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La “potenza” del pensiero di Karl Marx
di Gianfranco Cordì
Recensione del libro di Isaiah Berlin Karl Marx (Adelphi, Milano, 2021)
Se non capisci la storia sei destinato a non capire nulla della filosofia di Karl Marx: tutto parte da lì. Isaiah Berlin, in questa sua “biografia intellettuale” (stando alle stesse parole di Henry Hardy, il quale ha curato il volume – che reca nel suo titolo il nome e il cognome del grande pensatore comunista – per la casa editrice milanese Adelphi, uscito nella traduzione fatta da Paolo Battino Vittorelli dall’originale inglese), non fa che porre l’accento e “specificare” proprio quanto la “storia” – che è sempre in Karl Marx storia di una determinata “società” e non del singolo individuo o di una nazione o di un certo episodio “storicamente rilevante” –, mutuandone la discriminazione dalla originaria ascendenza di matrice hegeliana, abbia interessato, coinvolto, avvinto il pensatore di Treviri (Karl Marx, infatti, era nato in quella città della Renania tedesca il 5 maggio del 1818) al punto da farne il “centro” direzionale della sua stessa analisi del Capitale, degli obiettivi del movimento operaio internazionale, del comunismo e, in definitiva, della stessa “politica”, in tutte le sue varie manifestazioni. Ma che cos’è la storia?
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Guerra russo-ucraina: ultimo atto?
di Giacomo Gabellini
Giorni bui per l’Ucraina. Sul piano di sostegno collettivo da 106 miliardi di dollari predisposto lo scorso ottobre dall’amministrazione Biden, comprensivo di stanziamenti per 61,4 miliardi all’Ucraina, permane a tutt’oggi il veto del Congresso, nonostante gli avvertimenti formulati dal consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan. Secondo cui il mancato sblocco del programma di sostegno all’ucraina avrebbe prodotto «gravi conseguenze», in quanto «ogni settimana che passa, la nostra capacità di finanziare completamente ciò che riteniamo necessario per permettere all’Ucraina di difendere il suo territorio e fare progressi sul campo si riduce costantemente. Per noi, la finestra si sta chiudendo». La compagine “trumpiana” al Congresso è tuttavia rimasta sui suoi passi, in omaggio a un evidente calcolo pre-elettorale, ma anche nella convinzione che il governo non disponga di una vera strategia per l’Ucraina. Nonché per i crescenti timori che parte assai considerevole degli aiuti verrebbe risucchiata nel vortice della corruzione, come si evince – da ultimo – dall’incremento del numero dei milionari registrato in Ucraina dal 2022.
Lo scorso novembre, il generale Valerij Zalužnyj, allora capo di Stato Maggiore dell’esercito ucraino, aveva scritto un articolo sull’«Economist» arricchito da un’intervista rilasciata sempre alla nota rivista britannica. La sue esternazioni hanno con ogni probabilità concorso a portare i preesistenti dissidi con Zelens’kyj oltre la soglia critica, poiché dal quadro dipinto dal generale emergeva con chiarezza cristallina che la controffensiva avviata nella tarda primavera del 2023 dalle forze armate ucraine non aveva raggiunto alcuno degli obiettivi perseguiti dal governo di Kiev e dai suoi sponsor occidentali. Di lì a qualche mese, Zalužnyj è stato rimosso dall’incarico e nominato ambasciatore ucraino in Gran Bretagna; una “promozione” utile a tenerlo a distanza da Kiev.
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Fiori e cannoni: la doppia (e oscura) transizione dell’UE
di Nicola Dimitri
Fiori
Le ricadute socio-ambientali direttamente o indirettamente correlate al cambiamento climatico, riferiscono a fenomeni articolati e complessi (tra loro collegati), idonei a innescare con un effetto a catena centinaia di ulteriori ripercussioni nefaste. Questo è particolarmente vero, ad esempio, se si pensa allo scioglimento delle calotte polari e all’erosione del permafrost (con il rischio di riattivazione di virus o agenti patogeni sconosciuti e potenzialmente letali); all’innalzamento del livello dei mari; alla frammentazione della biodiversità; all’alterazione del ciclo idrologico (con siccità diffusa e precipitazioni più rare quanto severe); all’incremento della mortalità legata all’inquinamento; al consolidamento di fenomeni migratori forzati dovuti a catastrofi naturali (con contestuale approfondimento delle disuguaglianze); allo scoppio sempre più frequente delle c.d. guerre climatiche per la gestione di risorse naturali sempre più scarse…e così via.
Tuttavia, di fronte a tali (drammatici e per certi versi inediti) scenari, l’Unione europea non è rimasta inerte. Al contrario. Le Istituzioni europee e con queste gli Stati membri hanno intensificato i loro sforzi economici e politici al fine di contrastare, o tuttalpiù ritardare, gli effetti avversi del climate change e promuovere la transizione green.
Ad esempio, tra le altre cose, a partire dal 2019 l’obiettivo di costruire un’“Europa verde e a impatto zero” ha trovato ingresso nell’agenda del Consiglio europeo, primeggiando tra le priorità strategiche dei leader dei Paesi membri.
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La propaganda degli 007 per la guerra mondiale
di Elena Basile
Pubblichiamo, su gentile concessione dell'Autrice, l'ultimo articolo dell'Ambasciatrice Elena Basile su il Fatto Quotidiano del 10 marzo. Si tratta di un testo fondamentale per comprendere anche la rete di censura che si muove contro un giornale regolarmente registrato come l'AntiDiplomatico.
Buona lettura
La relazione dell’intelligence italiana al Parlamento illustrata dalla direttrice del Dis Elisabetta Belloni e dal sottosegretario Alfredo Mantovano è purtroppo un riepilogo di luoghi comuni della propaganda Nato senza alcun approfondimento o dato di rilievo. Il ministro Antonio Tajani se ne renderà forse conto. È preoccupante che le competenze dell’intelligence siano, volutamente o meno, incapaci di una visione strategica fondata sulla conoscenza reale degli scacchieri internazionali nei quali si opera. Ci uniamo a Emmanuel Todd che nel suo bellissimo libro La defaite de l’Occident si domanda come sia possibile che l’intelligence occidentale abbia preso un abbaglio così grande con la Russia, assecondando una politica di sanzioni economiche e una graduale discesa in guerra militare della Nato al fianco dell’Ucraina, nel presupposto che in pochi mesi Putin sarebbe caduto e gli occidentali avrebbero avuto a Mosca un governo più debole e malleabile per le loro mire espansionistiche.
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Balzerani, Di Cesare e la polizia del pensiero
di Paolo Persichetti
L’associazione nazionale funzionari di polizia ha ritenuto doveroso inviare una lettera aperta alla professoressa Donatella di Cesare, docente di filosofia teoretica presso l’università di Roma La Sapienza, dopo le polemiche scatenate da un suo tweet di cordoglio per la morte della ex dirigente delle Brigate Rosse Barbara Balzerani, scomparsa domenica 3 marzo 2024. Nel suo breve messaggio la professoressa Di Cesare aveva scritto: «La tua rivoluzione è stata anche la mia. Le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia un addio alla compagna Luna».
Attacco al diritto di parola e di pensiero
L’Anfp è un’associazione di natura sindacale nata per tutelare gli interessi dei quadri direttivi della polizia di Stato. Nella lettera aperta, che potete leggere qui per intero (www.anfp.it/lettera-alla-prof-ssa-di-filosofia-teoretica) si rimprovera alla docente di aver dimostrato mancanza di rispetto verso le vittime e i familiari delle vittime, tra cui si enumerano anche quelle della strage di Bologna che nulla c’entra con la storia politica della Balzerani, anzi si pone in frontale antitesi con il suo percorso, dimenticando troppo in fretta quei funzionari di polizia e dei servizi segreti coinvolti nei depistaggi della strage e per questo condannati, e a cui – a quanto pare – i funzionari di polizia fanno sconti.
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L’Europa sconfitta cerca l’unità nella guerra
di Piero Bevilacqua
L’Unione Europea deve fronteggiare, in questo momento, le due più gravi sconfitte storiche subite da quando esiste. Due disfatte in parte intrecciate e che si condizionano a vicenda.
La prima è in conseguenza dello scacco inflitto dalla Russia alla Nato in Ucraina, la seconda si racchiude nel bilancio fallimentare delle politiche economiche ordoliberistiche su cui l’Unione è nata, che continuano a ispirare la condotta degli Stati membri.
Negli ultimi due anni quasi tutti i governi europei si sono messi a servizio degli USA e della Nato per sostenere la cosiddetta resistenza ucraina contro l’invasione russa. Hanno inviato armi e sostegni di vario genere, imposto sanzioni con cui danneggiavano anche le proprie economie, e sottratto risorse economiche alle proprie attività produttive e al welfare.
L’Europa, poi, ha continuato e addirittura rafforzato il proprio impegno a favore delle operazioni della Nato, anche quando la vera ragione di quella guerra è apparsa pienamente manifesta: sconfiggere la Russia, disgregare il corpo composito della Federazione, con i suoi 24 Stati e circa 200 etnie, effettuare un cambio di regime, poter controllare quell’immenso Paese senza dover rischiare un conflitto atomico, per poi aprire la partita definitiva con la Cina.
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Antisemitismo, maschera d'ossigeno dello stato sionista
di Fulvio Grimaldi
Byoblu-Mondocane 3/17 “ Quando la guerra c’è dentro e fuori”, in onda domenica 10 marzo, 21.30. Repliche lunedì 09.30, martedì 11.00, mercoledì 22.30, giovedì 10.00, sabato 16.30,domenica 09.00.
Occhio alla data del 16 marzo in tutta Italia contro la dittatura globale programmata dal’OMS e agevolata dal nerissimo governo che ci ritroviamo (vedi dopo)
In questa puntata si parla e straparla di un sacco di cose, a partire dell’inesorabile genocidio dei palestinesi, allo sghignazzo tonitruante dedicato alla signora Pina Picierno (PD, ovviamente), vicepresidente – nientemeno – del parlamento UE. Guardatasi in giro e visto come si è bravi a discriminare tra buoni e cattivi, bastonando i primi ed embeddando nell’impunità i secondi, ha scoperto su chi esercitare il suo di ruolo vicepresidenziale della brigata che a forza di cazzotti fa valere i valori dell’Occidente su chi non li trova.
Ha beccato chi, più di ogni scudiero dell’antisistema da castigare, le è parso meritevole di doverosa vendetta sotto forma di severissima sanzione, addirittura europea, di portata continentale, formidabilmente antirussa, al punto da mostrarsi come la più grottesca, ridicola, rozza, nazistica, imbecille mossa che mai abbia potuto allietare il cuore dell’ultimo estratto dello stock nazista dei von der Leyen.
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Ucraina: colta da improvviso panico, l’Europa flirta con ipotesi futili quanto avventate
di Roberto Iannuzzi
Dalla Francia di Macron alla Germania di Scholz, l’Europa a fari spenti di fronte a scelte chiave per il futuro della stabilità continentale
Isteria e allarmismo dominano il dibattito europeo sulla crisi ucraina e sullo scontro con la Russia. “Ciò che guida la politica europea in questo momento è la paura”, ha scritto recentemente il Telegraph in un articolo che tradiva tanto la russofobia britannica quanto l’irritazione di Londra nei confronti della Germania e del suo cancelliere Olaf Scholz.
I dissapori fra le varie capitali europee sono tuttavia conseguenza di un improvviso “risveglio”. Dopo essere cadute vittima della loro stessa propaganda, le élite politiche europee si stanno riavendo dalla sbornia, per scoprire che Kiev sta effettivamente perdendo la guerra.
“La guerra è persa ma i nostri governi rifiutano di ammetterlo. Invece, fingono che si possa ancora vincere – anzi, bisogna vincere per evitare che “Putin” marci verso la Finlandia, la Svezia, gli Stati baltici, e infine Berlino. Due anni fa ci fu promesso che oggi al più tardi la Russia sarebbe stata completamente sconfitta, economicamente, militarmente e politicamente. Ma le sanzioni si sono rivelate un boomerang, e i carri armati Leopard II non erano sufficienti…”
A scrivere queste parole è Wolfgang Streeck, direttore emerito dell’Istituto Max Planck di Colonia. Il quale prosegue:
“È ora di chiedersi chi ha messo gli ucraini in questo pasticcio – chi ha detto all’estrema destra ucraina che la Crimea sarebbe tornata in mano loro? Per evitare tali domande, la classe politica europea è disposta a lasciare che il massacro continui sulla linea congelata del fronte ucraino – cinque anni, dieci anni – nessun problema, tanto saranno solo gli ucraini a combattere. Ma cosa succederà se si rifiuteranno di stare al gioco e di morire per i “nostri valori”?
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In morte di Barbara Balzerani
di ALGAMICA*
Giornali e televisioni nel dare la notizia della morte di Barbara Balzerani, militante delle Brigate Rosse, pongono come in epigrafe che « non si penti mai »!
Ora è piuttosto curioso il fatto che in un mondo di voltagabbana e prezzolati di ogni risma e razza, si trovi strano il fatto che una militante comunista non rinneghi il suo percorso politico.
Scrivo queste note, come per altro ho fatto anche in occasione della morte di Prospero Gallinari, per evidenziare una tesi che ho esposto anche rivolgendomi a Mario Moretti: è sbagliato fare i distinguo sui movimenti politici e ideali delle due generazioni degli anni ’68/69 e quella immediatamente successiva del ’77 del secolo scorso.
Se l’establishment opera una netta separazione tra i movimenti buoni, quelli cioè che protestavano democraticamente, mentre quelli che si definivano combattenti erano terroristi perché si rendevano responsabili di atti di violenza. Peggio che andar di notte per questi secondi che non si sono mai pentiti, fra i quali Barbara Balzerani. E per dare forza al concetto appena espresso si prende come esempio – di “pessima compagnia” la malcapitata Donatella Di Cesare, docente universitaria alla Sapienza di Roma che avrebbe avuto l’ardire di scrivere « La tua rivoluzione è stata anche la mia, le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia, un addio alla compagna Luna ».
Apriti cielo! Democratici e liberisti si scatenano in una feroce critica nei confronti di un concetto semplice e complesso al tempo stesso: « per vie diverse, per gli stessi ideali ». Si scandalizzano solo gli interessati a fare propaganda a sostegno di un sistema che barcolla, che fa acqua da tutte le parti e che spaventa, perciò, i suoi difensori. Noi usiamo un altro criterio.
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Gaza, la bomba più atroce
di Arturo Scotto
Condizioni igienico-sanitarie disastrose, blocco e inefficienza degli aiuti: a Gaza l’emergenza epidemica si somma ai bombardamenti. Senza un cessate il fuoco si prevedono altre 85.000 vittime nei prossimi sei mesi, mentre l’odio cresce in tutta la regione. Reportage dalla missione della delegazione parlamentare Pd, M5S, AVS
I numeri sono la chiave di tutto. Semplicemente perché la guerra, questa maledetta guerra a Gaza, si legge anche attraverso queste lenti che spiegano che il tempo è scaduto. Senza il cessate il fuoco, il bollettino attuale di morti e feriti sarà nulla a confronto dell’impatto che avranno le epidemie. Partiamo dal disastro del sistema sanitario, ormai totalmente saltato in aria: 342 i medici feriti o addirittura uccisi, 100 quelli arrestati o fermati, 106 le ambulanze distrutte o danneggiate, il 16% per cento dei bambini soffre di grave malnutrizione (ne sarebbero morti già dieci secondo UNICEF perché non mangiano e non bevono), 265.000 affetti da infezioni all’apparato respiratorio, 70.000 da malattie della pelle, 210.000 casi di diarrea, 80.000 i casi di epatite A. Le cause sono evidenti: si beve acqua inquinata, i servizi igienici non esistono più (l’OMS ci parla di un bagno ogni quattrocento persone, quando gli standard umanitari per i profughi ne prevedono uno ogni venti), sono rimasti in piedi solo 7 ospedali su 38. Da sempre le guerre sono accompagnate da bombe epidemiologiche.
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Che genere di disuguaglianza: una questione di classe
di coniarerivolta
In occasione della Giornata Internazionale della Donna, spendere qualche parola sullo stato della parità di genere in Italia è quantomeno necessario. Oggi, in particolare, giornali, riviste e trasmissioni televisive presenteranno i loro contributi sulla questione di genere, spesso fornendo dati incompleti e soluzioni inefficaci.
Un prima, spesso sottovalutata, questione riguarda il modo in cui misuriamo, e quindi identifichiamo, le discriminazioni di genere. Un primo indicatore, molto in voga, è il cosiddetto gender wage gap. Questo indicatore cattura – a parità di lavoro – la differenza di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici. Se confrontato con altri paesi europei, sembrerebbe che in Italia sia straordinariamente basso. Potremmo quindi essere indotti a pensare che in Italia le donne lavoratrici siano più tutelate rispetto alle colleghe degli altri paesi europei. Detto in altri termini, verrebbe da pensare che in Italia le disuguaglianze di genere siano inferiori e che nel nostro Paese le donne godano di salari più elevati che altrove. Purtroppo, non è tutto oro quello che luccica. Questa conclusione non sarebbe altro che un’illusione: il divario retributivo è ridotto perché sia le lavoratrici che i lavoratori percepiscono degli stipendi da fame.
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“Attentati a Mosca”, preannuncia l’ambasciata Usa
di Dante Barontini
La guerra ha molti volti, e l’uso dell’intelligence è sempre un aspetto fondamentale di qualsiasi strategia politica e militare. Ma può sempre capitare di fare autogol, ossia di mettere in circolo una informazione che alla lunga rivela un po’ troppo su di te…
Stamattina tutte le agenzie riportano – molto in breve, per carità – che l’Ambasciata statunitense in Russia ha pubblicato un’allerta sul proprio sito web, consigliando ai cittadini americani di evitare i grandi raduni a Mosca, inclusi i concerti, nelle prossime 48 ore a causa di possibili attentati terroristici da parte di estremisti.
Per la precisione: “L’ambasciata sta monitorando notizie secondo cui estremisti hanno piani imminenti per prendere di mira grandi raduni a Mosca, inclusi i concerti, e i cittadini statunitensi dovrebbero essere avvisati di evitare grandi raduni nelle prossime 48 ore”.
Il messaggio è stato confermato e ripreso anche dal ministero degli Esteri britannico.
Bene. In Italia siamo da decenni abituati a un modo di procedere quasi opposto, in cui sono il governo, i “servizi” o la forze di polizia a diffondere allarmi simili.
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Piccolo diario di viaggio sulla Cina
di Claudia Candeloro
La società è molto più pacifica e armoniosa della nostra. Quando viaggi in Occidente spesso la tensione è palpabile (caso estremo, la Turchia), lì non esiste. Anche il ruolo della polizia sembra completamente diverso dal nostro: lì le forze dell’ordine sono una presenza spesso presente sulle strade, ma sono privi di pistole, manganelli o qualsiasi altro strumento intimidatorio. Gli unici momenti in cui li ho visti in azione sono stati a Wuhan, quando hanno bloccato il traffico per fare uscire i bambini da scuola, e alla stazione di Shanghai, dove hanno portato uno scopettone a un’addetta alle pulizie a cui si era rotto. Altro mondo
Sono ritornata per la seconda volta in Cina dopo dieci anni.
Le cose da dire sarebbero un milione, con questo pezzo vorrei però un po’ descrivere alcune informazioni sulla vita quotidiana che ho potuto vedere nella città cinesi che ho visitato: noi sulla Cina tendiamo molto a credere alla nostra propaganda, che ce la descrive come una dittatura che controlla ogni momento della vita quotidiana del popolo, con i lavoratori sfruttati e le persone poverissime.
Non è così, provo a raccontarlo per punti.
1. Innanzitutto, la cosa che a mio parere risalta agli occhi a un occidentale che esplora la Cina è la sensazione di futuro.
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La Meloni arruola l'Italia e gli italiani agli ordini di Zelensky, su richiesta di Biden, calpestando la costituzione
di Francesco Cappello
L’accordo di cooperazione per la sicurezza tra l'Italia e l'Ucraina mette l'Italia nel mirino atomico della Russia
Giorgia Meloni ha di fatto dichiarato guerra alla Russia siglando un accordo decennale in dieci punti e venti articoli [1], frutto velenoso dell’ultimo viaggio a Kiev della premier, che da presidente di turno del G7, nel contesto del protagonismo europeo promosso dalla Von Der Leyen, in merito a riarmo e aiuti a Kiev, cerca di primeggiare e ci riesce nel peggiore dei modi.
Secondo il ministro degli esteri Tajani non è stata necessaria una ratifica parlamentare perché l’accordo non sarebbe vincolante. Gli accordi bilaterali hanno infatti tempi lunghi. Si pensi al memorandum di intesa con Israele del 2003, diventato legge, la legge 94 due anni dopo nel 2005. La via scelta dal governo Meloni è una pericolosissima scorciatoia che oltretutto marginalizza il ruolo del Parlamento. È stata perciò sufficiente la firma della Meloni per impegnare gli italiani e l’Italia nella guerra contro la Russia, affiancando l’Ucraina per i prossimi dieci anni.
Si fanno carte false per continuare la guerra alla Federazione Russa, attraverso la martoriata Ucraina, fronte più avanzato del conflitto in corso, portandola di fatto nell’Unione Europea e nella Nato.
Nessuna proposta che favorisca negoziati e cessazione del conflitto. Il nostro Paese viene ulteriormente esposto alle legittime ritorsioni russe allontanando indefinitamente le residue possibilità di negoziato per una pace autentica che non si è mai cercata. Ricordiamo che già oggi militari italiani sono impegnati in missioni al confine con la Biellorussia, nei paesi baltici, in Bulgaria, in Polonia e con ogni probabilità anche in Ucraina. La cooperazione militare viene siglata nel bel mezzo di una delle più grandi esercitazioni NATO attualmente in corso, la Stedfast defender 2024 che vede direttamente impegnati reparti militari italiani.
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Via della Seta e nuovo multilateralismo: una prospettiva globale
di Gianmarco Pisa*
La dimensione multilaterale è una chiave di volta della risoluzione dei conflitti, a partire dall’eguaglianza tra le nazioni, la non-ingerenza e l’autodeterminazione, sulla base di un approccio politico e diplomatico. Nuovi sistemi di relazione, alternativi all’imperialismo e alle sue guerre, possono aprire nuovi spazi per la cooperazione internazionale, e fornire un contributo rilevante per lo sviluppo e per la pace.
Le rotte energetiche internazionali (la rete internazionale dei gasdotti e degli oleodotti) e in generale l’insieme delle rotte mercantili rappresentano, da sempre, uno strumento di lettura della dinamica internazionale, una misura dell’andamento delle relazioni strategiche e, per quanto riguarda l’aspetto specificamente geopolitico, un punto di vista, interessante per quanto non esaustivo, circa gli sviluppi sui diversi scacchieri geopolitici, sui rapporti di alleanze, sull’emergenza di nuovi attori e di nuovi interessi nei diversi quadranti. Per quello che riguarda la stagione storica e politica a noi più vicina, sotto questo aspetto, due date meritano di essere segnalate per la loro importanza: perché indicano dei passaggi di fase significativi e perché addensano al proprio interno una serie di eventi particolarmente rilevanti per la loro portata e per le loro conseguenze.
La prima di queste è senza dubbio il 1999.
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Il Capitale: un libro che non abbiamo ancora letto
Lo spettacolo sull’occupazione GKN
di Sara Nocent
Una mattina d’estate del 2021, i lavoratori della Gkn di Campi Bisenzio ricevono una mail: la multinazionale londinese comunica il licenziamento di quattrocentoventidue dipendenti. Senza prima essersi confrontata con i sindacati. In un giorno di ferie forzate.
“Ce l’hanno fatta”, esclama uno degli operai che troviamo in scena. “Il capitale ci ha allenato a questo”. La consapevolezza di essere precari, il girone delle ferie forzate, il gioco delle delocalizzazioni e dei misteriosi cambi di proprietà che cercano di coprire l’intenzione, quella tutt’altro che nascosta, di abbattere il costo del lavoro e aumentare il guadagno degli azionisti.
Quanto tempo è passato, penso? E penso anche che siamo in tanti: in sala, in una serata di febbraio, in una città del ricco Nord Est come Udine, tra studenti e lavoratori riempiamo un intero teatro… per parlare del capitale. Dei suoi effetti, del sistema in cui ci troviamo che intrama le nostre vite ogni giorno.
Non è solo un libro, Il Capitale, non sono solo le teorie di Karl Marx. Tre volumi di cosa? Di parole, smembrate e proiettate su una tenda a strisce, come quelle che si trovano appunto nelle fabbriche o nei magazzini, in fondo alla scenografia, algide citazioni che sovrastano gli operai, che restano incomprensibili anche se parlano di noi.
Uno spettacolo è fatto di tempo, come il lavoro. Penso, continuo a pensare anche quando sono uscita dalla sala buia del Palamostre. Pianto gli occhi sul soffitto, perché la verità è che è fottutamente difficile rimanere impassibile.
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La concezione della guerra da von Clausewitz a von del Leyen
di comidad
Secondo lo stracitato aforisma di Carl von Clausewitz, la guerra sarebbe la continuazione della politica con altri mezzi. Grazie all’intervento di Ursula von der Leyen del 28 febbraio scorso, quella concezione un po’ naif del vecchio generale prussiano è stata finalmente superata e aggiornata. Secondo la presidente della Commissione Europea la guerra infatti non è altro che continuare a derubare i contribuenti con tutti i mezzi. Non sono stati i soliti complottisti, ma la von der Leyen in persona a richiamare l’affinità con quanto accaduto con i vaccini. La cleptocrate blasonata ha invocato anche per le armi l’attuazione di appalti congiunti, così come era già accaduto per i vaccini e per il gas. Lo sfruttamento non avviene soltanto attraverso il lavoro ma anche con la leva fiscale ai danni dei più poveri, con aumenti di accise e tariffe energetiche, e anche dirottando la spesa dai servizi pubblici agli oligopoli dei farmaci e delle armi, feticizzando le loro inutili e costosissime merci con immaginari contenuti salvifici.
Il crescente trasferimento di reddito dalle classi subalterne alle oligarchie necessita di un’opera di distrazione, che non esiti a far leva anche su sentimenti sacrosanti come il timore della guerra mondiale o come l’orrore per il genocidio.
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Alle radici della Rivoluzione industriale: la schiavitù
di Sandro Moiso
Eric Williams, Capitalismo e schiavitù. Il colonialismo come motore della Rivoluzione industriale, Meltemi editore, Milano 2024, pp. 370, 24 euro
Eric Eustace Williams (Trinidad, 25 settembre 1911 – Trinidad, 29 marzo 1981) è stato professore di Scienze politiche e sociali presso l’Howard University di Washington D.C. Fondatore nel 1956 del partito “People’s National Movement” di Trinidad e Tobago, è considerato da alcuni come il “padre della nazione” dopo aver portato la colonia britannica all’indipendenza il 31 agosto 1962 e allo status di repubblica il 1º agosto 1976, divenendone anche Primo ministro, carica che ricoprì fino alla sua morte.
E’ considerato come uno dei più noti storici dei Caraibi, insieme a Cyril Lionel Robert James, soprattutto per il suo libro intitolato “Capitalismo e schiavitù”, appena pubblicato in Italia da Meltemi editore. Frutto di uno studio del 1944, la ricerca costituisce un’opera imprescindibile per la comprensione dello sviluppo e del successo dell’Impero britannico e della Rivoluzione industriale.
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La partita truccata dell’Occidente
di Norberto Fragiacomo
Nel febbraio 2022 (lo scrissi già all’epoca) Vladimir Putin assunse forzatamente l’iniziativa, reputando un azzardato salto nel buio meno pericoloso della supina accettazione dell’imminente insediamento di truppe e missili NATO a un tiro di schioppo da Mosca. La dimostrazione di forza avrebbe dovuto convincere gli ucraini a scendere a più miti consigli, ma i conti non vanno mai fatti senza l’oste, in veste stavolta di sponsor e “suggeritore”.
Alla luce degli avvenimenti successivi direi che, dopo il sabotaggio angloamericano dei colloqui di pace della primavera 2022, il presidente russo ha optato in Ucraina per una guerra convenzionale, prolungata e a bassa intensità (malgrado l’ecatombe di uomini in divisa).
La scommessa si basava sull’ipotesi che USA e sottordini avrebbero sì sostenuto gli ucraini, ma in maniera poco più che simbolica, per poi tirarsi indietro come hanno fatto (dopo lustri, però!) in Iraq e in Afghanistan. In effetti le copiose forniture militari a Kiev non sono bastate a garantire un’improbabile vittoria totale (terrestre) sulla Russia, ma la sbandierata volontà di riconquista delle regioni annesse, Crimea compresa, non corrispondeva probabilmente alle reali intenzioni. I piani dovevano essere più complessi, subdoli e ambiziosi.
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Le menti degli uomini disperati
di Scott Ritter - Consortium News
"O malvagità, sei veloce a entrare nei pensieri degli uomini disperati!"
—Romeo e Giulietta, Atto 5, Scena 1
Con queste parole, William Shakespeare, l'immortale bardo, cattura la psicologia degli uomini che, credendo di trovarsi di fronte a una situazione per la quale non c'è speranza di risoluzione, intraprendono azioni che inevitabilmente li condurranno alla morte.
Anche se ambientata nella Mantova del XIV secolo, in Italia, la tragedia di Shakespeare potrebbe facilmente essere trasportata nel tempo fino alla Francia di oggi, dove il presidente francese Emmanuel Macron, nel ruolo di un moderno Romeo, dopo aver appreso della scomparsa del suo vero amore, l'Ucraina, decide di commettere suicidio incoraggiando l'invio di truppe NATO in Ucraina per confrontarsi militarmente con la Russia.
Macron stava ospitando la scorsa settimana una riunione di crisi, convocata per discutere delle condizioni deteriorate sul campo di battaglia in Ucraina a seguito della cattura russa della città fortezza di Adveevka. Alla riunione hanno partecipato alti rappresentanti degli Stati membri della NATO, tra cui gli Stati Uniti e il Canada.
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AIPAC, l’arma di Israele
di Michele Paris
Con il genocidio palestinese in corso da quasi cinque mesi, la gravissima crisi nella striscia di Gaza e i crimini di Israele sono al centro della campagna elettorale anche negli Stati Uniti. L’opposizione alle politiche di totale complicità dell’amministrazione Biden si sta rapidamente allargando, fino a includere un certo numero di membri del Congresso, in buona parte riconducibili all’ala “progressista” del Partito Democratico. Quest’ultima fazione non avrà però vita facile alle urne, nonostante il largo consenso che trova tra gli elettori la causa palestinese.
Contro i candidati che intendono assumere un’attitudine anche moderatamente critica dello stato ebraico si scaglierà infatti la vera e propria macchina da guerra della lobby sionista AIPAC (“American Israel Public Affairs Committee”), pronta a spendere una cifra vicina ai 100 milioni di dollari per affondare gli aspiranti alle cariche elettive non sufficientemente asserviti agli interessi israeliani.
Un recente articolo pubblicato dalla testata on-line Politico ha fatto luce sulla strategia di AIPAC in questa tornata elettorale. Il gruppo di pressione filo-israeliano si è già messo in azione per le primarie e tra i suoi obiettivi principali c’è la promozione di candidati favorevoli a Israele in competizioni del Partito Democratico dove sono impegnati deputati o aspiranti tali che hanno espresso una qualche condanna nei confronti dei massacri commessi dal regime di Netanyahu.
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Il Marx "verde" di Kohei Saito
di Carlo Formenti
Mi sono già occupato delle tesi del marxista giapponese Kohei Saito nella prima puntata dell'articolo "La cassetta degli attrezzi. Postille a Guerra e rivoluzione", uscito il 18 gennaio scorso su questo blog (https://socialismodelsecoloxxi.blogspot.com/2024/01/la-cassetta-degli-attrezzi-postille.html). In quell'occasione avevo discusso un suo libro dal titolo Marx in the Anthropocene (Cambridge University Press, 2022). Poco dopo, l'editore Fazi ha dato alle stampe l'edizione italiana di un testo precedente, L'ecosocialismo di Karl Marx (Karl Marx's Ecosocialism), un saggio che ha avuto uno strepitoso successo in Giappone (mezzo milione di copie!) e che, grazie alle sue tesi provocatorie, presumo ne avrà altrettanto a livello mondiale. Ho quindi ritenuto opportuno dedicargli questo secondo intervento nel quale, da un lato, ribadisco le perplessità formulate nel primo, dall'altro tento di approfondire alcuni dei temi affrontati da Saito che mi sono parsi tutt'altro che privi di interesse.
Saito mette le mani avanti, riconoscendo che, se ci si limita a considerare la produzione marxiana "canonica", sembrano più che fondate le critiche rivoltagli sia dagli ecologisti che da coloro che lo accusano di eurocentrismo (1): il filosofo di Treviri, il che vale a maggior ragione per Engels, aveva ancora, infatti, una visione unilateralmente ottimistica della funzione storica del capitalismo, al quale riconosceva il merito di avere accelerato, non solo il progresso economico, ma anche quello civile dell'umanità, contribuendo a emanciparla dai vincoli sociali e ideologici che impastoiavano il mondo precapitalista.
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Saccheggio dell'Africa: destra e sinistra al servizio della NATO - Michelangelo Severgnini
di Alessandro Bianchi
Mentre domenica “Io Capitano” di Garrone si presenterà agli Oscar con un film che non affronta minimamente il colonialismo occidentale dietro la nuova tratta degli schiavi, c'è un altro regista italiano, Michelangelo Severgnini, che da anni è impegnato a combattere la censura e l’ostracismo contro i suoi lavori che hanno il grande torto di farlo, diffondendo la voce diretta del continente africano.
Nel suo ultimo lavoro, “Una storia antidiplomatica”, prodotto da l'AntiDiplomatico, ha formalizzato una costituente sulla migrazione in 8 punti a disposizione del dibattito pubblico.
Per "Egemonia" ripercorriamo insieme a lui le varie tappe che hanno portato alla sua realizzazione.
Che cos’è “una storia antidiplomatica”? “E’ tante cose insieme. Innanzi tutto, è un aggiornamento rispetto al film “L’Urlo”, che arriva a narrare le vicende come stavano fino ai primi mesi del 2021. Quel racconto andava aggiornato. Non solo perché nel frattempo si sono verificate alcune vicende storiche, penso alle mancate elezioni in Libia del dicembre 2021, ma anche perché in questi ultimi anni ho raccolto e ricevuto altro materiale dalla Libia e dall’Africa che a sua volta meritava di essere contenuto in un lavoro di questo tipo”.
“Una storia antidiplomatica” è, come correttamente illustrato nella sua recente recensione su l'AD da Giulia Bertotto, un “meta-documentario”, perché si raccontano anche le vicende pubbliche legate alla censura di questi mesi. Una data più di tutte ha segnato la carriera di Severgnini. Era il 25 novembre del 2022 a Napoli e la proiezione del film "l'Urlo" - durante il "Festival dei diritti umani" - viene interrotta in modo coatto da quello che poi il regista definirà “squadrismo buonista” delle Ong.
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Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
di Roberto Paura
Il testo fondamentale di William MacAskill e il pamphlet demolitorio di Irene Doda a confronto
Comprimendo l’intera storia della Terra in un’ora, scopriremmo che i primi mammiferi sono comparsi al minuto 57 e il primo Homo sapiens un centesimo di secondo prima dello scoccare dell’ora. Alvin Toffler, il futurologo dello “choc del futuro”, immaginò di ridurre gli ultimi 50.000 anni di storia umana in ottocento cicli di 62 anni (oggi sarebbero 801), osservando che solo negli ultimi settanta cicli esiste la scrittura, solo negli ultimi 6 la parola stampata, e quasi tutto ciò che utilizziamo oggi è stato prodotto nell’ultimo ciclo (Cfr. Toffler, 1988). Questo modo di ragionare sul “tempo profondo” aiuta a prendere coscienza di quanto passato sia alle nostre spalle. Ma quanto futuro c’è invece davanti a noi? Molto dipende da quanto durerà l’essere umano. William MacAskill, pioniere della filosofia del lungotermismo, prova a fare un calcolo in Che cosa dobbiamo al futuro. Se la nostra specie durasse in media quanto le altre specie di mammiferi, la storia umana potrebbe estendersi per un milione di anni, di cui 300.000 circa passati da quanto è emerso Homo sapiens. Abbiamo quindi almeno settecentomila anni ancora davanti a noi. Ma perché accontentarci? Essendo molto più capaci di qualsiasi altra specie vivente sulla Terra, dovremmo poter sopravvivere ben più a lungo di esse. La Terra resterà abitabile per centinaia di milioni di anni, e se ci diffondessimo nel Sistema Solare avremmo quattro miliardi di anni ancora davanti (tanti quanti ci separano dalla morte del Sole); ma se sciamassimo in tutta la galassia, o in tutto l’universo, potremmo sopravvivere per un milione di migliaia di miliardi di anni. Ma se invece un brutto giorno, come capitò ai dinosauri, un asteroide colpisse la Terra portandoci all’estinzione? Se qualche invenzione tecnologica fuori controllo arrivasse ad annientare l’intera umanità? Non è forse vero che, secondo gli esperti del Bulletin of Atomic Scientists, l’Orologio dell’Apocalisse è più vicino che mai alla mezzanotte?
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I perché di questa inutile guerra e come se ne esce
di Jeffrey Sachs
La guerra d’ucraina compie due anni. Due anni di massacri, morti, distruzioni e dissesti economici che avrebbero potuto essere facilmente evitati. La verità è venuta a galla: questa è una guerra causata da un cinico sforzo trentennale degli Stati Uniti per mantenere la Russia debole, anche attraverso l’espansione della Nato in Ucraina. L’Europa, purtroppo, è uno dei due grandi sconfitti della politica statunitense, il più grande dei quali è naturalmente l’ucraina.
Non ci sarebbe stata nessuna guerra se gli Usa non avessero spinto per l’allargamento della Nato negli anni 90, contrariamente alla promessa fatta a Gorbaciov nel 1990: la Nato non si sarebbe mossa “di un pollice verso est”. Non ci sarebbe stata nessuna guerra se gli Usa non avessero allargato la Nato a 10 Paesi tra il 1999 e il 2004: Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia nel 1999; Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovenia e Slovacchia nel 2004. Non ci sarebbe stata nessuna guerra se la Nato non avesse bombardato Belgrado per 78 giorni di fila nel 1999, facendo a pezzi la Serbia. Non ci sarebbe stata nessuna guerra se gli Usa non avessero abbandonato unilateralmente il Trattato sui missili anti-balistici e non avessero iniziato a schierare i missili Aegis vicino alla Russia.
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