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Il nuovo, vecchio, rilancio della guerra ucraina
di Piccole Note
La disperazione dei neocon a cui non basta il "momento Navalny" per superare gli ostacoli del congresso Usa. Le nuovo, folli proposte per continuare la macelleria ucraina
Lo tsunami Navalny si è abbattuto su entrambe le sponde dell’oceano con effetti differenti. Se negli Usa l’effetto è stato attutito, salvo qualche intemperanza verbale verso Putin, in Europa ha avuto l’effetto della benzina sulle fiamme in via di estinzione della guerra ucraina, ravvivando l’incendio.
Guerra ucraina, la “disperazione” neocon
Al congresso Usa infatti i repubblicani fedeli a Trump sembrano aver resistito alle pressioni neocon per rilanciare la crociata anti-russa. E questa non è cosa da poco visto che la Camera dovrà decidere del nuovo stanziamento destinato all’Ucraina, o meglio dovrà decidere un nuovo finanziamento destinato alle aziende Usa che producono armi destinate all’Ucraina, come ha recentemente puntualizzato la Nuland, citata Ron Paul.
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La transizione energetica è impossibile nel capitalismo
di Raúl Zibechi
Il sistema capitalista è profondamente dipendente dai combustibili fossili ed è in agricoltura che quella dipendenza è decisiva. Quelli che sono in alto lo sanno, non possono e non vogliono sbarazzarsi del fossile: per questo promuovono una transizione energetica con cui consolidarsi in un periodo caos climatico. In questo senso, il capitalismo, scrive Raúl Zibechi, opera con le stesse modalità che mette in atto di fronte alle contestazioni del patriarcato e del colonialismo: cercando di legittimarsi con presunte politiche contro il maschilismo e il razzismo
Il capitalismo starebbe promuovendo una transizione energetica per consolidarsi in un periodo di crisi e caos climatico che può minacciare la sua [presunta] legittimità. In questo senso, opera con le stesse modalità che mette in atto di fronte alle contestazioni del patriarcato e del colonialismo: cercando di legittimarsi con presunte politiche contro il maschilismo e il razzismo, fingendo che il sistema condivida alcuni aspetti delle lotte femministe e di quelle dei popoli oppressi, con l’obiettivo di ritagliarsi un piccolo settore di fedeli che si incastonano al vertice della piramide del sistema.
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Al NYT hanno scoperto che gli “stupri di massa” erano solo propaganda
di Daniele Luttazzi
Anche in Italia i propagandisti pro-Netanyahu scrissero sui giornali e raccontarono in tv degli “stupri di massa” commessi da Hamas a Gaza il 7 ottobre. L’avevano letto sul New York Times, e la “notizia” era stata rilanciata dalla Bbc, dal Guardian, dalla Cnn, dall’Associated Press e da Reuters; ma quegli articoli sugli “stupri di massa” erano un falso. I co-autori di quei pezzi, lodati all’epoca dal caporedattore del Times Joe Kahn, erano Jeffrey Gettleman, Anat Schwartz e Adam Sella. Sabato scorso l’account Telegram @zei_squirrel ha aperto un vaso di Pandora: ha mostrato al mondo i like di Anat Schwartz a diversi post di propaganda sionista su X, fra cui uno che definiva i palestinesi “animali” che meritano un “Olocausto”; uno sui “40 bambini decapitati” (un altro falso); uno che invocava la trasformazione di Gaza in un “mattatoio”; e un altro che esortava i propagandisti di Israele a diffondere il paragone “Hamas è l’Isis” per spaventare l’opinione pubblica occidentale (t.ly/ntbMI).
Il Times ha aperto un’inchiesta interna sulla Schwartz poiché le norme aziendali vietano ai suoi giornalisti di “esprimere opinioni di parte, promuovere opinioni politiche, sostenere candidati, fare commenti offensivi o fare qualsiasi altra cosa che possa minare la reputazione giornalistica del Times”.
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Pisa: ipocrita sceneggiata di destra e “sinistra”
di Fabrizio Marchi
Voglio ribadire la mia solidarietà ai giovani liceali pisani che sono stati presi a manganellate dalla polizia. Dire – come hanno fatto alcuni esponenti del governo e del centrodestra – che gli agenti hanno reagito in quel modo perché sono stati provocati o presi a parolacce è ridicolo. Ogni domenica negli stadi poliziotti e carabinieri vengono insultati (e a volte anche fatti oggetto di lanci di oggetti di vario genere) e, anche se può essere fastidioso accettarlo, sono pagati anche per sopportare insulti, fischi e lazzi, perché il fine delle forze dell’ordine (così si chiamano non a caso) è il mantenimento e la salvaguardia dell’ordine pubblico, non caricare o pestare chi ti prende a parolacce durante una manifestazione, specie se si è in presenza di ragazzini che magari giocano a fare i duri e a incappucciarsi, ma sempre di ragazzini si tratta. E siccome è il grande che contiene il piccolo e non viceversa, le forze dell’ordine sono chiamate a svolgere la loro funzione con equilibrio e con le dovute proporzioni, cosa che a Pisa non mi pare sia avvenuta. Se anche quegli studenti avessero tentato di dirigersi in luoghi non autorizzati – perché questa è stata una delle risposte date da alcuni esponenti del centrodestra per giustificare quanto avvenuto – la polizia era sicuramente in grado di bloccarli senza ricorrere a una risposta così dura.
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La fiducia nelle istituzioni e i dividendi di guerra
di Fabio Vighi
‘La morte dell’Occidente non ci ha privato proprio di nulla di vivo ed essenziale e la nostalgia è quindi fuori questione.’ (Giorgio Agamben)
Anche se quasi nessuno lo vuole ammettere, il nostro “sistema” è obsoleto, e per questo si sta trasformando in “sistema chiuso”, ovvero totalitario. È altrettanto evidente che i pochi che continuano a trarre vantaggio materiale dal sistema capitalistico – il famigerato 0,1% – sono disposti a tutto pur di prolungarne l’obsoleta esistenza. Alla radice, il capitalismo contemporaneo funziona in modo molto semplice: si emette debito da una porta e lo si riacquista da un’altra grazie all’emissione di nuovo debito; un loop all’apparenza inattaccabile da cui origina la maggior parte dei fenomeni distruttivi con cui ci troviamo a convivere.
Gli esecutori del meccanismo sono una classe di funzionari-profittatori il cui principale tratto psicologico è la psicopatia. Sono talmente devoti al meccanismo da esserne diventati delle estensioni – come automi, lavorano indefessamente per il meccanismo, senza rimorso alcuno per la devastazione di vita umana che dispensa. La dimensione psicopatica (disinibita, manipolatoria, e criminosamente antisociale) non è però una prerogativa esclusiva della cricca finanziaria transnazionale, ma si estende a macchia d’olio sia sulla casta politico-istituzionale (dai vertici dei governi agli amministratori locali), che sull’apparato cosiddetto intellettuale (esperti, giornalisti, scrittori, filosofi, artisti, nani e ballerine). In altre parole, la mediazione politico-culturale della realtà è oggi interamente mediata dal meccanismo stesso. Chi entra nel sistema non solo deve aprioristicamente accettarne le regole ma, ipso facto, ne assume lo specifico carattere psicopatologico. Così, la folle oggettività capitalistica (il suo spietato congegno riproduttivo) diventa indistinguibile dal soggetto che lo rappresenta.
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Tempesta e bonaccia
di Gianni Giovannelli
Open pathway trough the slow sad sail
Trough wide to the wind the gates to the wandering boat
For my voyage to begin to the end of my wound
(Dylan Thomas)
(Apri un varco nella lenta, nella lugubre vela
Schiudi al vento le porte del vascello vagante
Perché inizi il mio viaggio verso la fine delle mie ferite)
(trad. Ariodante Marianni)
La guerra prende piede, cresce giorno dopo giorno, una vera e propria tempesta che non lascia intravedere momenti di tregua. In Ucraina non è solo un conflitto di trincea, uno scontro fra soldati per la conquista di aree territoriali e per la distruzione delle risorse del nemico. Non c’è dubbio che sia anche questo, come non c’è dubbio che al fronte muoiano, accanto ai militari di professione, migliaia e migliaia di soggetti rastrellati, costretti a indossare la divisa, o, anche, volontari vittime della propaganda nazionalista. Però non basta. Piovono bombe lanciate dai droni, cadono missili, la strage di civili prosegue senza sosta. I fabbricanti di armi si arricchiscono, godono di scandalose agevolazioni fiscali, vengono lautamente pagati con il denaro sottratto alla sanità, all’istruzione, alle pensioni, ai resti di welfare eroso. L’opposizione alla guerra, anche se proposta senza foga o quasi sottovoce, viene immediatamente equiparata a tradimento, diserzione, crimine contro le istituzioni. La chiamata alle armi è contagiosa. A Gaza ha preso la forma del massacro. Poco importa la qualificazione tecnico-giuridica, se si tratti di genocidio o meno. Rimane una carneficina, con le immagini di soldati felici di uccidere, consuete durante ogni strage della popolazione consumata da un esercito occupante, incitato dai comandanti a rimuovere ogni forma di scrupolo morale.
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Il NYTimes e la guerra della CIA
di Mario Lombardo
Le due tesi fondamentali su cui si è basata e in larga misura continua a basarsi la campagna di propaganda occidentale contro la Russia sono la natura “non provocata” dell’intervento militare lanciato quasi esattamente due anni fa e il semplice appoggio esterno dei paesi NATO al regime di Zelensky, ufficialmente contrari a una partecipazione diretta alle operazioni belliche contro Mosca. Un lungo articolo del New York Times, pubblicato nel fine settimana, ha smentito però entrambe le versioni, confermando sia la strettissima collaborazione tra gli Stati Uniti e, in particolare, la CIA e le forze ucraine sia la valanga di provocazioni orchestrate da Washington e Kiev almeno a partire dal colpo di stato neo-nazista del febbraio 2014.
È lo stesso giornale americano a convalidare ciò che i servizi segreti russi e il Cremlino avevano sostenuto alla vigilia dell’inizio della cosiddetta “Operazione Militare Speciale”. La CIA, assieme al britannico MI6, stava cioè trasformando a tutti gli effetti l’Ucraina in un centro nevralgico da cui pianificare e condurre operazioni destinate a colpire e indebolire la Russia.
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Il pantano dell’ultimo azzardo e i trent’anni contro la Russia
di Fabio Mini
Sull’anniversario dei due anni dall’invasione russa in Ucraina non dovrei scrivere nulla, sia per coerenza con quanto ho sempre sostenuto (la tragedia non è iniziata il 24 febbraio 2022), sia perché dopo due anni non vedo fatti sorprendenti da commentare in Ucraina rispetto a quanto succede altrove. Semmai merita una riflessione l’anniversario dei trent’anni (dal 1994) di destabilizzazione in Europa e allargamento della Nato ai danni della sicurezza russa, dei vent’anni di guerra di sovversione (dal 2004) da parte degli Stati Uniti in Ucraina e dei dieci anni (dal 2014) di guerra di repressione ucraina nei confronti dei suoi stessi cittadini russofoni. In questa prospettiva, la spedizione militare russa in territorio ucraino del 2022 appare per quello che veramente è stata e non per ciò che a essa è stato attribuito da chi voleva e ancora vuole la guerra in Europa contro la Russia e contro la stessa Europa. Non è stata un’invasione full scale (totale), unmotivated (immotivata), unprovoked (non provocata), illegal (illegale) e nemmeno criminal (criminale) come ci viene propinato. È stata una delle possibili risposte alla guerra voluta, preparata e sostenuta esattamente da chi la definisce con tali espressioni. Di fronte a un regime ucraino che con i presidenti Yuschenko, Turcynov e Poroshenko era palesemente nazista e antirusso, e con quello di Zelensky pronto a subire i diktat dell’estrema destra sostenuta dagli Stati Uniti e dall’Europa, la Russia aveva già lanciato chiari messaggi.
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Perfect Days. La speranza orientale di Wim Wenders
di Roberto Donini
1) Sul Kototoi bridge di Tokyo, sospeso sullo scorrere del canale di Sumida, insieme alla nipote Niko, Hirayama, il protagonista, pronuncia il suo unico discorso per esporre una teoria di spazio e tempo. Lo spazio è “monadi”, afferma: “ognuno è un Mondo” con possibilità ma non necessità di incontrare “un altro Mondo”. Il tempo è istanti presenti - discontinui, canticchia con la nipote: “adesso è adesso - un’altra volta è un’altra volta” e allude a una non linearità – progressiva del tempo. Il film narra la “routine” del protagonista e questa ripetizione ci propone un mondo stabile. Lo spazio si allarga (espira) dall’angusta casa → alla città intera dove lavora, ai giardini, alle terme, al piccolo bar dove mangia la sera → alle piccole variazioni del giorno di festa (la lavanderia, la libreria, il locale) → per poi, infine, tornare a restringersi nella casa (inspira).
Analogamente “respira” il tempo: ogni “genere” di gesto (alzarsi /piegare il futon, ecc.) con minime varianti “specifiche” è celebrato ogni giorno. Circoscrizione dello spazio con abitudinale frequentazionedegli stessi luoghi e ritualizzazione del tempo con la ripetizione altrettanto puntuale dei gesti. Torna sempre sugli stessi posti e fa sempre le stesse cose, così ha familiarità del proprio Mondo e “rallenta” il proprio tempo.
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Il Medio-Oriente nel mondo multipolare
L’analisi di Saïd Boumama
di Said Boumama*
Per comprendere la portata del genocidio in corso a Gaza e l’incondizionato sostegno europeo e degli Stati Uniti a Israele, dobbiamo collocarlo nel contesto globale del rapporto di forza tra BRICS e i paesi occidentali, che si riflette nella frenetica volontà di questi ultimi a contenere i primi e a frenarne lo sviluppo.
Il giornalista Richard Medhurst riassume questo contesto globale come segue:
“Questa è una delle principali ragioni geopolitiche del massacro di Israele a Gaza. Gli Stati Uniti, principale sostenitore di Israele, sono alla disperata ricerca di un modo per cercare di contenere i BRICS, e, più in particolare, di contrastare la Nuova Via della Seta cinese. La costruzione di un corridoio rivale conterrebbe in un sol colpo Cina, Iran e Siria e aiuterebbe Israele e gli Stati Uniti a mantenere il loro dominio economico e politico contro un mondo multipolare”.
Per contrastare l’immenso progetto cinese di infrastrutture di trasporto della Via della Seta, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno sviluppato un progetto concorrente che richiede il controllo di Gaza.
Annunciato al vertice del G20 a settembre 2023, questo progetto chiamato “Corridoio India-Europa-Medio Oriente” e presentato come segue da una nota informativa della Casa Bianca del 9 settembre:
“Oggi noi dirigenti di Stati Uniti, India, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania, Italia e Unione Europea abbiamo annunciato un memorandum d’intesa in cui ci impegniamo a lavorare insieme per stabilire un nuovo corridoio economico India–Medio Oriente–Europa.
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Black marxism
di Francesco Festa
Cedric J. Robinson, Black marxism. Genealogia della tradizione radicale nera, prefazione e postfazione di M. Mellino, traduzione di E. Giammarco, Edizioni Alegre, Roma, 2023, pp. 800, € 35,00
Quando il 20 gennaio 2009 varcò la porta della Casa Bianca di Washington, Barack Obama era il primo presidente nero nella storia degli Stati Uniti d’America. Dati i due mandati consecutivi, fino al 2017 visse in quella casa. Una sineddoche epifenomenica: un nero che s’insedia a capo del paese fra i più razzisti della storia contemporanea. Al mondo intero parve che quell’elezione ponesse fine alla febbre del razzismo, inaugurando un’era post-razziale.
Il 9 agosto 2014, nel Missouri, un poliziotto, Darren Wilson, sparò e uccise durante un controllo il diciottenne afroamericano Michael Brown. Per settimane si susseguirono rivolte e proclami di coprifuoco. Ferguson, Los Angeles, New York, Houston, e altre città vennero sconvolte dalle proteste a seguito della sentenza di assoluzione del poliziotto emessa dal Gran Giurì e dal pubblico ministero della contea di St. Luis, Robert P. McCulloch – un democratico eletto ininterrottamente alla carica dal 1991.
Dopo quasi un decennio di presidenza di Obama, al soglio di quella casa salì Donald Trump. Il presidente più sfacciatamente razzista e suprematista della storia statunitense.
Insomma, la questione razziale non sembra proprio esser stata superata. Anzi, oltre la siepe di quella casa vi è un’escrescenza che cresce sempre più, assumendo forme inquietanti – i confini e i margini delle società democratiche che spingono verso il centro della realtà sociale.
Conviene analizzare la questione stessa in altro modo, ossia come il razzismo e la supremazia bianca siano elementi strutturali della società statunitense, per dirla con Angela Davis.
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I mercanti del dubbio e la corruzione della scienza
di Pietro Frigato
Lo shock indotto dal Covid-19 e dalle politiche sanitarie coercitive imposte sotto l’egida emergenziale ha, tra le varie significative conseguenze, suscitato un vespaio di polemiche sulla natura della ‘vera’ scienza. Un normale cittadino, spesso impoverito, con un lavoro instabile o ridotto alla condizione di working poor, ha così potuto assistere a un perdurante cicaleccio sui media mainstream ma anche su molta parte del fronte alternativo, mai davvero all’altezza di una rappresentazione realistica del mondo largamente privatizzato, corrotto e inefficiente in cui la ricerca scientifica deperisce dagli anni ‘80.
Nel rapsodico ripresentarsi della questione, i più paiono non nutrire dubbi sulla natura esclusivamente benigna del dubbio cartesiano per l’avanzamento di tutti i tipi di conoscenze scientifiche. Accade così che, stando alla istituzionalizzata dicotomia di ingegneria sociale vax vs. no-vax, sia i primi che i secondi enfatizzino senz’altro il valore gnoseologico del dubbio: i pro-vax, sostenendo che non ci sono sufficienti evidenze che dimostrino che i sieri genici nanobiotecnologici non siano efficaci e non siano sicuri; i secondi, argomentando che la scienza mainstream non ammette di essere messa in dubbio, pur in presenza di robuste evidenze che ne refutano i risultati.
- Agnotologia
Questa contrapposizione, nell’ambito della quale il valore epistemologico del dubbio e dell’incertezza fino a evidenza contraria risulta essere condiviso tra le parti, al fondo si basa sulla discordanza delle posizioni rispetto a quanta e quale evidenza risulti necessaria e sufficiente per avanzare dubbi.
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Kiev, i colpi di coda dell'Occidente
di Fabio Marcelli
Non ci vogliono stare. La propaganda atlantista rilancia, imperterrita e sbruffona, traendo alimento dalla triste e oscura fine di Alexei Navalny. Eppure la situazione sul campo è molto chiara e indica che, come prevedibile, la Russia sta prevalendo. Putin del resto ha più volte espresso la sua disponibilità a negoziare una pace onorevole per entrambe le parti. Base concreta del negoziato è l’accordo raggiunto a Istanbul poco tempo dopo l’invasione, che lo stesso Putin cita più volte nella nota intervista al giornalista statunitense Tucker Carlsson. Gli ingredienti sono quelli noti da tempo: autonomia del Donbass, Crimea alla Russia (eventualmente verificando in entrambi i casi la volontà popolare), divieto di propaganda nazista e neutralità per l’Ucraina. Un accordo mutuamente soddisfacente che si sarebbe potuto raggiungere agevolmente due anni e circa duecentomila morti fa.
Ma le infami burocrazie atlantiste non demordono. Con incredibile arroganza il presidente (ancora per poco) del Consiglio europeo, Charles Michel, afferma che esiste solo un piano A, la vittoria dell’Ucraina, mentre il malfermo Joe Biden, che ricopre ancora per poco la carica di presidente degli Stati Uniti, approfitta della morte di Navalny per tornare a insultare grossolanamente Putin.
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Sicurezza? Quello che Meloni ha firmato a Kiev a nome dello stato italiano
di Andrea Zhok
Giorgia Meloni a nome dello stato italiano ha firmato un accordo bilaterale di cooperazione per la Sicurezza con il presidente ucraino Zelensky.
L'accordo ha validità decennale (10 anni).
L'accordo impone all'Italia di intervenire in sostegno di Kiev entro 24 ore in caso di nuovo attacco di Mosca e di continuare a fornire aiuti economici e militari al governo ucraino.
L'Italia si impegna inoltre a favorire l'ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea e nella Nato.
Si prospetta poi la possibilità di addestrare l'esercito ucraino e di condurre esercitazioni da parte dell’esercito italiano anche in territorio ucraino.
In sostanza, non paga di aver bruciato ottimi rapporti pluridecennali con la Russia, di aver buttato un numero indefinito di miliardi (i numeri sono secretati) nel sostegno bellico all'Ucraina, di aver contribuito a un'esplosione dei prezzi dell'energia che ha impoverito il paese e proseguito nell'attività di deindustrializzazione, ora Giorgia Meloni vuole lasciare il suo segno nella storia legando l'Italia sempre più strettamente a un paese che sta colando a picco, militarmente ed economicamente, esponendola in maniera crescente sul piano bellico.
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La censura sui social
di Giusi Di Cristina
Si sa che nelle democrazie la libertà d’espressione è una cifra fondamentale, uno di quegli elementi che ci assicura di vivere nel posto giusto, ove mai qualcuno potrebbe proibirci di dire o scrivere la nostra opinione.
Certo. Fin quando non si instaura una intellighenzia superiore, una sovrastruttura potremmo dire, che decide cosa si può o non si può dire, scrivere, condividere sui social per non turbare talune indefinite “sensibilità”. Tutto questo è particolarmente evidente nelle piazze dei social, mascherate da luoghi di libera parola ma sottoposti alla scure del padrone che detta le regole di ciò che è postabile e ciò che non lo è. Utenti hanno visto restrizioni alla condivisione di opere d’arte con nudi, per non parlare della guerra alle immagini sull’allattamento: un corto circuito culturale per cui l’algoritmo non riconosceva l’arte o un atto assolutamente naturale.
Negli ultimissimi anni però si è passati da un algoritmo che non comprendendo l’arte punisce glutei e seni a un algoritmo che al contrario capisce benissimo cosa e chi punire dietro alla scusa di difendere il pubblico da post che diffonderebbero contenuti violenti o falsi. Vengono tolti post e bloccati utenti e profili senza la possibilità di un contraddittorio.
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Da Milano verso la costruzione di un movimento antimperialista
a cura della redazione
“Con la Resistenza palestinese – Blocchiamo le guerre coloniali e imperialiste”: questo lo striscione di apertura del grande corteo di sabato scorso a Milano, città paralizzata dalla marea di 35mila manifestanti contro il genocidio del popolo palestinese. I fatti antecedenti, di violenza delle forze dell’ordine nei cortei studenteschi a Pisa e Firenze – seguiti subito dopo dall’invasione spontanea delle piazze da parte di moltitudini di cittadini – hanno dato probabilmente una spinta ulteriore a un livello di partecipazione che non si vedeva da tempo. Questo avvenimento, però, è importante non solo per la “quantità”, ma anche per la qualità dei contenuti espressi: non la rivendicazione di una pace generica, ma una decisa denuncia delle cause dell’oppressione dei popoli, della strage di proletari, del ricorso alla guerra globale. Da qui si deve partire per costruire un forte movimento antimperialista.
Accade da sempre, manifestazioni di piazza oceaniche il giorno successivo diventano cortei di sparute minoranze; se poi una decina di giovani prende di mira la vetrina di un ipermercato, già contestato dal Bds per rapporti commerciali con Israele, ci si sofferma sul particolare vandalico e l’azione simbolica diventa l’argomento su cui focalizzare ogni attenzione per imporre divieti e tolleranza zero facendo calare il silenzio sul genocidio del popolo palestinese.
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Credito, finanza, denaro ... fiducia
di Luciano Bertolotto
Piccola storia di paese
1987. Nel Pinerolese, scoppiò lo scandalo dei container fantasma. Un noto e stimato imprenditore (tale Nuccio Candellero) raccolse, tramite una sua finanziaria quote da investire in container. Questi, affittati per spedizioni internazionali, garantivano una rendita del 18% annuo.
Si era agli albori della globalizzazione e i cassoni da trasporto simboleggiavano la rivoluzione economica.
In 1700 abboccarono e versarono un importo complessivo di 35 miliardi di lire.
Lettere anonime informarono che i cassoni non esistevano. Crollò l'intero castello: le quote dei nuovi soci servivano a pagare i promessi interessi a chi aveva precedentemente sottoscritto.
Sistema in grado di funzionare solo crescendo su se stesso.
In questo meccanismo, l'esistenza o meno dei container non aveva grande importanza.
Era la fiducia riposta in essi che permetteva il dipanarsi della catena di sant'Antonio.
Niente di nuovo. Un sistema nato nell'Ottocento per diffondere preghiere e, poi, utilizzato, nel Novecento, per racimolare soldi.
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I Palestinesi in cambio di un pacchetto di prestiti da 10 miliardi di dollari
di Mike Whitney - unz.com
Come avevo previsto nel mio articolo all'inizio del massacro di Gaza, i palestinesi se ne dovranno andare nel deserto del Sinai [Antonio Pagliarone]
Nonostante le proteste pubbliche, il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi sta aiutando Israele a trasferire 1,4 milioni di palestinesi da Rafah alle tendopoli nel deserto del Sinai.
Sabato le agenzie di stampa occidentali hanno riferito che a Parigi si sono svolti negoziati a porte chiuse per raggiungere un accordo sul cessate il fuoco a Gaza. Secondo la Reuters, i colloqui hanno rappresentato “il tentativo più serio da settimane per fermare i combattimenti nella martoriata enclave palestinese e per arrivare al rilascio degli ostaggi israeliani e stranieri”. Purtroppo, i resoconti di Parigi sono stati in gran parte un inganno mediatico, volto a distogliere l’attenzione dal vero scopo del vertice. Si tenga presente che i principali partecipanti all’incontro non erano diplomatici di alto livello o negoziatori esperti, ma i direttori dei servizi di intelligence, tra cui il capo del Mossad israeliano, David Barnea, quello dell’intelligence egiziana, Abbas Kamel, e il direttore della CIA William Burns. Questi non sono gli uomini che si sceglierebbero per concludere uno scambio di ostaggi o un accordo per il cessate il fuoco, ma piuttosto per attuare la sorveglianza elettronica, lo spionaggio o le operazioni segrete. È quindi estremamente improbabile che si siano incontrati a Parigi per definire un piano per la cessazione delle ostilità. La spiegazione più probabile è che i vertici dei tre servizi segreti stiano dando gli ultimi ritocchi ad un piano di collaborazione che permetta l’apertura di una breccia nel muro di confine egiziano, in modo che un milione e mezzo di palestinesi gravemente traumatizzati possa fuggire in Egitto senza alcuna seria opposizione da parte dell’esercito egiziano.
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Espulsione palestinesi/2
di Redazione Roma
Inizialmente liquidata da alcuni sostenitori americani di Israele come la fantasia di alcuni fanatici della coalizione di governo di Netanyahu, spingere permanentemente i palestinesi fuori da Gaza si conferma ora come l’opzione politica preferita del Ministero dell’Intelligence israeliano.
Un documento trapelato pubblicato dal quotidiano locale israeliano Sicha Mekomit rivela un piano per mandare i residenti di Gaza a fuggire nel deserto della penisola egiziana del Sinai, per non tornare mai più.
Lo schema equivale essenzialmente a una ripetizione di ciò che i palestinesi chiamano la “Nakba” – “Catastrofe”, l’espulsione di massa dei residenti arabi del 1948 per far posto alla fondazione dello Stato di Israele.
Datata 13 ottobre, la direttiva sulla deportazione segreta delinea quattro fasi, alcune delle quali sono già state eseguite.
In primo luogo, a tutti i civili palestinesi deve essere detto di lasciare il nord di Gaza prima delle operazioni di terra delle Forze di Difesa Israeliane (IDF). Questo deve essere venduto al mondo come uno sforzo per evitare inutili vittime civili mentre i militari prendono di mira Hamas. L’avviso di evacuazione è stato annunciato lo stesso giorno in cui il Ministero dell’Intelligence ha distribuito questo piano al gabinetto di Netanyahu.
In secondo luogo, l’IDF inizierà una sequenza di attacchi via terra da nord a sud lungo la Striscia di Gaza. In concomitanza con attacchi aerei prolungati, la campagna di terra mira a liberare fisicamente i palestinesi, sostanzialmente spazzando via le persone dalla terra.
Questa fase è attualmente in corso e, secondo quanto riferito, i carri armati israeliani si stanno avvicinando a Gaza City al momento della stesura di questo articolo. Secondo il piano, i combattenti di Hamas verranno “ripuliti” e l’intera Striscia di Gaza sarà permanentemente occupata da Israele.
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Espellere tutti i palestinesi da Gaza. Lo scrive un documento ufficiale israeliano “segreto”
di Yuval Abraham*
Il Ministero dell’Intelligence israeliano raccomanda il trasferimento forzato e permanente dei 2,2 milioni di palestinesi residenti dalla Striscia di Gaza nella penisola egiziana del Sinai. Lo scrive un documento ufficiale rivelato integralmente per la prima volta ieri dal sito partner di +972 Local Call.
Il documento di 10 pagine, datato 13 ottobre 2023, porta il logo del Ministero dell’Intelligence, un piccolo ente governativo che produce ricerche politiche e condivide le sue proposte con le agenzie di intelligence, l’esercito e altri ministeri.
Valuta tre opzioni riguardanti il futuro dei palestinesi nella Striscia di Gaza nel quadro dell’attuale guerra e raccomanda il trasferimento totale della popolazione come linea d’azione preferita. Invita inoltre Israele a mobilitare la comunità internazionale a sostegno di questo sforzo. Il documento, la cui autenticità è stata confermata dal ministero, è stato tradotto integralmente in inglese qui su +972.
L’esistenza del documento non indica necessariamente che le sue raccomandazioni siano prese in considerazione dall’establishment della difesa israeliano. Nonostante il suo nome, il Ministero dell’Intelligence non è direttamente responsabile di alcun organismo di intelligence, ma piuttosto prepara in modo indipendente studi e documenti politici che vengono distribuiti al governo israeliano e alle agenzie di sicurezza per la revisione, ma non sono vincolanti.
Il budget annuale del ministero è di 25 milioni di shekel e la sua influenza è considerata relativamente piccola. Attualmente è guidato da Gila Gamliel, membro del partito Likud del primo ministro Benjamin Netanyahu.
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Sulla “follia babilonese” di John Maynard Keynes, ovvero: la verità, vi prego, sulla moneta
Cronache marXZiane n. 14
di Giorgio Gattei
Dicono alcuni che la moneta è merce
e alcuni che invece è pagherò
alcuni che manda avanti il mondo
e alcuni che è una assurdità
e quando ho domandato al mio vicino
che aveva tutta l’aria di sapere,
sua moglie si è seccata e ha detto che
non era il caso, no.
(ad imitazione di Wystan Hugh Auden)
1. Se Federico Nietzsche ha voluto insegnarci che «non ci sono fatti, ma solo interpretazioni», la sua affermazione è sia vera che falsa: falsa perché i fatti ci sono, eccome, e ci arrivano addosso alle volte inaspettati, ma pure vera perché noi ci muoviamo dentro i fatti secondo l’interpretazione che ne diamo comportandoci di conseguenza. E valga il caso clamoroso della scomparsa fisica, all’apice del suo potere, di Romolo, il primo re di Roma, che per storici come Tito Livio o Plutarco fu dovuta a un omicidio a opera dei senatori che ne avrebbero smembrato il corpo portandosene ciascuno un pezzo fuori dal Senato «nascondendolo sotto la toga», mentre il popolino credette a una sua ascesa al cielo, ne fece una divinità aggiuntiva col nome di Quirino e gli dedicò uno sette colli cittadini, per l’appunto il Quirinale.
Altrettanto sull’origine della moneta si confrontano due interpretazioni, che oggi è però più snob chiamare “narrazioni (R. Shiller, Economia e narrazioni. Come le storie diventano virali e guidano i grandi eventi economici, 2020) perché, più che spiegare, raccontano, che sono tra loro in radicale contrasto, come aveva ben compreso fin dal 1917 Joseph A. Schumpeter scrivendo che «vi sono soltanto due teorie della moneta degne di questo nome: la teoria della moneta come merce e la teoria della moneta come certificato di credito che non sono compatibili già in base al loro nucleo, benché in moltissimi casi esse conducano agli stessi risultati». Ma vediamole partitamente.
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Guerra reale e “truppe da esposizione”
di Dante Barontini - Simplicius the Thinker
Anche mettendo da parte le sparate propagandistiche tipiche di ogni soggetto in guerra – minimizzare le proprie perdite, esagerare quelle nemiche, alzare peana alle proprie vittorie, ignorare le sconfitte, ecc – è chiaro che la guerra in Ucraina non sta andando come gli Usa e tutti i loro servi speravano.
La logica era in fondo semplice: le “nostre armi” sono tecnologicamente superiori a quelle russe, ergo le truppe ucraine possono infliggere colpi molto più devastanti di quelli che comunque subiscono.
La premessa non detta è che l’armamento russo fosse in realtà quello sovietico (di 30-40 anni fa), così come il grosso della dotazione di Kiev. Ossia lo stesso armamento, forse appena un po’ migliore, di quello posseduto da Saddam ai tempi delle invasioni dell’Iraq (1991 e 2003).
Ergo, si pensava che aggiungendo qualche Himars e qualche altra “super-arma” (soprattutto antiaerea) lo squilibrio tecnologico avrebbe generato di per sé risultati positivi in tempi relativamente brevi.
Non è andata affatto così, la “controffensiva di primavera” si è rivelata un inutile massacro che ha dissanguato l’esercito ucraino al punto da imporre soluzioni “sbrigative” nel reclutamento di nuovi soldati da mandare al macello, con ovvi problemi di consenso sociale e di efficienza militare (se recluti anche i sessantenni non puoi aspettarti molto…).
Numerosi think tank militari Usa si sono così applicati nel cercare di capire cosa non aveva funzionato, provando anche a indicare le possibili contromisure. E i risultati cono sorprendenti.
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Attraversando il PNRR (I)
di Emiliano Gentili, Federico Giusti, Stefano Macera
I: Piani Ue e classe dirigente italiana
Le difficoltà economiche del capitalismo italiano sono il frutto di scelte sbagliate dell’attuale ceto imprenditoriale, che si sta dimostrando inadeguato e magari poco dinamico o hanno radici più profonde?
Quale la ratio dietro l'implementazione del PNRR e quali gli obiettivi generali che si pone il piano italiano? In che modo potrà incidere sul tessuto produttivo e sul posizionamente dell'economia italiana nella divisione internazionale del lavoro?
Parte da queste domande il preciso studio, articolato in più parti di cui oggi pubblichiamo la prima, che proponiamo su «transuenze» a cura di Emiliano Gentili, Federico Giusti e Stefano Macera.
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I. La situazione dell’economia produttiva italiana
Non saremo certo i primi a parlare delle difficoltà nelle quali da tempo si dibatte l’economia italiana. Lo hanno fatto governi e centri studi, fondazioni legate a poteri economici e finanziari e analisti di varia provenienza ogni qual volta dovevano proporre, supportare e approvare controriforme in materia di lavoro, previdenza e spesa pubblica. Del resto sono decenni che, a confronto con i Paesi più sviluppati, l’Italia sta accumulando ritardi nello sviluppo dei propri fondamentali (produttività del lavoro, entità e rendimento degli investimenti, implementazione dei processi produttivi e delle infrastrutture territoriali). È possibile che questi ritardi strutturali stiano determinando un rischio sempre più concreto di espulsione dell’Italia da alcuni dei mercati più importanti e remunerativi nei quali le imprese nazionali sono da tempo collocate e, secondo la nostra lettura, ciò finirebbe per comportare un ulteriore progressivo impoverimento delle fasce popolari.
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Per far sopravvivere il Potere --- ASSANGE (e WIKILEAKS) DEVE MORIRE
di Fulvio Grimaldi
Per “Il ringhio del bassotto”, Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi
Il ringhio del bassotto: Assange e i pericoli per la libertà di espressione (con Fulvio Grimaldi)
Qui si parla in lungo e in largo della vicenda Assange, omicidio bianco programmato, e della spaccatura tra due mondi in contesa strategica e definitiva: quello di Assange e il l’antimondo di Navalny.
Altri ne hanno trattato, anche meglio e sotto le più varie angolazioni. La stampa mainstream, dal canto suo, che si trova nel secondo dei due mondi citati, del primo non sa, non vede, non dice, se non per ripetere l’arzigogolo dello spione – altro che giornalista - al servizio di Putin. Il giornalismo lo concepiscono così, essendo della razza di quelli che si beccano uno stipendio e buffetti da mane a sera per ogni servizietto fornito, cioè per fare i ragazzi di bottega di assassini in marsina, truffatori, mentitori, rapinatori. E, dunque, per ignorare e diffamare Assange ed elevare sugli altari il qui pro quo russo.
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Tronti e le rivolte dell’individuo massa. Un incontro mancato?
di Massimo Ilardi
Sono consapevole che prendere una posizione critica e anche poco argomentata, come nel caso di questo scritto, sul pensiero di Mario Tronti è una scelta che mi farà correre il rischio di un’avventura teorica pericolosa perché il confronto è con il più raffinato teorico e il più incomparabile interprete di quel lungo secolo che fu il Novecento. Ma ho deciso di assumermi questo rischio perché l’alternativa sarebbe stata poco ‘trontiana’ e cioè quella di descrivere semplicemente il suo pensiero o di accettarlo in tutta la sua complessità.
Una breve premessa autobiografica (che ho avuto occasione di discuterla con Gigi Roggero dopo aver letto il suo bell’intervento In guerra col mondo. Per Mario Tronti sulla rivista Machina all’indomani della sua morte): ho seguito fin dagli anni Sessanta e condiviso attivamente le fasi del suo pensiero, dall’operaismo all’autonomia del politico, e questo quando all’interno dello establishment culturale della sinistra esisteva nei suoi confronti un ostracismo neanche troppo velato. La cosa più ridicola che mi sta capitando in questi giorni è di leggere elogi sul pensiero di Tronti fatti dagli stessi intellettuali che se negli anni ’70 dicevi loro che stavi leggendo Carl Schmitt o Nietzsche ti davano come minimo del fascista!
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