di Simondon: l'epistemologia francese, Merleau Ponty, Sartre, Bergson, Bachelard, Canguilhem, non ignorando la ricerca scientifica e dalla pratica dell'esperimento.

Viene messa a fuoco, certo, anche l'opera cosiddetta secondaria di Simondon, Du mode d'existence des objet téchniques, in ogni caso sempre sporgente sul continente teoretico (si direbbe in equilibrio «metastabile», appunto), nella quale Simondon si interroga intorno alla struttura interna dell'oggetto tecnico, mettendone in luce, per così dire, la sua «geologia».


Problemi ineludibili


Un libro importante, dunque, del quale, però, non si può tacere una lacuna piuttosto vistosa, e cioè il silenzio, invero stridente, intorno alle tematiche messe in gioco da Paolo Virno nella Posfazione all'edizione italiana di L'individuazione psichica e collettiva, certo non sconosciuta al giovane filosofo.

La tesi di Virno è nota. In breve, dopo aver proposto una particolare lettura di Simondon, Virno individua un nesso stretto tra il lemma Gattungswesen (l'uomo come ente generico), che il giovane Marx mette in campo nei Manoscritti del '44, e il sintagma «individuo sociale», che il Marx maturo lascia cadere quasi con noncuranza nei Grundrisse. Virno coniuga tale nesso con il moderno apparire della moltitudine, cercando di trovare un fondamento di qualche consistenza a una figura così indeterminata e sfuggente, che rimette in gioco il senso stesso della forza lavoro.

Si tratta certo di una interpretazione problematica, che peraltro deriva da una lettura del marxiano General Intellect esposta al rischio di ipostatizzazione, da cui appare del tutto epurata qualsiasi forma di reificazione, che invece letteralmente intride il contesto marxiano. E tuttavia, si tratta di una tematica impossibile da rimuovere, e di un nesso - Gattungswesen-individuo sociale-moltitudine-forza lavoro - del tutto ineludibile.

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